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Autore: Nyappy    17/08/2012    1 recensioni
[Seguito di Nasty Nice e Differita. Consiglio di leggere le due storie della serie prima di affrontare questa]
Delay ormai è solo un ricordo. Bayou è uscita di senno, Renaissance è l'ombra di se stessa e da lontano, come un Dio solo, Wit osserva.
Ricordo ancora la sera in cui mi sono fatto una dose di Marsh e la mattina mi sono svegliato con l’illusione di essere stritolato da una decina di serpenti che cercavano di entrarmi in bocca. Quando Delay mi ha trovato ha urlato. Non so come mi ero strappato tutte le unghie, dopo aver riportato le frasi sul muro. Mi ero dimenato così tanto, nel mio angolo, che ero riuscito ad incrinarmi un paio di costole e spaccarmi un sopracciglio.
Ho quasi nostalgia.
Genere: Introspettivo, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU, Nonsense | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Kvar · I hate you · Junk'
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Riot! · fuck you in the Jungle
A Francesca e Martina, e Maria, e tutti gli altri

Nowhere at all

“Tu non sei nessuno” è scritto sulla porta.
Anni fa ho preso un taglierino e mi sono messo ad incidere un po’ di frasi sulla parte interna, parole in cui credevo davvero e che volevo avere davanti agli occhi tutti i giorni.
“Tu non possiedi nulla.”
È passato così tanto tempo che faccio fatica a leggere. Mi chino e passo una mano sul legno, seguendo gli intagli tra le venature; si sono riempiti di polvere, bruciata dai led e dal disinfettante.
“Tu non esisti.”
Ero un idiota – non che ora sia migliorato. Non esco di casa da tre giorni e si sente, ho gli occhi che mi bruciano e la maglietta appiccicata al corpo. Dovrei anche farmi la barba, se ne avessi voglia.
Le incisioni proseguono sul muro, fatte con le unghie. Ricordo ancora la sera in cui mi sono fatto una dose di Marsh e la mattina mi sono svegliato con l’illusione di essere stritolato da una decina di serpenti che cercavano di entrarmi in bocca. Quando Delay mi ha trovato ha urlato. Non so come mi ero strappato tutte le unghie, dopo aver riportato le frasi sul muro. Mi ero dimenato così tanto, nel mio angolo, che ero riuscito ad incrinarmi un paio di costole e spaccarmi un sopracciglio.
Ho quasi nostalgia.
“Se arrivi davvero a credere questo, ucciditi. Non sei degno di respirare la mia aria.”
Mi rialzo e prendo una lattina dalla scrivania; ormai vivo di bevande energetiche, ovviamente importate da Chirality. Ho i miei canali per ottenere tutto senza pagare, con degli scambi simbolici che fanno ridere.
La strappo e inizio a bere. Il gusto zuccherino è buono, le bolle mi pizzicano la lingua – temo di essermela rovinata negli anni. La Marsh ha fatto la sua parte, anche se è tanto tempo che non mi faccio più.
Alzo gli occhi. Charlotte è immobile tra i quattro pilastri olografici, con i ricci blu che le scendono sulle spalle. Ho finito di programmare per intero il suo codice, ora mi manca solo quello di gran parte della popolazione.
«Tammy» la chiamo. Mi siedo davanti al PC e bevo un altro sorso di energy drink. Dovrei farmi dare da Chirality qualcosa per cicatrizzare le papille gustative. Ho la lingua che è ridotta ad una piaga gonfia e dolorante.
Madeleine solleva il capo e mi guarda. Mi appoggio allo schienale della sedia e digito velocemente due comandi alla tastiera.
«Wit!» Pronuncia il mio nome come se fosse la cosa più preziosa del mondo e si stringe le mani al petto, con le lacrime agli occhi.
Appoggio la lattina a terra e mi allungo per prendere le due lenti a contatto olografiche. Senza quelle, lei è confinata nel campo primario e non può raggiungermi. Estraggo la prima dal liquido salino e mi spalanco le palpebre, appoggiandola sulla pupilla. Brucia in modo dannato e mi fa lacrimare, ma ne ho voglia. Posso sempre comprare qualcosa per ripristinare la vista. Faccio lo stesso con l’altra lente e recupero la lattina.
«Vieni» le ordino.
I fremiti di Isabelle cessano e si getta su di me, attraversando il computer ed il resto della strumentazione. Un bug che dovrei fissare.
Nessuno spostamento d’aria. Jolie è seduta su di me, leggera come se non esistesse, e ha le mani appoggiate sulle mie spalle. Altra stringa di codice, altro comando.
«Vuoi che lo tolga?» mi chiede, ammiccando. Annuisco e si sfila il vestito bianco, gettandolo a terra. Sparisce, dato che non fa più parte della proiezione originale. Altro bug da sistemare.
Christin è gloriosa con il suo sorriso da bambina e la pelle nuda che sfrega contro i miei jeans. Termino la lattina e questa cade a terra con un clangore. Rotola fino alle ruote della sedia e rimane lì, troppo reale.
«Cosa vuoi che faccia?»
Shannel non può prendere l’iniziativa perché ha bisogno dei miei comandi.
Io non sono nessuno. Non possiedo nulla. Non esisto. Dovrei uccidermi.

*

Ho lasciato Linde e gli energy drink a casa. Sono un fallito.
Non ho voglia di andare sul treno ad ubriacarmi ancora, e ancora, e ancora; il porto è troppo lontano, dovrò aspettare per recuperare le medicine di Chirality. Cherry Run, al contrario, è troppo vicina, i petali rosati del ciliegio arrivano fin qui, spinti dal vento tropicale.
Sono in un bagno di sudore e sto avanzando tra le foglie ed i tronchi di muschio, un ultimo sforzo prima di arrivare. Poco lontano da casa c’è una pozza d’acqua fresca che ho iniziato ad usare per fare il bagno, dato che Bayou non mi fa più entrare nella torre.
Inizio a sentire lo scroscio del ruscello. L’unico motivo per cui mi faccio il bagno lì è che il ricambio d’acqua è ottimo e non rischio più di tanto – anche se rimanere qua a Tangle è un rischio in sé, dal concepimento alla vita come feto.
Supero le lamiere fuse come ventagli negli alberi e raggiungo la pozza. Tiro fuori dalla tasca dei pantaloni lo specchietto e il rasoio; mi sfilo la maglia e la appoggio a terra, mettendoci sopra i due oggetti. Il resto segue poco dopo.
Mi libero i capelli dall’elastico e lo getto via. Prendo un respiro profondo e mi guardo attorno. Sono un uomo, tra le foglie verdi e il gocciolare della giungla, tra liane e tronchi ricoperti di muschio, tra il frinire ed il canto degli animali.
Io sono la Natura, un suo figlio, una sua sbandata. Un’idea bislacca della Fortuna, che ha deciso di modificare il mio genoma, come io aggiusto il codice di programmazione.
Chiudo gli occhi ed immergo un piede. L’acqua è fredda, ma non troppo. I sassi sono lisci come quelli di fiume ed è in questi particolari che mi perdo, nei proiettili incastonati nei rami come ghirigori.
Io sono Dio.
Mi immergo completamente ed è freddo, così freddo da stringermi lo stomaco e bruciare. Quando riemergo sento più chiaramente gli odori della foresta, la cappa lontana di caldo e umidità.
Rimango immobile, seduto sul fondo, con la testa fuori. C’è un uomo nel mio mondo – l’ho chiamato Lucien Minsk – che ha i miei stessi pensieri. Lui è stato il più facile da programmare, mi sembrava di conoscerlo da una vita, poi mi sono reso conto di essere io.
Dio è Lucien Minsk.
Lui però ha una famiglia: una moglie che rispetta, una figlia che ama, un piccolino a cui non vede l’ora di insegnare a parlare. Dargli una famiglia l’ha reso più simpatico anche ai miei occhi. Però lui, nonostante sia Dio, non è importante. Se lui non esistesse, il mio mondo continuerebbe a girare.
Se io non esistessi, Tangle continuerebbe ad andare avanti, chiudendosi sempre più su se stessa.
Ma Delay non sarebbe morta.
Bayou sorriderebbe ancora.
Renaissance sarebbe il piccolo demonietto che ha cessato all’improvviso di essere.
Fa freddo e sento che le membra mi si stanno intirizzendo.
Io sono Dio.
Torno ad immergere anche la testa.
Io non sono nessuno.

Fristi

«Perché ti accontenti della mediocrità?»
«Mmh.» Appoggio i piedi vicino alla tastiera e mi lascio scivolare sulla sedia. «Forse perché per ora non riesco a raggiungere nient’altro. Devo aspettare, riuscire a cogliere il momento opportuno per un salto qualitativo.»
All’interno del capo olografico, il dottor Moore chiude gli occhi e annuisce. Ho fatto abbastanza sedute per capire che non è d’accordo con me, mi sta solo incitando a proseguire. A Chirality danno significati diversi al linguaggio gestuale.
«E questo salto qualitativo potrebbe anche non avvenire mai, se non colgo il momento. Non che lo debba aspettare senza fare nulla, ovviamente. Il lavoro è una parte fondamentale dell’auto-miglioramento» continuo.
«Cosa mi sai dire a riguardo?» domanda lui, dritto ed immobile.
È da un paio di settimane che faccio queste sedute, una ogni tre giorni. Mi sono messo in contatto con un medico di Chirality e questo mi ha indirizzato a Moore, più che felice di sottopormi alle sue domande. Credo debba stilare il rapporto di un’inchiesta sulle differenze culturali tra il suo paese e Tangle.
«Sull’auto-miglioramento?» Mi soffio via una ciocca di capelli dal viso. «Bisogna esserne predisposti. E serve un sacco di elasticità mentale, per» piccola pausa «discernere. L’auto-critica conta un sacco, perché se ci si vuole davvero bene, si vuole migliorare. Non ci si accontenta.»
Lui annuisce e io proseguo: «I complimenti fanno benissimo all’ego, ma sono superflui se si vuole raggiungere un livello sempre più alto. Servono le critiche, servono gli insulti che disprezzano ogni goccia di sudore.»
«Quanta durezza» commenta. Non lo fa spesso, quindi mi fa sollevare gli occhi. Ha le braccia rilassate lungo il corpo, nascosto da un camice bianco. I capelli striati di grigio gli arrivano alle spalle, non ne ho mai visti di così ricci. Se non fosse per la maglia di rughe che gli copre il viso, non lo avrei scambiato per un dottore.
«I giovani sono manichei» gli rispondo. Questa è una cosa che ho letto su un vecchio libro, uno di carta. Apparteneva a mio nonno, lo aveva usato per mettere sullo stesso piano due gambe del tavolo.
I giovani vedono tutto in bianco e nero, anche se l’uomo è fatto di scale di grigio. Ogni azione più piccola assume valori assoluti, eppure siamo tutto meno che assoluti. È bastata una pistola, a Delay, per morire. Un pezzo di metallo, un congegno elaborato dall’uomo per non uccidere a mani nude, per allontanare la morte.
«Sei felice?» mi domanda a bruciapelo.
Impiego un paio di secondi per raccogliere i pensieri. «Dovrei esserlo» è la mia risposta. Il dottor Moore china appena il capo per guardarmi.
«Sono l’unico abitante di Tangle ad avere contatti regolari con Chirality» inizio a spiegare. «Ho smesso di passare giorni e giorni ad ubriacarmi sul treno. La programmazione procede più velocemente del previsto.»
«Ma tutto ciò non ti soddisfa.»
Scuoto la testa. «Non mi rende felice.» E non so perché. Ho tutto quello che si potrebbe desiderare. Di recente ho persino scambiato un componente elettronico d’antiquariato con delle pillole energetiche. Basta inghiottirne una per non avere più fame per tre giorni e rimanere in forze, dati i nutrienti concentrati. E la gente, a Cherry Run, muore di fame e bolle i petali dei fiori per farsi una zuppa. Nessuno di quei pezzenti potrebbe sostenere una conversazione da pari con un medico di Chirality.
«Forse hai bisogno di un cambiamento» mi suggerisce Moore.
Come se non fossi già cambiato abbastanza. «Non è una cosa facile da fare.»
«Dentro di te, l’ho visto, il germe del cambiamento c’è.» Lo sguardo del dottor Moore è sempre gentile, eppure lui è immobile. Non muove un muscolo, a parte quelli del viso.
«Devo aspettare il momento giusto. Devo lavorare per riuscire a coglierlo, ed individuare quello che mi manca per pensarci in tempo. Però non so che cambiamento potrei fare.»
Non voglio andare a Chirality. Ho visto gli effetti che ha avuto su Bayou e Renaissance. Preferisco rimanere a Tangle, ricco tra i poveri, sazio tra i morti di fame. Ogni volta che li vedo mi sento più fortunato e sorrido.
«Forse dovresti indirizzare i tuoi sforzi sulla ricerca delle tante possibilità che hai davanti.»
Nego con il capo. Preferisco concentrarmi sul mio progetto e poi lavorare ad altro. È per il mio mondo che ho smesso di bere e di sprecare i miei pomeriggi alla torre. Quando cercavo di farmi aprire da Bayou, il mio universo languiva, abbandonato.
«Forse hai bisogno di qualcuno.»
Sorrido. «No. Io lavoro in solo.» Sempre. Non mi servono gli altri per lavorare. Loro sono degli osservatori, sono il feedback, sono la critica che mi fa sputare sangue, ma non il mio lavoro.
È sacro.
Io sono un Dio solo, non ho bisogno delle schiere di angeli al mio servizio.
«Non intendevo nell’ambito lavorativo.»
Scivolo ancor di più sulla sedia e mi ritrovo praticamente sdraiato. Mi libero i capelli dalla schiena e sollevo il piede. «La seduta di oggi è finita, grazie.» Lo calo sul pulsante che disattiva la proiezione olografica biunivoca e sconnetto il mio canale.
«Wit, non ti contraddire.» Mi saluta con un cenno del capo. «Smettila di scappare.»
La sua immagine è sostituita da quella di Candace, con i capelli arancione carota ed il vestito bianco. Ha il capo chino e le braccia allacciate dietro la schiena.
Allungo una mano per impartirle un comando.
Julia solleva il viso e vedo lei, rivedo Bayou in lei.
La sua fronte ampia e le sopracciglia come la coda di una rondine, un vecchio animale che ho visto nelle enciclopedie di mio zio; le lunghe ciglia, gli occhi scuri e grandi, le guance piene ed il piccolo neo sullo zigomo; il naso dritto e il mento rotondo e quelle labbra, piene e rosate.
Il collo è lo stesso, le spalle minute sono le stesse.
Tiro un calcio alla tastiera e Marianne cade a terra come se qualcosa l’avesse colpita. La sua espressione rimane neutra ed impassibile.
Io sono un Dio solo.

Specchio

Durante una seduta il dottor Moore mi ha suggerito di affrontare i miei problemi dividendoli in piccole questioni singole. Applicare il metodo scientifico alla risoluzione dei battibecchi con la mia coscienza.
«Diamine.»
Sullo schermo davanti a me scorrono foto e foto di Arina Karr, una giovane donna che faceva la giornalista a Chirality, dal viso sorridente, i capelli raccolti e lo sguardo intenso.
Clicco il collegamento ad un video e nelle casse sento la sua voce.
«Nei pressi di Cardinal Place è stato ritrovata una carcassa non identificata.»
Delay. Quella donna era Delay. Più la fisso, più mi sembra impossibile, più la guardo, più la riconosco.
«Sono in corso accertamenti per verificare la specie animale d’appartenenza. In caso di incroci illegali a scopo sperimentale–» Chiudo il video e scorro l’archivio degli articoli.
Scomparsa. Non ha lasciato volontà. Il corpo non è stato ritrovato. Le ricerche si arrestano per mancanza d’indizi.
La donna consumata dalla Marsh che si è uccisa era la stessa che mi guarda dal basso, con gli occhiali da sole in mano ed il rossetto.
Chiudo tutte le finestre e appoggio la testa allo schienale. Non che m’importi, Delay non è mai stata nulla davvero per me – eppure è stato il primo problema che ho affrontato, forse perché ha dato origine a tutti gli altri problemi.
Sapevo venisse da Chirality, ma non che fosse un pezzo così grosso. Era quasi una celebrità, aveva tutto. Guardo fuori dal buco nel muro: ci sono degli uomini che stanno tagliando dei rami del grande ciliegio sulla collina, per dare da mangiare a Cherry Run.
Delay, la donna con gli occhi spiritati, le guance scavate e l’ago nel braccio, era Arina Karr.
Era felice?
Chiudo gli occhi e mi asciugo il sudore dalla fronte. Le apparecchiature si stanno surriscaldando, dovrò attivare le ventole provvisorie e diminuire il carico di lavoro per i processori, almeno per un po’.
Avrebbe dovuto esserlo, come me.
Come me.
Mi copro la bocca con le mani. Sto fissando un angolo della mia stanza, eppure ho le lacrime agli occhi.
Ho capito.
“Ogni uomo è un assoluto, un unico.” Ricordo le sue parole. Anche se è passato così tanto, sembra che lei me le stia suggerendo all’orecchio, con la sua voce bramosa. “È figlio dell’entropia, perché la riconosce.”
Delay, ho colto il tuo assoluto.

* * *

Analizzare i miei problemi.
Sembra una cosa abbastanza facile, ma è il terzo diagramma che elaboro e cancello. Troppi elementi, troppe variabili, troppo.
Sollevo un braccio di scatto e lo abbasso; le luci si smorzano seguendo la velocità del mio arto. Ho bisogno di pensare.
Bayou.
Tutto, bene o male, riconduce a lei. Mi metto comodo sulla sedia e chiudi gli occhi.
L’ho conosciuta quando i suoi genitori sono morti, un bel po’ di anni fa, e Shop, suo fratello, se la doveva portare sempre dietro. Era il mio migliore amico, quando eravamo bambini – non lo vedo da mesi, anche se ha iniziato a lavorare sul treno. Credo di evitarlo inconsciamente… perché?
Inizia a farmi male tra gli occhi, ma forse è l’effetto delle medicine di Chirality.
Sì, bene o male, tutto è collegato a lei, anche se lei non è collegata a me.
Renaissance.
Non so nulla di quello scheletro infuso di vita. Né l’età, né il nome dei genitori, né il paesino d’origine. Non è di Cherry Run, poco ma sicuro.
Schiocco le dita e le luci si ripristinano. Non ho idea di come cercare, ma qualcosa su di lei, nella mia rete informativa, deve esserci per forza. È abbastanza giovane da rientrare nel registro delle nascite di Chirality, potrei partire da lì.
Wit, vecchio mio, hai trovato una sfida.

Ego

Renaissance è seduta a terra, legata con una catena alla torre. Le si sta allentando la benda che le copre gli occhi, ed è concentrata a fare qualcosa – è di spalle, sta trafficando con delle pietre.
Mi avvicino a lei facendo il meno rumore possibile, sovrastandola con la mia ombra. Se possibile è dimagrita ancora, e le due ciotole vicine alla torre sono piene, una d’acqua, l’altra di biscotti. Strano che nessuno dei poveracci che abita nelle vicinanze non li abbia già rubati.
«Wit?» Non si volta nemmeno, mi ha riconosciuto dal passo. Mi chino per vedere cosa sta facendo: ha infilato un sasso appuntito nell’anello che congiunge la catena vecchia e spessa con quella argentata, più sottile. Sta cercando di allargarlo.
«Bayou sta dormendo, immagino» dico. È appena sera, ma osservandola da lontano per un po’ mi sono reso conto che è una creatura d’abitudine. Sostituisce il cibo a Renaissance, entra nella torre, si fa un bagno e va a dormire.
«Immagini bene» mi risponde Renaissance con tono monocorde. Da quando Bayou l’ha portata a Chirality, le sue due o tre personalità sembrano essere sparite. «Cosa vuoi?»
«Ho un po’ di domande da farti.»
«Se conoscessi abbastanza parole per risponderti, lo farei» replica. Ha le mani rosse e gonfie: le ferite non fanno in tempo a cicatrizzarsi che ricompaiono. Il sasso, oltre che appuntito, è anche affilato.
«Conosci il nome dei tuoi genitori?» Mi chino a terra e mi sistemo i capelli dietro alle orecchie.
«Sparisci» mi ordina, senza particolari inflessioni nella voce.
«Weekend è il nome di tua madre, mentre tuo padre si chiamava Joseph Karr.»
Non smette di lavorare, come se non le avessi detto nulla.
Karr. Come Arina Karr, anche se ho scoperto che tra Joseph e Edward, il padre di Delay, non ci sono legami di parentela. Chirality è grande, dopotutto.
«Tuo padre era un magnate dell’industria farmaceutica, allontanato dagli affari in seguito ad uno scandalo sulle cavie utilizzate negli esperimenti.»
«Non capisco metà di quello che dici» si limita a notare Renaissance, asciugandosi la fronte con il polso. Ciò è molto probabile.
«Questo è successo dodici anni fa. Tu sei nata sedici anni fa.»
Ecco perché, infiltrandomi nel registro delle nascite, sono riuscito a recuperare i dati che la riguardano. Quattro anni prima dello scandalo, Joseph Karr deve essere scappato a Tangle per avere un’avventura, qualcosa di leggero. Nata la figlia, l’ha riconosciuta per offrirle un futuro, un appiglio, qualcosa per fuggire.
Per poi portarla con sé, a Chirality, quando la donna è morta e il bisogno di trovare cavie umane si è fatto impellente.
«Cosa ti hanno fatto gli amici di papà?»
La mano le rimane sollevata in aria, a stringere il sasso. L’altra è appoggiata sull catena più sottile, di acciaio. Si volta lentamente verso di me e ghigna, facendomi venire un brivido. Sembra un animale che mostra i denti fino all’ultimo. È disperata.
«Hanno fatto un patchwork della piccola Renaissance» dice a voce bassa. Uno spasmo le fa contrarre il labbro. «Hanno sezionato, tagliuzzato e scambiato le mie povere ossicina fredde.»
«Ti hanno sostituito il sangue con una sostanza altamente cicatrizzante, un lavaggio di corpuscoli del sangue» aggiungo. Questo non può saperlo.
«Ma sono tornati.» Anche il suo sorriso cattivo è tornato. Molla il sasso a terra e si picchetta la tempia. «Speravano di fare qualcosa qui, ma senza la guida di mio padre non possono nulla.»
Sospiro. Non voglio sapere più nulla di esperimenti e test. È grazie a lei che ho le mie medicine, voglio solo farle un favore. «Se vuoi ti posso liberare.»
«Toglieresti le catene ad una povera cieca senza nessuno?»
Tiro fuori dalla tasca dei jeans una pinza. L’ho modificata per renderla adatta anche al troncamento, affilandola. «Non sei cieca, sei solo obbligata a non aprire gli occhi. Io posso aiutarti.»
Il sole sta calando e tinge di rosso la terra battuta. Gli alberi proiettano lunghe ombre sulla torre, sembrano dita che artigliano il possibile.
«Aiutami a fuggire, allora.»
Appoggio la pinza a terra e le sciolgo il nodo dietro la nuca. La puzza d’infezione mi fa arricciare il naso: le sue palpebre sono cucite con del filo di ferro, come sospettavo. La carne stilla un liquido giallo che si è incrostato e l'ha resa violacea.
«Resta immobile» le ordino. Raccolgo la pinza e la pulisco sulla maglietta, avvicinando il viso al suo. Devo trovare la parte debole della cucitura e partire da lì.
Scosto con la punta l’ascesso gelatinoso ed individuo un arco di ferro che sembra promettente. Infilo con attenzione la pinza sotto e controllo che non ci sia pelle di mezzo.
Trancio.
«Forse farà un po’ male» la avverto. Allargo le due estremità e mi preparo a tagliare il resto.
«Perché lo fai?» mi domanda.
La risposta mi esce automatica: «Perché sono un Dio buono.»

Renaissance è fuggita. Le ci sono voluti pochi minuti perché gli occhi le guarissero e la vista si abituasse alla luce, poi ha gridato ed è corsa nella foresta, con le spalle curve.
Mi sono nascosto dietro gli alberi vicini per osservare la reazione di Bayou.
È corsa fuori con i capelli sciolti ed una vestaglia leggera. Si è guardata attorno e ha appoggiato una mano sulla porta, crollando sulle ginocchia.
“Ma come, rovini la tua bella vestaglia di seta se fai così.”
Ha urlato anche lei, come una donna ferita. Quel tipo di urlo che si conficca nello stomaco come un coltello e si rigira, annodando le viscere e facendo crescere la tensione.
Allora ho riso.
Sto correndo anch’io, adesso, e da quanto non lo facevo! Sto tornando a casa, guardando per l’ultima volta le foglie verdi, i cespugli pieni di insetti, la frutta che pende dai rami e i tronchi umidi.
Corro nella giungla per tornare a casa, a casa.
Io sono un Dio buono e giusto, e la mia Dea meritava una punizione.
«Sì!» grido. «Whooohooo!»
Esco dagli alberi e mi trovo a pochi passi da uno strapiombo. Il mare sotto è blu, spumeggia e combatte contro gli scogli. Lontano si vedono le cupole di Chirality, avvolte dalla nebbia.
L’adrenalina mi monta dentro e spumeggia, come una fontana appena accesa. Cresce, s’ingrandisce, conquista ogni cellula di me; mi volto e torno a correre, lascio che le gambe si librino in aria e i piedi continuino a spingermi lontano, battendo sui cuscini di muschio.
Ecco casa.
Salgo di corsa le scale di legno e apro la porta, fondandomi dentro. La faccio sbattere e schiocco le dita. «Campo magnetico protettivo, attivazione.»
Nulla cambia, ma questo è diventato il mio Eden, il mio paradiso perfetto. Prendo le tre siringhe che mi sono arrivate da Chirality, con il fiatone.
Una nell’incavo del gomito, una poco sotto la spalla, una sul polso. Non riesco a stare fermo. Ne prendo una vuota e individuo il punto giusto del collo per infilare l’ago.
Mi sento più vivo che mai.
Onnipotente.
Io sono un Dio.
Mi accomodo sulla mia sedia e indosso la visiera olografica sul viso sudato. Come un diapason, io sono la vibrazione. Io sono la via, la vita, l’energia.
Questo mondo non m’interessa più. Incarnandomi nel mio mondo ancora imperfetto, completandolo dall’interno, ho fatto una scelta.
Mia.
Io sono Dio.

A Francesca e Martina, e Maria, e tutti gli altri
Non leggerete e non so se sia un bene o no
Holy the supernatural extra brilliant intelligent kindness of the soul! {Ginsberg}
Senza voi non sarei stata me
Grazie

   
 
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