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Autore: bluemary    20/08/2012    3 recensioni
"Un dolore terribile lo avvolse, mentre sentiva che gli stavano strappando la sua stessa coscienza, la sua anima. Con un ultimo barlume di lucidità ripensò a Viridian ed alla promessa che ormai non sarebbe riuscito a mantenere. Poi ci fu solo il buio."
Uno dei Cinque è caduto, ma sono ancora numerosi gli ostacoli da abbattere per chi desidera la libertà di Sylune. E mentre i tre ragazzi che hanno sfidato la Fiamma Nera si trovano a fronteggiare le conseguenze delle loro azioni e gli inaspettati intrecci dei loro destini, Kysa e Viridian si avvicinano sempre più ad un cammino da cui non esiste ritorno.
Seconda parte della mia saga su Sylune.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sylune'
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-Prologo: I due fuggiaschi-

Lensin stava scappando.
Il suo cavallo, spronato alla massima velocità, avanzava senza alcuna esitazione lungo uno degli stretti sentieri tracciati dai viaggiatori che preferivano arrivare a Northlear per una via più nascosta rispetto alla vistosa strada principale, così l’uomo poteva perdersi nelle sue riflessioni, senza concentrarsi troppo sul percorso.
Non si era mai ritenuto una persona particolarmente coraggiosa: detestava la guerra e considerava la vita il suo bene più prezioso, tuttavia, una volta arruolato a forza nel castello di Ghedan, una sottile ribellione aveva cominciato a farsi strada in lui un giorno alla volta, fino a trasformarlo in una sorta di timido paladino degli oppressi, che agiva nell’ombra e combatteva gli Oscuri riportando ai ribelli le informazioni di cui veniva a conoscenza.
Fino a quel momento, aveva limitato il suo compito al riferire le intenzioni di Ghedan agli abitanti di Northlear che non si erano rassegnati al giogo dell’impero, manifestando la sua antipatia nei confronti dei dittatori di Sylune con qualche segreta conversazione portata avanti a sussurri; tuttavia, appena il giorno prima, i suoi propositi di non farsi coinvolgere in prima persona erano venuti meno. Per la prima volta aveva messo davvero in gioco la sua vita, aiutando dei ribelli non a fuggire dalla città, ma ad entrare a palazzo.
Una ragazza bionda, apparentemente troppo giovane per possedere quell’espressione fredda ed impassibile dei veterani, era giunta da lui con una missiva da parte di Alista, in cui l’anziana donna aveva espresso la speranza che lui le offrisse tutto il suo aiuto, e l’assurda richiesta di supportarla nei preparativi del suo assalto contro l'Oscuro. Con un atteggiamento brusco, quasi minaccioso, che l’aveva fatto sentire a disagio, lo aveva interrogato a lungo sulle abitudini di Ghedan e sull’ubicazione degli ingressi del castello, dimostrando di avere in mente una strategia ben precisa per il suo attacco.
In un primo momento aveva tentato di scoprire le sue intenzioni, ma lei gli aveva solamente detto che doveva trovare il modo di incontrare l’Oscuro, senza accennare al piano con cui progettava di sconfiggerlo.
Incalzato dalle sue domande, le aveva riferito tutto ciò che sapeva, stupito dalla sicurezza con cui quella guerriera sconosciuta parlava di sfidare ed uccidere un nemico apparentemente immortale, temuto per la sua crudeltà in misura ancora maggiore di quanto lo fosse per la sua magia.
Al momento di congedarsi, ammirato dal suo coraggio più che realmente convinto delle sue possibilità di vittoria, le aveva regalato uno dei suoi tesori più preziosi: un’accurata mappa del castello stilata in mesi interi di servitù, comprensiva anche di alcuni passaggi sconosciuti alla maggior parte degli altri subordinati dell’Oscuro.
Così quella mattina in cui tre ribelli abbastanza giovani da poter essere quasi suoi figli sfidavano uno dei più potenti esseri di Sylune lui era scappato.
Mentre il cavallo galoppava rapido per una discesa ed il paesaggio sfrecciava attorno a lui ridotto ad un’indistinta macchia di verde e marrone, si chiese se quei ragazzi erano già stati scoperti, se lo spietato mago di cui era stato il servitore li avesse uccisi o, peggio, presi prigionieri, ma non osò sperare in una vittoria.
Quando, dopo essere fuggito da Darconn, aveva fatto tappa a Northlear per incontrarsi con la guaritrice, lei gli aveva riferito che i compagni della guerriera bionda sarebbero stati semplicemente un combattente divenuto uomo solo da pochi anni ed una spadaccina ancor più giovane, e questa scoperta aveva ulteriormente alimentato il suo scetticismo per una vittoria quanto mai improbabile.
Non riusciva nemmeno a concepire la possibilità che Ghedan venisse sconfitto, la sola idea che tre ragazzi riuscissero lì dove perfino i Protettori guidati da Lux avevano fallito gli sembrava tanto assurda da rasentare il ridicolo; ma qualcosa nello sguardo della guerriera che era andato fin dentro il castello per incontrarlo e nella quieta convinzione di Alista gli aveva lasciato almeno una fragile speranza di non aver rischiato invano la sua vita.
Subito sentì il cuore contrarsi in preda alla preoccupazione, non appena la sua mente venne sfiorata dal pensiero dell’anziana amica. La guaritrice aveva preferito rimanere nel villaggio, nonostante tutti i suoi sforzi di convincerla a partire con lui: sapevano entrambi che, qualunque sarebbe stato l’esito dello scontro, gli Oscuri non avrebbero incontrato difficoltà a risalire fino a loro come complici dei tre ribelli.
Il pensiero di lasciare in balia di quei maghi spietati la donna che lui aveva ormai cominciato a considerare come una madre lo torturava con un’intensità quasi insopportabile. Per un istante venne invaso dall’impulso di tornare a Northlear e costringerla a scappare con lui, o difenderla a costo della vita, ma sapeva che non sarebbe stato in grado di mantenere nessuno di questi due propositi, così continuò a cavalcare in silenzio, mentre le ore passavano lente ed il sole, prima alto nel cielo, cominciava ad abbassarsi all’orizzonte.
Giunto infine ad un bivio più marcato dei precedenti, fermò il cavallo, soffocando la preoccupazione che lo tormentava.
Il suo cuore sanguinava ancora al pensiero di Alista, ma adesso doveva compiere una scelta.
Lanciò uno sguardo da cui trapelava un’intensa amarezza verso la strada di sinistra, un sentiero poco battuto che portava ad alcuni poveri villaggi ancora privi del giogo imperiale, dove avrebbe potuto nascondersi, forse perfino sopravvivere per alcuni anni senza che gli Oscuri lo trovassero; ma poi l’altro percorso catturò la sua attenzione, tentandolo con un pensiero che da diversi minuti cercava invano di reprimere con tutto se stesso: sapeva che le informazioni di cui era depositario sarebbero state molto importanti per almeno una persona, forse abbastanza da scambiarle con il perdono per il suo tradimento.
Per lunghi, preziosi minuti rimase indeciso tra il rischio e la salvezza, il desiderio di giustizia e la vigliaccheria, quindi i suoi lineamenti si tesero in un’espressione dura.
Senza più guardare l’altro sentiero, spronò il cavallo facendolo impennare sul posto, prima di indirizzare il suo galoppo sfrenato verso il lontano castello di Daygon.

L’uomo aprì gli occhi, silenziosamente grato al fitto fogliame che gli schermava il volto dalla luce troppo intensa di un sole ormai prossimo al tramonto.
Si guardò attorno, senza la forza di muovere il capo. Giaceva su un morbido tappeto di aghi di pino ed arbusti, immerso nella fresca ombra creata dai grossi alberi che lo circondavano. Non si udiva alcun suono, al di fuori dei sommessi rumori della natura, e Beck si chiese confusamente il motivo per cui si trovasse in quel luogo sconosciuto.
Nella sua testa vorticavano immagini confuse e frammentarie di uno scontro con Devil, il giovane ma spietato braccio destro di Daygon e suo diretto superiore, e di una fuga disperata attraverso la foresta, ma la sua mente annebbiata dallo stordimento non riusciva a ricordare altro.
Provò a muoversi, contraendo i muscoli intorpiditi, e l’improvvisa sensibilità agli arti lo avvolse in un’ondata di sofferenza tanto violenta da mozzargli il respiro: tutto il suo corpo bruciava, con tale intensità da spingerlo a chiedersi se la magia subita durante lo scontro con il suo comandante non gli avesse causato dei danni permanenti; tuttavia, una volta ripresosi dalle fitte improvvise, si rese conto che era la sua stessa pelle ad ardere per la debolezza e la febbre, e gli bastò un istante per riconoscere la fonte principale della sua sofferenza.
Spostò lo sguardo sul braccio sinistro, fasciato rozzamente con un lembo dei suoi stessi vestiti, che pulsava in maniera quasi insopportabile; non osò spostare la benda incrostata di sangue per paura di riaprire la ferita, tuttavia sapeva con ineluttabile certezza che la guarigione non sarebbe stata per niente facile o scontata.
Concentrandosi sul dolore che lo pervadeva, in modo da non abbandonarsi ad un’incoscienza da cui probabilmente non si sarebbe mai più risvegliato, provò a ricostruire le sue ultime azioni prima della fuga e, secondo dopo secondo, tutti i ricordi delle ultime ore riaffiorarono nella sua mente esausta per la febbre e la tensione.
Aveva tradito Daygon.
Approfittando della sua partenza, aveva infine scelto di sottrarsi al suo dominio, inseguendo un cammino irto di pericoli ed incertezze che, con ogni probabilità, non gli avrebbe risparmiato la vita.
Per un istante ripensò quell’inusuale conversazione, in cui l’Oscuro, per la prima volta da quando le loro strade si erano incrociate, gli aveva affidato i pieni poteri durante la sua assenza. Una parte di lui sapeva che avrebbe dovuto ragionare sul motivo per cui il mago aveva ritenuto tanto urgente lasciare il suo castello, senza nemmeno attendere il ritorno di Devil, ma la spossatezza penetrata in ogni centimetro del suo corpo gli annebbiava anche i pensieri, lasciandolo in balia di un fluire incoerente di immagini e persone, senza la lucidità necessaria per soffermarsi su di esse per più di qualche secondo.
Come in sogno si rivide mettere in pratica la prima parte del suo piano, confidando in una strategia preparata in breve tempo, ma, almeno in apparenza, efficace.
Momentaneamente a capo del castello, aveva deciso di schierarsi con Kysa, la giovane prigioniera del suo generale, aiutandola a scappare dalle stanze in cui era rinchiusa; purtroppo Devil era tornato in tempo per fermarlo e, per quanto la sua opposizione avesse fatto guadagnare qualche prezioso minuto alla ragazza, alla fine si era ritrovato costretto a fronteggiare un manipolo di guardie, riuscendo a sopravvivere seppur al prezzo della profonda ferita che lo tormentava, mentre il braccio destro dell’Oscuro si gettava all’inseguimento della fuggitiva.
Non sapeva se Kysa fosse riuscita a scappare da sola, ma la consapevolezza degli incredibili poteri del suo comandante non gli lasciava spazio per un’ultima speranza.
Contrasse i pugni, ed ancora una volta il peso del proprio fallimento gravò su di lui
Rivide gli occhi della ragazza, quell’azzurro sconsolato in cui aveva letto una rassegnazione al di là della morte e della speranza, e la ripensò in balia del suo generale che non conosceva né pietà né esitazioni; poi l’inaspettato ricordo della propria città gli attraversò la mente, portando con sé i volti delle persone con cui aveva trascorso la prima parte della sua vita, primo fra tutti quello di suo fratello. Ferito da quelle immagini improvvise, non riuscì a fermare in tempo la profonda nostalgia che indissolubilmente si accompagnava ad esse, rammentandogli il giorno in cui aveva dovuto scegliere tra il benessere della propria gente e la giustizia. Era pienamente conscio di cos’avesse rinunciato quando si era unito a Daygon, tuttavia il sangue che gli macchiava le mani era parso un prezzo accettabile per salvare la sua città. Schierato dalla parte dei suoi nemici, aveva trascorso anni interi lontano dalla sua casa e dalla sua famiglia, senza vedere gli amici ed i parenti ed ora sapeva che, se fosse morto in quella foresta, non ne avrebbe avuto più l’occasione.
All’improvviso i suoi occhi castani velati dal dolore parvero animarsi, sostenuti da una nuova energia.
Con una lucidità impensabile per un uomo nelle sue condizioni, si mise a valutare le proprie possibilità, nel tentativo di trovare una via di scampo in quella situazione apparentemente disperata. Non era la prima volta che si trovava ferito, tuttavia i suoi nemici di allora non erano minimamente paragonabili a quelli attuali per pericolosità e ferocia.
Fece una smorfia.
Devil non si sarebbe rassegnato tanto presto alla sua fuga, probabilmente non avrebbe avuto pace fino a quando non fosse riuscito ad ottenere la sua testa, e l’unica sua speranza di sfuggirgli dipendeva dai capricci della sorte: se fosse riuscito a trovare un nascondiglio sicuro, avrebbe potuto rimanerci fino a quando non fosse guarito abbastanza da riprendere il cammino, sempre se avesse evitato l’infezione.
Un forte senso di sfiducia si abbatté su di lui, quando comprese cosa stava chiedendo alla propria buona sorte: con quella profonda ferita sul braccio sarebbe già stato troppo pretendere di curarsi da solo e sopravvivere senza alcun aiuto; sperare allo stesso tempo di riuscire a sfuggire a Devil rappresentava una mera utopia.
All’improvviso, attraverso lo stordimento sempre più appressante da cui era avvolto, percepì l’inconfondibile rumore di sterpi e foglie spezzate che annunciavano l’arrivo di qualcuno.
Nonostante tutti i suoi sforzi non riuscì ad alzarsi, così rimase immobile, con le orecchie tese, mentre quei passi si facevano sempre più vicini, per poi fermarsi di colpo.
Con uno sforzo quasi insostenibile, si voltò, puntando lo sguardo alla sua destra, dov’era appena comparsa una bambina di forse cinque anni, con i lunghi capelli biondi trattenuti da un nastro bianco e gli occhi chiari sgranati per lo stupore e, forse, la paura.
La fissò silenziosamente per diversi secondi, lottando contro la propria debolezza che gli impediva perfino di pensare lucidamente, mentre lei, come ipnotizzata, rimaneva immobile, a pochi passi da una grande quercia con il tronco contorto.
Infine aprì la bocca, sentendo con stupore quanto gli risultasse faticoso un movimento tanto semplice e scontato.
- Aiu… tami. – riuscì a mormorare, riconoscendo a stento la propria voce in quel borbottio rauco ed appena percettibile.
La bambina si mise un dito in bocca, scrutandolo con un’aria inquisitrice che in un’altra occasione l’avrebbe fatto sorridere per la serietà fin troppo marcata impressa sul volto infantile.
- Vado a chiamare la mamma. – disse poi, dopo qualche secondo di silenzio.
Senza nemmeno attendere una sua risposta gli diede le spalle ed in pochi secondi svanì nella vegetazione.
Per la prima volta da quando aveva ripreso i sensi, Beck permise al delicato tocco della speranza di aprirgli le labbra in un sorriso: forse avrebbe potuto salvarsi.
Si guardò attorno, alla ricerca di un modo per liberarsi di ogni segno distintivo del suo rango; in qualità di ufficiale di Daygon, aveva sempre goduto di un’immunità ed un’obbedienza pressoché totali da parte di chiunque, ma, anche tra le città conquistate dagli Oscuri, erano ben pochi i reali sostenitori dell’impero e comunque non sarebbe stato benaccolto da nessuno di loro, dopo il suo tradimento, quindi l’anonimato sarebbe stata una condizione di gran lunga più sicura, per lui.
Fortunatamente il cavallo con cui era fuggito era scomparso, quindi non avrebbe dovuto nasconderne i ricchi finimenti, ma attorno al collo portava ancora il ciondolo raffigurante la Fiamma Nera ed i suoi stessi vestiti ne recavano l’insegna, una decorazione di filo nero intessuta all’altezza del cuore.
Con uno sforzo immane, si issò a sedere e strappò il pezzo di stoffa incriminato assieme al pendente, quindi occultò questi simboli del suo vecchio padrone seppellendoli nella terra friabile.
Infine il suo sguardo esausto si posò sulla spada, ancora infilata nel fodero attaccato alla cintura, che rispecchiava indiscutibilmente la propria provenienza dalle armate degli Oscuri.
Non possedeva la forza necessaria per scavare una buca abbastanza profonda dove sotterrarla, ma, a pochi passi da lui, si accorse della presenza di un laghetto seminascosto dalla vegetazione, che avrebbe potuto servire al suo scopo.
Trascinandosi dolorosamente sui gomiti, riuscì a raggiungerne la riva e, con le ultime energie di cui disponeva, sollevò l’arma che più volte gli aveva salvato la vita e la spinse nell’acqua. Mentre la guardava affondare, nei suoi lineamenti contratti per la sofferenza comparve per un istante un guizzo di malinconia, conscio che la sua compagna di mille battaglie forse sarebbe rimasta per sempre in quel torbido bacino, sepolta dal fango e dalle piante acquatiche.
Poi, senza nemmeno la forza di tornare nel posto in cui si era svegliato, si sdraiò a terra, esausto.
Confusamente si accorse che la ferita sul braccio aveva ricominciato a sanguinare, macchiando ancora il polveroso pezzo di stoffa con cui l’aveva bendata, ma ormai era giunto al limite e sapeva che, se non fosse giunto nessuno ad aiutarlo, quelli sarebbero stati i suoi ultimi momenti di coscienza.
Chiuse gli occhi, incapace anche solo di stringere la fasciatura per arrestare l’emorragia.
Non si accorse neppure quando una figura aggraziata si chinò su di lui, seguita dagli occhi curiosi della bambina bionda e da un ragazzo incredibilmente sviluppato e robusto per l’età che trapelava dal suo volto adolescente.
- Credi che… sia morto? – chiese quest’ultimo, rivolgendosi alla donna.
Lei lo osservò attentamente per qualche secondo, quindi scosse la testa.
- Respira ancora.
Con un movimento aggraziato gli appoggiò la mano sul braccio sano.
- Mi senti? – gli chiese, cominciando a scuoterlo con delicatezza – Svegliati.
A fatica, Beck riuscì ad aprire gli occhi per mettere a fuoco la fonte di quel tocco gentile che lo aveva strappato all’oblio, poi il suo sguardo venne catturato dal giovane al suo fianco.
- Ryon? – mormorò, con voce impastata che avrebbe potuto esprimere sgomento o incredulità.
Lui lo fissò di rimando, senza capire.
- Che cosa?
Il soldato batté rapidamente le palpebre e l’immagine familiare dell’uomo di cui sapeva di essersi guadagnato l’eterno rancore si dissolse nei lineamenti sconosciuti del ragazzo che lo sovrastava. Lo studiò in silenzio, nel tentativo di recuperare la lucidità necessaria ad analizzare la situazione in cui si trovava, ed una parte della sua mente, ormai abituata ad accorgersi inconsciamente di ogni dettaglio, registrò la forte somiglianza tra lui e la donna, tipica di chi condivide un legame di sangue: al contrario della bambina, prudentemente immobile a qualche passo di distanza, avevano entrambi i capelli e gli occhi castani e, nonostante i lineamenti del giovane apparissero più marcati e virili, i loro volti erano atteggiati ad un’identica espressione corrucciata.
Un’ondata di sollievo lo invase, quando si rese conto del particolare più importante rilevato da quei brevi secondi di studio: per quanto ancora non conoscesse le loro intenzioni nei propri confronti, non erano servitori dell’impero.
- Chi sei? Cosa ti è successo? – chiese la donna, esaminando con lo sguardo le numerose ferite superficiali che l’uomo aveva riportato ed il braccio fasciato ancora sanguinante.
Lui ricondusse la propria attenzione sulla donna.
- Briganti… mi hanno… aggredito… - pronunciò a fatica, prima di chiudere nuovamente gli occhi, sopraffatto dalla debolezza.
Il giovane lanciò un’occhiata alla bambina, che fino a quel momento era rimasta a distanza di sicurezza, con gli occhi curiosi puntati verso lo sconosciuto steso a terra, ma apparentemente priva del coraggio di avvicinarglisi; quindi, certo di non essere udito da lei, fece cenno alla donna di rialzarsi e raggiungerlo.
- Cosa facciamo, Hylean? Guarda il suo aspetto, questo non è un mercante o un contadino, è un guerriero. – la sua voce si smorzò fino a ridursi ad un sussurro, mentre portava la mano all’impugnatura del lungo coltello che portava infilato alla cintura - Potrebbe essere pericoloso.
- È vero, ma non possiamo lasciarlo qui a morire. E poi nelle sue condizioni non è in grado di farci del male.
- Ed una volta guarito? Magari è un malvivente, o peggio, un assassino.
La donna sostenne il suo sguardo senza alcuna esitazione.
- Sono pronta a correre questo rischio.
- Certo, immaginavo. – replicò il giovane con voce improvvisamente inespressiva - Un guerriero potrebbe darti informazioni interessanti.
Lei sgranò gli occhi, il volto in fiamme come se l’avesse schiaffeggiata.
- Come puoi pensare una cosa simile di me, Natiel? Considerarmi così meschina? – la sua voce si spezzò, nel tentativo di contenere le lacrime – Credi davvero che curerei qualcuno solo per ottenere qualcosa in cambio?
Pentito all’istante delle proprie parole, il ragazzo le appoggiò una mano sulla spalla, lasciando che dal suo volto trapelasse il dolore per averla ferita, ma le sue labbra rimasero strette in una piega severa.
- Certo che no, conosco il tuo altruismo. Ma allo stesso tempo conosco anche la speranza nascosta nel tuo cuore. Pensi ancora a lui, ed io questo non posso accettarlo. - i suoi lineamenti si contrassero in un’espressione incollerita – Non dopo che ha abbandonato te e la sua stessa figlia.
La donna parve accasciarsi su se stessa a quelle parole che la ferivano più di quanto avrebbe potuto fare una spada.
Aprì la bocca per replicare, ma poi, spinta da un impulso improvviso, si volse a fissare la bambina, che, sempre in silenzio, si era avvicinata quanto bastava per poter ascoltare almeno in parte la loro conversazione. Subito riportò il proprio sguardo sul suo interlocutore, il volto improvvisamente invecchiato dalle rughe appena comparse sulla sua fronte e le labbra agitate da un tremito appena percettibile.
- Nonostante tutto tu speri ancora di avere sue notizie, e per questo hai deciso di curare questo sconosciuto senza nemmeno soffermarti sui rischi che questa tua scelta potrebbe comportare. Non è così, sorella? – le disse ancora lui, gli occhi ridotti a due fessure incollerite.
- Ti prego, Natiel, non adesso.
Per un istante il ragazzo parve intenzionato ad ignorare la sua richiesta, sfogando la propria rabbia, ma poi, seppur controvoglia, annuì.
- Allora, Hylean? – le chiese, con non tono in cui l’irritazione non ancora assopita appariva tuttavia abbastanza contenuta da non sfociare in una provocazione - Spetta a te scegliere cosa farne di lui.
La donna abbassò lo sguardo, ma quando parlò la sua voce non conteneva alcuna esitazione.
- Per ora portiamolo a casa, decideremo in seguito. Siran, fai strada. – disse alla bambina, che subito sparì nella vegetazione.
Un secondo più tardi rivolse la propria attenzione al soldato, ormai cosciente solo in parte.
- Riesci ad alzarti?
Beck aprì appena le palpebre, ma si costrinse ad annuire.
A fatica, sostenuto dalle robuste spalle del ragazzo, si rimise in piedi. Poi, quando anche la donna fu al suo fianco, pronta ad offrire il suo aiuto, strinse i denti e cominciò a zoppicare nella direzione in cui era scomparsa la bambina.
Nonostante il suo istinto di guerriero lo avesse abituato a memorizzare istintivamente un tragitto sconosciuto, in quei lunghissimi momenti gli parve di attraversare solo un sentiero sfocato e privo di riferimenti, che avrebbe faticato non poco a ripercorrere se, una volta guarito, avesse voluto recuperare la propria spada. Mettere un piede davanti all’altro era divenuta una fatica che richiedeva tutta la sua attenzione, e più di una volta si ritrovò sul punto di perdere i sensi e gravare completamente sul ragazzo e sulle spalle esili della sconosciuta che lo sostenevano.
Quando infine giunsero in una piccola casa al centro di una radura delimitata da alti alberi da frutto, non sapeva se fossero trascorsi solo pochi minuti o intere ore, ormai i suoi occhi riconoscevano a stento l’ambiente attorno a lui e solo grazie alla sua incrollabile forza di volontà era riuscito a mantenersi cosciente.
Dopo essere entrato a fatica attraverso la stretta porta di legno, si sentì trascinare quasi di peso verso una camera, dove i suoi due salvatori lo adagiarono gentilmente sul letto.
- Adesso ti ripulisco la ferita, tu riposa pure, se riesci. – gli disse la donna con un sorriso rassicurante, prima di rivolgersi al fratello - Natiel, vai a scaldare dell’acqua.
Stremato per la camminata, Beck chiuse gli occhi, consapevole solo in parte del suo tocco abile e delicato sul proprio braccio. L’attimo dopo era scivolato in un oblio privo di suoni e colori, un’incoscienza in cui, nonostante la situazione di estremo pericolo in cui versava, riuscì quasi a ritrovare la tranquillità.

   
 
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