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Autore: Fabio93    24/07/2012    11 recensioni
Azelfus è uno stregone ormai privo di poteri che, mentre cerca la salvezza all'interno del suo castello, è inseguito da ombre mosse da un solo, potente desiderio: la vendetta.
Genere: Horror, Sovrannaturale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 IL NECROMANTE


Azelfus entrò in tutta fretta nel castello, chiudendosi il pesante portone alle spalle, ignorando vento e pioggia che bussavano con forza per entrare.

Poggiò la sua lanterna sul pavimento e prese a frugarsi nelle ampie tasche della tunica e del mantello alla ricerca della chiave per chiudere la serratura dell'entrata.

Ombre dalle forme inquietanti danzavano al ritmo sincopato del lume, in preda ad una silenziosa euforia, affollando l'atrio di figure grottesche; agli occhi del necromante ogni movimento era sospetto ed il fatto che non riuscisse a trovare la chiave da nessuna parte non lo aiutava a calmarsi.

Si impose di non cedere al panico, ma era difficile: il freddo umido della pioggia lo faceva tremare da capo a piedi, rendendo la ricerca ancora più ardua ed il suo tempo stava ormai esaurendosi.

Ispezionò nuovamente mantello e tunica, cercando a fondo, metodicamente.

Nulla: la chiave non c'era.

Doveva averla persa da qualche parte nel bosco.

Emise un sospiro vibrante d'angoscia, tormentando il medaglione dorato che portava al collo con le dita ossute.

Se solo il suo medaglione non fosse stato disincantato avrebbe ancora avuto i suoi poteri, ma forse i suoi libri potevano aiutarlo.

Non c'era null'altro che potesse fare: l'unica via era barricarsi nel suo studio, perciò si diresse verso le scale e ne salì i gradini a due a due, al ritmo del suo cuore su di giri.

Il necromante continuò a salire in quell'interminabile ascesa, rincorso dal rumore dei suoi passi: il suo studio era in cima alla torre Nord, non ad una grande altezza, ma per arrivarci doveva percorrere una scala che si attorcigliava su sé stessa come un serpente, rendendo il cammino lungo e faticoso.

Quando arrivò alla fine era senza fiato e fradicio di sudore, oltre che di pioggia.

La chiave dello studio? No, quella l'aveva.

Ancora una volta dovette lottare contro i tremori e la fretta per inserire la chiave nella serratura, ma la lotta cessò non appena un forte rumore da più in basso giunse alle sue orecchie, immobilizzandolo.

Un lungo, lamentoso pianto di cardini arrugginiti costretti controvoglia a spalancare l'entrata.

Quello non se l'era immaginato.

Un brivido gelido gli si arrampicò su per la schiena.

Possibile che fossero già arrivati?

Si voltò, ma ovviamente non vide nulla, a parte i gradini erosi che si perdevano nel buio.

Eppure era sicuro che non fosse il vento il visitatore misterioso che aveva appena varcato la soglia del suo rifugio; per un attimo rimase paralizzato, incapace di distogliere gli occhi da dove si aspettava che, da un momento all'altro, la sagoma del suo inseguitore si facesse largo attraverso le tenebre.

Maledetto il giorno in cui Cornelius aveva disincantato il suo medaglione. E maledetto Cornelius stesso, quel mago bianco pieno di sé! Mille volte maledetto!

Senza ulteriori esitazioni girò la chiave ed entrò nello studio, chiudendosi la porta alle spalle: la serratura era massiccia, ed avrebbe retto per un po', in caso di necessità.

Poggiò la lanterna sul tavolo al centro della stanza ingombra ed umida, illuminando mobili, libri e strumenti alchemici con un bagliore incerto e tremolante.

Ed ora?

L'unica via di fuga era ridiscendere le pareti della torre fino al tetto evitando di ammazzarsi.

Un sorriso amaro increspò il viso sconvolto.

Sembrava un'impresa impossibile, eppure non aveva scelta.

Afferrò un borsone di pelle lisa e vi buttò dentro i libri magici più importanti, contenenti diverse forme di saperi: alchimia, stregoneria, preveggenza...

Il rumore delle gocce d'acqua che filtravano dal soffitto scandiva con ritmo regolare ed impietoso il passare del tempo, tempo che Azelfus non poteva permettersi di sprecare.

Tese l'orecchio, cercando di distinguere un rumore anomalo al di sopra dello scrosciare perpetuo della pioggia e del rombo sporadico dei tuoni.

Qualcosa c'era.

Passi.

Passi lenti e pesanti, amplificati dal rimbombo sulle pareti di pietra, che si avvicinavano sempre più, sempre di più.

Il necromante emise un gemito strozzato e richiuse il borsone, se lo mise in spalla e fece per afferrare la lanterna.

-Perchè questa fretta, Azelfus?-

Lo spavento fu tale che la lanterna gli cadde di mano, fracassandosi sul pavimento.

La stanza affondò nel buio, fatta eccezione per il rettangolo di luce che entrava fioco dalla finestra; lo stregone incespicò e si aggrappò al tavolo per non cadere.

Aggrappato all'unico appiglio sicuro, il mago attese che i suoi occhi riuscissero a distinguere qualcosa in quel profondo mare di tenebra, le cui onde silenziose, però, non riuscivano a soffocare l'incessante rumore di passi.

Non ci volle comunque molto perchè identificasse l'origine della voce: dall'angolo più buio e lontano, due occhi, rossi come rubini e ardenti come il fuoco, lo stavano fissando.

La lingua si incollò al palato dello stregone, travolto da un timore reverenziale che ormai conosceva bene.

Quegli occhi che lo squadravano rivelavano la presenza del demone in quella stanza, ma essi non sembravano ancorati ad alcun corpo, parevano anzi fluttuare nell'oscurità e trarre da essa la loro forza malefica.

-Non mi riconosci, Azelfus?- domandò la voce, profonda e suadente.

-Mio signore!- esclamò il necromante terrorizzato -Certo che vi riconosco, come potrei...?-

Un lampo, seguito immediatamente da un tuono assordante, illuminò a giorno la stanza.

Vuota, non c'era nessuno.

Poi, quando il buio riconquistò lo studio, gli occhi demoniaci tornarono a splendere.

-Mio signore, dovete aiutarmi! Stanno venendo a prendermi! Fate qualcosa per il vostro umile servo!- implorò l'uomo.

-Ma io ti ho aiutato: ti ho dato un medaglione con tutti i miei poteri...-

-Ma quel figlio di cagna l'ha disincantato!-

Una risata raggelante lo zittì, le ombre della stanza fremettero come acqua increspata dal vento.

-Ma sentiti: frigni come un bambino- lo derise il demone, per nulla preoccupato del destino del suo adepto.

-Mio signore, non abbandonatemi, vi prego!-

-Abbandonarti?- gli occhi sfavillarono, maligni -Ma no, Azelfus, io non ti abbandonerò, mai...-

Un pesante colpo scosse la porta dello studio, quasi scardinandola.

Azelfus farfugliò qualcosa e cadde a terra, in preda al panico.

Il demone rise ancora, di gusto, senza smettere di fissarlo con quegli occhi vermigli e voraci.

-Giusto per curiosità, Azelfus, cosa dirai ai morti? Pensi che ti perdoneranno, per essere ancora vivo?-

Un altro lampo; fu la luce e poi il buio, ma questa volta gli occhi non riapparvero.

Era solo, adesso.

Ma ancora per poco, se la cosa là fuori riusciva ad entrare.

Come a sottolineare i suoi pensieri, un altro possente colpo si abbattè sulla porta di legno.

Lo stregone si alzò e si diresse alla finestra, spalancandola.

Un vento feroce invase la stanza, portando con sé la pioggia gelida; Azelfus si protesse il viso con un braccio e tornò verso il tavolo per riprendere il borsone coi suoi preziosi libri.

Proprio in quel momento, la porta dello studio cedette di schianto.

Sentendosi come un bambino che fissa il mostro uscito dall'armadio, l'uomo volse lo sguardo terrorizzato verso l'entrata: una sagoma scura più della notte mosse il suo primo passo nello studio.

Un lampo ne rivelò la carne putrefatta, lo sguardo vuoto ed i denti digrignati.

Era un morto, uno dei tanti di cui Azelfus si era servito con la sua magia e che ora, liberati dalla malia del medaglione, lo cercavano per avere vendetta.

Il morto si mosse verso di lui, fiutando il suo odore, o forse, la sua paura.

-No!- balbettò Azelfus, lasciando il borsone e precipitandosi alla finestra.

Si sporse, sul punto di uscire, ma il vento era troppo forte e non poteva spingersi oltre senza esserne spazzato via.

Poi l'ennesimo fulmine illuminò la radura ai piedi del castello e ciò che vide lo riempì d'orrore: costellazioni di occhi ciechi e denti serrati restituirono al necromante la luce piovuta dal cielo.

Erano una marea innumerevole, e tutti erano spinti da un solo pensiero, un solo obiettivo: lui.

Una raffica improvvisa fece perdere ad Azelfus l'equilibrio, ma l'uomo riuscì all'ultimo momento ad aggrapparsi alla finestra.

Non avrebbe retto per molto: già sentiva le dita intirizzite scivolare sulla pietra umida.

Cercò un appiglio coi piedi, ma non ne trovò alcuno.

È la fine, pensò.

Poi una mano afferrò la sua, sollevandolo come un pupazzo di pezza: Azelfus si trovò faccia a faccia col morto vivente.

Sarebbe stato meglio lasciarsi cadere, dopotutto.

Il morto lo buttò a terra, nello studio: al riparo dalla furia degli elementi, ma non al sicuro.

Il necromante si rialzò, pronto alla fuga, ma altri zombie si accalcavano su per le scale, per non far tardi al banchetto.

Paralizzato dall'orrore, lo stregone esitò un secondo di troppo: il morto lo afferrò per il bavero della tunica e lo attirò a sé come un ballerino sgraziato.

Azelfus lottò e si dimenò, ma i suoi sforzi non valsero a nulla: lo zombie era troppo forte.

-Lasciami, maledetto!- strillò, soffocato dal tanfo nauseabondo della putrefazione.

Vide la bocca del morto avvicinarsi inesorabile, affamata.

Non poteva finire così, doveva esserci un modo, una via, doveva esserci!

-Lasciami! Ti prego! No! NO!- gridò il necromante, ormai folle per il terrore.

Il morso del cadavere gli strinse la gola, soffocando le sue suppliche.

Fu una morte pietosa: Azelfus perse conoscenza in fretta, prima di sentire i cadaveri da lui stesso evocati fare scempio del suo corpo

L'ultima cosa che vide furono due occhi rossi, sfavillanti, che sembravano volergli ripetere ancora una volta che non lo avrebbero abbandonato mai.




Ti sono grato per aver letto questa storia. Scriverla è stato divertente, ma non semplice, e spero di averle dato il giusto ritmo, la giusta atmosfera. Sarebbe bello se lasciassi una recensione, magari positiva, ma ti ringrazio anche solo di essere arrivato alla fine di questo mio racconto.

   
 
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