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Autore: Dira_    05/08/2012    12 recensioni
L'ultimo anno della tua vita scolastica è campale, e Violet Parkinson-Goyle lo sa bene. Fuori dalle mura protettive di Beaux-Batons la attendono le aspettative di sua madre e desideri contro cui non sa e soprattutto, non vuole combattere. Lo sa bene Dominique Weasley che ha deciso di candidarsi per il Torneo Tremaghi ma non sa che dovrà combattere anche fuori da un'arena.
Il Settimo anno di Violet e Dominique. Perchè se calchi il suolo di Hogwarts è ovvio e comprovato, pioveranno casini da tutte le parti.
[Spin-off che segue la linea temporale di Ab Umbra Lumen]
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash, Slash | Personaggi: Dominique Weasley, Nuovo personaggio, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga'
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When I jerk away from holding hands with you
I know these habits hurt important parts of you
Remember when I was sweet and unexplainable
Nothing like this person, unlovable
(Back in your head, Tegan & Sara)
 
 
10 Agosto 2023
Francia, Normandia, vicino a Le Havre.
Villa Parkinson.
 
Le Fresie quell’anno erano particolarmente rigogliose.
Violet le guardava tra l’ammirato e il soddisfatto, mentre opportunamente vestita si apprestava a passare in rassegna il giardino della casa materna.
L’estate era ormai agli sgoccioli e si stava avvicinando l’ultimo, campale anno scolastico. Non era ancora riuscita ad assimilare il fatto che in meno di un anno tutto sarebbe finito e lei sarebbe stata finalmente considerata pronta per il mondo al di là delle mura bianche di Beaux-Batons.
Era strano, ma supponeva che vi sarebbe venuta a patti.
Staccò con le cesoie ben affilate una rosa, posandola sul cestino che la sua Elfa personale le stava allungando sopra la testa bitorzoluta. Sua madre le amava rosse, ed era sua premura non farle mai mancare un mazzo di esse al mattino.
Fece un sospiro: i loro rapporti si erano fatti tesi da quando, a Maggio, aveva rotto il suo fidanzamento con Mathieu Allard. Visto il motivo – ovvero il fatto che il porco avesse tentato di usarle violenza - non poteva rimproverarla, ma non era affatto contenta che l’occasione di unirsi ad una delle più influenti famiglia di Francia fosse sfumata.
Credo stia già tramando per farmi conoscere qualcun altro…
Non le avrebbe dato molta noia quel pensiero, dato che non era la prima né l’ultima Purosangue che si sarebbe sposata tramite matrimonio combinato, se un paio di cose non fossero venute alla luce proprio a causa della rottura del fidanzamento. Prima di tutte, la sua intenzione di sposarsi con un ragazzo.
Le piacevano le ragazze, e reprimere per il resto della sua vita ciò che era o limitarlo alle porte chiuse di una stanza … era inevitabile, eppure le dava un senso di desolazione profonda.
Inoltre, la sua attrazione per esse, aveva preso una tenace e inopportuna direzione; Dominique Weasley, figlia d’arte, Capitano e Prefetto della Casa dei Fiordalisi, bella come il sole e matta come un cavallo.
A proposito di quella barbara, incivile …
Inspirò bruscamente, ignorando lo sguardo preoccupato dell’Elfa.
… stupida, selvaggia, idiota.
Non la vedeva dall’ultimo giorno di scuola, quando si erano frettolosamente salutate prima che sua madre arrivasse a reclamare la sua completa e devota attenzione. L’altra non era parsa particolarmente infastidita dal commiato insoddisfacente anche se le aveva promesso di venirla a trovare prima dell’inizio della scuola.
Sì. Certo. Perché l’ho vista. Tutti i giorni. Tutte le ore.
Tagliò con ferocia l’ennesima rosa, gettandola nel paniere di vimini o forse sulla testa dell’Elfa.
Era arrabbiata. Arrabbiata e delusa. Certo, sapeva bene che la Weasley passava gran parte delle sue vacanze in Romania a rischiare di farsi divorare dai draghi. Sapeva anche che la riserva in cui soggiornava era tagliata fuori dal mondo, sia magico che babbano.
Ma a quest’ora dovrebbe esser tornata.
Era stata un’ingenua; conosceva Dominique da sette anni e sapeva quanto fosse svagata nei rapporti interpersonali. Si dimenticava puntualmente che c’erano degli obblighi sociali da rispettare e soprattutto delle promesse che andavano mantenute con certe categorie di persone.
Tipo la ragazza che ti sei baciata per un mese prima che arrivasse l’estate a separarci.
“Porta le rose in casa, Silvy.” Sbuffò all’Elfa. “Come al solito, disponile nel salottino privato di mia madre.” Guardò il sole e indovinò ad occhio l’ora. “Dovrebbe alzarsi a breve.”
“Sì Padroncina Violet! Silvy va subito!” Squittì Smaterializzandosi con uno schiocco. Violet a quel punto, si concesse un lungo sospiro prima di crollare – seppur graziosamente – su una delle panchine di ferro battuto che si alternavano lungo il viale che collegava la casa al  ‘giardino all’inglese’.

Amava il giardino di casa sua, l’unico posto di villa Parkinson (fu Goyle) dove si sentisse a suo agio. Le sue stanze erano sì belle e luminose – i quartieri suoi e di sua madre davano al sole quasi tutti i mesi dell’anno - ma arredate secondo gusto di quest’ultima, sin troppo opulento. Inoltre l’intera struttura era decisamente britannica, in uno stile gotico pesante, che poco si armonizzava con la dolcezza franca del paesaggio.
Si sistemò l’orlo della leggera veste estiva che prediligeva quando lavorava in giardino; sua madre non la approvava, chiamandola ‘la tua sottoveste da contadina’ ma a lei ricordava quelle viste nelle illustrazioni di vergognosi libri babbani che Jenny le aveva prestato al secondo anno in gran segreto. Non glieli aveva mai ridati.
Orgoglio e Pregiudizio?
Aveva amato quel libro e aveva trovato molte similitudini tra quella vecchia società babbana e la loro.
Non credo si comportino più così, i babbani. Ma noi? Praticamente identici.
Aveva risparmiato quel discorso alle amiche per paura di turbarle o, ancor peggio, di farle spettegolare. Ne aveva parlato con Dominique invece, e l’altra gli aveva confermato le teorie.
 
“Sicuro, sono molto più avanti di noi da quel punto di vista! Ma se guardi bene, vale anche per i maghi e le streghe che non sono Purosangue über alles come te.”
“Sarebbe a dire?”

“Per dirti, se ti mettessi a parlare di matrimoni combinati ai miei cugini, in Inghilterra, ti riderebbero in faccia. Il mondo Babbano ci ha sorpassato di dieci leghe da almeno due secoli buoni, ma anche quello magico sta entrando nell’ordine di idee che le vesti e le carrozze non sono più tanto funzionali. A parte per le feste al Ministero, nessuno in Inghilterra si sogna di mettersi più quei tuniconi da monaco ormai. I miei cugini indossano i pantaloni, che io sappia.”
“Fanno parte delle nostre tradizioni però.”
“Bah! Le tradizioni sono noiose.”
 
Quel genere di ragionamenti erano quanto di più lontano le fosse stato insegnato. Non solo lontano, ma diametralmente opposto. Ne aveva fatti molti, con Dominique, nel loro posto segreto – ovvero la Radura degli Unicorni.
A volte si chiedeva se non ci fosse qualcosa di più di ciò che toccava con mano nel suo mondo chiuso di Beaux-Batons e in quello ancora più esclusivo che la aspettava a casa.
Era questo probabilmente ad averla attratta tanto di Dominique. Dominique la ribelle, Dominique la selvaggia. Dominique che era libera come l’aria e forse per questo non si sentiva in dovere di farsi sentire con nessuno quando partiva. Neppure con lei.
Sospirò di nuovo, alzandosi la veletta del cappello di paglia, doveroso quando il sole picchiava anche sulla coste dell’Alta Normandia¹. Era stata un’estate calda, insolitamente poco piovosa.
Voglio tornare a scuola…
Le mancavano le sue amiche, l’uniforme azzurra di seta, le chiacchiere divertenti e i piccoli, succosi pettegolezzi che le davano il buongiorno al mattino. Le mancava la Sala Comune, le belle decorazioni di stucco dorato e il parco incantato in una perenne primavera rigogliosa. Morgana, le mancavano persino le lezioni!
E ti manca lei.
Non che stessero assieme, certo. Stare assieme avrebbe comportato una serie di domande, risposte poco piacevoli e obblighi che Violet non voleva e non poteva assumere.
Ciononostante la Weasley aveva il dovere di mantenere le sue promesse.
Fu con quello stato d’animo che prima di pranzo prese una delle civette della voliera e spedì una lettera. Un biglietto che neppure firmò. Tanto non serviva. 
 
Quando pensi di venire a trovarmi? Ti ricordo che hai fatto una promessa.
Erano solo parole?
 
Quando lo ebbe spedì però se ne pentì. Era forse darle troppa importanza?
Sì, ma vuoi averla qui, giusto?
Decise di non pensare più all’intera faccenda per tutta la giornata. Del resto aveva ben altro da fare. Per prima cosa i compiti e poi misurarsi il nuovo guardaroba in vista dell’anno scolastico – il sarto era venuto apposta da Le Havre.
Per finire, sua madre; sua madre che di lì a pochi mesi si sarebbe sposata. Non era una notizia che l’aveva colta impreparata. Già dall’anno prima aveva subodorato qualcosa, date le frequenti visite di un distinto funzionario del Ministero che era stato tacciato di essere ‘un semplice, caro amico’.
Pansy Parkison, vedova Goyle adesso era incinta. Violet l’aveva appreso al suo arrivo e aveva dovuto congratularsi con tutti i crismi e farsi baciare le guance dal bellimbusto biondiccio e impomatato in questione.
Proprio il suo tipo.
C’era un matrimonio da preparare e anche se Violet era stata esonerata dai preparativi (‘Devi pensare alla scuola tesoro, non posso certo oberarti di questioni così stressanti’) doveva comunque essere sempre presente per i mille, piccoli capricci.
Come in quel momento. Seduta nel suo salottino privato, le stava leggendo il giornale quotidiano ad alta voce, mentre questa era adagiata su una chaise longue guardando il vuoto assorta. Sospettava che a sua madre più che le notizie interessasse darle qualcosa da fare che la tenesse nelle sue immediate vicinanze.
Quest’anno, per celebrare il venticinquennale della Battaglia di Hogwarts verrà rivisitata l’antica competizione del Tremaghi, che coinvolgerà l’Istituto Durmstrang, l’Accademia Beaux-Batons e l’omonima scuola di magia e stregoneria scozzese…” Lesse, facendo subito dopo una piccola smorfia.
“Voglio proprio sapere chi sarà l’idiota a competere in un torneo sanguinario e volgare come quello … È un vero scandalo che la vostra Preside vi abbia aderito anche se, immagino, non avesse poi molta scelta. Senza l’Accademia il Tremaghi non ha senso di esistere.” Commentò sua madre con una smorfia gemella. “Ho assistito all’ultimo, mia cara, e fu un vero e proprio fallimento dal principio alla fine. Te ne ho mai parlato?”
“Sì, mamma.” 
Violet, dall’atteggiamento della madre,  sapeva che stava per arrivare una delle loro amabili chiacchierate, in cui usciva sempre con presagi poco simpatici sul suo futuro di strega libera.
“… Ti ricordi di Scorpius Hyperion tesoro?” Esordì quando Violet era certa che ormai si fosse addormentata al suono volutamente monotono della sua voce. 
“Sì, certo.” Posò la piuma che fungeva da segnalibro tra le pagine. Come volevasi dimostrare. “Il figlio dei Malfoy, vero?”

Sua madre la graziò di un breve sorriso. “Sì, proprio lui. Giocavate spesso assieme da bambini.”
Violet si astenne dal farle notare che più che altro si rotolavano a terra tirandosi i capelli e mordendosi vicendevolmente, incitati dai di lui degni compari, Nott e Zabini. “Mi ricordo.”

“È diventato proprio un bel ragazzo. Ho visto una sua foto di recente, me l’ha spedita Daphne, sua zia.”
Detta anche La Meretrice.

Non avrebbe mai capito i rapporti interpersonali di sua madre; chiamava tutti amici ma finiva inevitabilmente per parlar male di uno con un altro. E viceversa. Certo, anche nella sua ristretta cerchia di amiche qualche pettegolezzo scappava, ma mai troppo cattivo. Dominique la chiamava ‘ottica del branco’, con suo gran fastidio.
Però un po’ ha ragione.
“Davvero?” Continuò sulla china della neutralità. Tanto sapeva perfettamente dove sarebbe andato a finire il discorso.
“Dovresti scrivergli e riprendere i rapporti, Daphne mi dice che è terribilmente simpatico e a modo…”
Ecco, appunto.
Guardò verso la finestra intrappolando tra le labbra un sospiro esasperato. Inarcò le sopracciglia quando vide un puntino apparire nel sole decrescente del pomeriggio. Un puntino in mezzo al cielo; non certo un aereo babbano, né tantomeno una scopa. 
“Non lo vedo da anni mamma … non saprei cosa scrivergli.” Se non era una scopa o un mezzo di locomozione aerea babbana, allora cosa? Qualche animale?  
La vedova fece un verso scocciato, riottenendo la sua attenzione. “Non fare la sciocca! Alla vostra età gli argomenti di conversazione si trovano sempre!”
Magari posso chiedergli se ha ancora l’abitudine di appiccicare Bolle Bollenti sui vestiti delle ragazze.
“Hai ragione mamma. Gli scriverò stasera.” Si spostò verso la finestra. Da lì aveva una visuale migliore ed era decisamente un animale quello che solcava il cielo in direzione di casa sua.
Un’aquila. 
E c’era una sola persona, in tutta la scuola, capace di addomesticare un rapace del genere.
Dominique aveva un’aquila come Famiglio.
“Se non hai niente in contrario vorrei farlo adesso.” Disse precipitosamente. “Intendo dire, scrivere la lettera a Scorpius…”
Sua madre sorrise con aria di approvare la sua repentina iniziativa. “Certo cara, va’ pure. Lasciami il giornale, vuoi?”

Glielo porse e poi scappò in camera. Come si aspettava – come sperava – l’aquila era fuori dalla sua finestra con una pergamena arrotolata attorno alla zampa. Intimorita aprì le imposte e slegò la lettera mentre il rapace la scrutava con i grandi occhi cerchiati d’oro. Dominique l’aveva salvata trovandola nel bosco, presa in una delle trappole che il Guardiacaccia della scuola usava per evitare che quelle della sua specie facessero massacro dei cerbiatti del bosco. Ne sapeva tanto perché l’aveva curata e addestrata proprio nell’ultimo mese di scuola, con lei presente.
 
“Osserva Piggie, vedi il piumaggio marrone a chiazze bianche? Ne ha tante, quindi è un esemplare giovane.”
Era incredibile come il rapace e Dominique avessero instaurato una connessione così completa nel giro di una settimana neppure. L’aquila era stata diffidente i primi giorni, riducendo le mani dell’altra ad una confusione di tagli e beccate, ma questa non si era mai arresa, continuando a parlarle come se fosse in grado di capirla. E alla fine l’aveva capita davvero, perlomeno le sue buone intenzioni. L’animale l’aveva infatti ricompensata con una fiducia sconfinata, a vedere come prendeva cibo dalle sue mani e la seguiva ovunque nel bosco.

“Come si chiama?”
“È un aquila anatraia maggiore, o clanga!”
“Che nome orribile… Scegliene un altro!”
Una risata. “Guarda che è il nome scientifico, come viene catalogata dagli esperti.”

“Sì, ma dalle un nome poverina!”
“Ce l’ha, l’ho chiamata Vianne. Ti piace?”
“Meglio di Clanga…”
Un’altra risata.


Non aveva mai capito perché la sua reazione al nome le avesse scatenato un’ilarità ancora maggiore.

Chi capisce quella sciroccata si merita un Ordine di Merlino Prima Classe.
L’aquila, raggiunto il suo scopo, spiccò immediatamente il volo. Violet lesse.
 
Piggie, all’entrata del bosco, vicino al cancello della tua proprietà.
Sono qui.
 
Ingoiò un’esclamazione, guardandosi allo specchio. I capelli le stavano bene e così il leggero vestito azzurro che indossava, uno dei suoi preferiti.
Certo che per arrancare nel bosco…   
Diede un’occhiata alla pendola del camino. Aveva ancora una manciata di ore prima che venisse servita la cena. Si cambiò quindi rapidamente con il vestito bianco che usava per far giardinaggio. Nessuno avrebbe notato uno strappo o qualche macchia d’erba.
(Arrossì, pensando a come se la sarebbe fatta di lì a poco)
Percorse la strada più breve, costeggiando il bosco con il cuore che le risuonava come una grancassa da concerto. Vide l’aquila volteggiare e capì che le stava indicando la direzione.
Mica sono stupida, questa è casa mia, so dove andare!
La seguì comunque e si infilò trai molti Cedri del Libano che avviluppava l’entrata rendendola quasi invisibile persino ad occhio magico.
Dominique era lì. La vide immediatamente, perché dove era lei l’aria si faceva stranamente più densa, quasi concentrata. Doveva essere un atavismo Veela di cui quella sciroccata non si rendeva conto.
Ma io sì.
La ragazza offrì il braccio al rapace, coperto da una polsiera di cuoio, e quello vi si posò con uno stridio venendo ricompensato da un bocconcino che trangugiò soddisfatto.
Dominique Weasley.
Vestita come se dovesse rotolarsi nel fango – jeans babbani tutti strappati e una vecchia maglietta di cui non si leggevano più le scritte. Intravedeva due nuovi piercing al viso dall’ultima volta che si erano viste. Dal colore brillante sulla pelle del collo era chiaro avesse aggiunto i tatuaggi alla sua collezione di stranezze.
L’unica cosa salvata dalla furia sciattona erano i capelli; dovevano esser passati per le mani di un MagiParrucchiere perché avevano una parvenza d’ordine, lunghi sul davanti e rasati sulle tempie.
Completamente fuori dalle righe come al solito…
Quest’ultima parve accorgersi della sua presenza perché squadernò il suo comprovato sorriso strafottente. “Ehilà Piggie!” Aveva il viso bruciato da sole e lentiggini ovunque.
Le stanno bene…
Violet si sentì la bocca secca, ma non si lasciò scoraggiare dalla momentanea afasia. “Ti ho detto centinaia di volte di non chiamarmi così. Imparerai mai?” Chiese nel suo tono più glaciale.
L’altra ridacchiò. “No, non credo. Mi piace troppo la faccia che fai!” Ribatté senza scomporsi. “Ripeto. Ciao Piggie, come stai?”
Violet sospirò sentendo che aveva già voglia di affatturarla. Era sempre così con Dominique; il suo stato d’animo oscillava tra l’irritazione, l’ammirazione e l’inevitabile attrazione. “Impegnata.” Scrollò le spalle incrociando le braccia al petto. “Al momento, molto impegnata. Mia madre si sta per sposare.”
“Ho sentito.” La sorprese. Diede un bacio sul becco dell’aquila e la lasciò volare via, slegandosi la polsiera e mettendola poi nel tascapane che aveva a tracolla. Aveva scordato come ogni movimento di quella matta esprimesse sicurezza. Aveva scordato quanto lo trovasse affascinante.

“Come hai saputo …”
“Del matrimonio di tua madre?” Scrollò le spalle. “Ne parlavano V e la mia quando sono uscita.” Intendeva sua sorella e sua madre. Violet percepì una punta di fastidio, ma lasciò correre.

“Come sei arrivata qui?”
“Con Arod.” Vedendo che non ricordava, sbuffò. “Il mio Granian³, un cavallo alato? Ma tranquilla, è fuori dalla proprietà  con un incantesimo di Disillusione. Mi ritirerebbero la patente⁴ se non lo usassi.”
“Quando sei tornata?” Era quello che voleva sapere.
Da quanto sei qui e non sei venuta a trovarmi?
Dominique sbadigliò, stiracchiandosi. “Sono tornata in treno stamattina. Detesto le Passaporte Continentali.” Fece una smorfia significativa prima di scivolare lungo il tronco del cedro a cui l’aveva trovata appoggiata. Nascose un secondo sbadiglio dentro una mano. Apprezzò lo sforzo anche se vi si sganasciò dietro.
Selvaggia …
Aveva una voglia incredibile di baciarla, ma si astenne. Del resto Dominique non aveva fatto un solo passo verso di lei.
Magari è qui per dirmi che non le interesso più.
La sua annosa e stupida insicurezza veniva fuori nei momenti meno opportuni. Naturalmente aveva imparato a reprimerla dietro la favolosa facciata della stronza, ma spesso non funzionava. Curiosamente in concomitanza con la presenza della testa platinata di fronte a lei.
Mi sei mancata dannazione. Ma a te non importa niente, non è vero?
“Beh?” La riscosse di colpo quest’ultima. “Mi hai mandato un Gufo.” Le spiegò alla sua espressione sorpresa. “Parlava di una promessa…”
“Che tu non ricordi.” Ritorse aspra. “Non che me lo aspettassi.”

“Non ho detto che non me la ricordo.” Si grattò la nuca con un mezzo sorriso. “Sono qui, no? Sono venuta a trovarti. Come promesso.”
“È Agosto.”
“Non ho specificato quando!”
Morgana, se la detestava. E la voleva baciare. L’aveva già detto?

Non potendola battere a parole – La Weasley era l’unica persona a disarmarla verbalmente – fece retrofront, in direzione della sua casa, della sua stanza, del suo cuscino e di una crisi di pianto frustrato.
Dominique si alzò fluida come un gatto e l’afferrò per il polso. “Eh, no!” Inarcò le sopracciglia con un sorriso divertito. “Mi fai venire qui con ventiquattro ore di treno all’attivo e poi te ne vai?”
“Non ti ho chiesto io di venire!” Cercò di divincolarsi ma, come al solito, la presa dell’altra era salda come un maglio d’acciaio, anche se non altrettanto dolorosa. “Per quanto mi riguarda potevi restartene a casa!”
“Non si dicono le bugie, Piggie…” Se ne stava lì e la guardava come se fosse la cosa più buffa del mondo. Aveva voglia di affatturarla malamente, ma finì per afferrarla per quell’orrore di maglietta e tirarla giù – era assurdo che una ragazza fosse così alta! – per un bacio goffo, a bocca chiusa. La sentì ridacchiare persino nel bacio, prima di ricambiare. A dovere.

Era ora, stupida bifolca!
Riusciva ad insultare anche quando era nel bel mezzo di un momento di tenerezza. Sì, perché per quanto Dominique sembrasse il genere di persona che quando si muoveva lo faceva solo con il rischio di travolgere qualcosa, quando baciava lei sembrava farci attenzione.
Era un’idea stupida, ma la sensazione era quella. E la faceva sentire bene. Speciale.
Poi, perché ovviamente doveva rompere l’incanto del momento, la suddetta le sbadigliò in faccia.
“Metti una mano davanti alla bocca!”
“Ho sonno.” Fu la placida replica. “Non so bene cosa sia il jet-lag, ma credo di averlo.”
Neanche lei lo sapeva, ma ad una seconda occhiata notò grosse occhiaie sul viso dell’altra. “Non hai dormito nella cuccetta?” Spiò.

“Diciamo che non mi andava di chiedere soldi ai miei per un biglietto trans-continentale. Costano un sacco.”  
“Ma hai viaggiato in treno o no?”
“Sopra c’ero.”

Violet intuì dove l’altra voleva andar a parare con tutta quella evasività. “In che diavolo di modo hai viaggiato?”
“Mi sono nascosta nel vagone merci.” Fu la serenissima ammissione. “Ho incontrato dei ragazzi ungheresi a Bucarest che mi han detto che volevano arrivare fino alla Spagna così e mi sono accodata, anche se poi son scesa prima. Non è stato male, ho dormito in posti peggiori.” Si sedette di nuovo come se trovasse la terra il più comodo dei materassi. Dal suo punto di vista forse era così. “Stamattina mi è toccato spiegare tutto ai miei però. Sai che divertimento, c’era pure Vicky…” Borbottò. “ Uno pensa di far loro un favore a non spender galeoni…”
“Forse non volevano violassi la legge. Forse.” Ipotizzò sentendo uno strano moto di contentezza animarla dentro. Aveva avuto una giornata stancante eppure aveva trovato il tempo per lei. Le aveva mandato un Gufo e lei era venuta.

Sono una persona orribile a pensarlo?
“Non sono una tipa da fronzoli, Piggie.”
“Se per fronzoli intendi un materasso credo che tu abbia dei problemi. Il che non è poi una novità.” La vide ridacchiare e sorrise anche lei, di rimando. “Forse dovresti prendere una pozione. Per la tua schiena. Dovrei avere qualcosa…” Non si era accorta fosse tanto provata dal viaggio a prima vista.

Forse perché eri presa a prendertela con lei?
Il senso di colpa – Morgana, se odiava quella sensazione – le strisciò addosso. A diciassette anni sapeva accorgersi quando le sue azioni potevano esser definite capricci. Che poi decidesse di glissare era un altro paio di maniche.
“Niente pozione.” Scosse la testa l’altra. “Mi basta una dormita come si deve.” Si stese tra le radici del cedro. “Se non ti spiace, approfitto della bella ombra del tuo giardino.” Non era una richiesta, era una constatazione. Violet avrebbe dovuto irritarsi, perché che visita era, se poi dormiva?
Ma è qui, no?
Sospirò, sedendosi accanto a lei e controllando che fosse in un un posto che non le avrebbe lasciato macchie sulla veste. “Per cuscino intendi utilizzare una radice, Donna delle Foreste?”
Dominique socchiuse gli occhi. “Se hai idee migliori…”

Violet arrossì; aveva già avuto un’esperienza che, per quanto fosse stata fallimentare dal lato emotivo, le aveva insegnato come rapportarsi con un’altra ragazza. Ma Dominique era diversa da Louise. Da qualsiasi altro essere umano, a dirla tutta. A volte era capace di esser beffarda fino a ferire, altre volte le mostrava una dolcezza insospettabile, ma spontanea, come prenderla per mano al ritorno dalla radura degli unicorni o strofinare il viso contro la curva del suo collo. Era quell’imprevedibilità nel suo comportamento a metterla sempre sulla difensiva; non sapeva mai cosa aspettarsi.
Tuttavia al momento sembrava innocua. La prese quindi per una spalla e la fece distendere cosicché la sua testa le riposasse in grembo. Finse di non notare l’occhiata sorpresa dell’altra.
“Penso di essere più comoda di una radice di legno.” Replicò guardando ovunque tranne che nella sua direzione.
“Sei morbida.” Fu la simpaticissima replica. Avrebbe voluto tirarle i capelli o perlomeno un pizzicotto, ma lasciò perdere.
Non si è fatta neppure un’ora di sonno nel letto di casa sua per venire da te.  
Sii carina per una volta. Forse se lo merita.
“Non intendevo dire che sei grassa, solo che mi piace questa posizione. Non fare quella faccia arrabbiata!”
Violet inspirò racimolando la poca pazienza di cui i suoi geni l’avevano dotata. “Grazie per averlo specificato.” Sbuffò facendola ridacchiare. Sentì poi la mano dell’altra sulla sua guancia.
Non. Arrossire.
“Hai i capelli sciolti. Finalmente, poveretti. Tenuta estiva?”
La mano era ruvida sui polpastrelli ed era piuttosto certa, anche se non aveva quell’angolo di visuale, che le unghie fossero rovinate e mangiucchiate.
L’unica debolezza di Dominique Weasley. Si mangia le unghie.
“Hai la mano di un coltivatore di patate.” Sentì mancare un battito – avvisaglia di infarto? – quando la mano scivolò lungo il profilo del viso e poi lungo la curva del collo. Dominique era una tipa fisica. Per lei il contatto umano era più o meno equivalente ad una lunga conversazione a cuore aperto. Durante l’unico mese che era stato loro concesso prima delle vacanze si era ritrovata l’altra continuamente nel suo spazio vitale con il risultato di avere foglie nei capelli e un po’ ovunque alla fine di ogni loro incontro.
Le aveva dato meno fastidio di quanto pensasse. Meno che niente, in effetti.

“Lavora per due mesi con i draghi e poi dimmi se hai manine da principessa… O se hai ancora le mani, se è per questo.”   
Violet le prese la mano, intrecciandola alla sua. Da quella posizione intravedeva, sotto il cotone liso della maglietta che il tatuaggio si estendeva fino a metà avambraccio. “Carino … cos’è, uno di quegli orrendi lucertoloni?”
“Trai vari.” Sogghignò ad occhi chiusi. “È una specie di rito di passaggio farsi tatuare qualcosa, alla riserva. Per chi ci lavora, si intende … a me l’han fatto perché sono diventata maggiorenne. E perché tanto finirò a lavorar là comunque.” Si scostò la maglietta per fargli vedere il resto della fantasia. C’erano dei fiori, dei draghi e altri simboli che Violet ignorava ma dovevano far parte del Segreto Codice dei Pazzi Guardiani di Draghi. “Forte, eh? Due settimane per farmelo!”
“Stupefacente.” Ironizzò senza che l’altra si scomponesse di una virgola. Il suo sarcasmo doveva esser una reazione positiva in confronto a quella che dovevano aver avuto le donne della sua famiglia.
Ce la vedo Madame Weasley a trillare deliziata di fronte a tanto orrore. Permanente poi.
“È opera di un tipo turco che prima di diventare un Guardiano era un MagiTatuatore. I soggetti però li ho scelti io.” Era contenta come una bambina e Violet si trovò nella stramba posizione di non poter dire niente per smontare quell’entusiasmo genuino.
Sospirò ad ogni buon conto. “Madame Maxime te li farà Disilludere, lo sai?”
“Che ci provi.” Fu l’ovvia replica. Sbadigliò di nuovo. “Sono distrutta. Quanto posso rimanere così? Perché mi piace.”
Quell’ammissione, così poco da lei, era indubbiamente una confessione. Violet sorrise, passandole le dita nei capelli sottilissimi e chiari. Con vergogna, si accorse che avrebbe potuto toccarglieli per ore.
“Non ho piani fino all’ora di cena.”
Dominique fece un sospiro contento. Era così naturale nelle sue esternazioni che Violet la invidiava. Da quando era nata aveva sempre dovuto star bene attenta a cosa comunicare, come e quanto. L’altra evidentemente non doveva mai aver avuto quel problema.
O non se l’è proprio posto.
“A proposito di piani. Tra un paio di giorni è il compleanno di mia sorella, m’ero scordata di dirtelo…” Spalancò di colpo gli occhi e la guardò quel suo strano modo disagiante. “Sei invitata.”
Aveva detto forse qualcosa sulla sua dannata imprevedibilità?
 
 
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15 Agosto 2023
Francia, Bocche del Rodano²  
Villa Delacour
 
Dominique pensava fosse del tutto normale invitare qualcuno al compleanno di sua sorella.
Per intendersi, quando gliel’aveva chiesto, l’altra aveva replicato che non c’erano problemi anche se l’aveva detto un po’ perplessa.
In ogni caso, ai compleanni di sua sorella c’era talmente tanta gente che una persona in più, o una in meno era percepita più o meno come la rotazione terrestre.
Non percepibile, appunto.
Non aveva pensato granché alle motivazioni per cui, di punto in bianco, aveva voluto che Violet venisse. Mentre riposava con la testa sulle sue ginocchia aveva pensato che di sicuro sarebbe stato difficile vederla un’altra volta prima dell’inizio della scuola.
Quella stronza di sua madre la tiene reclusa in casa da quando non ha più Allard che la accompagna in giro, a sentire Mael.
“Dom!” Si sentì chiamare dal piano di sotto. Era proprio Mael, uno dei primi ad arrivare a quel genere di feste e uno degli ultimi ad andarsene. Non ricordava il nome del ragazzo con cui si stava frequentando al momento. Basile? Bastien?
Bah, tanto lo cambierà prima della fine dell’estate.
Si affacciò dalla bocca delle scale. Se poteva evitare di mischiarsi alla folla colorata e completamente scema degli amici di sua sorella fino all’ultimo era meglio. “Che c’è?”
“È arrivata la Parkinson-Goyle.” Le fece cenno dietro di sé. “Vienitela a prendere prima che cominci a far la stronza.”
Dominique sbuffò; era consapevole del fatto che l’altra si comportasse in modo abbastanza orrendo con l’intero creato a parte le amiche e sua madre, della quale era terrorizzata. Quello che non riusciva a capire era come tutti potessero prendere le sue esternazioni come offese vere.

È un po’ come un gatto che soffia perché non ti conosce. Non è che lo fa perché ti voglia graffiare sul serio, la maggior parte delle volte lo fa perché non sa che fare.
Scese le scale a due a due e si trovò in un batter d’occhio all’ingresso. Violet era lì, con il leggero mantello estivo che portavano tutte le Purosangue a rischio di schiattar di caldo, e un vestito lungo fin sotto le ginocchia che, indosso a lei, si sarebbero disintegrato nel giro di un nanosecondo. Ma aveva i capelli sciolti. Dominique sorrise.
Sorrise e poi smise di farlo quando si accorse che Violet  non stava sorridendo a lei, ma a sua sorella che da brava festeggiata era andata ad accoglierla, ringraziandola per il regalo che già teneva tra le mani.
“Grazie mille Violet, non dovevi!”
“Figuriamoci, mi sembra il minimo visto l’invito…” Sorrideva. Piggie. Che mediamente di fronte alle altre ragazze aveva la smorfia di chi stava contemplando qualcosa di disgustoso.
Ha gusti difficili. Peccato che Vic rientri nei gusti di chiunque abbia un paio d’occhi.
Violet era, come molti prima di lei, totalmente rimbecillita dall’aria luminosa che sua sorella emanava dalla sua nobilissima ed elegantissima persona. Era talmente palese che se avesse avuto un cartello al collo con su scritto ‘Sto sbavando su Victoire Weasley’ sarebbe passata inosservata, a confronto.
“Ora che non sta più con quell’animale di Allard con chi sta?” Le chiese Mael. “Frequenta qualcuno?”
Forse non era così palese. Lo era per lei però, e provò il confuso desiderio di far Evanescere sua sorella.
Ugh.
“Piggie!” Esclamò facendola quasi sobbalzare, e inevitabilmente arrossire. Trovava adorabile il modo in cui diventava paonazza e gonfiava le guance quando era indignata. Come le aveva detto secoli prima, sembrava un buffo porcellino d’india. E quell’espressione la faceva solo con lei.
“Ah, eccoti qua!” Sbuffò Victoire alzando gli occhi al cielo. “Mostra alla tua amica dove posare il mantello invece di nasconderti in camera.”
“Non mi stavo nascondendo, mi stavo volutamente isolando dal tuo mondo scintillante.” Ribatté mentre Violet guardava dall’una all’altra. Sicuro si doveva chiedere come potessero esser sorelle, al di là dei colori simili. La afferrò per un polso. “Andiamo Piggie!”
Quella le scoccò un’occhiata che prometteva una morte lenta e dolorosa. Si frenò dall’insultarla e tirarle un calcio probabilmente solo perché in presenza di altre persone.
Tra cui la Perfetta Vic.
Quando furono in camera però smise di trattenersi – c’era riuscita un sacco visto il carattere che si ritrovava. Era ammirevole.
“Sei scema?!” Sbottò tirandole una spinta. “Che bisogno c’era di portarmi su come una specie di sacco di patate? È il compleanno di tua sorella, che ti salta in mente…”
Dominique aveva scoperto che poteva farla stare zitta semplicemente baciandola. Non che utilizzasse spesso quel metodo, per quanto soddisfacente fosse. In realtà la divertiva da matti sentirla borbottare come un vecchio calderone. Quasi sempre.
Violet soffocò un’esclamazione, ma ricambiò il bacio. Su quello si poteva star sicuri, a Piggie piaceva baciarla quanto piaceva a lei. Poi si staccò puntandole le mani sulle spalle.
Sembrava confusa, anche se meno infuriata. “Si può sapere che diavolo ti prende?”
Dominique non aveva ben chiaro lei stessa cosa le fosse preso. In effetti normalmente l’avrebbe lasciata in balia del suo imbarazzo nei confronti della sua famiglia prima di trarla in salvo.
Sarebbe stato divertente, ma…
“Volevo farti vedere camera mia!” Si risolse a dire stringendosi nelle spalle.
“E c’era bisogno di farlo come se ne andasse della tua vita?” Alzò gli occhi al cielo  guardandosi poi intorno. Dall’espressione era piuttosto chiaro cosa ne pensasse. “Carina…” Inarcò le sopracciglia. “C’è esploso dentro qualcosa?”
Dominique ridacchiò, sentendosi meglio. Il che era piuttosto bizzarro.
Il loro rapporto, a dirla tutta, lo era; era ormai venuta a patti con il fatto che la ragazza minuta e collerica che si trovava di fronte le piacesse. Violet era una ragazza intelligente, molto meno impostata sui Sacri Dettami Purosangue di quanto non mostrasse al mondo intero. Le piacevano i fiori e le cose carine, come i cuccioli di unicorno. Era morbida e sempre profumata, e le piaceva toccarla e baciarla anche se di sesso non ne avevano proprio parlato, dato che Violet si era rifiutata di ‘concedersi’ – parola da lei usata – in mezzo ad un bosco.
Nonostante tutti i suoi capricci le piaceva. Di controcanto, sapeva che dietro tutti gli insulti che le rivolgeva, Violet era affezionata a lei. O perlomeno attratta.   
Quello che sapeva di loro finiva lì e a dirla tutta, non che si fosse fatta tante domande in merito.
A scuola i pettegolezzi su di loro erano ovviamente scoppiati dopo che si era sparsa la notizia del suo salvataggio ai danni di Allard. Erano scoppiati, espansi e poi spariti, come capitava quando si sceglieva oculatamente di non alimentarli. Ormai neppure Mael trovava materiale per sparlar di loro, si limitava a guardarle con l’aria di chi la sapeva lunga.
Violet non voleva che facessero niente in pubblico e a lei stava bene. Non era tipa da vivere in simbiosi con un’altra persona e trovava un po’ idiote le coppie che sembravano vivere l’uno nella bocca dell’altro.
Però in realtà mi sa che sono io a non capirci niente, altro che Mael.
Aveva finito per parlarne con suo zio Charlie: aveva eletto quel parente tanto simile a lei a consigliere personale sin dalla veneranda età di tre anni, quando le aveva portato un libro illustrato sui draghi guadagnandosi il suo amore imperituro.
 
“A te piace questa ragazza Domi?”
“Sì, te l’ho detto. È … buffa. Non è come le altre, non è mai noiosa.”
“E tu piaci a lei. Ma non state assieme.”
“No, perché …”
“Perché?”

“Eh, boh. Che ne so. Il sogno di sua madre è vederla sposata ad un Bel Purosangue di razza con un mucchio di Galeoni in banca. Credo che non abbia tutta ‘sta voglia di deluderla, ecco.”
 
Suo zio lì per lì non le aveva detto niente e dopo aver riflettuto un paio di giorni – non era tipo da sparare la prima cosa che gli veniva in mente tanto per farsi grosso di fronte ai nipoti, lei specialmente – le aveva consigliato di farsi la seguente domanda e rispondersi da sola.
Cosa vuoi da Violet?
Cosa voleva. Piggie le piaceva, si divertiva con lei. Victoire due anni prima le aveva detto nero su bianco di lasciarla perdere, ancor prima che il loro rapporto tramutasse in quello che avevano adesso. Ma non aveva senso. Si lasciava perdere qualcosa che non ti piaceva fare. Non qualcuno con cui ti piaceva stare.
“Dovremo scendere.” La riscosse l’altra, con le braccia incrociate al petto. Aveva ancora le guance rosse e i capelli scompigliati dal bacio. La fermò con una mano quando tentò di avvicinarsi di nuovo. “Dico sul serio, Nicky!” Se la chiamava in quel modo le passava la voglia di non darle retta. Curioso. “Sono venuta alla festa di tua sorella … non posso sparire per tutto il tempo!”
“Perché no? Io lo faccio sempre! Non è che mia sorella si strappi i capelli o che … È letteralmente assalita dalla gente che la festeggia, non se ne accorgerà neanche!”
“Non è questo il punto, non è così che si comporta un’ospite!” Ritorse spazientita. “Non puoi invitarmi alla festa e farmi stare nella tua stanza. Le persone potrebbero parlare … e ce ne sono decisamente di pericolose, a quanto ho potuto vedere.”

A me però non frega niente di queste pericolosissime persone.
Si sentiva innervosita, e questo non le piaceva. Forse era ancora il jet-lag o roba simile. Di sicuro. Doveva dormire di più, in quei giorni tra il sistemarsi, recuperare familiarità con Arod e star dietro al bisogno di Louis di averla di nuovo accanto aveva tralasciato di frequentare il suo letto. Fece una smorfia. “Come ti pare. Se vuoi andare, vai.”
“Come vai?” Sgranò gli occhi. “Tu non vieni?”
“Non mi piacciono gli amici di V … e ora che lei e Teddy si sono mollati stare con loro è ancora più palloso.” Si strinse nelle spalle e si buttò sul letto sfatto. Doveva dargli una sistemata da mesi, secondo sua madre. “Vai pure, io resto qui.”
Violet sembrava aver la faccia di una che aveva una fattura sulla punta della bacchetta. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma subito la richiuse. “Sei impossibile!” Gridò prima di lasciare la stanza e sbattersi la porta dietro.
Dominique sospirò.
Che casino che fa … Volevo solo passare un po’ di tempo con lei.
Si accorse in quel momento che era quello il motivo per cui aveva invitato Violet, non ce n’erano altri.  
Si ficcò il cuscino sotto la nuca e si impose di dormire, visto che quel jet-lag proprio non voleva saperne di passare. Del resto, si sentiva di cattivo umore come non mai.
 
 
****
 
Violet aveva voglia di dar fuoco all’intera proprietà degli Weasley-Delacour.
Sì, perché si sentiva profondamente a disagio e un falò le avrebbe proprio calmato i nervi.
A parte gli scherzi, a disagio si sentiva sul serio; dalla festeggiata era stata fornita di cocktail con ombrellino che lanciava piccole scintille magiche, ma il loro rapporto si era interrotto lì dato che Victoire era stata in seguito trascinata via dalla moltitudine di invitati che rideva, parlava, ballava e genericamente sembrava spassarsela un mondo.
Non conosceva nessuna di quelle persone, per quanto alcune le avesse incrociate per anni in Costa Azzurra, dove aveva trascorso le vacanze durante il suo fidanzamento con Allard. Ma era il genere di gente che non andava a genio a sua madre – nuovi ricchi o parvenu, come amava chiamarli. Vide tra di loro anche star del Quidditch e attori di teatro.
Gentaglia, tesoro, gentaglia…
A Violet in realtà sembravano tutto fuorché quello; gli amici della sorella di Dominique sembravano semplicemente persone capaci di godersi la vita senza farsi troppo fisime.
Sicuramente non sono Purosangue.
Si sentì dare un colpetto sul fianco e si voltò pronta ad incenerire il villano che aveva osato toccarla in un punto così poco decoroso.
Si trovò di fronte il sorriso bianchissimo del fratellino di Dominique, Louis. Aveva persino più lentiggini della sorella e i capelli rossi come se fossero stati infilati nella lava. L’espressione beffarda però era tutta di Dominique, anche se declinata in una monelleria che dovevano avergli detto fosse irresistibile a giudicare dalla sicurezza con cui la ostentava.  
“Ciao Violet!” Esclamò dandole del tu come se si parlassero da anni. “Come mai stai da sola?” La domanda esprimeva tutta l’ingenuità dei suoi dodici anni e non se la sentì di esser sarcastica.
“Non conosco nessuno.” Fece spallucce come se non ci fosse una moltitudine di gente attorno a lei a cui si poteva presentare tranquillamente.
“Dov’è Domi?” Nervo scoperto. Violet serrò le labbra e il ragazzino, stranamente, parve capire l’antifona. “Ah, ti ha lasciata sola, eh? Ma non te la prendere, a volte fa così, le feste di Vicky non le piacciono.” Dal nulla tirò fuori una singolare aria da uomo di mondo. “Ti faccio compagnia io, bellezza!”
Bellezza?

Violet non poté fare a meno di mettersi a ridere. Non con cattiveria però, perché chiunque avesse detto a quel nanetto che aveva un faccino irresistibile aveva avuto ragione in pieno.
Registrò il fatto che, come Dominique, non sembrava particolarmente turbato dalla sua ilarità. Quegli Weasley avevano una faccia di bronzo invidiabile.
“Ti rivolgi così a tutte le amiche di tua sorella?” 
“Nah, solo a quelle carine!” Ghignò con aria saputa. “Tu sei la più carina, lo dice anche lei!”
Violet arrossì a quel complimento indiretto, anche se non riusciva ad immaginare Dominique che le faceva un apprezzamento del genere, nemmeno sotto i fumi del Veritaserum.

“E che altro dice di me?”
Louis si strinse le spalle, ficcandosi in bocca una tartina appellata dal vassoio di un cameriere vicino. “Non tanto, non è che sia una chiacchierona, se non si tratta di parlare di qualche bestia strana.” La guardò da sotto in su. “Ti va di essere la mia dama stasera? Io sono bello, tu sei bella. Saremo una coppia perfetta!”
Però, a sfacciataggine è un campione.
Violet non si sentiva particolarmente irritata però. La verità era che star sola ad una festa di estranei era una delle cose più mortificanti al mondo, e persino quel ragazzino impertinente poteva trasformarsi in un’ancora di salvezza.
E poi pare che Dominique con lui parli.
Gli sorrise prendendogli la mano che gli porgeva fiducioso. O sicuro di sé. Con gli Weasley-Delacour il confine era molto sottile, l’aveva imparato per esperienza. “Con molto piacere.”
 
Parlare con Louis, un dodicenne che si credeva un piccolo dio sceso in terra, era stato più divertente del previsto. Il piccoletto era un intrattenitore nato, ed esser nato con due sorelle doveva averlo temprato agli atteggiamenti femminili. Violet si era lasciata rifornire di tartine e cocktail e aveva ascoltato il suo fiume di chiacchiere, metà in francese e metà in un inglese del tutto approssimativo.
“Sei sicura che non vuoi essere la mia ragazza?” La apostrofò per forse la decima volta. “Ti tratterei bene!”
“Ne sono certa.” Bevve un sorso dal suo Melatini. Era un cocktail babbano – cos’altro poteva esser servito ad una festa a maggioranza Mezzosangue? – ma anche maledettamente delizioso. “Hai dodici anni.”
“Ma crescerò!” Fu la rapida risposta, mentre si dondolava sulla staccionata a cui era appoggiati i tavoli di cibarie. “Se è l’età un problema puoi sempre aspettarmi!”

“E non crescere?”
“Aspettare che cresca io!” Fece un sorriso furbo. “Sarò ancora meglio tra un paio d’anni!”
Violet ridacchiò. Tutti quei cocktail le avevano fatto un po’ girare la testa, ma essendo abituata a dover gestire i molti drink offerti alle serate in cui sua madre la trascinava riusciva comunque a mantenere un contegno decoroso.
Certo che non è proprio il massimo esser brilla e farti tener compagnia da un dodicenne ad una festa di sconosciuti a maggioranza Nati Babbani e Mezzosangue … Cosa penserebbe tua madre? Cosa penserebbero Jenny e le altre?
Fece una piccola smorfia, affogandola nel sapore dolce del suo calice.
È colpa di quella bifolca. Se fosse stata qui…
“Stai bene, Violet?” Le chiese il ragazzino con aria preoccupata. Non si era accorta di aver atteggiato il viso alla sua classica smorfia infastidita.
“Sì, certo.” Tentò un sorriso, vedendo Mael Delacour guardarla da lontano e parlottare a bassa voce con altri tipi.
Come se non mi accorgessi quando qualcuno sparla di me… Principianti.
“Vuoi Domi, vero?” Louis fece un lungo sospiro teatrale. “È ovvio che la mia dama non pensa a me!”
Violet presa da uno strano moto di tenerezza – non era mica di pietra come vociferano quelli come Mael! – gli arruffò i capelli fulvi. “Sono qui e non con altri ragazzi, no?”
Louis fece un gran sorriso. “Vero!” Guardò verso casa sua e, ad occhio e croce, verso la stanza della Bifolca. “Non so che le sia preso … Di solito poi scende, anche solo per far piacere a Vicky.” Borbottò.
Violet sorrise. “Ti piace tua sorella, eh?”
Louis annuì con entusiasmo genuino, dimostrando che dietro tutte quelle maniere da piccolo Casanova rimaneva un dodicenne come tanti. “Sì, è la migliore sorella del mondo!” Le assicurò. “Le voglio tanto bene!”
Violet pensò improvvisamente al bambino in arrivo a casa sua; sarebbe riuscito ad amarlo con la semplicità con cui i fratelli Weasley si volevano bene? Dubitava. Avrebbe voluto, ma le mancava il requisito principale per essere una buona sorella maggiore.

La mancanza di invidia? Che diciamocelo, Violet, è decisamente il tuo peccato capitale.
L’invidia era il motore ultimo di molto di ciò che provava. E non poteva dire di non provarla anche per quella famiglia perfetta.
Altro che la mia. Una vedova che sta sposarsi già incita e una figlia a cui piacciono le donne.
“Sarà ancora stanca per il viaggio, scenderà.” Lo consolò poco convinta mentre una fitta di ansia le contorse lo stomaco. Della Weasley si potevano dire molte cose, ma non che fosse viziata. Aveva un buon carattere. Eppure quel giorno si era comportata in modo scortese, brusco e sopratutto menefreghista.
Che diamine le è preso?
Non poteva mettersi a decifrare anche i malumori di Dominique, oltre quelli di sua madre. Era troppo.
“Non è il viaggio…” Scosse la testa il ragazzino. “Cioè forse, anche, ma secondo me è quell’altra cosa…”
Violet batté le palpebre. Che altro si era inventata quella testa platinata?

“Quale altra cosa?” 
Il ragazzino la guardò stupito, quasi non si aspettasse di vederla completamente ignara.
Non le piacque. Affatto.
“Beh, ma che Domi si candida al Torneo Tremaghi quest’anno, no?”
 
 
La porta della sua camera si aprì di schianto. Dominique, immersa nel dormiveglia, scattò a sedere sul materasso pronta a qualsiasi evenienza, da sua sorella pronta a trascinarla per i capelli alla festa alla fine del mondo.
Che è più o meno la stessa cosa.
Certo non si sarebbe immaginata di trovarsi di fronte Violet che la guardava come se volesse darle fuoco con un Incendio. Ed era diversa dalle solite occhiate che le lanciava. Stavolta sembrava infuriata sul serio.
E ora che ho fatto? Dormivo!
“Quando avevi intenzione di dirmelo?” Le sbraitò contro senza darle il tempo di emettere un suono, o tantomeno una domanda.
“Eh?” Le uscì poco intelligentemente. Ma non era colpa sua se l’altra parlava per enigmi. “Di che parli?”
“Sai benissimo di che sto parlando!”
“No?” Batté le palpebre confusa. Per lei le ragazze erano davvero uno strano mondo. Sapeva di appartenervi, naturalmente, e per alcuni versi preferiva di gran lunga il suo sesso a quel caos rumoroso e poco sveglio che era l’universo maschile. In alcune cose si sentiva irrimediabilmente donna. Ma il sottointeso – arte muliebre secondo sua sorella – le sfuggiva.

O forse era proprio Piggie che non capiva.
“Il Tremaghi!” Sbottò. “Il dannatissimo Tremaghi che è stato rimesso in piedi quest’anno! Quel Torneo con tre prove, tre maghi, tre scuole e il trecento per cento di possibilità di essere ammazzati!”
“Ah, quello.” Capì finalmente. Sospirò, perché a lei era sembrato talmente naturale pensare ad iscriversi che aveva deciso nel giro di una giornata.
Dopotutto mamma è stata una Campionessa.
Non aveva la certezza matematica che sarebbe stata scelta per concorrervi, di più. Era la migliore della sua scuola, i Galeoni in premio erano tanti e già sapeva come li avrebbe spesi.
I miei primi soldi, senza che peschi da cassaforte dei miei.
“Perché sei arrabbiata?” Si strinse nelle spalle. “Comincerà tutto a Ottobre, anche se le selezioni…”
“Dovevi dirmelo!” Ripeté come se fosse quello il punto focale dell’intera faccenda. Forse lo era. Anzi, a giudicare dall’espressione dell’altra lo era di sicuro. “Sono venuta a saperlo da tuo fratello!”

“Beh, bene.” Replicò cauta. Le sembrava di maneggiare un uovo di drago di fronte a Mamma Drago. Un passo falso e sarebbe stata divorata. “Senti, ma che te lo dicessi oggi o tra un mese, quando inizierà la scuola e sarà tutto più concreto, mi dici cosa cambia? Forse è meglio dopo, no?”
“Dovevo essere la prima a saperlo!”
“Perché?”
Violet alla sua domanda ammutolì di colpo, boccheggiando. Chiaro come il sole che non sapesse quale Snaso avesse l’oro⁵. Aveva però anche un’aria ferita, da come si mordeva il labbro e si fissava le scarpe.
“Perché … perché … beh, pensavo ci tenessi a me!” Si risolse a dire con tono rabbioso.
Dominique sapeva di dover fare qualcosa di fisico, che le riusciva meglio esprimersi in quel modo che mettersi a fare lunghi discorsi sentimentali. Complice però l’irritazione che continuava a sobbollirle dentro come un brutto, brutto magma, non si mosse dal letto.
“Ci tengo a te.” Disse invece. “Ma non capisco questo cosa c’entri nel dirlo prima a te o qualcun altro. Ne ho parlato alla mia famiglia solo perché volevo evitare che a mia madre o a Vì prendesse un infarto … e poi volevo il loro appoggio.”
“E non vuoi il mio?”

Cosa vuoi da Violet?
La voce di suo zio Charlie le si conficcò nelle sinapsi, pacata e piena di una verità che non riusciva ad afferrare. Dominique si sentì improvvisamente sopraffatta, ed era la prima volta che provava quella sensazione di soffocamento. Non le piaceva.
Non capiva cosa avesse voluto intendere suo zio, non capiva le occhiate preoccupate di sua sorella né quando Mael le chiedeva ansioso se fosse proprio sicura di voler avere a che fare con la Parkinson-Goyle, quella stronza.
Per finire, non capiva Violet. Voleva i suoi baci, le sue carezze, ma poi, uscite dalla radura degli unicorni o dalla sicurezza di un posto con nessuno attorno, la respingeva. Voleva delle cose da lei, ma poi non sapeva spiegarle perché le volesse.
Che diavolo.
Era tutto troppo stancante, e rimpiangeva quando la cosa più complicata a cui doveva pensare erano i compiti Aritmazia.  
Tuttavia c’era una parte di sé che non voleva che Violet avesse quell’espressione ferita. Quando stava con lei sentiva che doveva proteggerla. Da cosa non ne aveva idea ora che Allard era solo un brutto ricordo, ma quella sensazione era lì e non se n’era più andata.
Manco adesso.
“Se vuoi darmi il tuo appoggio…” Tentò. “… non è che mi spiace, ecco.”
Non era la risposta giusta, lo capì subito da come l’altra fece una smorfia.

“Così non va.” Disse a bassa voce. “Dominique, non … non funziona.”
Cosa?

Batté le palpebre senza sapere cosa rispondere. Forse sua sorella l’avrebbe saputo, forse Mael. Lei proprio no.
“Te ne vai per più di due mesi, non mi mandi neanche una lettera e poi … non mi fai sapere niente delle tue decisioni! Questa è una cosa importante, un torneo interscolastico, fuori dalla Francia! Starai via tutto l’anno se verrai messa nella delegazione dei Campioni, lo sai?” Stinse la stoffa di quel bel vestito tra le dita, spiegazzandolo. Non pareva le importasse. “Non funziona.” Ripeté.
“Ma cosa?”
Noi due!” Sbottò di colpo. Ispirò bruscamente e le vide qualcosa tremare e luccicare sulle sue lunghe ciglia nere. Non le piaceva vederla piangere, la faceva sentire un’idiota incapace. Il che era semplicemente intollerabile dal suo punto di vista.

“Siamo noi due che non funzioniamo… Non riusciamo a stare dieci minuti senza litigare, siamo troppo diverse. E poi, anche volendo, non…”
A me piace litigare con te.

Però forse quella non era cosa da dire. Processò l’ultima frase, e ricordò cosa avesse detto a suo zio Charlie. “E poi non potremo stare assieme sul serio?” Le suggerì. “Questo non dipende da me o dalla mia famiglia. Ma dalla tua.” Ritorse e percepì una vaga nota soddisfatta nella sua voce. Tutte quelle sensazioni la facevano sentire come se qualcuno la stesse scrollando tenendola per i piedi.
Rimpiangeva la solitudine dei Carpazi. Lì non c’era niente che la facesse sentire così incasinata dentro.
Negli occhi di Violet passò un lampo cupo. “Grazie per avermelo ricordato.”
“Non c’è di che.” Replicò. “Allora, beh. Se non funzioniamo pazienza. Ci vediamo a scuola.”

Stavolta l’altra impallidì talmente tanto che credeva sarebbe svenuta. Di nuovo quella fitta di dispiacere e desiderio di mettere le cose apposto.
A posto cosa, poi?
Violet le voltò le spalle e corse via, senza neanche premurarsi di chiudere la porta. Sentì poi lo schiocco di una Smaterializzazione al piano inferiore. Se n’era andata.
Quindi è così che si mollano le persone …  
Dopo un tempo che le parve piuttosto lungo, tanto che il sole era tramontato dietro le colline, vide sua sorella stagliarsi contro lo stipite della porta.
“Dov’è la tua amica?” Le chiese. La guardò bene in viso e dovette notare qualcosa perché se la trovò immediatamente seduta sul ciglio del letto. “Cos’è successo?” Le chiese con singolare tono d’urgenza nella voce.
“Abbiamo deciso che non andava.” Riassunse, dato che non era mai stata brava nei racconti.
Dovette bastare perché Victoire si morse le labbra. “Ma stavate assieme allora?”
“No.” Era la verità, ma non le piaceva dirla, il che era bizzarro perché la verità non le aveva mai fatto niente di male. Fino a quel momento.
Sua sorella si sporse per toccarle il braccio. Lo ritrasse. “Ne vuoi parlare?”
“No.”
V non era una stupida. Quando era ad Hogwarts era stata smistata a Corvonero, la casa dei cervelloni per eccellenza. Era una tipa dritta, dietro tutte quelle moine e sfarfallii di ciglia.  Ma soprattutto, sapeva quando starsene zitta. Si chinò per darle un bacio sulla tempia, come ormai nemmeno la loro comune madre si azzardava a fare. Trovò quindi giusto punirla buttandola quasi a terra per abbracciarle la vita e seppellirci il viso: la seta del suo vestito all’ultima moda profumava del suo costosissimo profumo da cento galeoni a goccia, ma di fondo c’era l’odore di sua sorella, familiare e quindi tranquillizzante. Victoire non protestò.
“Domi…” Sospirò invece accarezzandole le spalle. Non si abbracciavano da quando erano bambine, ma Dominique scoprì che non era cambiato niente. “ … Andrà meglio, te lo prometto. Fidati, che di relazioni fallimentari ne so più io che tu con i tuoi lucertoloni.”
“Questo proprio no, sorella. Mi sento insultata.”
“Ad ognuno il suo campo, sorellina. Sta’ zitta e fatti consolare.”
Dominique stavolta non trovò nulla da ribattere.

 
 
****
 
 
Note:

No, ma si comincia bene! :D
A parte gli scherzi, abbiate fiducia, siamo solo all’inizio, e chi ha letto Ab Umbra Lumen sa come va’ a finire quindi … Godetevi il viaggio! Il favoloso banner, mi preme dirlo, è stato realizzato dalla favolosa Daphne Kerouac, la stessa che ha curato il banner della mia pagina autore. Grazie girl!

Qualche precisazione: questa storia può essere letta solo come seguito di Dom is not a boy’s name che fa parte a sua volte della Doppelgaenger’s Saga, nome altisonante per designare la mia grave forma di grafomania.
Per la canzone qui.

 
1. Alta Normandia: regione della Francia settentrionale. Il suo capoluogo è Rouen, altra città importanti sono Le Havre e Evreux. Le coste a Nord sono bagnate dal Canale della Manica.
Ho pensato che molto probabilmente i Goyle, se hanno mai avuto proprietà in Francia, le abbiano avute quanto più possibile vicino all’amata Inghilterra. E alla stessa Madame Pansy non sarà dispiaciuto vedere le coste di Albione dalle finestre di camera sua. ;)  
2. Bocche del Rodano: dipartimento (in italiano sarebbe provincia) della regione Provenza-Alpi-Costa Azzurra. Tecnicamente la Provenza a cui si riferiscono spesso Teddy e gli altri non esiste più, in quanto ai nostri giorni la Francia è divisa (dai babbani!) in tutt’altro modo. Come ben si sa, i maghi rimangono sempre un po’ indietro rispetto ai cambiamenti geo-politici dei babbani.
Per maggiori informazioni sulle mie pippe mentali in merito qui una comoda mappina data da quella cosa meravigliosa che è Google Maps. Ho abbozzato anche dove potrebbe essere Beaux Batons e la Riserva dei Draghi, ma non fateci troppo affidamento.
3. Granian (o Granio): razza di cavalli alati della stessa taglia dei loro cugini in uso trai babbani. L’unica differenza, a parte le ali, è la velocità che possono raggiungere in volo, molto elevata. Il colore del mantello è grigio, e Dom ne possiede un esemplare, maschio da quando ha dodici anni.
4. Patente: si riferisce alla Patente che deve essere richiesta per la detenzione del suddetto all’Ufficio Creature Magiche del Ministero di riferimento, in questo caso francese. La patente è necessaria per poter tenere varie razze di animali magici, dal Crup all’Ippogrifo e viene rilasciata dopo che il mago o la strega ha dimostrato di sapersene prendere cura e, soprattutto, di saperlo occultare agli occhi dei Babbani con un Incantesimo di Disillusione, da applicare quotidianamente.
Probabile che Dominique l’abbia ottenuta più tardi dei suoi dodici anni, e prima fosse affidato ai genitori. (Info su ‘Gli animali fantastici: dove trovarli’)
5. Non sapeva quale Snaso avesse l’oro: versione magica (da me inventata) di ‘non sapeva che pesci prendere’.
Questa invece è l’aquila che ha come famiglio. Questa particolare razza di aquile è famosa per essere adatta alla falconeria e per la sua fedeltà al padrone.
Per il nome del pennuto invece dovrete ancora aspettare, perché sì, ha un significato. ;)
(No, non c’entra niente l’omonima città.)
  
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