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Autore: xlairef    03/08/2012    1 recensioni
Se il Cielo abbandona la giustizia, può un Guardiano del Cielo limitarsi a osservare la distruzione del mondo?
Molti di loro provenivano da regioni tanto remote da sfiorare la leggenda. Alcuni avevano volato per tutta la notte, altri si erano svegliati prima dell’alba per unirsi alla formazione che ora solcava i cieli in direzione degli Altopiani. Le loro scaglie rilucevano alla luce del sole mattutino, i loro corpi sinuosi gettavano un’ombra sulle nubi sottostanti, le loro ali erano spiegate per trattenere ogni minimo soffio del vento in cui si muovevano.
Genere: Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Molti di loro provenivano da regioni tanto remote da sfiorare la leggenda. Alcuni avevano volato per tutta la notte, altri si erano svegliati prima dell’alba per unirsi alla formazione che ora solcava i cieli in direzione degli Altopiani. Le loro scaglie rilucevano alla luce del sole mattutino, i loro corpi sinuosi gettavano un’ombra sulle nubi sottostanti, le loro ali erano spiegate per trattenere ogni minimo soffio del vento in cui si muovevano.
Nel silenzio rotto dal mugghiare delle correnti i Guardiani del Cielo correvano verso la loro meta consapevoli della gravità eccezionale dell’adunata. Al centro dello stormo un manipolo di draghi dorati circondava un lungo esemplare verde smeraldo, due di loro ad ogni suo lato e ad ognuna delle sue immense ali venate di cobalto. Il prigioniero non mostrava interesse verso di loro: si limitava a lasciarsi trasportare dal vento nella direzione in cui i compagni si dirigevano, incurante del fatto che ogni miglio lo avvicinava sempre più alla morte.
Infine lo stormo raggiunse gli Altopiani: a due a due i draghi planarono dolcemente sul terreno arido, gelato e spazzato dal vento, formando un semicerchio largo quanto l’intera estensione del terreno. Le montagne, altrimenti ripide e irte di quarzi, in quel luogo si spianavano e si aprivano a formare un esteso terrapieno di forma circolare a migliaia di metri dal suolo.  Il semicerchio era quasi del tutto formato quando i draghi dorati permisero al prigioniero di prendere posto al centro dell’altopiano per poi schierarsi attorno a lui.
Alla loro destra atterrò il capo dello stormo, un anziano dragone rosso amaranto, segnato dal peso dei secoli e delle battaglie, mentre alla loro sinistra una femmina blu salì in silenzio su di uno spuntone di quarzo iridescente.
Fu quest’ultima a parlare per prima. “Io, Ferallan di Hera, in qualità di giudice di questa assemblea, dichiaro aperto il giudizio contro Vainen di Jakala per aver infranto le leggi del Cielo.” La voce di Ferallan si levò chiara e raggiunse tutti i presenti. “Le accuse saranno espresse dal capo stormo Raiden di Grenada: chiunque potrà liberamente parlare in favore o contro l’accusato.”
Il vecchio Raiden chinò la testa. “Onorabile giudice e draghi della corte, dimostrerò qui e senza ombra di dubbio che Vainen di Jakala è colpevole di tradimento nei confronti dei Signori del Cielo e pertanto reo di morte.”
Vainen continuava a fissare il vuoto al di là dei propri occhi.
“Ricordo a tutti voi che questa non è la prima volta nella quale Vainen viene sottoposto al giudizio di questa assemblea: cinquant’anni or sono fu condannato per aver causato la morte di un membro eminente dei Guardiani con un atto di insubordinazione…”
 
 
“E’ stata legittima difesa!” Vainen si dimenava per sfuggire alla presa dei suoi carcerieri. “Il generale Uliana avrebbe mandato a morte certa tutta la mia pattuglia!”
“Questo non giustifica l’assassinio di un superiore: come comandante eri tenuto ad eseguire gli ordini.” Urlò un Raiden privo di qualche cicatrice.
Boati di sdegno echeggiarono da ogni direzione. “Non è giusto!” Parlò un drago d’argento facendosi sentire nonostante la confusione. “Il comandante ha agito nell’interesse della pattuglia e dell’esercito, quindi nell’interesse del Cielo che difende ogni giorno al nostro fianco: non può essere condannato a morte per questo!”
“Basta così!” Ferallan ruggì e calò di nuovo il silenzio. “In virtù dei poteri conferitimi da questa assemblea, condanno Vainen di Jakala all’esilio: assumerà la forma degli inferiori e vagherà sulla terra per i prossimi cento anni. Resterà tuttavia vincolato ai doveri dei Guardiani: non interverrà nei conflitti umani né in un senso né nell’altro, non rivelerà ad alcun umano la sua vera natura, rinuncerà all’uso della magia se non per autodifesa. Come segno del suo disonore gli sarà mozzato l’artiglio del pollice destro. Ho giudicato.”
L’urlo di rabbia di Vainen sovrastò ogni altro suono sull’altopiano.
 
 
 
“In quell’occasione fu stabilito che Vainen non avrebbe influenzato il mondo umano.” Continuò Raiden. “Dunque la violazione di questa imposizione, vent’anni fa, quando incontrò una schiera di soldati umani di ritorno da una battaglia, lo condannava  automaticamente a morte in quanto recidivo.”
Un drago arancio chiese la parola. “Onorevole Raiden: tuttavia in quel caso non si può dire che Vainen abbia violato l’imposizione. Se vent’anni fa non avesse usato i suoi poteri, egli sarebbe morto.”
Raiden guardò il drago con disprezzo. “Se si fosse limitato a difendersi, certo, ma tu dimentichi l’atto principale, la radice del male che Vainen avrebbe compiuto più tardi: egli raccolse il bambino.”
 
 
 
Erano tempi oscuri. Il Cielo aveva decretato la fine dell’Impero: in ogni regno avevano attecchito i semi della rivolta, eserciti erano giunti a sfidare l’autorità imperiale e a mettere  a ferro e fuoco le campagne circostanti la capitale. L’ultimo avamposto imperiale resisteva strenuamente ma era destinato a cadere: la stella dell’imperatore Zui si sarebbe spenta per sempre.
Un uomo alto e magro percorreva il sentiero che si inoltrava nella foresta. Non aveva timore dei briganti, delle bande di soldati a piede libero, dei demoni malvagi: qualcosa nel suo viso aguzzo dissuadeva da ogni tentativo di aggressione.
Come stabilito, Vainen non aveva interferito con le decisioni del Cielo. Aveva schivato ogni avviso di arruolamento, si era nascosto nei boschi e aveva mantenuto la neutralità in un tempo in cui la sola parola aveva perso significato. Ancora mezzo secolo, si ripeteva per resistere, ancora mezzo secolo per volare di nuovo.
Non si aspettava di avere compagnia.
Dal folto della foresta emersero una dozzina di figure vestite di nero: il simbolo sulle uniformi li classificava come soldati della dinastia Oi, il cui signore della guerra aveva assediato la capitale.
Vainen avrebbe proseguito senza curarsi di loro se il capo della pattuglia non lo avesse indicato con un gesto inequivocabile. Dieci uomini furono su di lui, le spade sguainate per uccidere, non per difendere.
La loro missione, quale che fosse, non poteva permettere testimoni, pensò Vainen impugnando la sua doppia lancia.
La tecnica di combattimento di quei soldati era la più letale, propria dei sicari di professione e delle guardie imperiali. Vainen poté ucciderne solo alcuni prima di essere circondato e disarmato. Una delle lame nemiche aveva fatto breccia nella sua difesa e dal fianco di Vainen sgorgavano fiotti di sangue nero. I soldati si ritrassero con disgusto.
“Abominio.” Pronunciò nettamente il capo dei soldati sputando a terra. “Finitelo.”
Fu allora che Vainen usò la magia.
Una nube di fuoco verde piombò sulle teste di coloro che lo circondavano, avvolgendoli e consumandoli in pochi secondi. Il comandante non si fermò ad assistere allo sterminio e fuggì nella foresta.
Vainen raccolse la sua lancia ed evocò il vento per inseguire il suo nemico. Lo ritrovò in una radura poco distante: senza fermarsi lo sorpassò e lo trafisse al petto, guadagnandosi uno sguardo d’odio e una maledizione.
Il silenzio tornò nella foresta. Fu allora che Vainen udì il vagito che proveniva dalla schiena del nemico ucciso.
Si chinò sul cadavere e lo rovesciò: legato sulla schiena, coperto da un panno nero, miracolosamente incolume c’era un neonato umano.
D’istinto Vainen lo raccolse tra le braccia, ma ad un secondo sguardo lo scostò da sé, turbato: i capelli del bambino erano completamente bianchi, i suoi piccoli piedi avevano sei dita invece che cinque. Vainen riportò alla mente le voci che giravano tra i profughi giunti dalla capitale qualche giorno prima: chiacchere di corte, una sorella fin troppo legata al fratello, un uomo solo che cercava conforto nell’unico grembo ancora fedele, uno sposalizio segreto contro al quale si era levata la vendetta celeste.
Quel bambino era il figlio legittimo dell’imperatore.
Lentamente l’uomo posò a terra il neonato piangente: salvarlo sarebbe equivalso a ribellarsi al Cielo che aveva stabilito la fine della dinastia Zui.
Non c’era nulla che lui potesse fare, per cui si incamminò di nuovo nella foresta. I figli avrebbero pagato per le colpe dei padri. Avrebbero scontato i capricci dei Signori del Cielo.
Non aveva nemmeno percorso quattro metri quando ritornò sui suoi passi, raccolse di nuovo il bimbo, lo avvolse nella fascia nera che era stata l’uniforme del suo rapitore e scomparve con lui nel folto.
 
 
 
“Fu un gesto nobile.” Un’anziana dragonessa intervenne a rompere il silenzio creatosi per l’accusa di Raiden. “Era un bambino: un cucciolo.”
“Il cucciolo di una serpe è forse meno pericoloso del genitore?” Ironizzò Raiden.
Jillan, la dragonessa, madre di centinaia di uova, digrignò le zanne. “Da quando salvare un bambino è diventato un delitto capitale? Sappiamo inoltre che Vainen non tentò in alcun modo di allevarlo come un erede imperiale, anzi, gli nascose il suo nome e la sua origine così come la propria: divennero due eremiti vagabondi, un padre e il figlio dai capelli rasati, fino a quando la crudeltà degli uomini non lo obbligò a una scelta inderogabile.”
 
 
 
Prima di tutti venne Lan.
La trovarono in una fresca sera di maggio rannicchiata alle radici di un albero di magnolia, in un lago di sangue. Sen si precipitò da lei, ignorando le raccomandazioni di Vainen.
“Padre, è…” Il ragazzo tremava ma non abbandonò la donna.
Vainen si avvicinò e distese delicatamente quel corpo martoriato: “E’ ancora viva.” Rispose dopo un lunghissimo istante. Si rialzò e fece per rimettersi sulla strada, ma la mano di Sen gli afferrò la tunica.
“Non possiamo abbandonarla.” Disse con tutta la determinazione dei suoi dodici anni.
L’uomo scosse la testa. “E’ stata torturata dalle truppe di Oi meno di un giorno fa: dobbiamo andarcene.”
“Portiamola con noi.”
“Impossibile. Ci rallenterebbe, dovremmo accudirla, lavarla, guarirla. E una volta sana dovremmo impedirle in ogni momento di suicidarsi per la disperazione: non possiamo fare nulla per lei.” Vainen fissò Sen con severità. Il ragazzo tuttavia non abbassò lo sguardo e continuò ad aspettare. Non avrebbe ceduto finché quella donna non fosse stata salva, comprese Vainen, qualunque fosse stato il prezzo da pagare.
“Te ne occuperai tu.” Concesse infine a Sen e a se stesso.
 
Le avevano tagliato la lingua con tenaglie arroventate: la chiamarono Lan come i fiori dell’albero sotto il quale l’avevano trovata. Vainen impiegò settimane a guarire il suo corpo dalle ferite inflitte da Oi, usando tutta la sua esperienza in rimedi naturali ed erbe medicinali. Furono necessari mesi per cominciare ad occuparsi delle ferite dell’anima.
Intimorita da Vainen, di cui intuiva la natura non umana, Lan si affezionò presto a Sen. Il ragazzo, che non aveva mai avuto una madre, ricambiava con un affetto smisurato. Grazie a lui Lan elaborò un sistema di segni che le permetteva di comunicare senza parole, smise di ritrarsi davanti alle fiamme del fuoco notturno, iniziò ad occuparsi dei pasti comuni. Con il tempo perse addirittura la diffidenza per Vainen, ma questo avvenne dopo che quest’ultimo, assieme a Sen, iniziò a difendere i profughi dalle truppe di Oi.
 
 
 
Raiden sbuffò. “Ogni tua parola va a rafforzare le mie accuse. Che motivo aveva Vainen di difendere degli esseri umani, abietti oltre ogni dire, dalle insidie dei loro simili? Non era forse una ribellione verso il Cielo, che ne aveva decretata la rovina?”
Molte teste annuirono alle sue parole. Jillan si guardò intorno con sdegno: “Il Cielo ci insegna la nobiltà d’animo, il coraggio e la saggezza. Cosa c’è di nobile nel guardare uno sterminio senza tentare di impedirlo? Da quando il generale Raiden è diventato portavoce della volontà del Cielo?”
“Femmina! Io parlo secondo le leggi celesti!” Ruggì Raiden. “Osi mettere in discussione il volere dei Signori del Cielo?”
“Morte e distruzione: è davvero questo il volere del Cielo o siamo noi a non essere più in grado di interpretarne i segnali?”
Lo sgomento ammutolì l’assemblea: i draghi accanto a Jillan si scostarono intimoriti dalla blasfemia. La vecchia dragonessa continuava a tenere gli occhi puntati su Raiden, sfidandolo a parlare.
In tutto questo Vainen non aveva alzato mai la testa per parlare.
“Anche tu Jillan?” Sussurrò livido Raiden. “L’insolenza di chi ha osato ribellarsi al Cielo sta dando frutto.”
Ferallan intervenne. “La discussione è irrilevante ai fini del giudizio. Vi prego di procedere secondo le regole.”
L’anziano generale si riscosse. “Certo. Prestando aiuto a quegli umani, Vainen era ormai compromesso: si perse definitivamente quando decise di prendere parte al conflitto e a riportare sul trono l’erede della dinastia estinta.”
 
 
 
Dopo Lan venne Ouyan, al quale i soldati Oi avevano violentato e ucciso le figlie. Xu e la sua famiglia si unirono a loro dopo che un signore della guerra li aveva espropriati del podere.  Trovarono Rial ad un crocicchio mentre mendicava un tozzo del pane che aveva impastato fino al mese precedente. Vani e Mani giunsero piangendo con le vesti macchiate di sangue, Hiro bestemmiando e impugnando la spada di suo padre, Jin con lo sguardo fisso nel vuoto e senza nulla addosso.
A tutti loro Sen offriva qualcosa: una spalla su cui piangere, un riparo sicuro, un pasto caldo, una speranza, e intanto gli anni passavano , maturando in lui una decisione.
Infine venne il giorno che Vainen temeva.
“Padre: non posso più restare a guardare. Ho deciso di combattere per riportare il nostro Paese alla pace.”
Seduto contro un cipresso, Vainen non alzò gli occhi. “Tu morirai e sarà tutto inutile. Ti ammazzeranno prima che tu te ne accorga.”
Sen si sedette accanto a lui. “Lo so.” Sorrise tristemente. “Ma devo tentare. Non ha senso vivere in un mondo come questo.” Disse guardando il tramonto oltre la collina e il fumo di uno dei villaggi incendiati quel giorno dagli Oi.
Il drago capì che Sen non si sarebbe fatto dissuadere. Adesso toccava a lui a compiere una scelta dalla quale rifuggiva da lungo tempo.
Con gesti lenti si levò dal collo il cordone dal quale pendeva l’artiglio spezzato, simbolo della sua colpa, e lo consegnò a Sen.
“Con questo sarai in grado di sopravvivere più a lungo: è l’artiglio della zampa destra di un drago, dona la magia del vento all’umano che lo possiede e permette di controllare il drago da cui proviene.”
Sen fissò stupito l’uomo che considerava come un padre. Da anni aveva compreso che molte delle volte in cui erano riusciti a scappare dalle truppe allo sbando di Oi potevano essere spiegate solo dalla magia, una magia che era in possesso di Vainen,  ma mai aveva pensato che un giorno quella magia gli sarebbe appartenuta.
“Significa che non ci aiuterai?” Chiese, intimamente deluso dal comportamento dell’uomo.
Vainen stirò le labbra in un sorriso stanco. “Significa che da oggi in poi ti servirò fino alla morte, mio imperatore.” Disse inchinandosi ai piedi di Sen. 
 
  

  
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