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Autore: ShadowMoonLady    11/08/2012    5 recensioni
“Che pizza questo posto. Andiamo a fare altro” [...] “Ma sei pazzo? È la nostra casetta, è bellissima!” [...] “Perché tu sei solo un bambinetto, un moccioso, ecco perché ti piace. Io me ne vado, poppante” [...] “Brad! Brad non è vero che mi piace! Brad aspetta!” [...] “Ah si? Aiutami a incendiarla”
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A dieci anni avevo una casetta su un albero.
Era piccola e un po’ malandata, ma era il mio fortino. L’avevano costruita mio papà e mio fratello, io ero “Solo un moccioso” come diceva Brad. Non avrei potuto aiutarli, quindi guardavo.
Stavo sempre là dentro. Nelle giornate fredde d’inverno, con una coperta e in quelle d’estate steso a terra, cercando di assorbire il freddo del legno, insieme a Brad.
 
Era primavera inoltrata. Un bel vento di scirocco entrava dalle grottesche finestre intagliate nella casetta, facendo svolazzare allegramente i pezzi di stoffa rattoppata che fungevano da tende e scuotendo la costruzione tanto da farti sembrare in balia di un terremoto.
Io e Brad eravamo distesi per terra, occhi chiusi, ognuno perso in un mondo a parte. Come sempre.
Non parlavamo, ma bastava quello.
“Che pizza questo posto. Andiamo a fare altro”
Tutto un tratto, la meravigliosa calma fu interrotta da quelle parole taglienti.
Aprì gli occhi, guardando stralunato mio fratello. “Ma sei pazzo? È la nostra casetta, è bellissima!”
Sul suo volto si disegnò un sorriso cattivo. “Perché tu sei solo un bambinetto, un moccioso, ecco perché ti piace. Io me ne vado, poppante”
 
Rimasi lì da solo per un po’. Ero sicuro –no, che dico, sicurissimo- che stesse scherzando. Brad aveva sempre amato la nostra casa. Brad amava i momenti che ci passavamo insieme. Brad non avrebbe mai rinunciato agli unici istanti in cui non mi odiava per avere una salute perfetta e non dover prendere tutte quelle medicine.
In un attimo, attraversato da un pensiero terribile, saltai giù dall’albero.
“Brad! Brad non è vero che mi piace! Brad aspetta!”
Avevo quasi le lacrime agli occhi. Non potevo credere di essermi lasciato sfuggire anche quel poco di amore che mi ero guadagnato.
Lo trovai appoggiato a un tronco, che mi guardava, uno strano sguardo nei suoi occhi.
“Ah si? Aiutami a incendiarla”
Rimasi zitto.
Lui fece una smorfia disgustata.
“Allora non ho niente da dire, poppante” e tornò a incamminarsi per la tenuta.
Mi riscossi, avevo troppa paura di perderlo. “No! Aspetta! Ti aiuto!”
Fermò di nuovo la sua avanzata nell’enorme giardino, girandosi verso di me, qualcosa di pericoloso, troppo pericoloso baluginava nelle sue iridi. Ma non volevo attribuirgli nome.
“Bravo poppante. E si più deciso. Gli uomini veri non hanno paura, né emozioni”.
Si avviò verso la grande quercia sulla quale era comodamente adagiata la casetta. Ed io lo seguì con un groppo alla gola, anche se orgoglioso di essere elogiato da mio fratello.
Si fermò pochi passi prima, contemplandola per un istante. Poi, sotto il mio sguardo sbalordito, tirò fuori dalla tasca sigarette e accendino. Non sapevo che fumasse.
Lo fissai mentre con movimenti esperti si portava una Marlboro in bocca, mentre con la destra faceva scattare l’accendino.
Si accorse del mio sguardo, non feci in tempo a mascherarlo.
Mi rivolse un sorriso sprezzante e amaro, una nuvola grigia che lo avvolgeva. “Che c’è moccioso, non hai mai visto nessuno fumare?”
“M-ma Brad t-tu hai solo quindici…” Non feci in tempo a finire.
Mi sentì sollevare per il bavero della maglietta. Percepì indistintamente la corteccia di un vecchio albero graffiarmi a sangue la schiena, mentre lui sbatteva, e sbatteva.
“Che cosa hai detto” mi chiese in un sibilo.
Non risposi. Amavo mio fratello, ma mi faceva paura.
“Ripeti cos’hai detto!” ruggì.
“Ho-ho detto che hai s-solo quindici anni…” sussurrai, la voce tutto un tremito, mentre vedevo le emozioni susseguirsi sul suo volto. Fino alla rabbia.
“Sentimi bene. Io sono già un uomo. Sei tu che sei un poppante e non provare mai più a dire una cosa del genere, moccioso! Dammi prova del tuo coraggio. Fumati una sigaretta e poi gettala dentro la casetta. E rimani dentro.” Mi lasciò brutalmente a terra.
Annuì spaventato. Volevo fargli vedere quanto fossi coraggioso e degno di essere suo fratello.
Presi la sigaretta che mi porgeva. Porgeva è una parola grossa. Me la sbattè nelle mani, bruciandomi appena.
La strinsi tra le labbra, mentre tremavo e aspiravo debolmente. Il fumo m’inondò i polmoni, facendomeli bruciare e lacrimare gli occhi.
Il giorno dopo mi portarono all’ospedale, e non solo per quello.
Dopo un paio di dolorosissimi tiri, andai alla fune che serviva per arrampicarsi fino alla casetta. Brad mi aspettava già sopra.
Deglutendo a vuoto, le lacrime che minacciavano di marchiarmi il volto a fuoco, guardai incerto la fune. Alzai lo sguardo verso mio fratello, che mi fissava impaziente.
“Vuoi sbrigarti?”
Obbligandomi a non singhiozzare, misi impacciatamente la sigaretta nella cintura, in modo che la punta bruciante non si spegnesse, ma mi ustionasse solo la pelle al di sotto della maglietta.
Arrivai in cima, per l’ultima volta. Ricordai la mia felicità, la prima volta che riuscì a superare quel piccolo ostacolo e arrivare nella casetta. Ma, ancora di più, ricordai la piccola scintilla di orgoglio che mi parve scorgere negli occhi di Brad.
Buttammo la sigaretta a terra e aspettammo. Non successe niente.
Feci per tirare un sospiro, ma il sollievo durò poco. Mio fratello strappò le tende, i poster, le riviste, tutto il poco che aveva adornato, reso nostra, la casetta. Io ero immobilizzato. L’accendino, sopra di esse, fece clic.
In poco il fuoco iniziò a divampare. Sempre più forte, le fiamme crescevano. Ed io morivo dalla paura. Ricordo il suo sorriso folle, iroso. Presi la rincorsa verso la finestra. Piccola, ma non per il mio corpo minuto.
Ma Brad mi afferrò.
“Codardo! Dove vai?!”
Mi stringeva i capelli, l’accendino ancora funzionante mi perforava il braccio. Sentivo la mia carne che sfrigolava.
Squittivo come un topolino. “No, no. Lasciami!”.
Diedi uno strattone più forte degli altri, il cuore che mi rimbombava nelle tempie, la paura che mi accecava, e successe tutto troppo velocemente.
Caddi lontano a terra, e a quanto mi dissero l’accendino di Brad scivolò a terra insieme con lui. Le fiamme innescarono una reazione e ci fu una piccola esplosione.
“Non sei un vero uomo!”, le ultime parole che sentì gridare da Brad, poi svenni.
La tenuta era grande, la casa sull’albero lontana e i miei genitori rinchiusi in casa. Si accorsero solo quando ci fu il botto di qualcosa, e uscirono a controllare. Troppo tardi.
 
Rimasi incosciente per molto, sotto shock per il resto della mia vita. Brad era morto.
Mi ossessionava diventare uomo.
Infatti, questa mattina, una mattina di agosto di nove anni dopo, quando mi lanciarono una sfida,
“A mezzanotte, in via Kennedy. Una gara di moto. Porta il tuo ferrovecchio. Vediamo chi è più uomo.”
non esitai a dire di sì.
Infatti, quando mi chiesero di sniffare prima della gara,
“Ragazzina, non avrai mica paura di fare un tiro? Che c’è, la mammina si arrabbia se il suo ometto non fa il bravo?”
 dissi di si.
Infatti, quando vidi che mi stavano superando,
“Hai perso, moccioso!”
io non guardai se c’erano altre macchine e tentai di superarli.
Infatti, è per questo che ora sono sul ciglio della strada, con la moto addosso e la testa rotta, col sangue che sgorga e i sensi che mi abbandonano, per sempre. Per essere un uomo.
 
Sono abbastanza uomo, Brad, adesso?
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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