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Autore: wari    12/08/2012    6 recensioni
«Senti un po', corvo parlante, Itachi o chiunque diavolo tu sia» brontola, guardando scoraggiato l'animale che si va a posare tranquillo sul braccio che Sasuke gli offre. «Adesso mi spiegate per bene dove siamo, voi due. Non sopporto che facciate comunella» s'imbroncia il jinchuuriki, offeso.
Il corvo sospira, prima di voltare il capo all'indirizzo di Sasuke.
«Non è ovvio, Naruto kun?» spiega, senza alcun tipo di superiorità o scherno sottesi. Si sporge dalla sua fronte e lo guarda così, a testa in giù, indicando poi dinanzi a sé con uno scatto breve del becco. «Siamo nella sua testa».
Gli occhi di Naruto si spalancano, la sua bocca emette un oh tondo e sordo, mentre le pupille scorrono sul Sasuke che ha davanti, fino a fermarsi sul nero cupo dei suoi occhi, più nero del buio che li circonda.
«Ah, beh. Ecco perché è un posto così sinistro» conclude, sconfortato.
[Prima classificata al NaruSasu/SasuNaru contest indetto da madychan, RuinNoYuki e niebo. Attenzione: alta concentrazione di Sasuke, ben oltre il livello di tollerabilità umana!]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Itachi | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto Shippuuden
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Attenzione, qualora foste entrati perché ammaliati dall'allettante scritta nell'intro: vi assicuro che questa è la meno sasunaruosa/narusasuosa delle fic partecipanti (sì, sono un caso disperato  XD) quindi vi consiglierei di filare alla svelta a spulciare le storie delle altre fanciulle (qui) ^^





C'è un momento in cui gli occhi di Sasuke, appannati, insanguinati, incrociano quelli altrettanto esausti eppure vivi, intensi, di Naruto.
Nel turbinio sfrigolante di Chidori e Rasengan, con le percezioni esaurite nel resto del corpo se non nella mano tesa verso l'avversario, solo gli occhi sembrano funzionare a dovere; il resto è un formicolio appena percettibile, superfluo.
Nel chakra vorticante, sotto il biondo di capelli sporchi, su un viso contratto dallo sforzo, l'unica cosa che Sasuke si accorge di sapere – non lo vede davvero: lo sa. Deve essere così – è che Naruto, per quanto tempo sia passato, continua ad avere gli occhi azzurri, limpidi da bambino; fiduciosi, sciocchi.
Naruto è uno sciocco, uno stupido senza speranza. Naruto dice di essere suo amico, Naruto sta per morire per mano sua: Sasuke lo ammazzerà.
Ed è giusto così.
Poi toccherà a tutta Konoha e finalmente le cose torneranno a posto. Ci sarà un equilibrio, i cocci spariranno – quei cocci che ha nello stomaco e nella testa, quelli che calpesta ad ogni passo e più cammina più si conficcano in profondità. Non ci saranno più cocci, nulla da riparare, solo qualcosa di piatto e bianco. Pulito, finalmente.
Non sbagliava: sono trascorsi gli anni, c'è passata davanti una guerra, ma gli occhi di Naruto restano dannatamente azzurri.




Dietro le palpebre


La testa, ecco: la testa gli fa male. Ma se fa male significa che ne ha una, e questo è bene.
Ha due braccia, ne è certo, anche se il destro è un po' insensibile; le dita formicolano dolorosamente come gli fosse appena passato un tornado sopra la mano. Le gambe ci sono entrambe, indolenzite e stanche, immerse nell'aria densa che lo circonda.
È solida quasi, preme contro le narici, negli occhi e nelle orecchie, ma è un bene: significa che anche occhi e orecchie sono al loro posto. È tutto intero, anche se un po' scombussolato.
«Dattebayo» borbotta, accogliendo con sollievo il suono della sua stessa voce. C'è un silenzio immobile che fischia nelle orecchie, un gelo rigido senza sapore, secco. Nella confusione che gli volteggia nella testa, la prima vera parola che pensa è Sasuke, ed è come se qualcuno gli avesse acceso fuochi d'artificio dello stomaco. Sgrana gli occhi e c'è il buio, come un cappa densa e fredda che pesa addosso. Sforza i muscoli e si mette seduto, senza produrre alcun suono se non un lieve fruscio di vestiti – e questo vuol dire che è vestito, il che è confortante.
«Sasuke!» chiama, roco. Ha la lingua rasposa, il cervello annegato in un nero torbido.
Cerca di costringere la mente a focalizzare: c'era Madara, prima, ma soprattutto c'era Sasuke. Sasuke col Chidori, contro di lui, contro il Rasengan; si sarebbero ammazzati: questa volta sarebbero morti davvero e anche se l'ha detto, Naruto – nell'aldilà né jinchuuriki né Uchiha, solo Naruto e Sasuke, insieme –, l'idea di Sasuke, Sasuke morto, lo sconvolge e lo schiaccia. Avverte forte un vuoto nello stomaco teso e un dolore stridente diffuso: se ha ucciso Sasuke non può restare, se ha ucciso Sasuke non deve esistere niente, lui non vuole esistere: morti o vivi, d'accordo, ma in due.
«Sasuke!» rantola, alto. Non c'è eco, solo nero fitto fuori e dentro; fa per gridare di nuovo, per esaurire il fiato, ma prima che il panico gli invada la mente in un momento realizza l'altra opzione.
È seduto in un mare di nero compatto, sa di esserci ma non c'è.
«Sono morto?» domanda a voce alta, quasi sollevato, poi sgomento. Si sente svanire. «Dove diavolo sono?» chiede, più piano. Aggrotta le sopracciglia – ne dovrebbe avere un paio sulla fronte, ma si tasta la faccia per accertarsene, non si sa mai – e prende a spiarsi attorno, perplesso.
Non c'è niente. Un accidenti di niente a parte nero solido e compatto sotto, sopra, davanti, nei suoi occhi. Sussulta, nel panico: deve essere diventato cieco.
«Che... Dannazione!» sbotta, stropicciandoseli coi palmi. Non sente male, sembra non ci sia nulla che non vada in lui, ma intorno continua ad essere tutto maledettamente nero e vuoto. Vuoto di tutto e pieno di nero: gli verrà mal di testa, gli è già venuto, accidenti. «C'è nessuno qui! Ehi!»
Deve essere proprio morto.
È strano, stranissimo. Inquietante.
«Non c'è proprio nessuno?» ritenta, incerto e tremante. Non vuole stare lì da solo. Per quanto, poi? Cos'è, una specie di punizione? Niente cari defunti, niente assenza di dolore? «È una fregatura! Ehi!»
Ha paura, davvero. Ha provato tanti tipi di paura da vivo, ma questo è oltre, è primordiale, nasce nello stomaco e si gonfia, schiacciando dall'interno: gli manca l'aria. Non può resistere un'eternità così, c'è da morirne. C'è da morirne già morti.
La confusione si smorza di colpo quando sente il rumore.
Resta immobile per un attimo, ascoltando il suo respiro affannoso e quel suono lontano, acquoso: che sembra un'eco e ronza attorno come non provenisse da nessun posto in particolare; cola dall'alto come pioggia, in singhiozzi brevi. D'istinto, Naruto solleva il capo, il mento in alto a spiare nel nero pesante sopra la sua testa: non c'è proprio un bel niente, eppure quel rumore è familiare, sembra un pianto.
Lo realizza nel momento stesso in cui è saltato in piedi ed è in quello stesso momento che si accorge di vedersi. Vedersi, sì: si vede. Vede le sue mani, la sua tuta arancione, le sue gambe e, giù, dita dei piedi che fuoriescono dai suoi sandali. Sono proprio le sue: se ordina loro di muoversi, quelle obbediscono. Sconcertato e intimamente sollevato, perde qualche altro secondo a tastarsi busto e faccia, in un fruscio di stoffa e capelli. Ci passa le dita nel mezzo, scompigliandoseli più di quanto non lo siano già. È strano, vedersi nel buio senza nessuna luce: non emana luce lui, né proietta ombra. Dove dovrebbe proiettarla poi? Tutto è ombra, lì.
Trae un profondo respiro, estremamente confuso.
«Prima o poi si uscirà da qualche parte» delibera, giusto per sentire il suono della sua voce. Prende a camminare, decidendo che stupirsi perché i suoi passi non fanno rumore sarebbe superfluo e provando piuttosto a concentrarsi su quel suono rotto, per individuarne la fonte. Lo agita: è ansiogeno, umido e freddo.
«Forse è un genjutsu» propone al nulla, mentre si guarda attorno a palpebre strette. In ansia, quasi non s'accorge d'aver allungato il passo e le sue gambe cominciano a correre praticamente fuori dalla sua volontà: non c'è niente, non si inciampa da nessuna parte, ma ogni falcata è come precipitare.
«Sasuke!» comincia a chiamare, semplicemente perché è la prima cosa che gli viene in mente – il suo pensiero fisso. Lo chiama gridando e correndo, sempre più forte per sovrastare il rumore di fondo, come un matto. Magari è già impazzito e non lo sa.
Corre gridando per metri, probabilmente neanche in linea retta. Corre e urla e non ottiene niente, il pianto di fondo si fa a tratti più alto, ma non riesce a capire da dove venga. C'è e basta, serve solo a confonderlo di più.
«Sasuke! Dannazio-» ansima, spezzato. «Sasuke!» rallenta, di colpo esausto, fino a scivolare a terra, quasi liquido. Poggia le ginocchia e i palmi, la fronte, e ringhia forte di frustrazione, i pugni stretti.
«Sasuke, se è un genjutsu non è divertente! Se sono morto non è divertente» bofonchia, stremato. Digrigna i denti e si tira in ginocchio; gli gira la testa e ha la vista appannata.
Quel pensiero, quello d'avere la vista appannata, gli suona strano già mentre lo formula – come si fa a dire d'avere la vista appannata se quando ti guardi attorno vedi solo nero? – e la sua mente è così impegnata a trovargli un senso, che non si accorge d'essere arrivato davanti al lago.
«Eh?» commenta solo, lasciando ricadere le spalle prima rigide.
Gira il capo tutt'attorno e c'è effettivamente un lago, solo che quel lago prima non c'era e se lui non si è mosso – almeno così gli pare – significa che è comparso. O non lo sa, sono supposizioni. Se non comincia a capirci qualche cosa entro i prossimi dieci minuti ha deciso che si metterà a lanciare Rasenshuriken al niente, tanto per vedere se riesce a combinarci qualcosa di costruttivo.
«Calma, calma» soffia forte dalle narici e si schiaffeggia rapido le guance con entrambe le mani. «Allora, che roba è questa?» domanda, facendo leva sulle ginocchia per alzarsi.
È un lago, o forse un fiume: è nero, come il cielo nero che vi si specchia dentro, così nero che l'orizzonte si perde; ma l'acqua c'è, immobile e piatta.
Titubante, Naruto si avvicina e decide che no: il fatto che una riva scoscesa tappezzata di erba e terriccio a sprazzi cominci tranquillamente a mostrarsi sotto le suole dei suoi sandali è assolutamente illogico. E il peggio è che il jinchuuriki non riesce a non trovarlo anche altrettanto confortante, in un certo contorto modo. Non se ne lamenterà, ma quando tutta questa faccenda sarà risolta – perché si risolverà, senza dubbio –, lui prenderà Sasuke a capocciate. Sempre che tutto quello sia colpa di Sasuke e non di Madara o di qualche altra cosa persino più inquietante.
Scende il pendio breve, inciampicando nei suoi stessi piedi e rischiando seriamente di rotolare faccia a terra in maniera decisamente poco ninjesca. Riacquista equilibrio una volta giù, lanciando poi uno sguardo soddisfatto alla cima del clivo solo per scoprire che meno di dieci metri più in là c'era una scala. Aggrotta le sopracciglia e soffoca una mezza imprecazione, scocciato.
«Tanto sono sceso comunque!» rinfaccia ai gradini muti, prima di dare le spalle al rilievo e voltarsi finalmente a studiare il lago; è a quel punto che il cervello gli si inceppa.
Per un momento rimane senza fiato, completamente ottuso e incapace di fare qualsiasi cosa, anche pensare.
Quello deve
per forza essere un genjutsu: un genjutsu di Madara, qualcosa di perverso e di folle che procurerà guai. E vorrebbe anche preoccuparsene, peccato che laggiù, sull'orlo del pontile basso che si tuffa nell'acqua immota, ci sia Sasuke e quando si tratta di Sasuke il cervello di Naruto smette di lavorare, si condensa in istinto e trepidazione, spinge tutto il resto in secondo piano con brutale, preoccupante, irrimediabile facilità.
«Sas-» emette il jinchuuriki, fievole. Non si ricorda d'aver ripreso a muoversi, né tantomeno d'aver cominciato a correre, ma è quello che sta facendo, quando raggiunge la sponda e procede veloce lungo la banchina di legno scricchiolante. Mentre si avvicina, intuisce solo vagamente che c'è decisamente qualcosa che non torna, e non si tratta della comunque sempre preoccupante situazione generale.
Rallentando, Naruto sgrana gli occhi e li fissa per un lungo istante sulla nuca spettinata di capelli neri, sul ventaglio, su Sasuke.
Deglutisce e in un istante di sgomento comprende che quello non era un effetto ottico dovuto alla distanza: la schiena di Sasuke è davvero piccola, le sue braccia sono davvero sottili, come le gambe lunghe e ossute che terminano in sandali di troppi numeri in meno, immerse nell'acqua fino alle caviglie. Non avrà più di sette, otto anni.
«Sasuke» si riprende Naruto in un bofonchio perplesso, fermo ad un passo di distanza.
Piange. Sasuke, che piange: se è un genjutsu, è un diavolo di genjutsu.
«Ahm... Sasuke, sei proprio tu?» ritenta Naruto, accovacciandosi per cercare di guardarlo negli occhi, ma quello gli dà le spalle, i capelli che gli fanno ombra sul viso.
«Ehi?» ritenta Naruto, ritrovandosi a quattro zampe; aggira la schiena di Sasuke e cerca di spiarlo dal basso, zitto. Lui finge o non lo vede, lo ignora.
Naruto si gratta la testa e si mette seduto a sua volta sul pontile umido, a gambe incrociate.
«D'accordo» acconsente al vuoto, senza riuscire a smettere di fissare il suo vecchio compagno. «Da quant'è che sei qui, tu?»
Di nuovo, Sasuke non risponde, tutto teso e accartocciato, ma con quel contegno ostinato che gli impedisce di chinare troppo le spalle o di farsi vedere in viso. Naruto sospira, a disagio.
«Sai dove siamo, almeno?» domanda ancora, senza particolari aspettative. Che difatti vengono deluse da un silenzio tombale.
«Sasuke» ricomincia, ansioso. Tende una mano perché agisce di istinto: è come quando, tra lui e Haku, Sasuke stava cadendo, e Naruto non aveva potuto fare nient'altro che prenderlo. Nel vorticare di percezioni nebulose perse nel chakra rosso, quello che ricorda meglio di qualsiasi altra cosa è proprio la sensazione del corpo di Sasuke – tiepido e ancora vivo – contro le sue mani fredde, e le ginocchia doloranti premute sul pavimento gelido.
Lui e Sasuke si sono sempre toccati a pugni e pedate, si sono dati un sacco di botte, per scherzo e sul serio; ma da quella volta Naruto ha continuamente avvertito uno strano, inesplicabile bisogno di tirarselo addosso, di stargli attorno per assicurarsi che fosse ancora tiepido e vivo, invece che freddo come gli specchi ghiacciati di Haku – come aveva creduto che sarebbe diventato.
Tende una mano perché è lui ad averne bisogno: stende il gomito e allunga le dita, lo sguardo fisso sul viso in ombra del ragazzino e una necessità stordente che gli martella le tempie.
Gli sfiora appena una spalla, neanche il tempo di coprirla del tutto col palmo, e il pontile sparisce. Sparisce il lago, sparisce l'erba attorno, risucchiata nel nero.
Naruto, il braccio ancora teso, si ritrova di nuovo circondato dal nulla, sotto una sfera rossa di luce opalescente, enorme sulla sua testa.
Sgrana gli occhi e poi li assottiglia, alzandosi svelto e mettendosi istintivamente in guardia.
Ci sono profili di edifici, adesso, delineati in maniera innaturalmente netta sotto l'alone della luna, e poi sibili e fischi, tonfi.
«Che diavolo...» comincia il jinchuuriki, solo per lanciarsi a terra il momento seguente: un kunai gli è passato vicino all'orecchio, e lo sa che era un kunai, anche se non l'ha visto, e sa anche che tutto quel movimento attorno non è nulla di buono, che le ombre che vede cadere sono corpi, che quello che balugina a tratti sono lame e che quello che sta rannicchiato lì nel mezzo è Sasuke.
Tenta di rialzarsi e quasi inciampa l'istante successivo: non cade solo perché la forza di volontà ce l'ha pure nelle ginocchia, sia mai detto che le sue rotule abbiano l'indecenza di cedere quando c'è da andare a recuperare Sasuke, specialmente quando Sasuke ha otto anni ed è sulla traiettoria di un'ombra lunga che avanza a passi cadenzati, la katana sfoderata e due sharingan che rutilano nel nero puntati addosso come fari.
Tutto – suoni, odori, nero – passa in secondo piano in un unico turbinio indistinto e Naruto capisce che il suo corpo si è mosso da solo, quando si vede traslato direttamente tra Sasuke e la lama e l'unica cosa che avverte è la tensione dei suoi muscoli e il fischio sottile del metallo che fende l'aria.
Poi c'è uno schiocco, lo scintillio della katana che sparisce: Naruto riesce a cogliere solo una macchia nera sul nero tra lui e la spada, illogica e provvidenziale. L'istante successivo, la luna è spenta e il fondoschiena di Naruto impatta al suolo senza rumore.


È come aver chiuso gli occhi. No, il contrario: è come essersi svegliati. Spalancare le palpebre dopo un sogno particolarmente vivido e ritrovarsi al buio. Per un momento, Naruto è tentato di voltarsi a destra, in cerca della sua stupida sveglia a forma di rospo, quella con il quadrante fosforescente.
Non c'è nessuna sveglia, però, solo un palpito soffice come un'ala d'uccello nel rinnovato silenzio nero, qualcosa che la testa di Naruto decide di archiviare come un acufene, troppo preso dal tentativo di regolarizzare il respiro: ci prova solerte per ben due secondi, prima che il sangue gli risalga di nuovo alla testa.
«Sasuke!» sbraita, rischiando di crollare schiena a terra tutto da solo; prende a voltarsi attorno ossessivamente e tira un lungo, intenso sospiro di sollievo quando si accorge che Sasuke è proprio lì accanto, ancora rannicchiato su di sé. Se sia un bene o meno, Naruto è ancora un po' indeciso in merito. Si concede qualche lungo secondo per assicurarsi quantomeno che il bambino abbia tutti gli arti al loro posto e poi si passa una mano sulla nuca, voltando il capo: è a quel punto che vede il corvo.
Nel nero è visibile e invisibile, fatto di riflessi setosi sulle piume lisce, ma è chiaramente un corvo: s
ta su due zampe, davanti a lui, e lo guarda.
C'è una lunga pausa, in cui il jinchuuriki tira il fiato, i tratti del viso modellati in una delle sue migliori smorfie dubbiose.
«Tu che ci fai qui?» domanda, confuso.
«Pensavo ti sarebbe servito un aiuto» replica il corvo, tranquillo.
Naruto lo fissa e annuisce piano, il naso arricciato in un cipiglio compreso. Poi strabuzza gli occhi e salta in piedi, puntando un indice contro l'animale.
«No, un minuto, tu sei un corvo. I corvi non parlano!»
Il corvo non si scompone, zampetta un poco nella sua direzione senza produrre alcun suono. Ha uno strano luccichio negli occhi: sono rossi, i tomoe ben visibili nell'iride. Naruto sussulta, ma non si muove.
«Naruto kun» lo sorprende l'uccello con la sua voce bassa e calma, assolutamente umana. Schiocca il becco e si avvicina con un altro fruscio vellutato di ali che battono, per accomodarsi composto davanti ai piedi di Naruto, sotto il suo sguardo a metà tra l'imbesuito e il sospettoso. «Speravo non si arrivasse a questo punto, ma è andata così» sospira, con distacco venato da remoto rammarico. «Sasuke non ti ascolta». Solleva le ali e sistema le piume, prima di spiccare il volo e atterrare sulla spalla di Naruto.
Lui scosta il collo ma non si sottrae; ricambia lo sguardo sveglio dell'animale con un'occhiata scettica.
«Tu cosa... Insomma, sono morto sì o no?»
«Morto?» risponde il corvo, quasi lontanamente divertito. «No, non sei morto, e neanche Sasuke, questo è certo».
Il sospiro di sollievo non raggiunge le narici, ma le parole dell'animale hanno comunque il potere d'una colata di luce e calore in quel posto tanto buio e freddo. Naruto avverte l'oppressione disfarsi in volute leggere, lo stomaco gli si libera e la testa quasi si snebbia.
«Se non sono morto allora cos'è questa?» brontola, più presente a se stesso. «Una specie di illusione, o...»
«Sì e no» ribatte il corvo, criptico. «Mi spiace, ma non potrò aiutarti troppo. Già l'avervi salvato, prima» ammicca anche a Sasuke, ancora diligentemente immobile lì per terra, «mi ha comportato un'enorme perdita di chakra. Inoltre non ho il controllo di questo luogo, penso che nessuno ce l'abbia, ormai. E questo spiega anche perché esista un posto simile...» aggiunge in tono piano e meditabondo, lo sguardo perso a scrutare nel buio che li circonda, come stesse ragionando tra sé.
«Ooh, senti!» reagisce Naruto; agita le braccia e scaccia il corvo, esasperato. «Non ci sto capendo niente! L'unica cosa che ho capito è che non sono morto, ma se non sono morto allora devo uscire di qui! Non so se te ne sei accorto, ma là fuori si stava combattendo una guerra!»
Il corvo gli rifila un'occhiata incerta, come lo stesse valutando.
«Anche qui si sta combattendo una guerra, Naruto kun, da molto tempo. Se riuscirai a volgere le cose in tuo favore, ci sono buone speranze che anche la Quarta Guerra Ninja, perché ormai è di questo che si tratta, si risolva in modo più piacevole per tutti».
«Per tutti chi? Non sono stupido, eh, l'ho visto quello!» gli bercia contro il jinchuuriki, guardandolo dritto nello sharingan che gli riluce nell'iride. «Se sei un dannato pezzo di Madara o i Kami sanno cosa, io...»
«Non sei stupido, Naruto kun. Solo un poco impetuoso e talvolta disattento, ma suppongo che chiunque sarebbe confuso nella tua situazione».
Naruto lo fissa, interdetto. C'è qualcosa che non si incastra, qualcosa cui avrebbe dovuto pensare, qualcosa che è successa poco tempo prima, ma che poi Sasuke, Madara, la guerra hanno fatto scivolare giù, nel mucchio dei fatti gravi con l'etichetta ci penso dopo. Semplicemente, il dopo è arrivato prima del previsto.
«Sei Itachi... ?» barbuglia infine, basito.
«Itachi?» bofonchia dubbiosa una voce sottile, lì accanto.
Naruto e il corvo si voltano simultaneamente ad incrociare gli occhi di Sasuke, che spia circospetto da dietro le ciocche scure, il viso mezzo nascosto tra le braccia incrociate, come uno schizzo chiaro nel mare di nero.
«Sasuke» saluta il corvo, con un brillio vivido delle pupille, per poi lasciare la spalla di Naruto e appropinquarsi quasi dubbioso al bambino.
Sasuke tende la mano per accarezzarne le penne, le dita piccole che scorrono sul piumaggio lucido dell'uccello, e il mal di testa di Naruto diventa un cerchio stretto sulle tempie.
«Itachi? Uchiha Itachi?» articola, praticamente spalmato col sedere in terra. O quel che accidenti è.
Nessuno lo degna di una risposta e lui rimane lì, fermo come un brocco, ad assistere al ricongiungimento di un bambino – Sasuke. È Sasuke, quello – ed un corvo, che saltella quasi con trasporto fino a posarsi sulla spalla di lui, frettoloso come se avvertisse un'esigenza fisica.
«Dicevo: alle volte puoi apparire un poco lento, Naruto kun, ma resti comunque una brava persona» conferma Itachi, placido.
Naruto li fissa, Sasuke e Itachi, immersi in un nero senza senso davanti ai suoi occhi; fa per aprire bocca, formulare una domanda, ma sembra che il suo cervello sia stato preso e compresso contro la scatola cranica, sbattuto e spalmato diligentemente sulle pareti, a formare una gelatina di pensieri indistinguibili.
«Qualcuno mi spiega che accidenti sta succedendo?» prorompe infine, querulo. «Io non ci sto capendo niente!» e lo grida in alto, sperando quasi di vedersi piovere una risposta giù, direttamente in testa.
L'unica cosa che gli piove in testa è il corvo – Itachi – assieme allo «ssh!» irruento di Sasuke, e le sue mani – sono decisamente piccole, ma sono proprio quelle di Sasuke – che lo strattonano in ammonimento, per zittirlo.
«Se urli, ti sentirà» rimbrotta, con rimprovero.
Il jinchuuriki solleva le sopracciglia e si guarda attorno a sua volta.
«Chi?» chiede, confuso oltre ogni dire, ma persuaso ad abbassare il tono.
«Non credo possa sentirci» interviene il corvo, dal suo nido tra i capelli di Naruto. «Ve l'ho detto: questa zona è fuori dal suo controllo. Anzi, sembra stia risucchiando tutto».
Naruto, spazientito, scaccia la bestiaccia per l'ennesima volta.
«Senti un po', corvo parlante, Itachi o chiunque diavolo tu sia» brontola, guardando scoraggiato l'animale che si va a posare tranquillo sul braccio che Sasuke gli offre. «Adesso mi spiegate per bene dove siamo, voi due. Non sopporto che facciate comunella» s'imbroncia il jinchuuriki, offeso.
Il corvo sospira, prima di voltare il capo all'indirizzo di Sasuke.
«Non è ovvio, Naruto kun?» spiega, senza alcun tipo di superiorità o scherno sottesi. Si sporge dalla sua fronte e lo guarda così, a testa in giù, indicando poi dinanzi a sé con uno scatto breve del becco. «Siamo nella
sua testa».
Gli occhi di Naruto si spalancano, la sua bocca emette un
oh tondo e sordo, mentre le pupille scorrono sul Sasuke che ha davanti, fino a fermarsi sul nero cupo dei suoi occhi, più nero del buio che li circonda.
«Ah, beh. Ecco perché è un posto così sinistro» conclude, sconfortato.


Non c'è un posto dove andare e non sembra che il genio di Uchiha Itachi sia in grado di offrire un qualche tipo di soluzione.
«Te l'ho detto, non dipende da me» sta spiegando, adagiato comodamente in grembo a Sasuke. «Io ho potuto solo permetterti di venire qui, era la mia ultima carta. Ormai non ho abbastanza chakra neppure per acquisire una forma diversa da questa».
Lo sbuffo di Naruto risuona sotto la cappa di nero.
«Ma allora a che serve? Che razza di piano è? Non riesco a parlare con Sasuke quando ce l'ho davanti, figurati se posso riuscirci stando dentro la sua testa!»
Il becco di Itachi schiocca piano, come se il corvo stesse riordinando le idee. Ha la stessa espressione concentrata del maestro Iruka, quella che il chuunin adottava inconsciamente quando doveva cercare di farsi comprendere da una classe di dodicenni disattenti e cocciuti.
«Non è un piano, Naruto kun, è una scommessa» ammette pensoso, senza far caso all'occhiata sconcertata che l'altro gli rifila. «Una scommessa su di te, per l'esattezza. Prima di morire, era l'unica garanzia che potessi lasciare nel caso le cose volgessero al peggio e Sasuke si rivoltasse contro Konoha. Ovviamente, se qualcosa può andar male lo farà» aggiunge più piano, quasi tra sé, e Naruto si ritrova per un attimo, nonostante tutto, ad accusare un moto d'empatia nei suoi confronti.
«Puoi per una volta provare a parlare chiaro?» si riprende quasi immediatamente, ricordando di colpo che, comunque, tutta quella faccenda è proprio colpa di Itachi: lui e i suoi piani criptici comprensibili unicamente a se stesso. «Come ho fatto ad arrivare qui, e dov'è qui? Non rispondere “la sua testa”, perché non è chiaro lo stesso, eh!» ribadisce con decisione, guardando imbronciato Sasuke.
«Questo non è un luogo fisico, Naruto kun, dovresti averlo capito ormai» riprende Itachi, paziente nonostante l'occhiata perplessa che riceve in risposta. «In ogni persona esiste un luogo che non è un luogo. Puoi chiamarlo interiorità o mente, se preferisci: è il posto in cui si è quando si sogna, è quello che si può modificare con un genjutsu, e può essere reale quanto la realtà stessa. Tu puoi capirlo meglio di altri, poiché lo condividi con la creatura che risiede in te» continua, osservando Naruto portarsi una mano sulla pancia, in corrispondenza del sigillo della volpe.
«Quel posto...» borbotta lui, il pensiero rivolo ad alti cancelli e chakra rovente di rosso. E poi a Minato e a Kushina, la loro presenza tanto impalpabile quanto dolorosamente concreta. Ricorda il profumo di sua madre, Naruto, la consistenza soffice dei suoi capelli. «Credo d'aver capito» conclude, un po' più deciso, «ma come... ?»
«Quella volta nella foresta, quando ci siamo incontrati, ti ho regalato un po' del mio chakra. Questo chakra, per l'esattezza» spiega, riferito alla sua buffa forma di pennuto. «L'idea era di far in modo che reagisse ai miei occhi, nell'ipotesi che Sasuke... Beh, lo ha fatto» borbotta. Naruto fa per interromperlo di nuovo, impaziente di riuscire ad afferrare quantomeno un brandello di spiegazione, ma Itachi lo precede riprendendo a parlare più spedito, anche se sempre con quel tono piano da persona composta connaturato nel suo essere, persino nel suo chakra. «Ciò che è importante che tu sappia è che se anche è stato il mio genjutsu a consentirti di venire qui, se è successo è perché Sasuke stesso te ne ha data l'occasione. Non vede più niente, ma vede te, Naruto kun» soffia, sembra quasi sorridere con gli occhi, mentre lo guarda fisso nelle pupille.
Naruto corruga le sopracciglia, imbronciato. Non è che sia chiara, la faccenda; ma neanche un po'. Si gratta la nuca, stanco, e si volta verso Sasuke, rimasto ubbidiente in silenzio con l'aria un po' annoiata, come quando in accademia Naruto lo scopriva a distrarsi immobile, gli occhi cupi fissi in un angolo. Al tempo lo detestava, cercava di costringere Iruka a rimproverarlo: peccato che, disattento o meno, Sasuke conoscesse comunque la risposta a qualsiasi domanda.
L'idea gli pare ovvia, a quel punto, ed è quasi tentato di inveire contro Itachi perché non ci ha pensato prima.
«Forse tu non potrai fare niente, ma lui sì che può!» salta su eccitato, ammiccando a Sasuke. Sorride e si china di nuovo alla sua altezza, mettendogli le mani sulle spalle.
Lui spalanca gli occhi, restio come un gatto, e stringe Itachi tra le mani, le dita affondate tra le piume nere.
«Lasciami» brontola, un po' petulante. Itachi sfugge dalla sua presa e va svelto a posarsi sulla testa di Naruto.
«Ti sbagli Naruto kun. Anzi, il fatto che lui sia qui...»
«Lui mi ci ha messo» interviene Sasuke, rigido. Sotto le mani di Naruto le sue spalle sono sottili e pensare che è sempre stato un po' più lungo di lui e invece ritrovarselo così, che gli arriva nemmeno al gomito, con gli occhi neri spaventati e un'espressione grave eppure insieme molto bambina, fa uno strano effetto, rimescola lo stomaco.
«Chi?» lo interroga nuovamente il jinchuuriki, scuotendo il capo per liberarsi di Itachi. «Chi, Sasuke?»
Lui lo guarda – lo guarda davvero per la prima volta – e Naruto si sente seriamente impotente. Che dovrebbe farci con un Sasuke di otto anni che lo fissa dabbasso, come si aspettasse qualcosa da lui? L'eroe di Konoha si sente molto poco eroico, al momento. Confuso, imbastisce una smorfia che pretende d'essere rassicurante, ma Sasuke si è già ritirato dietro l'ombra dei capelli.
«Mi ha messo qui e non so più uscire, non posso fare niente. Non posso mai fare niente» mormora, con rabbia.
A quel punto succede qualcosa.
Naruto avverte il cambiamento alle sue spalle: rossa, enorme, nel mezzo del nero è ricomparsa la luna.
Per un momento gela sul posto, incapace di voltarsi, poi fa l'unica cosa che gli venga in mente di fare: afferrare un polso di Sasuke e stringerselo addosso.
Vorrebbe imprecare, o mettersi in guardia in attesa dell'ombra – sa che sta arrivando – ma qualcosa nel tremore incontrollato del bambino gli suggerisce che è meglio evitare, restare immobili così. Istintivamente i suoi occhi vagano alla ricerca di piume nere – Itachi, checché ne dica, sembra l'unico ad avere un dannato quadro della situazione e se ne avrà l'occasione glielo farà sputare a furia di piume strappate, avrebbe già dovuto farlo – ma il corvo atterra nuovamente sulla sua testa, zitto e vigile.
«Credo di averti cacciato in un bel guaio, Naruto kun» sussurra solo, mesto, ma con lo sguardo rivolto ai capelli scompigliati di Sasuke, alle sue mani strette sulla tuta arancione del jinchuuriki. Poi torna su Naruto che, teso, ha inutilmente cercato di allungare le dita al portashuriken, solo per ricordare che di shuriken non ne ha più. «Ma sono quasi del tutto certo che se non ti ci avessi ficcato io, avresti trovato un modo per riuscirci anche da solo» prosegue Itachi, col suo tono perennemente pacato. Naruto distoglie lo sguardo dal proliferare di ombre su ombre – di nuovo rumori come di kunai, l'avanzare silenzioso di un'angoscia strisciante – e gli lancia una sguardo di sfida, oltre le ciocche di capelli spettinati.
«Io non ho capito che diavolo devo fare, Itachi» fa deciso, rivolto alla testa del corvo, che lo guarda a testa in giù, abbarbicato sulla sua stessa fronte. «Ma se pensi che questa cosa possa servire ad aiutare Sasuke, allora okay, io ci sto. Te l'ho già detto quella volta, per me-»
«Sasuke è un fratello più di quanto non lo sia per me?» conclude Itachi morbido, scendendo ad appollaiarsi a terra, per guardarlo meglio. «È probabile, Naruto kun. Amico, fratello... Le definizioni sono cosa sciocca, specie quando riguardano un sentimento. Sii per Sasuke ciò che credi sia giusto essere, l'unica cosa che ti chiedo è di esserci, e so che non mi deluderai».
Naruto non ritiene di dover annuire, i sensi raccolti nell'ora perfettamente udibile sibilare di kunai e fendenti menati, tonfi brevi di corpi che impattano al suolo; c'è odore di ruggine, acre di sangue. Si ritrova a chiudere gli occhi e stritolare Sasuke fino a desiderare di inglobarlo, perché non debba vedere e sentire, mai più.
«Come ti pare» mugghia, stizzito dall'ennesima risposta criptica. «Adesso però posso sapere cosa dovrei fare?» si ritrova a ringhiare, all'indirizzo di Itachi. È colpa sua, tutto quello: è lui che per primo ha messo quelle cose in quella testa e Naruto, il respiro umido di Sasuke contro il petto, per un momento si scopre ad odiarlo con violenza cieca, irrazionale ed assoluta; perde il controllo di colpo, furente, e sbraita: «smettila, piantala subito dannazione!» non precisamente contro il corvo, quanto piuttosto contro tutto quel nero viscido e freddo, contro quella dannata luna immobile.
Itachi, praticamente sospeso davanti ai suoi occhi nell'uragano di ombre fruscianti e rumori di morte, lo fissa.
«Mi dispiace» dice, definitivo; il tono è così sincero che Naruto quasi si imbestialisce di più. Non può essere rammaricato, Itachi: non adesso, non lì, non mentre la sua ombra spezza la famiglia del suo migliore amico – suo fratello, Sasuke – in un loop infinito sotto la luna rossa.
Proprio quando sta per gridare ancora contro Itachi, una katana lo precede, la lama vibra di scatto, spuntata dal nulla; Naruto pensa di scansarsi, ma il colpo non era diretto a lui: ha giusto il tempo di cogliere un refolo d'aria vuota, quasi uno sbuffo, prima che Itachi sparisca, lasciando solo bioccoli di piume nere che ricadono lentamente a terra, planando. Il jinchuuriki stringe i denti e spalanca le palpebre, scosso, gli occhi puntati contro la lama. Schiva il fendente successivo senza emettere un fiato, trascinando Sasuke con sé. Si raddrizza subito, pronto a dare battaglia contro l'ombra alta che avanza nella loro direzione. È alta, l'ombra, sì. Ma non è alta quanto Itachi.
Già pronto a moltiplicarsi e a scagliarsi contro l'avversario, in un momento Naruto registra dettagli che non tornano; sbarra gli occhi davanti a profili di edifici familiari che prima aveva associato istintivamente a quelli del vecchio quartiere degli Uchiha, sbagliando: quella è Konoha, sotto la luna rossa, e quella che c'è ora davanti ai suoi occhi è Sakura.
«No» emette, strozzato; ma gli occhi di Sakura sono già opachi, il sangue le cola a rivoli dalle labbra e dallo squarcio che dalla schiena si apre in fiotti rossi sul petto. È una bambola di pezza, quando scivola giù, la spada sfilata dal corpo, e si accascia crollando al suolo piano, quasi adagiandosi.
Lo sguardo incredulo di Naruto segue il luccichio vibrante dell'arma, percorre il braccio e si ferma sull'ombra nera che l'impugna: e, no, non è Itachi. Non dipende da lui, Itachi c'entra tutto e non c'entra più niente.
A terra, Naruto sente lo stomaco annodarsi stretto e la gola bruciare.
È Sasuke, quello, gli sharingan come due chiazze di sangue vivo negli occhi e nel buio un'espressione che non è neanche un'espressione. Non è umana, quella è Sakura, e intorno gli altri corpi Naruto può riconoscerli uno ad uno. Ci sono Kakashi e Tsunade, Shikamaru, Neji, Kiba, Chouji. Ci sono tutti: Ino, Lee, Hinata, tanti, morti.
Sasuke si avvicina, la katana sporca e il sangue sul viso; gli punta la lama ad un centimetro dal naso.
«Che diavolo stai facendo?» esala Naruto, sconvolto. C'è il cadavere di Sakura, lì. Qualsiasi cosa Itachi vuole che lui faccia, qualunque sia il senso, quello è il cadavere di Sakura.
«Quello che è giusto. Manchi solo tu» conclude Sasuke, gelido. Sembra non aver neanche fatto caso all'altro Sasuke, il bambino che Naruto ancora tiene stretto a sé.
«Questo è folle, tu... È davvero questo che vuoi?» domanda il jinchuuriki, caparbio. Non sa cosa può succedere, se possa veramente morire, lì dov'è. Ma c'è Sasuke davanti a lui, e se può essere un'occasione per farlo ragionare allora sì, va bene, la sfrutterà.
«Quello che voglio è giustizia. Konoha ridotta in ginocchio, tu ridotto in ginocchio».
«Nah! Stronzate!» Naruto si alza di scatto, lasciando che Sasuke, quello piccolo, stia stretto dietro di lui, al riparo. Gonfia le spalle bellicoso e avverte prepotente il chakra denso come lava fluirgli nelle vene. Probabilmente ha gli occhi rossi, sente le zanne premere sulle gengive. «Non può essere questo quello che vuoi! Tu non... Questo non sei tu!» sputa, aggressivo.
La risata in risposta fa gelare il sangue, il capo inclinato di Sasuke, il collo teso... sembra pazzo, lo è. Quello non è Sasuke.
«E chi sono io, Naruto? Dimmelo, visto che sai tutto» lo deride il nukenin, algido. «Chi sarei, io, quello lì? Quella ridicola cosa singhiozzante, quella specie di patetico, disgustoso bozzolo di inutilità?» ammicca eloquente al Sasuke di otto anni chino dietro il jinchuuriki. Lui mormora «smettila, smettila, basta» come una nenia, sembra una bambola rotta.
«No, smettila tu» riprende Sasuke – il pazzo – feroce. In un istante leva la lama e fa per abbatterla direttamente sul più piccolo: Naruto si getta a bloccargli il polso con un urlo che pare più un ringhio. Non c'è alcuno strato del demone attorno a lui, ma si sente bruciare, mentre si scaglia addosso all'altro e lo butta a terra, in un impeto tutto istintivo.
Cadono entrambi e, quando i loro occhi si incontrano – quelli di Sasuke ora privi di Sharingan – , Naruto semplicemente tira il compagno per il bavero e gli assesta una sonora craniata, gridando «che diavolo credi di fare?», con violenza.
Di colpo, nel dolore sordo sulla fronte e lo scintillio brulicante che compare nel suo campo visivo, la luna rossa sparisce; le ombre di Konoha, i cadaveri, l'odore di sangue: tutto torna buio e nulla.
Naruto quasi non se ne accorge, sta per inveire ancora contro Sasuke, prenderlo a pugni finché non rinsavirà – perché deve rinsavire: quello non è Sasuke, è uno psicopatico che si è impossessato del corpo del suo migliore amico e Naruto non ha alcuna intenzione di lasciargli fare i porci comodi suoi, non finché lui avrà fiato per impedirlo –, quando si rende conto che quello sotto di lui non è più Sasuke.
O meglio, lo è, ma non quel Sasuke.
«Razza di usuratonkachi» sibila un Sasuke di dodici anni, mezzo soffocato dalla sua stretta e dolorante.
Naruto semplicemente resta così, la bocca aperta in un'espressione di vacua sorpresa e gli occhi spalancati a pochi centimetri dal viso dell'altro, incredulo.
È su un prato, adesso. Un prato polveroso e maltrattato, ma verde di erba corta e cespugli e sotto di lui, con le iridi scure e le ciocche corvine spettinate su un coprifonte lucido, c'è Sasuke.
Sasuke bizzoso, sprezzante, arrogante: tredici anni di altera cupezza, un usuratonkachi sempre a fior di labbra e due occhi attenti sotto sopracciglia costantemente rigide. Il suo migliore amico, quello pronto a schernirlo in ogni occasione, ma senza togliergli gli occhi di dosso; quello testardo, competitivo fino allo stremo – vomitare ai lati di un tavolo, chi arriva primo sulla cima dell'albero, voglio combattere anche con te –, quello che intuisce con una sola occhiata e regge il gioco, quello che riconosce il tuo valore perché ci crede davvero, quello che è amico, fratello, famiglia – tutto – tutto insieme.
Questo è Sasuke.


Il prato procede a chiazze disuguali tra zone brulle, massi e alberi che si infittiscono d'intorno; ci sono il monumento ai caduti, la bandiera appesa pesante all'asta e, nel mezzo, i tre tronchi. Se si resta in silenzio abbastanza a lungo, si può sentire un tintinnio lontanissimo di campanelli.
Naruto, seduto schiena contro il tronco centrale – il suo tronco – fissa Sasuke con sguardo vacuo. Sta lì in piedi, le mani in tasca e gli occhi duri; sta lì in piedi e Naruto, a parte l'effettiva stanchezza, si è seduto proprio per quello: non riesce a guardarlo dalla sua statura attuale, dall'alto dei suoi sedici anni contro i tredici dell'altro.
Sono stati davvero piccoli, lui e Sasuke, e fa strano: si credevano già grandi e invece eccolo, sembra meno maturo di Konohamaru, adesso.
L'eroe di Konoha sospira, distrutto. Scompiglia rassicurante i capelli all'altro Sasuke, ma quello non sembra particolarmente disposto a comunicare: sta solo lì, seduto ad un palmo da lui, accartocciato su di sé.
«Ehi, Sasuke» si decide a chiamare, paziente. È quasi tentato di battersi una mano contro la fronte, quando entrambi i Sasuke inclinano di poco la testa per degnarlo d'attenzione: il mal di testa gli si intensifica tanto da regalargli una scudisciata di nausea dritta all'imboccatura dello stomaco. Trae un sospiro e si volta verso il Sasuke più grande, cacciando aria dal naso.
«Che c'è?» abbaia quello, scontroso e apertamente seccato.
Il jinchuuriki si gratta la testa, inesplicabilmente tranquillizzato da quel tono che conosce bene e per questo sostanzialmente deliziato dallo sgarbo.
«Tu sei stato qui tutto il tempo?» domanda, senza seguire alcun particolare nesso logico.
«Lui mi ha spinto giù» spiega Sasuke, concedendogli giusto uno spicchio di profilo e calcando eloquente sul pronome. «Dopo aver ucciso Itachi, ha cominciato a spingermi sempre più giù. L'ultima volta è stata quando ho visto Danzou, poi sono finito qui e non sono più riuscito ad uscire. Era buio, prima che arrivassi tu» borbotta senza particolare trasporto, rivolto verso l'acqua del fiume che ristagna innaturalmente immobile sotto il cielo nero.
Naruto vi si sofferma a sua volta, corrucciato: lui in quel fiume c'è crollato dentro i primi cinque minuti della prova, anni luce fa, quando Kakashi si mostrò per la prima volta come il sensei superscemo che intimamente resta, lui e la sua stupida tecnica del Dolore Millenario. Poi sussulta, realizzando solo in quel momento la bizzarria di quel che ha detto Sasuke.
«Ma è buio, qui. Perché ci vediamo comunque? Io non ho fatto niente» commenta, perplesso.
Sasuke, le mani nelle tasche, si volta finalmente del tutto verso di lui.
«Sarà che sei schifosamente arancione, che vuoi che ne sappia?» butta lì, stringendosi brevemente nelle spalle, a sottolineare il suo totale disinteresse per una questione tanto futile
solo un idiota come lui potrebbe fare considerazioni tanto cretine, che usuratonkachi. Naruto si lascia sfuggire uno sbuffo divertito, gli occhi che brillano, gli sembra di leggergli nel pensiero: è proprio così, Sasuke. Ce l'ha stampato nella retina e anche se non ha la più vaga idea di come uscire da lì, per un attimo si sente contento di una felicità scoppiettante, inesplicabilmente eccitato e confuso come ogni volta che ha a che fare con lui, da sempre.
«Smettila di fissarmi come un mammalucco, usuratonkachi» intima il ragazzino, riottoso e arrogante. «Possibile che tu sia venuto qui senza uno straccio di piano? È proprio da te».
Usuratonkachi, che bella parola. Dannato Sasuke, vecchio bastardo, gli ha mandato il cervello in pappa; ha ragione Sakura, ha ragione Sai, hanno ragione tutti, ma questo è Sasuke. Usuratonkachi. Non riesce a sembrargli un insulto, non riesce ad arrabbiarsi, Naruto. Non ci riesce.
«Piano?» si riprende, scuotendo la testa, i capelli arruffati. «Pensavo di provare a...» lanciare qualche Rasengan, così per vedere che succede, sta per dire; fortunatamente mentre formula il pensiero rileva da solo la stupidità dell'idea. «Devo cercare Sasuke, suppongo. Beh, non Sasuke tu... Neanche tu!» aggiunge, quando il bambino gli rivolge un'occhiata dubbiosa. Naruto chiude gli occhi e cede, schiaffandosi una mano in fronte. «D'accordo, d'accordo» borbotta tra sé, prima di decidersi ad alzarsi con uno scricchiolio di vertebre.
Si sente tirare subito dopo per un lembo della felpa, e quando abbassa lo sguardo, due occhi serissimi lo scrutano dabbasso, quasi accusatori.
«Resta qui» ordina il bambino, bizzoso. Naruto fa per aprire la bocca e rispondere qualcosa – non sa neanche lui bene cosa –, ma l'altro Sasuke lo precede, il capo inclinato e l'aria distaccata.
«Ha ragione, tanto non puoi fare niente».
Le sopracciglia di Sasuke si sollevano impercettibilmente, quando Naruto gli rivolge uno sguardo incrollabile di azzurro pulito.
«Ehi, ormai sono in campo!» declama, in una risata che si guadagna subito due paia di occhiate tra il preoccupato e lo scettico. «Lasciate... lasciate fare a me, non c'è nulla di cui preoccuparsi. Insomma, capisco che quel Sasuke lì sia, beh...»
«Matto da legare?» propone l'adolescente neutro, dando prova di lodevole obiettività. «Non che questo sia meglio, poi» continua, ammiccando seccato al ragazzino più piccolo.
«Possibile che ce l'abbiate tutti con lui?» sbuffa protettivo Naruto, piazzandogli impacciato una mano sulla testa. Quello si scosta, ma le sue dita restano avvinghiate alla felpa; l'altro Sasuke alza gli occhi al cielo nero, in una solenne espressione di sufficienza.
«È debole, non sa fare altro che frignare» sentenzia, con crudele semplicità. «Lui l'ha spinto giù, ma so che lo sente piangere. È impossibile non sentirlo, è davvero irritante».
«Questo non va bene» pondera Naruto, a voce alta, osservando il bambino borbottare qualcosa di indefinito e chinare il capo, chiaramente in colpa. «Voi dovreste andare d'accordo. Cioè, voi siete la stessa persona, quindi... Dei» sospira infine, devastato. «Io farò tutto quello che posso, e non perché me lo ha chiesto Itachi. Io farò tutto quello che posso» ripete. «Ma prima devo capire cosa ti... Cosa vi serve» si corregge, guardando dall'uno all'altro.
«Io voglio tornare a casa» si lascia sfuggire il Sasuke di otto anni, serioso. Tira su col naso e l'altro Sasuke incrocia le braccia, infastidito.
«E io voglio che me lo togli da davanti, è irritante» ripete, con altero distacco.
Il mal di testa di Naruto torna a pizzicare con virulenza nelle tempie, costringendolo a serrare gli occhi per un momento.
Sasuke Sasuke Sasuke. C'è così tanto Sasuke dopo anni di niente – e di tutto nella sua mente, nelle sue viscere – che rischia di diventare matto.
«Sasuke» comincia, avanzando con decisione. Avverte solo distrattamente le dita del piccolo Sasuke staccarsi con riluttanza dalla tuta, gli occhi puntati duramente contro l'altro, il Sasuke che lui conosce, quello con cui si può rapportare davvero senza errori, il Sasuke della squadra sette, il suo Sasuke. Lui indietreggia quasi, lo guarda rigido e sulla difensiva.
«Che diamine vuoi?» fa a tempo a sputare, quando Naruto ormai è solo ad un passo di distanza e gli ha già afferrato le spalle, per impedire che si allontani. Resta per un attimo sconcertato, impossibilitato a spostarsi e con la faccia del jinchuuriki, che si è chinato per stare alla sua altezza, a meno di qualche centimetro dal naso.
Sasuke deglutisce. Naruto non sbatte neanche le palpebre, le sopracciglia strette in un'espressione grave.
«Voglio che torni a essere te» sillaba, aumentando la stretta. «Rivoglio... Voglio solo che torni ad essere te, che noi... Che tutto torni come prima».
Gli occhi sgranati di Sasuke lo fissano disorientati, come fosse impazzito; Naruto stesso non si sente poi così sano.
«Idiota, io non-»
«Ma devi volerlo anche tu. Per favore, te lo chiedo per favore» ed è un ringhio da animale ferito, più che una richiesta; Naruto scruta gli occhi dell'altro, ma lo scopre a guardare altrove, oltre la sua spalla, con un'espressione indecifrabile. Si volta e quasi lascia la presa per lo stupore.
Ci sono tre ragazzini, accanto ai tronchi. Tre ragazzini di dodici anni stupidamente chiassosi, che si credono già grandi. Naruto guarda se stesso, basso, sempre drammaticamente arancione, uguale a com'è oggi, eppure infinitamente diverso. Legato al tronco di mezzo, scalcia e sbraita. Esterrefatto, torna a Sasuke per chiedere spiegazioni, ma lui sta seguendo la scena – il ricordo – con espressione assorta e dura, quasi gli provocasse un dolore fisico.
«Te lo ricordi» commenta Naruto, avvertendo di colpo lo stesso peso nello stomaco – quanto tempo è passato, come hanno fatto a cambiare tanto?
, quando un bento mezzo mangiucchiato si avvicina al suo alter ego dodicenne. Ricorda la mano di Sasuke, sotto quel bento, il suo profilo e la sua espressione noncurante, quel «tieni, digiuno mi saresti solo di intralcio» arrogante sì, ma non freddo, no, il contrario: c'è un certo sbrigativo impaccio, una gentilezza rude eppure calda, caldissima.
Non serve rivedere la scena lì: ce l'ha incisa nella memoria come una cicatrice, Naruto. Sono tre anni e mezzo che brucia e sanguina.
«Te lo ricordi» ripete, rauco. Distoglie lo sguardo, quasi sorridendo, ma fa appena in tempo a voltarsi che delle nocche impattano contro la sua mascella e tutto il suo corpo finisce spintonato indietro sull'erba, ruzzolando.
Macchie rosse entrano per qualche momento nel suo campo visivo, mentre riacquista le sensibilità della faccia e, con essa, lo raggiunge il dolore acuto e stordente. I pugni di Sasuke fanno un male cane, ricorda anche questo perfettamente, non appena la testa gli si snebbia e il dolore si affievolisce abbastanza da consentirgli di percepire il terreno sotto la schiena e i gomiti. Vi si puntella col destro, passandosi l'altra mano sotto il mento, dov'è corso un rivolo sottile di sangue.
«Che accidenti ti è preso?!»
«Sta' zitto, imbecille» sibila Sasuke, davanti a lui, col braccio ancora sospeso a mezz'aria, come si fosse mosso fuori dalla sua volontà. «Tu... Ti odio, maledizione» sputa, accusatorio. «Arrivi e credi di sapere tutto, sempre, di poter aggiustare tutto. Sbraiti e pretendi che tutto giri come va a te, che tutti si pieghino ai tuoi desideri, ai tuoi stupidi sogni!» incalza, in tono sempre più rabbioso. Naruto, fa per replicare, ancora steso per metà, ma Sasuke lo zittisce con un gesto secco della mano, prima di sorridere, amaro e sprezzante. «Ed è perché sei un egoista, Uzumaki Naruto. Un dannato, maledetto egoista».
«Io! Io sono l'egoista!» sbotta il jinchuuriki, di nuovo in piedi, a fronteggiare con ira un ragazzino alto a stento due terzi di lui. «Tu te ne sei andato! Non io, Sasuke, tu!»
«Dannazione, Naruto, cosa avrei dovuto fare?» gli grida contro, ormai completamente fuori controllo. «È anche colpa tua! Tu e il tuo attaccamento morboso, tu e la tua fissazione dei legami! Hai dovuto rendere tutto quanto più difficile!»

Naruto abbozza, scosso. Non si era neanche accorto d'essersi di nuovo avvicinato tanto. Stringe i denti, ferito.
«È così, allora? Un impedimento?» constata, la gola stretta. «Sono stato solo un impedimento ai tuoi grandi piani di vendetta? E per cosa, poi?»
Sasuke stringe le palpebre, furente.
«Sta' zitto, Naruto, ti avverto...»
«Guardala ora, la tua vendetta! Cosa ci hai guadagnato?»
«Dannazione, sta' zitto!»
Stavolta Naruto blocca il pugno senza troppe difficoltà, immobilizzando poi Sasuke per evitare il calcio successivo. Il ragazzino ansima contro di lui, furibondo, e il jinchuuriki lo osserva dall'alto, il viso tirato in un'espressione fosca.
«È proprio questo che intendo» riprende Sasuke, dopo una breve stasi, senza alzare il capo. «Tu pensi di capire tutto, quando in realtà capisci solo quello che vuoi capire» formula, il tono ora controllato. «Decidi tu quale sia il bene per gli altri, e guarda caso quel bene coincide sempre con il tuo. Sei solamente un egoista, Naruto».
«No, non solo» mormora lui; il polso che teneva bloccato tra le dita è rimasto lì, ma morbido; nessuno dei due sta più usando alcuna energia, più che altro stanno fermi, appoggiati l'uno contro l'altro. «Non sono solamente un egoista, sono anche il tuo migliore amico».
Non c'è alcun sussulto da parte di Sasuke; Naruto può sentire il suo respiro regolare all'altezza del petto, dove il suo cuore batte piano, cadenzato.
«L'hai detto tu» ribadisce il jinchuuriki, mansueto. «Tu mi hai offerto il pranzo, quel giorno, durante la prova. Tu mi hai trascinato a casa, dopo ci eravamo allenati con il chakra, nel paese delle Onde, tu mi sei venuto a cercare la mattina dopo, tu... tu, contro Haku-»
«Stronzate» lo interrompe Sasuke; si scosta rapidamente, assestandogli una spintarella per mettere distanza, ma piano, senza intenti battaglieri. «È passato, Naruto. Sono ricordi, non servono a niente».
«Però ci sono, guarda, dannazione!» lo scuote, costringendolo ad alzare il capo. Attorno a loro, in un turbinio fumoso, macchie di alberi alti dal tronco sfregiato, specchi ghiacciati e sangue, un grande ponte, l'Ichiraku ramen in cui Sasuke odiava andare ma in cui Sasuke di tanto in tanto veniva comunque; ci sono capelli rosa e luce di occhi verdi, sorrisi mascherati sotto improponibili chiome argentate, nascosti discreti dietro libri sconci. E arancione, arancione ovunque, a chiazze disuguali esplose come un fuoco d'artificio, frammenti incastrati in ogni angolo che brillano, nonostante il cielo nero.
Sasuke si guarda attorno come fosse seriamente convinto di non essere nella sua testa, ma in quella di qualcun altro, con ricordi altrui.
«Ci sono» ripete Naruto, stavolta sorridendo – c'è un gatto da recuperare, c'è pescare nella foresta della morte, c'è aspettare Kakashi per ore infinite
, «ci sono e restano, non si possono buttare via».
Si possono spingere in fondo, però, questo Naruto lo capisce: si possono spingere in fondo finché non resta solo nero denso e freddo, a mangiare via tutto.
Il silenzio di Sasuke non lo impensierisce, ne osserva l'espressione tra il basito e l'assorto, mentre riscopre ricordi perduti e li accetta come suoi dopo anni.
«Io sono il tuo miglio-» comincia dopo un poco Naruto, interrompendosi però prima ancora di finire. È il migliore amico di Sasuke, lui, no? E Sasuke è il suo. È questo che sono, migliori amici, eppure sembra stretto. L'eroe di Konoha ricomincia, stavolta puntando deciso lo sguardo negli occhi dell'altro.
«Tu sei importante» stabilisce semplicemente, sentendosi più a suo agio e contemporaneamente più a disagio con la nuova scelta di parole. Deglutisce. «Tu sei il più importante. Farei qualsiasi cosa per te, lo sai. Permettimi di farlo, permettimi di aiutarti».
Le sopracciglia di Sasuke si irrigidiscono e la bocca le segue, disegnando una smorfia amara, ma le pupille restano fisse in quelle di Naruto, contratte e attente.
«Quando...» comincia, titubante. «Quando è successo che sia diventato io, quello che ha bisogno di aiuto?»
Dopo un breve silenzio perplesso, Naruto ricambia lo sguardo senza vacillare, solo stringendosi nelle spalle.
«Tutti quanti abbiamo bisogno di una mano, di tanto in tanto. Non c'è niente di male».
Sasuke lo studia per un lungo momento, indignato alla sola idea. Attorno è tornato tutto nero, il Sasuke ottenne sta seduto in silenzio e li fissa come avesse paura di finire coinvolto nella loro presunta rissa.
Naruto attende nervoso, indeciso se aspettarsi un nuovo pugno o cosa, ma Sasuke sta studiando inquieto lui, il nero d'intorno, l'altro Sasuke. Combattuto, distoglie lo sguardo e il capo quel tanto che basti a nascondere il viso, troppo rigido perché non sembri un gesto studiato. «Tch» emette, senza spregio; solo tanta, tanta stanchezza.

L'eroe di Konoha, in alto, si concede un sorriso fiducioso.


L'acqua del fiume lambisce la sponda senza emettere suono, si allunga e si ritrae meccanicamente, come inchiostro denso; non si vede il fondo: probabilmente non c'è.
Sasuke, otto anni e un'espressione corrucciata di sincera preoccupazione, la fissa a distanza di sicurezza, tenendosi sull'argine. Poco più avanti, l'eroe di Konoha se ne sta invece praticamente sul limite e ci guarda dentro con una certa aspettativa.
Non c'è un posto dove andare, ma se vuole davvero parlare con Sasuke, può solo cercarlo giù, più giù, dove il nero è più nero.
«Bene, allora vado» proclama Naruto, ostentando sicurezza, le mani sui fianchi di fronte alla distesa buia. Aveva pensato di buttar via sandali e indumenti, prima di tuffarsi, ma l'occhiata di solenne sufficienza che Sasuke – quello di tredici anni – gli ha lanciato dopo che lui aveva fatto in tempo giusto a tirare giù la zip della tuta, gli ha fatto capire che doveva essere una precauzione inutile.
«Tu sei completamente idiota» ripete Sasuke, per l'ennesima volta e con crescente preoccupazione a partire da venti minuti prima, quando ha dovuto spiegare la faccenda, non senza notevoli insistenze da parte di Naruto. Non è propriamente un piano, quello, ma ci sono poche alternative al momento.
«Andrà tutto bene» replica il jinchuuriki, rivolto anche e soprattutto al Sasuke più piccolo, che lo scruta come fosse già un cadavere. «Lo trovo, lo stendo e beh, poi vedremo quel che succederà» conclude allegro, fallendo miseramente in qualsiasi tentativo di rassicurazione: gli occhi del bambino lo guardano spauriti, l'adolescente invece emette un gemito basso e stringe il ponte nasale tra pollice ed indice per un lungo secondo, stressato.
«Vedi di non farti ammazzare, usuratonkachi» sibila, spiccio. Naruto si volta e ribatte con un sorriso incrollabile da eroe del Villaggio, roba da far capitolare anche una statua. Sasuke non capitola, ma contrae la mascella e borbotta qualche altro insulto colorito dei suoi; il jinchuuriki ridacchia.
«Non litigate mentre sono via, eh!» si ferma ad avvisare, indicando i due ragazzini con aria paterna, ed è ridicolo vederli alzare entrambi gli occhi al cielo, come riflessi in uno specchio deformante. Naruto li guarda e saluta, sollevando una mano e imprimendosi l'immagine per bene nella retina.
«A noi due» borbotta infine, guardando il fiume e sfregandosi le mani, consapevole delle due paia d'occhi neri che lo osservano a pochi passi di distanza. Andrà tutto bene, ripete a se stesso, staccando il piede dalla sicura solidità dell'argine e sbilanciandosi in avanti.
Non c'è alcun fondo: al primo passo è già caduto nel nero.


L'impatto è ghiaccio: freddo violento, così intenso da sembrare rovente.
Le orecchie, gli occhi, la bocca gli si riempiono di impossibile nero gelato, mentre il suo corpo precipita e il fiume si richiude sulla sua testa per metri e metri, senza che vi sia un fluido a frenare la caduta.
È impossibile lottare, scalciare è nient'altro che uno spreco di energie: niente si muove d'un millimetro ed è tutto così compatto, attorno, che si potrebbe pensare d'essere semplicemente sospesi nel nulla; ma Naruto sa si star precipitando: avverte ciò che è sopra farsi sempre più pesante, schiacciarlo e riempirlo senza scampo. Non si vede più, adesso, ed è molto, molto peggio di quando ha aperto gli occhi nel buio. Qui sono i suoi occhi ad essere buio, tutto è buio e lui stesso ne fa parte. Non sa più chi è: Naruto è solo una parola che gli vortica in testa, un insieme di sillabe senza suono o colore. Fa troppo freddo, brucia. È un precipitare senza scampo né appigli.
Sa di star scomparendo, sfilacciato e inglobato nel nulla, ma così come è consapevole del fatto, non può opporvisi né ricorda perché dovrebbe farlo: è quasi follemente piacevole, esaltante. Dissolversi e sparire, perdersi del tutto e dimenticare; non avverte neanche più il peso o il freddo, è lui stesso peso e freddo, non ha più un corpo per sentire dolore, una memoria per ricordare.
Ma c'è un rumore.
È un battere stento, un suono flebile dal ritmo malandato, come un orologio rotto.
Lo sente, sospeso com'è senza direzione, e sentendolo ricorda d'avere orecchie, e lui stesso un muscolo che batte forte, furioso contro le costole. Ha delle costole e un torace, ha gambe, braccia, piedi, mani, una testa che duole, due occhi e una bocca in cui il nero si è tuffato fino a soffocarlo.
Decide di muoverle, le braccia – quelle dannate braccia che non vede ma ci sono
, batte le gambe come stesse nuotando, spingendosi giù, facendosi strada nel nulla e avvertendo tra sé e il suo obiettivo – giù, più giù – una massa sempre più densa che gli preme contro, impedendogli i movimenti. Sotto le mani è come aria compressa, avverte bolle scoppiargli addosso ogni volta che azzarda un movimento.
Non sa cosa sia, quella smania ansiosa che lo sta convincendo a continuare così, sempre più febbrile nonostante il freddo lo stia soffocando, nonostante il su e il giù siano concetti ormai completamente privi di senso, finché nella sua mente confusa non prende forma un nome, che non è quel bizzarro Naruto di poco fa. No, ora ricorda: Naruto è lui – lui, Uzumaki Naruto eroe di Konoha e jinchuuriki del Kyuubi
, il nome che ha in mente, la persona che ha in mente è Sasuke.
Lo pensa e si accende.
Riconosce il suo braccio, la sua mano, le dita già tese davanti a lui – verso il basso, l'alto? Non c'è più alcun riferimento, nessuna direzione – e, oltre le dita, Sasuke.
Vicinissimo, immobile come sospeso. Naruto sgrana gli occhi, allunga la mano, si spinge verso di lui lottando con la bolla che lo allontana, senza distogliere lo sguardo dal viso – ha gli occhi chiusi – gli poggia il palmo sul petto. Il ticchettio dell'orologio rotto c'è ancora: Sasuke è vivo, lui l'ha sempre detto. Magari è un po' ammaccato, ma lì dentro, in quel mare di nero, Sasuke c'è ancora. Basta solo tirarlo fuori.
Il Chidori lo coglie del tutto impreparato: gli occhi di Sasuke, rossi, lo ghiacciano sul posto e Naruto viene preso in pieno, incapace di opporsi. Schizza lontano fendendo la massa di buio, il crepitio del chakra che stride gelido fuori e dentro.
Cozza contro un pavimento, sbattendo la schiena. Crede sia un pavimento, forse è un muro: ha nausea, la vista che scivola a tratti, tanto che la figura di Sasuke, che procede lentamente nella sua direzione, gli pare quasi svanire tra un battito di palpebra e l'altro.
Tossisce e prova a pronunciare il suo nome.
«Adesso basta» lo ignora lui, ormai a pochi passi. Il Chidori gli balugina sul palmo, lo sharingan gli brucia negli occhi.
Naruto, instabile sulle gambe, si pulisce il mento con la manica e ghigna.
«Se vuoi fare a botte, io ci sono sempre!»
Sasuke non risponde, continua ad avanzare e finalmente Naruto, dopo tutte le elucubrazioni di Itachi e mille questioni cervellotiche che poco capisce, sente di poter fare qualcosa che sa fare davvero. Le sopracciglia sono rigide e lo sguardo deciso, ma le labbra restano curvate all'insù, mentre carica il Rasengan.
«Riprendiamo da dove ci siamo interrotti?» domanda.
Sasuke non lo ascolta: perché non è Sasuke. Tanto quanto non lo è quel ragazzino di otto anni che ha lasciato su, prima di buttarsi nel fiume. Così come, dopotutto, non lo è neanche quello di tredici anni: quello è il suo Sasuke, il Sasuke dei suoi ricordi,qualcuno che è esistito per un certo periodo, qualcuno che è stato importante per Naruto tanto quanto il jinchuuriki spera d'esserlo stato per lui, ma che è cambiato ancora, così come ammette d'essere cambiato Naruto stesso.
«Sparisci» intima solo quel Sasuke sbagliato, correndogli incontro col suo chakra e gli occhi gelidi. Le gambe di Naruto sono già in moto, a quel punto; il chakra gli vortica sul palmo e l'adrenalina gli ottunde le orecchie più di quanto non faccia l'aria nera attorno. Che non è più nera: stanno correndo su acqua di catrame sotto un cielo buio pesto, ma dall'alto le statue enormi di Senju Hashirama e Uchiha Madara ancora una volta li deridono per la loro baruffa da ragazzini, nulla al confronto d'uno scontro tra grandi ninja. E non è vero, perché adesso lo sono, dei ninja: sono i più forti, anche se non i più vecchi o i più saggi, neanche quelli più svegli. A Naruto pare di sognare, mentre l'acqua schizza a spruzzi per l'attrito col suo chakra, mentre nell'impatto tonante non riesce nonostante tutto a staccare gli occhi da quelli di Sasuke, con la certezza che siano la cosa più importante e la speranza che quella piccola, inutile cosa sia reciproca.
Il mondo esplode e la mente di Naruto annega di nuovo nel gelo. Resiste quanto può: poi chiude gli occhi e scivola, le orecchie che fischiano furiose.
Ha paura di aprire le palpebre, dopo, che sia di nuovo tutto nero e niente.
Ha paura, ma le aprirà comunque.
Il viso di Sasuke, da lì in basso, steso in terra, è bianco tra le ciocche nere, stagliato sopra di lui nel buio. La lama della katana luccica lieve, quasi musicale, puntata contro la sua gola.
Prima che il suo migliore amico – la sua persona più importante – levi il braccio per mettere fine ad una parentesi durata più di otto anni – dalla prima volta in cui i loro sguardi si sono incrociati, un pomeriggio qualunque tra sponda e strada a Konoha –, Naruto riesce a pensare che sia davvero, davvero un peccato che di tutto quel nero che preme da ogni lato, l'unico nero che desidererebbe vedere lo fissi invece sprezzante dall'alto, tramutato in rosso.


Il rosso lo acceca, gli annoda lo stomaco.
Non è lo sharingan, è sangue, e non è sangue suo.
La scena si ripete e non è cambiato niente da quando Naruto aveva dodici anni e non era in grado di salvare proprio nessuno, men che meno di difendersi. Sono trascorse stagioni lunghissime e lui è ancora un ragazzino gettato a terra come un panno vecchio che di Sasuke può vedere solo la schiena, parata davanti a lui, e il sangue che piove a terra in un suono acquoso e ferrigno.
Sasuke, tredici anni fermi nel tempo, è in piedi, la katana nello stomaco, e Naruto capisce solo che c'è un errore da qualche parte. Un inghippo: quello è già successo, ed era andato tutto bene. Sasuke, accanto a Sakura, aveva levato una mano nella sua direzione, per dirgli che era tutto a posto, niente di irreparabile. Tutto a posto.
Non c'è niente di a posto nelle ginocchia di Sasuke che si piegano e nel suo corpo che scivola senza suono lungo la lama, cadendo giù. Niente di giusto nell'afferrarlo prima che tocchi terra e constatare che è troppo piccolo per le braccia di Naruto, adesso, ma comunque insanguinato, morto. Morto.
«Non fare quella faccia, usuratonkachi» gli soffia con gli occhi già chiusi, ancora caldo... Naruto ha caldo: continua a fare freddo, lì, ma la cosa nella sua pancia è rovente e sta cercando di uscire, proprio come allora, quasi cinque anni fa. Qualcuno si farà male.
Naruto sa di avere le iridi rosse, quando solleva lo sguardo dal corpo esanime di Sasuke per portarle sulla sua preda.
Il Non-Sasuke è lì, la spada ancora immobile, il braccio teso e gli occhi per qualche ragione privi di sharingan; fissa la lama e il sangue che la imbratta, sembra molto più Sasuke adesso, anche se non lo è. Naruto non lo vede, registra i dettagli, ma non gli importa: il chakra rosso gli vortica attorno anche mentre deposita il corpo di Sasuke a terra e si alza.
Non sa cosa voglia fare. Vuole ucciderlo, pensa per prima cosa: Sasuke ha ucciso Sasuke, lui ucciderà Sasuke.
Si accorge che la logica sta litigando nella sua mente quando ha già tirato il terzo pugno, tra versi selvaggi che la sua bocca produce fuori dalla sua volontà, e anche dal suo interesse. Ne tira un altro, stavolta consapevole dell'impatto scricchiolante delle sue nocche contro il volto di Sasuke, il corpo di Sasuke, Sasuke.
Non sa dove siano, stanno rotolando, lui sta rotolando: Sasuke è solo ammasso di stracci, un ammasso di stracci che Naruto sbrindellerà pezzo a pezzo.
«Stronzo» ringhia, ferito a morte. «Stronzo, bastardo. Ti ammazzo» gli urla addosso, strattonandolo. È Sasuke, ed è uno straccio. Sasuke.
«Ti odio, sono io che odio te!» sbraita. Cozzano ancora in terra, l'uno sull'altro, e Naruto lo ucciderebbe: lì, così com'è, prenderebbe il suo corpo per farlo a brandelli, dilaniarlo e spargerlo in giro, ridurlo in poltiglia, perché lo detesta. Sasuke rompe tutto quello che tocca, fa male a tutti e, più che a chiunque altro, fa male a se stesso, sempre. E per questo, per questo sopra ogni altra cosa, Naruto lo odia e lo ucciderebbe, pensa, mentre avvicina il viso al suo.
Aveva detto d'essere felice d'averlo conosciuto, ma non è vero: la verità è che sarebbe stato molto meglio se lui e Sasuke non si fossero mai incontrati, realizza, mentre gli respira ad un pelo dal naso.
Sarebbe stato molto, molto meglio per tutti se Sasuke non fosse neanche esistito; non si può sentire la mancanza di qualcuno che non si conosce. Senza Sasuke sarebbe stato tutto più semplice, ma senza Sasuke Naruto come è adesso non sarebbe esistito. Lo riconosce senza imbarazzo, mentre lo bacia e precipitano, avvolti nel nero diluito che gli scivola attorno, inglobandoli in sé come olio.


È strano.
Il gelo è tornato e lo avvolge, ma Naruto ricorda il suo nome, e quello di Sasuke.
La sua fronte poggia contro un'altra fronte e le sue braccia circondano delle spalle, le mani premute contro una schiena. Stanno precipitando invischiati nel buio, ma stavolta quello si scansa, defluisce attorno viscido e freddo senza premersi dentro.
Quando Naruto riapre gli occhi – non ricordava d'averli chiusi – scopre d'essere a terra, stabile. È in un prato anonimo sterminato in ogni direzione, sotto un cielo notturno senza stelle. È buio, ma quieto; infinito e distante, tocca l'orizzonte in tinte sempre più vicine al blu.
Se ne sarebbe rallegrato, solo due minuti fa, ma adesso non può – non vuole – distogliere lo sguardo dal viso pallido di Sasuke, sotto di lui, e dai suoi occhi che lo guardano – lo guardano davvero – con espressione indecifrabile.
Può sentire il suo fiato contro le labbra, il suo cuore contro il petto. Gli pesa sopra, e anche se è patetico, folle e forse malato, sa di non voler mai più muoversi di lì, tenerselo per sempre stretto addosso, pelle contro pelle.
Quando le labbra di Sasuke sono di nuovo sulle sue, Naruto pensa d'essergli svenuto sopra; ma c'è meno d'un centimetro vuoto tra la nuca dell'altro  e l'erba, adesso, e una delle mani, rimasta sulla sua schiena, ha stretto forte la stoffa della tuta tra le dita.
Quello è un bacio, un bacio vero con i brividi e la nebbia nella testa; sapore, tatto, odore, vista, udito condensati in due centimetri a contatto.
«Bleah!» esclama una voce da ragazzino, da qualche parte.
Naruto sussulta, la testa di Sasuke ricade giù sull'erba. Si guardano ansimando come non si fossero mai visti in vita, come fosse un primo incontro casuale – "piacere, Uzumaki Naruto, professione eroe"; "Uchiha Sasuke. Le spiacerebbe togliersi di dosso"?
, tra repulsione e spaventosa, inquietante consapevolezza.
Poi Sasuke rompe il contatto, come fulminato. Distoglie lo sguardo e gira il collo, la guancia premuta contro l'erba.
Naruto resta a guardarlo solo per un altro poco, la bocca semiaperta e il viso sconvolto, finché non registra il dettaglio dell'infantile versaccio disgustato che ha sentito poco prima: solleva lo sguardo a inquadrare sandali scuri, calzoni chiari e mani nelle tasche. E espressione disgustata.
È bello, sinceramente commovente ritrovare il suo Sasuke di tredici anni lì, in piedi, scombussolato ma integro: non una goccia di sangue. È bello, ma è anche desolante: quella è un'illusione, un trucco di Itachi, tutto quanto. Sono ancora dentro, lui è ancora dentro, ingabbiato nella mente di Sasuke, quando piuttosto – lo realizza impudico, decidendo di preoccuparsi delle conseguenze pratiche di simili considerazioni una volta che avrà risolto questioni più impellenti – l'unica cosa che desidera al momento è ritrovare le labbra di Sasuke, i suoi occhi, e rimanere così per il resto della vita. O almeno per una nottata di quiete, dormire con la sensazione che tutto finalmente sia esattamente dove dovrebbe essere.
Ma c'è una guerra da combattere, ancora; dopo la guerra, ci saranno decine, forse centinaia di notti quiete. Naruto lo spera forte, lo promette a se stesso e se ne convince: lui mantiene sempre le promesse.
«Pesi» commenta infine Sasuke, sotto di lui. Lo sbuffo stento ha l'effetto d'una scarica elettrica: Naruto schizza seduto senza sapere come c'è arrivato, fondoschiena e mani sull'erba, occhi puntati su Sasuke, puntellato sui gomiti.

È logoro, sporco. Un cartoccio sballottato, eppure Naruto crede di non avergli mai visto occhi così vivi. È tornata la scintilla, sul fondo. Sanità mentale, probabilmente. Non sa quanto sia stabile, non sa se possa durare, ma per ora il blu del cielo sorregge la cappa di nero, l'argina relegandola agli angoli; sembra pesare, ma non abbastanza da piovere giù.
Sasuke aggrotta le sopracciglia.
«Questo non-»
«Non adesso» lo blocca Naruto, deglutendo. Ci sarà tempo dopo, per parlare di baci e altre cose inquietanti; più inquietanti della testa di Sasuke, più inquietanti di Uchiha Madara: ci sarà tempo dopo, Naruto vuole che ci sia tempo dopo, anche questa è una promessa. «Adesso mi serve aiuto» spiega, mostrandosi più pratico di quanto non si senta al momento. «Fuori di qui, ho bisogno di aiuto» si interrompe, teso, e si guarda attorno: gli altri due Sasuke sono lì, vicini. Uguali e diversissimi, Naruto li ama tutti. Sa che è così: di Sasuke gli va bene tutto, davvero. Gli basta che sia Sasuke. Non ne vuole un pezzo, lo vuole tutto. Ama il suo ricordo di Sasuke, ma adesso qualcosa che sa di scoppiettante, turbolenta aspettativa gli riempie lo stomaco ogni volta che guarda quel Sasuke conosciuto e appena scoperto, insieme con l'assurda realizzazione d'avere un corpo per un motivo. L'ha compreso di colpo, come in un'epifania, il motivo esatto per il quale è fatto a quel modo. E, per qualche ragione, quel motivo è sempre e solo Sasuke.
Naruto sente che potrebbe morirne, di Sasuke, ma preferirebbe viverne: per questo ci vuole un Sasuke solo, o uscirà scemo. Un Sasuke, tutto qua: dal suo punto di vista è una richiesta enorme, ma se confrontato alle complesse faccende affaccendate di quel mondo caotico, non gli sembra di pretendere poi così tanto. È un'egoista, è vero, ma non riesce a sentirsi in colpa neanche un poco.
Invece davanti ai suoi occhi di Sasuke ce ne sono tre e non va bene. Non è sano, rasenta la schizofrenia.
Li guarda, che si fissano perplessi come non sapessero bene che pesci prendere.
«Sasuke» comincia Naruto, e tre paia d'occhi lo guardano. Gli viene quasi da ridere, scuote il capo. «Adesso basta fare i matti, tutti quanti. Lo vedete che avete combinato?» rimbrotta, come si stesse rivolgendo a dei ragazzini; d'altro canto, l'età media tra i tre è ferma sui dodici, così Naruto si concede qualche libertà.
I due Sasuke più giovani, corrucciati, osservano lì dove Naruto ha ammiccato, al Sasuke seduto a terra di fronte a lui; non sembra avere sedici anni, sembra essere sopravvissuto a ben più di una guerra, così ammaccato da risultare irreparabile.
«Tu volevi tornare a casa, no?» domanda Naruto d'un tratto, al Sasuke più piccolo.
Lui lo guarda ritroso, annuisce piano.
«E tu, non vuoi uscire da qui?» incalza il jinchuuriki, rivolto al tredicenne. Quello lo degna di un'occhiata e poi ne rivolge una lunga e penetrante a Sasuke, ai suoi capelli spettinati e alla sua faccia pallida tanto simile alla sua, prima di tornare su Naruto.
«Mi serve aiuto» ribadisce lui, più deciso, fissandolo negli occhi. «Mi serve davvero. Così non ne usciamo. Per piacere».
C'è un lungo momento teso, in cui il buio pare tremolare. Naruto si schiarisce la gola.
«Non è come sparire, è solo... Non siete stanchi di maltrattarvi? Di scappare l'uno dall'altro?»
«Ma a te chi ti ha dato il diploma di strizzacervelli, idiota?» sbuffa il ragazzino, ma la tensione si è già dissolta. Il Sasuke di otto anni ricambia lo sguardo stanco del più grande: non sembra più così spaventato da lui. Difficilmente qualcuno potrebbe esserlo: pare assolutamente innocuo, ora.
«Beh?» ridacchia Naruto, incalzante.
Si avvicinano entrambi, l'uno a passi svelti ma cauti, l'altro con le mani nelle tasche, fingendo noncuranza.
Il jinchuuriki li guarda diventare sempre meno consistenti, dissolversi senza rumore per ritrovarli l'istante dopo nelle pupille dell'unico Sasuke possibile, l'unico che possa esistere e anche l'unico di cui ci sia veramente bisogno. Naruto non si è ancora tirato in piedi e già tende la mano verso di lui; Sasuke la osserva per qualche secondo, il viso ancora assorto, prima di sollevare incerto una delle sue.
Il tempo di riuscire a sfiorarsi le dita e il cielo si rovescia, il buio esplode in luce.
Naruto non vede più nulla, ma di colpo sente: sente dolore in posti che non credeva d'avere, di colpo clangori e schiamazzi, le rocce attorno, polvere nelle sue narici e attorno a lui, a graffiargli la schiena; poi il fumo e il sangue.
Apre gli occhi sotto il cielo: è giorno, il cielo è sgombro. Il sole non si è mosso d'un millimetro, veglia placido sulla Quarta Guerra Ninja, sulla battaglia, su lui e su Sasuke.
Vorrebbe alzarsi, ma l'impatto – Rasengan contro Chidori – e poi quel viaggio assurdo durato un istante solo, l'ha completamente prosciugato. Non sente niente, tranne le dita.
Le due dita ostinate che ha tra le sue, stese da qualche parte alla sua destra; indice e medio, polpastrelli ruvidi e caldi.
Volta il capo più che può, Naruto, oltre il suo braccio teso: le dita di Sasuke sono lì, legate al corpo
uno straccio sbattuto , e a lui.
Sono fuori: accoglie l'aria nei polmoni con sollievo.
«Che tristezza» prorompe una voce scanzonata, crudele. Naruto sente i passi che si avvicinano, ma i suoi occhi ancora cercano quelli di Sasuke: sono chiusi. Sono chiusi e lui vuole che si aprano, assolutamente; non gli importa dei passi, vuole solo che si aprano. Tossisce, quando nel suo campo visivo entra Madara. «Come temevo, Sasuke alla fine non è riuscito a fare un granché. Sei coriaceo, jinchuuriki del Kyuubi» commenta, rivolto dritto a lui.
Naruto non lo guarda.
Sasuke ha gli occhi chiusi, sì, ma la sua mano sta scivolando invisibile verso l'impugnatura della katana, mezzo metro più in là. Li tiene chiusi e Naruto sa che dietro le palpebre le iridi sono rosse, ma va bene. Ci sarà tempo dopo, per il nero. Adesso c'è Madara, che pontifica dietro la sua maschera con la sicurezza di chi ha già vinto e può permettersi di tergiversare, come i cattivi dei film. Naruto vorrebbe solo che finisse, il più in fretta possibile, ma non si possono bruciare le tappe; ci sarà altro rosso, perché non si può fare altrimenti.
Può aspettare: il suo dopo lo tiene stretto tra due dita, stavolta non se lo lascerà scappare.





Nda
Aghfb! *collaps* Parlate con i miei avvocati.
Comunque: questa
cosa dal genere indefinibile (trip mentale non figura tra gli avvertimenti, purtroppo) ha partecipato al SasuNaru/NaruSasu contest classificandosi prima-per-un-soffio, come potete ammirare dai giuntili gediz- dai gentili giudizi delle giudici (mi sento lo sceriffo di Rottingham, alle volte).
Cose che bisogna sapere: la trama è ispirata non troppo velatamente a
La psicanalisi di Hulk (di David e Keown), è stata scritta mesate prima di sapere cosa fosse Kotoamatsukami (che scioglilingua) e, ma questo è del tutto involontario, la testa (?) di Sasuke alla fine è tipo uguale al panorama del pianeta Krikkit meno le canzoni di Paul McCartney, il che vorrà pur dire qualcosa (probabilmente 42).
A parte le mie cretinate, complimenti a tutte le prodi partecipanti e grazie alle giudici per essere riuscite a portare a termine il contest nonostante le implosioni dei computer, gli esami e varie congiunzioni planetarie sfavorevoli XD

Uh, al solito, Psycho-Sasuke e l'egodistonico (cit!) amore di Naruto nei suoi confronti sono proprietà del sensei Kishimoto. Di mio solo insonnia e tanta, tanta incapacità.



  
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