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Autore: Prof    22/08/2012    1 recensioni
Era immobile. Tutto intorno a lui era insopportabilmente e pesantemente immobile.
Non riusciva – come poteva? - a metabolizzare il fatto che America avesse osato tanto. Non era neppure mai riuscito a figurarsi una possibilità del genere in tutti gli anni della sua lunga vita assieme a quel cretino.
Non aveva mai voluto scandagliare fino in fondo cosa mai volesse, e come lo volesse – come se la paura di scoprire i suoi veri desideri, ciò che più desiderava, lo bloccasse dal tentare almeno quella sua personale ricerca di felicità.

[Fanfiction partecipante al contest "I was born to tell you I love you"]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: What about now?
Prompt:What about now” (Westlife)
Fandom: Axis Powers Hetalia
Personaggi: Inghilterra (Arthur Kirkland), America (Alfred F. Jones).
Genere: Introspettivo, fluff, e malinconico, fate un po’ voi. >.>
Avvertimenti: slice of life, shonen ai
Rating: verde
Conteggio parole: 1462 (w)
Disclaimer: Hetalia di Hidekazu Himaruya
Note: Questa oneshot ha partecipato al contest "I was born to tell you I love you", classificandosi seconda (Yeah! :D). La pubblico dopo mezzo secolo perché un po’ mi dispiaceva lasciarla vegetare nel fondo di una mia cartella dal nome “Provvisoria”; triste, vero? :(
Forse è un po’ scarna, e vorrebbe un maggiore approfondimento: mi ha sempre dato l’idea che sia più un inizio “di qualcosa” che un testo da leggere a sé stante. Ma è così che l’ho fatta partecipare al contest, quindi ho preferito correggere solo gli errori segnalatimi, piuttosto che rivoluzionarla da capo a piedi.
La definirei una specie di raccolta, in tutto di tre momenti, non consequenziali; quello di mezzo è un piccolo flashback.
Boh, spero di aver detto tutto, e soprattutto che la fanfic sua chiara. :’D
Buona lettura!






What About Now?







Le labbra di America si staccarono con una lentezza esasperante dalla sua bocca, così come vi si erano posate.
Inghilterra non disse nulla. Non fece nulla. Non cercò neppure lo sguardo di chi aveva di fronte. Semplicemente, Inghilterra non c’era più. Ogni traccia di ragionamento sparito dalla sua testa, ogni tentativo di comprendere quanto fosse appena accaduto completamente nullo.

La prima cosa di cui si rese conto fu il non stringere più in mano i documenti che fino a pochi attimi fa sentiva chiaramente sotto le dita.
La seconda, che non riusciva a trovare la forza di muovere un solo muscolo, e la faccia se la sentiva paralizzata, mentre lo sguardo proprio non voleva spostarsi dalla parete grigiastra sul quale si era posato. Dubitò persino di riuscire a battere le proprie palpebre.
Era immobile. Tutto intorno a lui era insopportabilmente e pesantemente immobile.

Non riusciva – come poteva? - a metabolizzare il fatto che America avesse osato tanto. Non era neppure mai riuscito a figurarsi una possibilità del genere in tutti gli anni della sua lunga vita assieme a quel cretino.
Non aveva mai voluto scandagliare fino in fondo cosa mai volesse, e come lo volesse – come se la paura di scoprire i suoi veri desideri, ciò che più desiderava, lo bloccasse dal tentare almeno quella sua personale ricerca di felicità.

A malapena riusciva a percepire il contatto delle mani dello statunitense sulle proprie spalle, come se mente e corpo si fossero improvvisamente separati.
Quanto tempo era passato in quello stato di immobilità? Secondi, forse minuti, forse interi secoli, ad aspettare che quel qualcosa accadesse.

Inghilterra dischiuse le labbra. Doveva dire, fare, qualcosa. Quella piccola parte di cervello rimasta ancora sveglia glielo stava urlando a squarciagola, facendo squillare tutti gli allarmi di cui era munita. Eppure, non ci riuscì, a dire o fare qualcosa. L’unica cosa che ottenne fu di stringere le labbra fino a farle scomparire dietro a una sottile linea bianca.

Il bacio di America era stato come un fulmine a ciel sereno. Inghilterra si rese conto che stava aspettando il tuono. Oddio, non pensava che potesse odiare fulmini e tuoni come quando era solo uno scricciolo di Nazione. Non pensava di poterli temere ancora così tanto.

Il tocco gentile delle dita di America sotto il suo mento lo fece sobbalzare. All’improvviso nel suo campo visivo non vide che l’azzurro dei suoi occhi. Adorava quell’azzurro, limpido come il cielo. L’aveva sempre adorato. Fin dalla prima volta che l’aveva incrociato.

Il viso di America si fece nuovamente troppo vicino. Inghilterra questa volta era preparato, ma rimaneva vittima del suo stesso stato di immobilità. Nell’inconscio, si stava preparando all’arrivo del tuono.

Sentì la sua fronte poggiarsi sulla propria, aderire con delicatezza, e il fiato caldo e leggero sfiorargli appena la pelle del viso.

“Ehi, England.”
Sussurrò appena America. A Inghilterra parve quasi avere l’intensità di uno sparo nel nulla.
“Voglio che tu stia con me.”

Tuono.
Il fragore del tuono era arrivato, sottoforma di poche parole sussurrate al solo suo orecchio. Dentro ad Inghilterra qualcosa si ruppe. C’era da ipotizzare la sua diga emotiva, a giudicare da come un’ondata di sensazioni contrastanti gli si stava riversando nelle viscere. Speranza, paura, sollievo, ricordi, segreti desideri e segreti rimpianti.

Le sue mani andarono a stringersi nelle pieghe dell’orribile giacca marrone di America, disperatamente bisognose di un appiglio che lo salvasse da quel vortice nero che lo stava risucchiando.

Senza nemmeno rendersene conto, Inghilterra si ritrovò stretto nell’abbraccio di America; e contro la sua spalla, annuì in silenzio.




*




Shadows fill an empty heart
As love is fading
From all the things that we are
But are not saying
Can we see beyond the scars
And make it to the dawn?




A distanza di una decina d’anni da quando America aveva ottenuto – con la forza – la sua agognata indipendenza, il dolore dal volto di Inghilterra non era ancora sparito.
Una decina d’anni. Nulla per una Nazione. Eppure Francia stesso, che si vantava tanto spesso di sapere cosa mai passasse per la testa di quello scorbutico, mai avrebbe immaginato conseguenze di tale portata.

Il dolore sul volto di Inghilterra nel tempo non sparì. Non accennò neppure a diminuire. Il dolore sul volto e nel cuore di Inghilterra si trasformò, piano piano, in rancore e negazione.

Se Francia non avesse avuto altro a cui pensare, forse avrebbe notato quella ferita profonda nel cuore inglese, e le nere ombre che vi penetravano, riempiendo uno spazio ormai vuoto.

E con l’avanzare del dolore, e delle ombre nere, il carattere già pessimo della nazione andava peggiorando, rendendolo sempre meno avvicinabile, sempre più schivo e sospettoso.

Senza contare che Inghilterra era pur sempre un nemico. Non sarebbe stato per nulla conveniente provare pietà per lui.



*
 




Change the colors of the sky
And open up to
The ways you made me feel alive
The ways I loved you
For all the things that never died
To make it through the night
Love will find you




C’era voluto tanto, tanto tempo, e tanta, tanta pazienza e insistenza per persuadere Inghilterra a trasferirsi a New York.
Se America ci avesse riflettuto un attimo sopra, si sarebbe reso conto di quanto quello fosse stato il suo negoziato più lungo, faticoso ed estenuante.

Ma alla fine – come era ovvio – era riuscito a spuntarla, più che altro grazie alla sua testardaggine e a tante, tante, moine.

Certo, aveva dovuto accettare l’amara e incontrovertibile verità che rendeva impossibile la permanenza di Inghilterra su suolo statunitense dodici mesi l’anno, in quanto una Nazione doveva pur sempre lavorare per lo Stato che rappresentava e per il suo popolo, ma, a conti fatti, i sei mesi l’anno che era riuscito a strappare a Inghilterra – più festività – bastavano e avanzavano.
Di sicuro era molto più tempo rispetto a secoli prima, quando, in veste di madrepatria, ogni tanto si degnava di farsi vedere (ma sempre troppo poco).

America aspirò con quanto più rumore possibile le ultime gocce di Coca-cola dal fondo della lattina, prendendo poi a masticare distrattamente la cannuccia. Stravaccato sul divano, fece scorrere alla tv un paio di canali, fino a soffermarsi sulla visione di una puntata di CSI Las Vegas.
Quello era fuor di dubbio uno dei suoi telefilm preferiti. Peccato che Inghilterra fosse esattamente del parere opposto.

Il secco scattare della maniglia e il cigolio strascicato dei cardini della porta di ingresso lo avvertirono del ritorno del suo… convivente.

America fece leva sulle braccia per alzarsi di quella manciata di centimetri utili per voltare lo sguardo oltre lo schienale del divano. Inghilterra, dopo aver scaricato a terra in malo modo ventiquattrore, cappotto e valigia, si trascinò lungo il corridoio d’entrata, fino a raggiungere il limitare del salotto.

“Bentornato, England!” lo salutò America, tutto pimpante, la cannuccia ancora in mezzo ai denti, mentre gli faceva segno di raggiungerlo – velocemente, se possibile, che il telefilm stava scorrendo.

Inghilterra in risposta sbuffò, esausto, arrancando controvoglia verso il divano per poi buttarvisi sopra, di fianco all’altro.

America non attese altro; lasciò scivolare il braccio lungo le spalle dell’inglese, per poi stringerlo accanto a sé senza chiedere alcun permesso. Be’, non arrivò nessuna lamentela indignata. Tanto meglio.

“Allora, com’è andata?”

Inghilterra sbuffò una seconda volta, accomodandosi meglio contro il suo fianco. “Una schifezza, ecco com’è andata.” Sentenziò, acido.

America rise. Quella era la sua risposta standard di quando tornava dal Vecchio Continente. Francamente, non gli era mai interessato il perché “fosse andata una schifezza”; l’importante per lui era che Inghilterra tornasse puntualmente fra le sue braccia.

“E adesso?”
“Adesso cosa?” chiese Inghilterra, la testa ora poggiata contro la sua spalla, non molto voglioso di intrattenere una conversazione, per quanto blanda potesse essere.
“Adesso come va? Adesso come stai?” insistette lo statunitense, scuotendo anche un po’ l’altro nella speranza di rinvigorirlo un attimo; giusto il tempo per sentirsi dire quello che voleva.
“America, ma che razza di discor-”
“Eddai! Rispondi e basta!”

Inghilterra sbuffò per la terza volta. Infine sospirò rassegnato.
“Adesso sto bene. Ok?” E quel “okay” stava a significare “ho detto quello che volevi, quindi adesso lasciami riposare in pace, per favore”.

Ovviamente, America mancò totalmente di afferrarne il significato recondito.
Sul suo volto invece si fece largò un sorriso luminoso, e in un impeto improvviso di affetto, strinse a sé Inghilterra, trascinandolo sul fondo del divano per poi rannicchiarglisi contro.

Non fece caso agli strepiti indignati, all’agitarsi di braccia e gambe, al rossore che inondò d’un tratto il volto stanco di Inghilterra – a dire il vero a quello ci fece caso; lo trovava irrimediabilmente carino.

America dunque poggiò la testa sul suo petto, lo sguardo rivolto nuovamente alla televisione.
“Sono felice che adesso tu sia qui.”

Inghilterra sussultò appena.
Ci mise un’infinità di tempo, e fu poco più che un sussurrò rivolto a chi-bene-non-si-sa, ma alla fine rispose con un timido “Anch’io”.    


   
 
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