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Autore: LawrenceTwosomeTime    03/09/2012    3 recensioni
Des deve incontrare qualcuno, e quel qualcuno gli dirà come si vive. Storia allucinata ma al contempo trasparente, assistita da una moltitudine di idee, concetti e monologhi che mi sono venuti in mente in questi giorni, e la favoleggiante musica degli Anathema, dei Blackfield e dei Pineapple Thief.
Genere: Commedia, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Des si sporge a osservare il volo delle rondini.

Sembrano divertirsi un mondo. Non l’aveva mai notato.
Planano e risalgono e riplanano a ritmi alterni, per il puro gusto di farlo, sembrerebbe: prima si lasciano cadere, poi sfiorano il pelo dell’acqua e spalancano le ali e il vento le spedisce in alto. Una gioia muta e palpabile invade l’aria.
C’è tanta purezza, in quelle parabole non scritte, tanto innocente desiderio, che gli viene da piangere.
Persino i loro escrementi sono candidi.

Ha ancora un po’ di tempo prima di incontrare la ragazza, perciò si trattiene con piacere lungo la riviera, sbirciando con la coda dell’occhio innamorati, anziani solitari, mamme con bambini. È tutto così rassicurante e normale che non ci si crede.

“Ehi, Des! Non ci posso credere, sei proprio tu!”
È un’affermazione, non una domanda.
Si volta. Due ragazze vestite in modo sportivo ma elegante lo guardano con curiosità. Entrambe hanno una scollatura da capogiro, e adeguati riempitivi per portare avanti i loro argomenti.
“Io… uh… vi conosco?”
“Ma si!”, dice quella di sinistra. Sembrano gemelle. Forse completano l’una le frasi dell’altra.
“Ci siamo visti alla festa della Giusy”
Un party di almeno dieci mesi fa. Com’è possibile che si ricordino di lui? Ha l’impressione che queste femme fatales a buon mercato, d’aspetto finto scadente, cataloghino i poveri maschietti come tante farfalle appuntate al muro con uno spillo.
“Giulia”, “Laura”. Tendono la manina. Gliela stringe a turno.
“Che cosa fai di bello da queste parti?”
L’ha chiesto Giulia o Laura? L’ha già dimenticato. Chi se ne importa.
“Io… ah… C’è un film di David Lynch che devo comprare. Dalle mie parti è esaurito, perciò… ho colto l’occasione per fare un viaggetto fin qui”
“David chi…?”, domandano all’unisono.
“Il regista, avete presente? Quello che non si capisce niente”
“Oh, si!”, Laura – o forse è Giulia – si illumina.
“Il mio ragazzo è andato a vedere Inland Empire, è suo no? Ha detto che si è addormentato dopo i primi dieci minuti”
Si addormentano tutti. E per forza: hanno tutti un buon motivo per schiacciare un pisolino, certo, se non c’è la partita, o un film di Roland Emmerich. Cazzo. Sente la rabbia montare.
“Bé, se non conoscete Lynch, il mio consiglio è di conoscerlo, per aggiungere un po’ di sballo alle vostre già sicuramente interessantissime vite. Woody Allen vi piace, no?”
“Si!”, esclamano come fossero un solo corpo. Ci avrebbe scommesso: quasi tutti adorano Woody Allen, da quando si è messo a girare film turistici.
“Ecco. Lynch ha un modo tutto suo di sbeffeggiare il pantheon attoriale, che però ha qualcosa in comune con Allen e Altman”
Annuiscono come se sapessero chi è Altman.
Poi una gli domanda: “Ma che c’entra questo Lynch con Woody Allen?”
Esita.
“Niente, in realtà”
Ridono in sincrono, compiaciute. Ha intenzione di prendersi una rivincita.
“A onor del vero, Lynch fa parte della divina trinità composta, oltre che da lui, da Giger e Lovecfraft”
Giulia/Laura gli sembra incuriosita: “Ma chi l’ha detto? Cioè, hanno fatto un sondaggio?”
“Peter Travers”, spara. Stronzate. “E se lo dice Peter, chi siamo noi comuni mortali per contraddirlo?”
Annuiscono di nuovo, più lentamente.
“È… uhm, stato un piacere, ragazze. Ci vediamo!”
Stanno ancora pensando a quello che ha detto, e si dimenticano di salutare.

Ma quanto sono cretino?, si rimprovera in silenzio. Mi intrappolo con le mie mani in conversazioni ingarbugliate e senza senso! Chi me lo fa fare di ridurmi così?

Nonostante lo scambio infelice di battute, il buonumore non gli è andato via del tutto, e si sorprende di quanto poco manchi all’appuntamento.

Un’auto grande come un camion frena a pochi centimetri dal suo piede; neanche mezzo metro accanto, un ragazzo con lo scooter ammaccato rallenta e si blocca.
Des scorge distintamente una cicciona con gli occhiali da sole e i capelli tinti di un inguardabile rosso menopausa rivolgere un insulto al tizio sul motorino. Auto da camionista, parlata da camionista. Tutto quadra.
“Ti sono venuta addosso? E che mi dici? Che fai, mi denunci? Non avrai neanche quattordici anni, stronzetto!”
Il ragazzo balbetta, a disagio. Nemmeno sua madre deve avergli mai parlato così.
“Va, va, levati dalle palle. Testa di cazzo”
Una cacofonia di clacson riempie il cielo. Des si affretta ad abbandonare l’incrocio, le mani premute sulle orecchie, il desiderio di trovarsi altrove che lo trasporta miracolosamente su un’isola sicura.
Mentre il concerto sinfonico si spegne con riluttanza in lontananza, una donna che corteggia all’incirca la trentina si pianta proprio davanti alla sua traiettoria. È in qualche modo attraente: una di quelle donne che fanno pensare: “Che bella”, e subito dopo diventa sciupata, ma non meno interessante, e poi ritorna bella.
Che razza di giornata, pensa Des.

“Tu mi sembri niente male”, dice la signora. Lo scruta da capo a piedi come farebbe un viveur con una ragazzina ritrosa.
“Prego?”
“Quello che ti dirò potrebbe suonarti strano, ma… Mi trovo in una brutta situazione. Stasera ho una cena con i miei genitori e sono senza cavaliere”
Lui è allibito.
“Avevo promesso che avrei portato il mio fidanzato. Il fatto è che… mi ha lasciata. Questa mattina”
“Scusi l’impudenza (impudente, lui?), ma come fa a essere quella che viene lasciata? Cioè, non mi sembra il tipo che un uomo può scaricare a cuor leggero”
Lei sospira.
“La verità è che sono una stronza”
Des ci riflette un momento.
“In qualunque altra circostanza non avrebbe fatto la minima differenza, ma ho già un appuntamento”
Lei ammicca.
“Un incontro romantico?”
“Non esattamente”
“Bé, ti auguro che vada a buon fine. Ma ricorda: ogni lasciata è persa”
“Me ne ricorderò”
Si salutano con un cenno e riprendono ognuno il suo cammino.
Ecco. Ora è in ritardo.

Ha il fiatone quando suona il citofono del condominio che gli era stato indicato, per la precisione il campanello che gli era stato indicato.
Strano: si aspettava un vecchio palazzone cadente, invece è un moderno complesso in stile pseudo Bauhaus.
Si infila nell’ascensore e preme il bottone dell’ultimo piano. Quando esce, la porta è aperta per lui.
“Benvenuto”, lo accoglie una voce dalla cadenza infantile. Quello che non è mai riuscito a capire, è se sia l’inflessione a donarle un tono così puerile, o il timbro. Gli ricorda la cantante dei Cranes.
Una ragazzina sui quindici anni, vestita di un arioso e variopinto jilbab, gli fa segno di venire avanti.
“Ciao, Maia”
“Mi sembra di averti detto che il mio nome completo è Maia Freija Itzapapalotl”
“Come pretendi che mi ricordi quella roba?”
“Sei in ritardo”
È svelta a cambiare argomento quanto lo è di lingua.
“Mi dispiace. Ho avuto un paio di…”
“Contrattempi, lo so. Tre, per la precisione”
“Come diavolo fai a…?”
“Tu come fai a sapere cos’hai mangiato a colazione? Lo sai e basta”
Sta per replicare che lì si parla della sua vita, non della vita di qualcun altro, ma rinuncia notando lo sguardo della veridica.

L’aveva conosciuta ad un raduno neopagano svoltosi l’anno scorso. Ci era andato guidato dalla semplice curiosità, e per l’insofferenza verso qualunque forma di dogma cristiano. Ciò che più gli da fastidio delle principali religioni monoteiste è che sono tutti convinti che, senza la loro guida e le loro morali, l’umanità cadrebbe preda di vizio e licenziosità. Quand’anche accadesse, che ci sarebbe di male?
Si era sorpreso nell’apprendere che una creatura così giovane fosse rispettata e riverita nel circolo dei praticanti della Vecchia Religione. Proprio così: lei era il cerusico del destino, la sacerdotessa che stringeva nelle mani il fato degli uomini. Non una maga qualunque, di quelle che vendono sacchetti di sale per televisione.
Gli aveva lasciato un recapito, esortandolo a chiamarla “quando fosse stato pronto”. Sembrava dare per scontato che lui sarebbe andato a trovarla. Cosa che, effettivamente, era accaduta.

Si siedono in un buio salottino rischiarato dalla luce di poche candele. C’è odore di polvere e di chiuso. E di borotalco.

Il pouf di chintz è comodo, ma un po’ basso per la taglia di Des.
“Allora”, dice Maia.
“Tutto quello che ti dirò è già presente in forma di scrittura nel tuo corredo cromosomico, perciò il prezzo da pagare sarà relativamente basso. Ogni volta mi sento in colpa, lo sai? A leggere cose che sono già in bella vista. Ma che ci posso fare, è il mio lavoro”
Lui tace.
“La domanda che ti pongo non è a mio beneficio. È al tuo. Perché sei qui?”
Des non ha bisogno di pensarci.
“Sono infelice”
“Ti sbagli”, erompe la veridica a bruciapelo.
“In base a quale criterio?”
“Credimi, tu non sai cosa sia la vera infelicità”
Des piega la testa di lato.
“Innanzitutto, perché mi sembra che la gente mi trovi, in un certo senso, interessante? Mi sento perseguitato”
“Una cosa di nessuna importanza. Psicosi monomaniaca. O almeno, questo è quello che ti direbbe un dottore. La verità è più semplice. La colpa è mia”
“Come?”
“Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Il moto inerziale. Cose così. Tu dipendi da me, ma ancora non sai in che modo”
Des si strofina gli occhi.
“Intendi che sono tutte allucinazioni? Allucinazioni indotte da una forma di legame psichico prestabilito, o…?”
Lei sbuffa.
“Che palle, dite tutti la stessa cosa. Allucinazioni, allucinazioni, allucinazioni… È colpa del cervello, è colpa della mente, è colpa della psiche. Avete dimenticato in cosa consiste una dimensione kafkiana dell’esistenza. Non è la mente che modifica il mondo. Non si tratta di un sogno lucido. Il mondo stesso cambia, ruota, si inverte, si storce, si deforma. Se vi ostinate a leggerlo come un affronto personale, vi caccerete in una situazione senza uscita”
“Allora, scusa, come puoi aiutarmi?”
“Dandoti dei consigli, stupidino”
“Va bene. Sono tutt’orecchi”
“Quello di cui hai bisogno è contestualizzare la tua condizione. Hai mai pensato a cosa c’è dopo la morte?”
“Moltissimo”
“Perché sei un idiota. Dopo la morte non c’è niente. Più ti liberi della parte umana, più ti sarà facile accettarlo: prima dell’uomo c’è l’animale, prima dell’animale la pianta, e prima ancora i batteri, e poi la morte. L’unica cosa che puoi sperare è di sopravvivere trasformandoti nei ricordi di qualcun altro. Allo stato attuale, forse lo sei già”
“Dimmelo in modo che non mi prenda una crisi di panico”
La veridica trae un respiro profondo.
“L’immanenza tende all’entropia. La trascendenza alla neghentropia. L’universo si regge su queste semplici leggi”
“In pratica… Le cose materiali si raffreddano e muoiono, mentre le idee… si accumulano? Ho detto bene?”
“Mi sorprendi. Lo vedi che non c’è niente da temere?”
“Hai mica dell’acqua frizzante?”
“Nel frigo. Attento allo sportello, è difettoso”

Des ritorna poco dopo reggendo due bicchieri. Beve avidamente.

Maia si toglie il velo e lui vede che è incantevole. Non la ricordava così.
“Veniamo alle cose importanti”
“Pendo dalle tue labbra”
“Ricorda: i poveri non odiano i ricchi; si odiano tra di loro. Un amore non corrisposto è sinonimo di soddisfazione se entrambe le parti optano per il sesso. Si dice che siano le azioni a definire l’uomo, ma vale anche il principio contrario”
Scende il silenzio.
“Tutto qua?”, chiede Des.
“Non mi fai vedere qualche magia? Chessò, tipo materializzare dei fascisti in miniatura o tagliarmi le unghie degli alluci con la tua prosa affilata?”
Lei lo guarda con arroganza.
“La magia attinge agli archetipi. Posso raccomandarti al dio della fertilità, ma se non ci credi tu per primo, otterrai miseri risultati”
“Una parola di speranza?”
“Serendipità”
“Come? Superfragilistichespiralidoso?”
“Significa votarsi alla casualità, abbandonarsi al corso degli eventi. E così raggiungere la felicità, la fortuna, ma soprattutto, l’imprevisto”
“Mi basta”

Si lasciano con un reciproco inchino, che fa molto giapponese e promette nuove occasioni di incontro.
Chiudendo la porta, Maia sussurra: “Io sono il tuo Dio. E il mio sonno sta per terminare. Vivi al meglio delle tue possibilità”
Gli mette i brividi.



Un anno, tre mesi, due giorni, dieci minuti e trentasette secondi dopo, Maia si sveglia.

Des e tutto il mondo di cui fa parte svaniscono. Ora non ci sono più dubbi.
La prossima sarà per forza lei.
  
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