Storie originali > Generale
Ricorda la storia  |      
Autore: LawrenceTwosomeTime    25/08/2012    1 recensioni
Un veliero che naviga da tempo immemore, un'antica maledizione, un finale a sorpresa. Questi gli ingredienti della mia storia.
Genere: Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Il tempo cancella gli eventi, le cariche, i nomi… Potremmo paragonarlo al mare, che con i suoi capricci fa innamorare gli uomini e ne stabilisce le sorti. Questo mare ha voluto che io conservassi il titolo di capitano; o immenso favore, o immensa sciagura.

"È colpa del fottuto sole", gorgogliò il sottufficiale Manero tra un singulto e l'altro.
"Suvvia, Pedro. Gradirei sapere che colpa ha il sole delle nostre disgrazie", dissi in tono spazientito.
Nel frattempo avevo tentato di sottrargli la bottiglia, ma il vecchio aveva una presa salda e non si lasciò defraudare.
"Badi che io parlavo dell'altro sole, come tutta la ciurma del resto"
"Oh bé… È innegabile che si tratti di un fenomeno poco usuale", replicai con un vago sentore di imbarazzo.
"Poco usuale? Capitano, quel fottuto coso sta lì in alto, assolutamente nero e assolutamente fermo, da che questo mio povero cervello è in grado di ricordare. Per quel che ne so, potrebbe essere la manifestazione di qualche dio egiziano dimenticato da migliaia di anni, o una di quelle cazzo di allucinazioni collettive dovute alla mancanza d'acqua"
Pedro Manero era gobbo e decrepito, beveva come una spugna e non ispirava certo simpatia, con quella carnagione slavata, il naso aquilino e gli occhi perennemente in preda ad una febbre interiore, degno contrappunto ai denti giallognoli e alla barba unta e folta. A essere buoni, si poteva dire che aveva l'aria di un bell'uomo invecchiato e imbruttito prematuramente. Non si cambiava mai gli sdruciti calzoni di tela e la vecchia camicia grigia aperta sul petto, coperta da una palandrana puzzolente.
Ciononostante, era il sottufficiale più affidabile che avessi mai avuto, ed era perfettamente in grado di interpretare l'umore del mare e i sentimenti della ciurma.

Sono capitano da tempo immemore, ormai non più un giovinetto ma nemmeno una cariatide, e cerco di presentarmi sempre al meglio delle mie possibilità: gli stivali di cuoio dalle fibbie dorate, i pantaloni blu cobalto, la camicia con gli ampi polsini, la giacca blu ricamata da motivi floreali dorati e poi la gorgiera vaporosa e il cappello a tesa larga con pennacchio… tutto questo contribuisce a donarmi maestà e autorevolezza. Completano l'opera il mio fisico asciutto, il volto dai tratti ispanici, il pizzetto curato, gli occhi verdi e i lunghi capelli corvini.
Ma quel giorno, l'ennesimo di una serie infinita, nemmeno la stima che i marinai avevano di me era sufficiente a placare il malcontento.
Negli uomini era dilagata la convinzione che il sole nero pece, il "secondo" sole, il quale – a differenza del primo – non tramontava mai, fosse la causa del nostro navigare a vuoto.

L'Estella, il piccolo vascello che governavo, costruito in un cantiere della Galizia, era salpato dalle coste spagnole in un giorno di giubilo collettivo. I miei ricordi sono confusi e a volte dubito che quei momenti siano davvero trascorsi, ma c'è una cosa che non ho mai dimenticato: l'America.
L'America era la nostra destinazione, l'America era la nostra speranza, una promessa di successo.

A chi avevo detto addio? Quali erano i miei progetti a lungo termine? Non lo sapevo, e la cosa mi gettava di sovente nello sconforto. Tutto quello che potevo fare, era continuare a navigare.

Non crediate che non avessi provato a invertire la rotta. Forze invisibili, è l'unica definizione soddisfacente che mi venga in mente, ci costringevano a navigare in linea retta.
A volte mi sembrava addirittura di non avanzare: era come se rimanessimo fermi, l'oceano una patina chitinosa e traslucida, respinto e appiattito dallo scafo della nave. I boccaporti non stillavano acqua.

Mi allontanai dal sottufficiale rimuginando sulla possibilità che mi fosse sfuggito qualcosa, nel cuore la segreta speranza che il marinaio di vedetta avvistasse terra.

"Capitano Montalbán. Ernesto"
Uno degli uomini adibiti ai lavori di fatica mi intercettò. Da meno di una settimana si prendeva la libertà di chiamarmi per nome. Sorvolai sulla sua impudenza.
"Parli"
"Capitano, stavo pensando… E se smettessimo di provare? Voglio dire, se ci distendessimo semplicemente sul ponte principale, chiudessimo gli occhi, e invocassimo la Divina Provvidenza?"
Abbracciai con lo sguardo il mio veliero: i tre alberi, le bandiere rosse in cima, la poppa che ospitava l'ampio timone, la lancia a prua, il sottocoperta dove si trovavano, invisibili, la cambusa e le cuccette, e naturalmente la mia stanza.
"Mastro Martínez, se il suo proposito è quello di suicidarsi, non sarò certo io a dissuaderla; ma badi di non trasmettere questa sua vocazione di martire al resto dell'equipaggio"
L'altro mi guardò, negli occhi solo una fuggevole luce palpitante.
"Lei… non crede più in Dio, capitano? Non crede nella protezione della Santissima Vergine?"

Stavo per replicare, quando mi sentii tirare dolcemente per la spalla. Mi voltai.
Era Mbacke, un mozzo di neanche quindici anni che di solito se ne stava sulle sue. La ciurma lo disprezzava perché era di colore, ma personalmente non ho mai dato peso alle distinzioni.
Nonostante l'indole solitaria, aveva un carattere solare e tranquillo, e si vedeva: il viso pieno e luminoso, gli occhi grandi e la silhouette aggraziata gli conferivano un certo charme.
Mi disposi ad ascoltarlo, confidando che non mi propinasse un altro vaniloquio religioso.
"Capitano, scusi se la disturbo…"
"Dimmi"
"Ci ho pensato a lungo, e alla fine ho deciso…"
"Deciso cosa?"
"Prima che fosse raso al suolo dai bianchi, nel mio villaggio operavano degli stregoni. Uno di loro era mio amico. Ciascuno conosceva delle "parole di potere". Delle formule magiche", aggiunse, vedendo che non capivo.
"Ce n'è una in particolare, che potrebbe aiutarci a uscire da questa situazione"
"Come funziona?", chiesi, incuriosito.
"L'equipaggio dovrebbe cantare la nenia in coro, nessuno escluso, fino a che un eletto designato all'unanimità, per esempio lei, non sperimenti l'uscita dal proprio corpo"
"Non capisco"
"Le chiamano "esperienze extra-corporali". L'anima esce dal corpo per breve tempo, ed è libera di fluttuare nel cielo come un uccello. Potrebbe guardare il mondo dall'alto. Avere una visione d'insieme. Capire perché siamo sospesi in queste acque di nessuno, forse"

Aggrottai la fronte. Non avevo mai creduto nel soprannaturale, figuriamoci alle farneticazioni di un negretto pubescente.
Ma avevo forse altra scelta?
Fosse stato per me, ci avrei provato senza esitare, ma sapevo che l'equipaggio non sarebbe stato entusiasta di prestarsi all'occultismo blasfemo di un selvaggio. C'era il rischio di un ammutinamento.

Mi riservai di rifletterci, e poi, dopo un pasto che definire frugale sarebbe stato eufemistico, presi da parte Manero e gli rivelai la proposta di Mbacke. "Che mi prenda un colpo se quello sterpo di fuliggine non vuole gettarci addosso il malocchio!"
"Pedro, cerchi di ragionare. Non abbiamo scelta…"
"Non sto mica dicendo che rifiuto. Sbarbi una capra e me la dia in moglie, se non siamo disperati quanto basta per praticare la magia nera"
Il vecchio sorrise, e continuò a sorridere mentre convinceva, uno per uno, gli occupanti della nave a eseguire l'incantesimo, e smise soltanto quando, al termine di furiose discussioni, l'intero equipaggio si fu riunito in cerchio nella luce del crepuscolo.
Solo Martínez non sembrava persuaso.
Al centro dell'anello umano così costituito, sostavo io, in ginocchio, ubriaco a sufficienza e conseguentemente fiducioso.
"Iniziamo il canto. Seguite le mie parole", disse Mbacke.
Un'esclamazione esasperata, e Martínez fece un passo indietro.
"Volete farmi credere che siamo arrivati a questo? Siete tutti pazzi!"
Un compagno cercò di farlo ragionare, e si beccò un montante subito sotto il mento.
L'agitazione crebbe fino a generare i presupposti per una rissa, quando uno stridio lacerante ammutolì gli antagonisti. Alzammo lo sguardo al cielo.
Un colossale Ruk giganteggiava sopra di noi, gli occhi profondi come pozzi che rispecchiavano il nostro terrore.
Scoppiò il panico.

I marinai correvano da tutte le parti, incerti se rifugiarsi in cambusa o gettarsi in mare. Le urla coprivano i versi del volatile, che tuttavia non sembrava essere interessato a noi e si limitava a volteggiare sopra la nave.
Ripresi il comando.
"Uomini! Prestatemi orecchio, nel nome di quell'oncia di contegno che conservate nell'ammasso di merda di vacca che osate definire intelletto!"
Si fece silenzio.
"Quel mostro alato è solo l'avvisaglia di ciò che vi aspetta nell'altro mondo, se non mettete su giudizio e applicate il vostro ingegno. Ora, Mbacke, comincia a cantare"
Il mozzo, che non si era mai mosso, piegò leggermente le labbra in segno di apprezzamento e poi gettò all'indietro il capo. Una eco spettrale e cavernosa si diffuse nell'aria.
Questa volta gli uomini, nessuno escluso, intonarono la nenia dopo di lui.

Mi sembrò che il tempo perdesse di importanza; mi parve che gli occhi scivolassero fuori dalle orbite in cui erano infissi e galleggiassero nel nulla. E sentii come di perdere peso.
Un attimo dopo, volavo sopra la nave, senza il fardello della gravità, senza preoccupazioni, alimentato da un bisogno crescente di scoperta.
E vidi.

Vidi che il ruk era solo un gabbiano.
Che il nostro vascello galleggiava si sul mare, ma non nel modo che avevamo immaginato.
Che il sole nero era un tappo di sughero.

Che la nave era una nave in bottiglia.
  
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: LawrenceTwosomeTime