Anime & Manga > Puella Magi Madoka Magica
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Autore: Walpurgisnacht    05/08/2012    3 recensioni
Ometto dei riflettori? Ehi lavativo del menga, mi senti? Sì, dico a te. Tu, con la faccia da scemo.
Porta i tuoi affari su questa ragazzina coi capelli verdi non esistente nel canon di Madoka Mindfuck. Sbrigati.
Da leggersi una volta completata la visione de L'Orrore?, che altrimenti non si capisce una sega.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Homura Akemi, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
- Questa storia fa parte della serie 'Puellaception!'
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Dicono che, prima di morire, si veda la propria vita come un film. Le immagini che ti scorrono lente di fronte agli occhi, i rimpianti e gli errori, le cose che non potrai mai correggere e la gente che ti lasci dietro.
Puttanate. E so di cosa sto parlando, visto che sono agonizzante per terra.
Tutto quello che vedo è il mondo che diventa nero e rosso. Nero perché la mia vista va indebolendosi sempre più, rosso perché mi cade del sangue negli occhi dalla ferita sulla fronte.
Una zuffa. Sono finita dentro a una zuffa da strada con altre colleghe. Il motivo neanche lo ricordo, era una bagatella senza senso. Forse una parola di troppo o un rimarco poco piacevole, davvero non mi viene in mente. Al pretesto aggiungeteci sei tipe facilmente irritabili, caratterialmente molto simili alla sottoscritta, e il risultato è questo: un gruppo di ragazzotte che si pestano cercando di ammazzarsi per una futilità.
Questa non è Rikuzentakata, la mia città natale. Sono ormai sette anni che mi sono stabilita in maniera più o meno fissa a Mitakihara. Sin da quando ho conosciuto Akemi e le altre e ho, dopo tanto tempo, riassaporato il gusto della parola “compagna”. Era parecchio che mi sfuggiva dalle dita, un po’ per scelta e un po’ perché ero troppo pigra e volubile per aver voglia di tornare là. Brutte memorie affollano quei vicoli e, in questo stato mentale, avrei sofferto più del dovuto nel rivederli.
Loro sono qui. Hanno visto tutto. In realtà non m’importa, tanto sono solo cazzi miei se sto tirando le cuoia.
Mi sento sollevata per le ascelle e trascinata lontana dalla zona nevralgica.
“Stavolta ti hanno beccata, eh?” Non riconosco la voce.
“Homura, insensibile come al solito.” Ok, si vede proprio che sto crepando. Non riconosco neanche questa.
“Mami, non gliel’ho mica distrutta io la Gemma.”
“D’accordo, d’accordo. Harada, sei ancora fra noi?”
Eh... i miei muscoli cominciano ad intorpidirsi... e i pensieri si fanno più macchinosi e lenti... ben arrivata, Sorella. Vuoi un drink?
“No, direi che ci sta lasciando. Tomoe, forse è meglio che tu vada.”
“Eh? Perché dovrei?”
“Sai, per non fare il bis... Kyōko...”
“Oh. Ritiro l’appunto sulla tua insensibilità. È un pensiero gentile e in effetti, se posso, eviterei.”
“Mpf. Dai, ora vattene.”
“Grazie.”
Scalpiccio che si allontana.
“Ho-Homura...”
“Buona, buona. Non sforzarti. Sono i tuoi ultimi momenti. Non serve a nulla eccitarsi inutilmente.”
Mi prende... la mano...
“Mitsuko, mi spiace che sia finita così. Però posso dire che sono stata contenta di averti conosciuta. Durante la crisi con Kyubey il tuo aiuto è stato fondamentale e ho apprezzato davvero tanto il fatto che tu abbia cambiato idea e abbia deciso di essere dalla mia parte. Se c’era qualcuna di cui non ho mai dubitato la lealtà eri proprio tu. Ti devo ringraziare, dal profondo del cuore. Se vorrai ti seppelliremo qui. O preferisci tornare al tuo paese?”
Scuoto... la testa... ormai è questa... la mia casa...
Grazie... gran capo... le tue parole... mi hanno fatto... piacere...
Ehi, no... niente flashback... cazzo... odio dovermi... rimangiare quanto dico...

*


È una bella giornata oggi. La cosa è strana, di solito Rikuzentakata è funestata da piogge continue e interminabili che neanche ne Il Corvo.
Passeggio fischiettando. Sì, lo so, non mi si addice granché ma ogni tanto mi si potrà concedere una variazione sul tema, su. Cheppalle se sono sempre uguale a me stessa. E poi è il tempo sereno a mettermi di inusuale buon umore. Davvero, qua di solito sembra Basin City o qualche equivalente meno famoso. Tipo 4U City.
Al mio fianco, un poco più indietro, cammina Rika. Come al solito sta giocando con i suoi pupazzetti. Action figures si ostina a chiamarle, ma sono solo pupazzetti.
Mi volto a guardarla, incuriosita dai protagonisti. A questo giro fa fare capriole e salti mortali a due omoni pieni di muscoli, uno biondo e vestito di giallo quasi fosforescente e uno di blu bardato, con un cappello a dir poco particolare.
“Beccati questo, Dio! Star Platinum!”
“Sei ridicolo, Joestar! The World non si ferma per così poco!”
E li muove facendoli cozzare uno contro l’altro per imitare il gesto di prendersi a pugni. Talmente scarsi che non sono nemmeno snodabili. Puah.
Mi fermo all’improvviso e lei, immersa com’è nel suo passatempo, non se ne avvede e mi viene addosso.
STUMP.
Casca per terra e i bambolotti le sfuggono di mano.
“Mitsuko!” strepita come una bimba piccola, più piccola di quanto sia in realtà “Si può sapere cosa combini, eh? Perché ti sei piantata come un palo?”
Uuuuh, tu e la tua vocina stridula. Non mi mancavate.
“Volevo solo vedere se prestavi attenzione a dove metti i piedi. E noto che non era proprio il tuo caso, nossignora. Brava ragazza, così si che andrai lontano.”
“Ha parlato la regina delle teppiste coi capelli sgargianti. Te l’ha mai detto nessuno che con quella pettinatura risalti come uno zulù in mezzo a degli ainu?”
“Non fare la saccente con me, bamboccia. E poi ti sei mai vista allo specchio? Mi chiedo ancora con cosa ti sei colorata per avere quell’orribile tinta arancione. Sei peggio di un pugno direttamente nell’occhio.”
Si rialza, i suoi occhietti vispi attraversati da tuoni fulmini e saette. Oh sì, sei in vena oggi? È vero che mi sono svegliata col piede giusto, ma a una bella rissa non dico mai di no.
“Mitsuko Harada, sai bene che non abbiamo uno specchio perché non abbiamo un bagno perché non abbiamo una casa. Non sempre, almeno.”
“Era un modo di dire, cazzo. Ti devo davvero spiegare tutto, bimba ottusa?”
“Oh sì. Per esempio mi devi spiegare come pensi di evitarti la scarica di botte che ti sto per dare.”
“La dodicenne alza la crestina. Fai attenzione, non vorrei che così facendo superassi il metro e cinquanta.”
“Non mi serve essere alta per gonfiarti come una zampogna. E lo sai.”
“Rika, io ho sempre scherzato quando ci azzuffavamo. Se avessi fatto sul serio non saresti qui, adesso.”
“Balle. Pesti forte, è vero, ma non saresti in grado di farmi realmente del male”.
“Vogliamo provare?”
“Qui? In mezzo alla strada, di fronte a gente che ci guarda?”
“Certo. Non mi dirai che ti imbarazzi”.
“Io? Con il pubblico mi eccito”.
Benebenebenebenebenebenebenebenebenebene. Ci si mena.
“Trasformati.” mi dice mentre incrocia le braccia al petto. Cosa? Trasformarsi per una robetta del genere? Starai scherzando.
“No. Sei ammattita o cosa? Non possiamo sputtanarci in questa maniera. Va bene il parapiglia, ma da civili. O vuoi davvero mostrare al mondo che sei...” Prima di concludere la frase mi avvicino al suo orecchio: “... una Puella Magi?”
Fa altrettanto, alzandosi sulle punte, e sussurra: “Non m’interessa niente della nostra identità segreta. Ho le mani che prudono. Sbrigati o darò un pugno al primo passante che mi capita sottomano.”
“Fai pure. La Masquerade esiste per un motivo. O sei come quegli sconsiderati del Sabbat che vanno in giro a uccidere umani e mordere colli per sfizio?”
“Madò se sei una nerdaccia allo stadio terminale. Citare persino Vampiri è davvero troppo per il mio fragile cuore. Come se non bastasse l’edizione vecchia.”
“Ha parlato quella che giocava con le action figures di JoJo fino a trenta secondi fa, eh. Manco un manga bello poi.”
“Io ho solo questo piccolo difettuccio, tu sei il sogno bagnato di ogni ciccione che ha portato il suo personaggio di World of Warcraft al livello massimo.”
“Ti sto per far rimangiare questo insulto assieme ai denti.”
“Accomodati. Ma prima... trasformati.”
“Non mi serve trasformarmi. La faccia te la posso gonfiare comunque.”
“Mitsuko, dai. Non farmi ridere. Le nostre baruffe non finiscono mai con la mia faccia gonfia. Non solo la mia, almeno. Ogni botta che ricevo te la restituisco, lo sai bene.”
“Rika, te l’ho già spiegato. Io ci sono sempre andata piano con te. Sei piccola, tenera e carina e non voglio rovinare il tuo faccino in modo permanente. Ma se dovessi fare sul serio...”
“Ancora con ‘sta buffonata. Mi sottovaluti e io sono stufa di sentirmi sottovalutata solo perché sei un po’ più vecchia e un po’ più alta di me. Nella botte piccola ci sta il vino buono.”
“Va bene nanetta, il dado è tratto. Io e te, da sole, stasera. A mezzanotte al solito posto. All’ultimo sangue.”
“All’ultimo sangue sia. Non vedo l’ora.”
“Altrettanto. E adesso sparisci o potrei rimangiarmi quanto ho detto e incenerirti seduta stante.”
“Signorina Harada, sarà un piacere cambiarle i connotati.”
“Fuori dai coglioni, sgorbio.”
La vedo mentre si allontana impettita. E mi do mentalmente della cretina.
Sai che non devi esagerare con lei, lo sai. Rika Otsu è la tua unica compagna di vita, sin da quando te ne sei andata di casa quattro anni fa e hai cominciato a vivere per le strade.
Tu e il carattere di merda che ti ritrovi. Era davvero necessario arrivare a sfidarla in maniera così ufficiale? All’ultimo sangue, nientemeno?
Ormai è tardi per ritrattare. Siamo due orgogliose teste di ferro che non tornano mai sui propri passi. Duello è stato detto e duello sarà. All’ultimo sangue è stato detto e all’ultimo sangue sarà.
Cazzo cazzo cazzo.
“Rika!” non riesco a trattenermi. Non voglio questo. Non lo voglio.
Meno male, può ancora sentirmi. Si volta lenta, movimenti troppo studiati per essere quelli naturali di una ragazzina: “Che c’è, Mitsuko? Hai qualcosa da dirmi?”
“Sì. Io... io... volevo assicurarmi che non mancherai stasera.”
Cervello, sul serio. Vai a fare in culo e restaci.
“Non mancherò. L’ho mai fatto?” Senza attendere una risposta riprende a camminare dritto di fronte a sé.
Quando è lontana mi concedo un sarcastico applauso per complimentarmi con me stessa e la mia stupidità congenita.
Non ha neanche raccolto i suoi pupazzetti. Li raccatto io. Glieli consegnerò stasera prima dello scontro. Spero di avere abbastanza acume e abbastanza fortuna da non dover farli stringere a mani fredde.
No, l’applauso non basta per sottolineare quanto sia stata cretina.
Proprio no. Mi avvicino al muro e ci do una testata.
PUUUUUUUUUUUUM.
E un’altra.
PUUUUUUUUUUUUM.
E un’altra.
PUUUUUUUUUUUUM.
Ok, basta così. Non ho intenzione di morire prima di stasera.
Ehi. Ciao, solito rivoletto di sangue che non manca mai di farsi vivo quando mi ferisco. Come al solito, da bravo bastardo, non puoi fare a meno di entrarmi in bocca.
Sento sguardi estranei su di me. Curiosi passanti che vengono giustamente attirati da una quattordicenne con manie suicide e i capelli verdi.
“Cosa volete voi?” sbraito senza voltarmi “Fatevi i cazzacci vostri.” Voglio restare sola con la mia idiozia e offrirle da bere.
Non è la prima volta che facciamo un numero del genere, io e lei. Già un paio di volte eravamo arrivate a tanto così dal metterci seriamente le mani addosso. Ma una singolar tenzone in piena regola no, mai.
Vabbè, quel che è è. Mi inventerò qualcosa al momento.

Smaterializzo la fiasca del sakè.
Io non parlo a vanvera.
L’ho suonata come una cornamusa. In lungo e in largo. Pur con tutti i buoni propositi e le intenzioni di tirare i remi in barca, ho finito col darci dentro sul serio. L’ho detto che sono una testarda con cui è impossibile ragionare. Nemmeno la parte più saggia di me può ambire a tanto.
Per una volta la telepatia mi è tornata utile in battaglia. Di solito, affrontando le streghe, non serve a niente perché tutto quello che percepisco è un ammasso confuso di odio e pensieri alieni. Questa volta, invece, ho potuto anticipare le sue mosse e agire di conseguenza.
Cosa abbiamo sotto la colonna Ferite? Poca roba. Il mio occhio destro è parzialmente al di fuori della sua sede e mi spingo con una mano l’intestino che preme per uscire dallo squarcio sulla pancia. Spostate pure i vostri secchi o sacchetti per il vomito, secondo i miei standard questi sono graffi. Noialtre si guarisce in fretta da queste cosucce.
E adesso l’ho chiusa in un angolo, un grumo di sangue unico che mi squadra con un sorriso strafottente e l’aria di chi non ha nulla da perdere. A parte la propria vita, che è anche l’ultima e l’unica cosa rimastale.
“Fallo, Mitsuko.” dice, fierezza nella voce e nel linguaggio del corpo. Pur essendo conciata veramente da sbattere via, e con qualche lembo di pelle che ancora brucia, si regge in piedi con tenacia e rifiuta di afflosciarsi come un sacco svuotato. La mano sinistra, ora sprovvista di due dita, la tiene in equilibrio appoggiandosi al muro mentre la destra passa ripetutamente sotto al naso e sulla bocca per cercare di togliersi residui organici vari. Ha ancora in pugno il suo pugnale magico, arma che non ha saputo proteggerla come avrebbe dovuto. Il tremolio che la attraversa come corrente elettrica non è sufficiente a farle perdere la faccia da schiaffi che è sempre stata uno dei suoi marchi di fabbrica.
“Fallo.”
Rika. Sei una disgraziata fatta e finita. Come puoi chiedermi di ucciderti? Ti rendi conto che siamo arrivate a questo punto perché ci siamo messe a litigare su bambolotti e giochi di ruolo?
Ogni tanto mi rendo conto, purtroppo con sempre minor frequenza, che stare per strada ci ha trasformate in due fottutissime teste quadre per cui la parola data è più importante di tutto il resto del mondo. Adesso è uno di quei rari momenti. E non va bene, no. Non quando questo implica assassinare la mia unica compagna. La mia unica amica.
Sono ormai due anni che io e lei facciamo coppia fissa, nella vita e nel lavoro. Rubiamo assieme, irrompiamo in case vuote assieme, sconfiggiamo streghe assieme.
Le nostre storie sono molto simili: caratteri difficili, la giusta dose di irruenza dovuta in gran parte all’età, scazzi di varia natura con dei genitori retrogradi e bigotti, voglia irrefrenabile di libertà, fuga senza possibilità di ritorno, incontro casuale. Eravamo due anime vagabonde che hanno avuto la fortuna di incrociarsi di fronte a un okonomiyaki-ya, quelli vecchio stampo costituiti da un carretto e quattro sedie.
“Scusa, mi passi la salsa?”
“Certo.”
“...”
“...”
“...”
“...”
“Niente male questo takoyaki.”
“Già. Molto buono.”
“Ti conosco? Non mi sembra di averti mai vista da queste parti.”
“Non credo, no. Rika Otsu. Molto piacere.”
“Mitsuko Harada. Il piacere è mio.”
Da quel momento... bam, non ci siamo mollate più. Quasi peggio dei gemelli siamesi. Le uniche eccezioni sono i post-rissa, quando la mandavo a sbollire l’incazzatura lontana da me. Anche perché pure io avevo, spesso e volentieri, bisogno di sbollire.
Sì, lei è praticamente il mio clone con un paio di cose in meno di me: due anni e una valanga di senso estetico. Ma per il resto combaciamo come i frammenti vicini di un puzzle.
Ho scoperto solo più tardi che, esattamente come me, lei era sotto contratto con la Animali a Quattro Orecchie Inc. e che, esattamente come me, non era poi così entusiasta di questo incarico di responsabilità ma lo conduceva comunque per senso del dovere. Ci siamo scambiate trucchi, tattiche e qualche storiella più o meno spiritosa. Io le ho raccontato della famosa volta in cui sono finita crocefissa a testa in giù, lei ha stilato un dettagliato resoconto di quando una strega le aveva polverizzato un braccio, una gamba e un pezzo di fianco.
Aneddoti divertenti come quelli che poteva raccontare Travis Bickle sul suo taxi. La classica mattina che odora di napalm e vittoria.
“No.”
La mia bocca si è mossa da sola. Non avevo l’intenzione cosciente di dirlo, anche se ci stavo rimuginando da parecchi secondi.
Mi rendo conto che a volte, mettendo il cervello in standby, riesco a dire delle cose persino sensate.
“Mi prendi in giro, Harada? Si era detto... all’ultimo sangue e all’ultimo sangue... sarà.”
“No, Otsu. Non ti ucciderò.”
Mi volto e mi incammino verso la piazza centrale, poco distante da qui. Alle mie spalle sento come un ringhio soffocato, il verso di una ragazzina incazzata che non ha abbastanza fiato per essere più convincente.
“Mitsuko. Se ti azzardi... a non finire quel che hai iniziato ti... odierò per il resto della mia vita.”
Ho l’impulso di fermarmi, tornare indietro e percuoterla ancora un po’ per la stupidità dell’affermazione. Le prime due cose le faccio, per fortuna la terza no. In queste condizioni anche una sberla potrebbe esserle fatale.
“Odiami se ci tieni. Vorrebbe dire che sei viva e questo è molto più importante di stupido orgoglio o ridicolo machismo gratuito. Non ho il coraggio, né la forza, né la spietatezza di darti il colpo di grazia. Non potrei mai più guardare il mio riflesso su una superficie lucida, mi salirebbe la voglia di prenderla a pugni. E poi di passare alla mia vera faccia. Per tutti i kami, Rika. Non ti ricordavo suicida fino a questo punto. Non ti puoi far bastare la lezione? Ho dimostrato che non dicevo palle e ho ridisegnato la tua anatomia in maniera sbarazzina come mi ero ripromessa. Basta. Non serve andare oltre. Sarebbe una coglionata priva del minimo senso.” Stringo un poco di più la mano sull’addome, stupita dal mio stesso equilibrio.
Casca sulle ginocchia, lo sguardo spaesato puntato vagamente nella mia direzione ma che non sta realmente osservando me.
Sconvolta, piccina?
“Tuttavia,” proseguo “ciò non toglie che la mia pietà si ferma qui. Ora andrò a rattopparmi con qualcosa d’emergenza, ti consiglio caldamente di farlo anche tu prima che sia troppo tardi. Sei messa male, non so quanto durerai ancora.”
“Non è... necessario. Sai che noialtre si... guarisce da sole.”
“Sì, forse quando hai due escoriazioni del cazzo come le mie. Per come stai adesso morirai, più prima che poi.”
“Non... osare compatirmi.”
“E chi ti compatisce? In questo momento ti sto disprezzando. Disprezzo te, me e la tua imbecillità così simile alla mia. Quella stessa imbecillità che ci ha impedito, a tutte e due, di fermarci e di bollare questa cosa come la puttanata che è. Perché solo delle psicopatiche arrivano a sfidarsi in questo modo dopo un litigio sui pupazzetti e il nerdismo.”
“Si chiamano... action figures, bastarda.” Alla faccia delle capacità di ripresa. Complimenti.
Le mani mi partono da sole verso l’alto: “Cristo Rika, non ricominciare. Per ora sono calma e insospettabilmente acuta, ma mi conosci e sai che basta tanto così per farmi velare gli occhi di sangue e diventare una bestia. Non farlo.” Dimenticando di avere un buco grosso come la prua del Titanic sullo stomaco. Non ne se dimenticano le mie interiora, che fanno capolino come la testa di un neonato che sta nascendo.
Wow. Ecco uno dei cento ricordi che non voglio. Al livello di farsi un giro nella gola di uno scarafaggio intergalattico.
Cazzo e stracazzo. Meno male che, alla prossima trasformazione, il completo sarà pulito. Sarebbe stato un supplizio cercare di lavarlo. E poi rosso su nero non è trendy quest’anno.
Ecco budella, tornatevene al vostro posto.
Mentre sono impegnata a pressare l’intestino verso l’interno mi avvedo di quel suo sorriso orrendamente sbruffone che ancora mi istiga a finire il lavoro.
“Ti ho già convinta a... tornare indietro quando non... volevi, ti convincerò anche... a portare a termine...”
Con la mano libera la schiaffeggio usando il dorso. So di starla guardando con i denti digrignanti e la schiuma agli angoli della bocca.
Questa mocciosa sta riuscendo in quel che si era prefissata. Non che con una come me ci voglia particolare bravura, ma lei è sempre stata molto abile nella fine arte del provocare. E ha portato un primo centro suscitandomi questa reazione.
“Rika Otsu, tu ora mi fisserai bene negli occhi perché questo te lo dirò una ed una sola volta. Fissa, ho detto. Io non ti ucciderò. Non voglio... non posso perderti. So che bisticciamo spesso e passiamo anche lunghi periodi lontane una dall’altra, ma tu sei importante per me. Necessaria. Sei l’unica fondamenta che rimane a sostenere la mia palafitta sbilenca. Se vieni a mancare tu finirò col crollare malamente sul tuo cadavere. Dimmi che non lo vuoi, per favore. Dimmi che anch’io ho un po’ di peso nella tua vita, e che non vuoi che mi accada questo. Dimmelo. Dimmelo cazzo, dimmelo!”
Continua ad avere quella faccia da piccola infame patentata che sa quel che vuole e come ottenerlo.
“Harada... sarai marchiata... per sempre come una... fottuta codarda...”
No. Non dovevi.
Lo sai, piccola... grrrrrrr... lo sai... non devi... mai... chiamarmi...
“Nessuno. Può. Chiamarmi. Codarda.”
Allora signora Consapevolezza, questo è il suo biglietto di prima classe per una crociera tutta spesata intorno al mondo. Ci saranno ballerini e ballerine svestiti e capaci di ogni prodezza sessuale assortita, dal sessantanove al bondage passando per il bukkake, il fisting acrobatico e la pioggia dorata. Buon divertimento.
...
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SLASH.
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SZOCK.
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...
SCRATCH.
...
...
Anf anf anf.
SPUT.
Ecco, ora sarai contenta immagino. Hai ottenuto quel che volevi.
Ti ho eviscerata.
Hai gli occhi spalancati, come quelli di un cerbiatto su cui sta per passare un automobile. E sorridi ancora.
Dio, che nervi. In preda a una crisi di rabbia ti rifilo un paio di calci sul fianco.
Stronza, maledetta stronza. Hai vinto. Mi hai fatto fare l’ultima cosa di cui avrei voluto macchiarmi.
Ucciderti.
Per una cagata turbo come un litigio dello stracazzo.
“Ahuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuu!” Lascio riemergere l’istinto animalesco dagli anfratti più profondi del mio essere, unico modo che trovo a me consono per esternare il dolore. Mi potrebbero benissimo scambiare per un licantropo in questo momento.
I condotti lacrimali sono secchi, tipo Sahara d’agosto. Se fossi abituata a piangere come una bimbetta isterica questo sarebbe il caso più appropriato, ma ho ancora un pudore e riesco a buttar fuori il mio maremoto emozionale solo in questa stupida maniera.
Passo parecchi minuti a ululare come un animale in gabbia che reclama la propria libertà. Poi, una volta concepita la mia nuova realtà, riesco a riprendere quel tanto che basta di controllo per caricarmela in spalla. Mi casca l’occhio, quello quasi penzolante al di fuori della sua cavità, sulla catenina dove porta la Gemma. Anche quella, come tutto il resto della sua persona, sembra essere stata investita da uno schiacciasassi berserk. La pietra, arancione come i suoi capelli prima che ci mettessi mano, è rotta in più punti e balugina di una fioca luce che, peraltro, va pian piano assottigliandosi. So che farò la stessa fine.
Faccio per andarmene via quando...
“Lasciala.”
Una voce sconosciuta alle mie spalle.
Porca troia, non adesso. Non sono nelle condizioni di combattere.
“Chi sei?” chiedo alla nuova venuta.
“Non importa chi sono. Quel che importa è che mi servi.”
“Vuoi solo sbarazzarti di me per requisire il mio territorio, vero? Non sono nata ieri, gradirei la verità.”
“Vuoi la verità? No, del tuo territorio non m’interessa niente di niente. Voglio te.”
“Non è la stessa cosa?”
“No. Sarò più esplicita: ho bisogno del tuo aiuto. Walpurgisnacht sta arrivando. Da sola non ho speranze di sconfiggerla, quindi sto cercando compagne.”
“E chi cazzo è Walpurgisnacht?”
“Walpurgisnacht è la strega definitiva. Come puoi non averne mai sentito parlare? Fra noi Puellae Magi è piuttosto famosa e temuta.”
“Mi spiace, non sono granché interessata alla vita sociale. Di solito le colleghe che trovo le ammazzo.”
“Come hai appena fatto con quella ragazzina?”
“Vaffanculo. È una storia... complicata.”
“Va bene. Non me ne frega nulla. Vieni con me.”
“No. Sparisci, chiunque tu sia.”
“Potresti girarti e cominciare a vedere chi sono coi tuoi occhi, non credi?”
“Potrei, sì. O potrei girarmi, bruciarti la faccia e andarmene.”
“Ti assicuro che riusciresti ad averne solo l’intenzione, ma alla prova pratica rimedieresti un buco nell’acqua.”
Ah sì, saputella di ‘stocazzo? Davvero? Vogliamo provare?
Lascio cadere il corpo per terra con un sonoro TUNF, dopodiché nella mano riappare la mia magica bottiglia. La sorseggio cercando di limitare i movimenti al minimo, più tardi se ne accorge e meglio è.
Mi giro e un Rutto di Fuoco inonda il vicolo buio illuminandolo a giorno.
Non... non è più di fronte a me.
“Tsk. Da buona Cassandra avevo predetto un tuo fallimento.” Alle mie spalle.
Eccola. Sta appoggiata al muro, sporco del sangue di Rika, con le braccia conserte. Gli occhi chiusi, l’espressione annoiata.
“Facciamo così.” prosegue “Adesso mi attaccherai nel modo che prediligi. Sei libera di essere scorretta, antisportiva e quel che ti pare. Se non dovessi riuscire a colpirmi entro dieci minuti, però, dovrai stare ad ascoltarmi e venire con me. Ci stai?”
La gente che scompare e riappare non mi è mai piaciuta. Però questa qui è abbastanza spaccona da togliermi qualunque dubbio potessi avere.
“Ci sto.”
Comincia così un torello a dir poco estenuante: io scateno tutto il mio potenziale offensivo verso di lei che, apparentemente senza far nulla, fa PLUFF e si scansa con eleganza. Provo anche la tattica Primo Attacco per Distrarre e Secondo per Fare Centro, con relative varianti fino alla quarta o quinta potenza, ma è tutto inutile. Continua a evitare le mie carezze a ottocento gradi.
Alla fine, spompata come una vecchia che ha appena corso la maratona di New York, alzo bandiera bianca e mi arrendo ufficialmente. Se non altro, giudicando dal tono e da cosa mi ha detto, le sue intenzioni non paiono bellicose. Al massimo mi scoglionerò mentre si spiega.
“Finalmente. Ora, stando ai patti, dovrai darti una calmata e sentire cos’ho da dirti. O vuoi ancora opporre resistenza, Hara?”
“Harada, prego. Mitsuko Harada. E anche se non ti conosco vorrei almeno sapere il tuo nome.”
“Homura Akemi, da Mitakihara. Piacere di fare la tua conoscenza.”
“Il piacere è tutto tuo.”
“Sigh. Sei un elemento delicato, noto. Potrebbe essere spiacevole. Non per me.”

“Tieni, capo. I rimasugli di questo Seme. Non è granché ma, considerando che ti sei ritirata dal lavoro da quando hai salvato la tua... amica, dovrebbe esserti più che sufficiente. Non usi più la magia con frequenza, no?”
“Grazie. Hai ragione, di questi tempi mangio come un pulcino senza appetito, a livello di ricarica magica. Se non la sfrutti la Gemma tende a rimanere linda e pulita. Hai avuto un pensiero carino per me, ma devo comunque farti due rimproveri.”
“Cioè?”
“Uno: non chiamarmi mai più capo, per favore. Anche quando lo usavi durante quelle concitate ore mi dava più fastidio che altro. Ero semplicemente la coordinatrice dell’operazione Prendi a Calci la Caccola Bianca ma niente di più. Mi imbarazza sentire qualcuno che si rivolge a me con quella parola. Grazie.”
“Signorsì signora. Anche se mi meraviglia che la cosa ti pesi così tanto a distanza di mesi. E la seconda cosa?”
“Due: osa ancora fare degli appunti ironici su me e Madoka ad alta voce e ti stacco il cuore a mani nude.”
“Ellavacca. Lunatica, cara la mia Homura? Prima sei tutta cortese ed educata e poi diventi così poco piacevole nelle tue richieste? Non si fa, qualcuno potrebbe offendersi.”
“Per la prima e ultima volta ti citerò: fotte sega. Sai che le altre sono sempre molto pungenti sull’argomento e mi dà seriamente noia sentirle sproloquiare su come io e lei finiremo sposate ad Amsterdam o a Madrid. È frustrante, specie se fatto con tanta leggerezza. Tu almeno sai cosa ho dovuto passare per ottenere quel che ora stringo con bramosia fra le dita. Sei caramente pregata di trattenerti, in futuro, o potrei non rispondere delle mie azioni.”
“Sarà fatto. Non volevo irritarti. Scusa.”
“Ehi ehi, cos’è tutta questa formalità adesso, con pure l’inchino? Ci conosciamo abbastanza da aver superato quella fase. E poi, in tutta onestà, tu e l’essere formali non siete capaci di convivere per più di quattro millesimi di secondo senza prendervi a testate.”
“Eh sì, ci conosciamo abbastanza. Vabbè che una cosa del genere l’avevi capita dieci minuti dopo le presentazioni, probabilmente. Ma è comunque vero. Devo dire che non mi sto pentendo di aver preso domicilio qui da te. Si sta bene, c’è tanta fauna stregonica e il clima è nettamente più clemente. E grazie a dio hai fatto sparire Sayaka, almeno non devo condividere il mio lato del letto con un vegetale.”
Si alza dalla panca e si avvicina a me, lo sguardo abbastanza serio ma non serioso. So che suona male ma è la sensazione che mi arriva.
Le consegno il Seme.
“Mitsuko,” dice poi mentre lo sta mettendo via “visto che, appunto, ci conosciamo da un po’... ecco, avevo una domanda che mi preme farti.”
Metto le mani sui fianchi e assumo l’espressione più ganassa di cui sono capace: “Sarebbe, Homura?” Mi incuriosisce questa sua... curiosità.
Per forse la terza volta da che la conosco Akemi fa fatica a trovare le parole. In effetti, a volerla dir tutta, non è la prima occasione. Ma non è una di quelle cose che vedi tutti i giorni e continuano a provocarti uno strano effetto spiazzante.
“Mitsuko... io... volevo chiederti... della tua amica...”
Le regalo uno sguardo interrogativo.
“Scusa, non capisco.”
“La ragazza... il giorno che ci siamo incontrate per la prima volta...”
Un gesto di diniego, come a dire che non è argomento su cui vale la pena parlare. Anche perché non ho nessuna voglia di rivangare quella colpa: “Ti riferisci a Rika? Non c’è niente da dire in proposito. Lei era una rivale che andava eliminata. Nulla di più e nulla di meno.”
SCIAFF.
Non... non me lo aspettavo lo schiaffo.
“Harada, mentirmi non ti fa onore. Ti ho osservata a lungo prima di rendere la mia presenza nota, ho visto come hai reagito dopo averla abbattuta. Non sei il tipo che si mette a urlare con quella disperazione dopo una nuova tacca sul fondo della bottiglia, su. Cercare di menar il can per l’aia non è nel tuo interesse, al momento.”
Mi prende per mano, senza la minima protesta da parte mia, e mi riconduce verso le poltroncine. Si siede accanto a me e attende che cominci a raccontare.
Mi sa che mi ha incastrata e infiocchettata, stavolta.
Bene, se proprio mi tocca tanto vale cominciare. Via il dente, via il dolore.
“Ok Homura, hai vinto. Ti dirò quel che vuoi sapere. Rika Otsu era la mia unica compare e unica amica fino a che non ho conosciuto voialtre. Vagabondeggiavamo insieme per le vie di Rikuzentakata, vivendo di espedienti. Credo fosse la persona a cui mi sono più legata in tutta la mia vita. Praticamente inseparabili e molto, molto simili. Per via di questa nostra somiglianza siamo giunte al punto di non ritorno: un duello all’ultimo sangue dopo un litigio dalla motivazione così ridicola che nemmeno me la ricordo. Mi ero ripromessa di non andare fino in fondo e di risparmiarla ma quella... oh kami... quella ha saputo premere i bottoni giusti e mi ha scatenato la furia. Ti sei fatta viva poco dopo che avevo finito.”
Non dice nulla, limitandosi ad accarezzarmi la nuca e la testa con un tocco gentile. Giro leggermente il volto nella sua direzione e la vedo con le labbra un poco increspate in quello che, nella mia ignoranza caprina, interpreto come un leggero sorriso di consolazione.
C’è una luce diversa nei suoi occhi: è sparita l’austerità del gentleman vecchia maniera e la gravità perpetua che ci avevano sempre alloggiato. Ora è... rilassata. Ancora un po’ burbera forse, ma decisamente più amichevole e aperta.
L’increspatura si allarga.
“Capisco Mitsuko, capisco. Ti senti responsabile per averla uccisa e capisco bene il perché. Però questo è il tuo passato. Adesso sei qui e ci siamo io, Tomoe, Kaza e Asami. Forse non potremo mai sostituirla nel tuo cuore, lo so, e neanche te lo sto chiedendo. La vita reale non è un film dove il protagonista, perso uno o più compagni, ne trova altri su un piatto d’argento perché la trama dice così. Sto solo dicendo che potremmo, se tu ce lo permetterai, colmare almeno parte del vuoto e del senso di colpa che ti affliggono. Sta a te. Noi ci mettiamo la disponibilità ma le chiavi della porta le hai tu.”
Dopodiché, senza darmi il tempo di controbattere, si rimette in piedi e mi lascia sola nella stanza.
No. Non piangere. Non sapresti neanche se sono lacrime di angoscia o di gioia.

*


Ecco... ‘fanculo al flashback...
“Ho-Ho-Homura...” riesco a balbettare...
“Ti ho detto di non sforzati. Risparmia le energie.”
“Q-Q-Questo... devo... r-r-riuscire a d-dirtelo...”
Mi sorride... intenerita...
“Allora parla.”
“N-Niente... di p-p-particolare... v-volevo... solo... ringraziarti... tu e le... altre... per a-avermi... concesso... un p-periodo... sereno... e q-q-quasi felice...”
Mi stringe... a sé... improvvisamente...
“È stato un piacere, Mitsuko Harada. Un vero piacere.”
“A-A-altrettanto...”
A-Addio...
   
 
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