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Autore: Melanyholland    07/06/2004    63 recensioni
Per non perdere per sempre la sua Ran, stavolta Shinichi dovrà combattere la battaglia più dura: quella contro se stesso
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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1. Feelings

"E’ lui il colpevole!"

la voce di Kogoro echeggiò nella stanza e, fra lo stupore generale, il signor Asaba cadde sconfitto in ginocchio con la testa fra le mani: "Sì, sono stato io detective... esattamente nel modo che ha spiegato... ma Kyoko era... un essere spregevole!! Non ho rimpianti per averla uccisa, erano anni che mi ricattava con foto compromettenti... non sarebbe mai finita!". La polizia accompagnò il colpevole fuori dal casolare, con un grosso sbadiglio Kogoro si alzò dalla poltrona e ricevette da tutti congratulazioni per aver risolto il caso. Solamente una ragazza bruna lo ignorava e si aggirava invece per la stanza preoccupata: stava cercando un bambino, scomparso da più di mezz’ora: "Conan! Dove sei? Insomma! CONAN!"

"Eccomi Ran!" il piccolo sbucò fuori da dietro la poltrona, attraversando la folla che vi si era radunata intorno "Ero andato a..."

"Non scomparire più in quel modo!" lo interruppe "Lo sai che poi sto in pensiero! Che peste!"

Il piccolo annuì energicamente, e anche se sembrava piuttosto infastidito, la sua espressione cambiò radicalmente quando la ragazza lo prese in braccio, tenendogli la testa premuta sul suo collo: "Vieni, è meglio che non ti sforzi: hai preso una brutta storta giocando a calcio, stamattina" Conan mormorò un sì trasognante e lei gli accarezzò la testa. Come si sentiva bene. Stare stretto a Ran in quel modo, poter sentire il profumo fresco e dolce dei suoi capelli, il suo cuore che batteva lento e regolare, il suo respiro calmo... Conan arrossì, si strinse a lei ancora di più e Ran sorrise: "Conan! Che dolce! Ma allora mi vuoi bene!" stava per rispondere qualcosa ma si bloccò: rivelarle ciò che provava realmente era una cosa che desiderava da un secolo. Ma adesso, com’era ridotto, non avrebbe potuto farlo... molto spesso si era ritrovato a rimpiangere i giorni in cui era adulto, in cui aveva l’occasione di parlarle apertamente... e in quei momenti la sua testa si riempiva di immagini, in cui lui, Shinichi, le diceva tutto quel giorno al Tropical Land, sull’Otto Volante, prima che lei gli stringesse la mano... in cui prima di lasciarla sola e di andarsene la baciava dolcemente sulle labbra e le sussurrava all’orecchio di non preoccuparsi, perché lui le sarebbe stato sempre vicino, in un modo o nell’altro, e non avrebbe permesso a nessuno di farle del male... e allora un singhiozzo gli scuoteva il petto, e sentiva sul suo cuore lo sgradevole peso del rimpianto...

"Ran! Conan! Andate a casa con un taxi, io vado a festeggiare un’altra delle mie grandi vittorie!!"

Kogoro era euforico per aver risolto l’ennesimo caso senza alcuna fatica, non badò minimamente ai rimproveri della figlia sulla sua salute e si diresse trotterellando verso l’auto. Quando il taxi arrivò, Conan accettò a malincuore di doversi staccare dalla ragazza: in quella situazione era persino riuscito a non lanciare maledizioni all’uomo che si prendeva sempre il merito al suo posto.

Ran guardava assorta fuori dal finestrino appannato della vettura, mentre persone e cose sfrecciavano veloci sotto i suoi occhi: il sole stava tramontando e il cielo si era dipinto di sfumature calde, striato di nuvole. Vedere il tramonto la faceva sempre sentire triste, sapeva perché, ma preferiva far finta di niente, in fondo era meglio non affrontare certi pensieri, era stanca di provare dolore, solitudine. "Qualcosa non va, Ran neechan?"

La voce di Conan la fece sobbalzare, si voltò e guardò il bambino negli occhi azzurri: non sarebbe stato giusto rivelare le sue frustrazioni al piccolo, aveva solo sette anni..

"Niente, perché?" cercò di sorridere, e vide che lui la ricambiava:

"Non so, il tuo riflesso...mi sei sembrata un po’ triste." Lo era. Conan sapeva di non sbagliarsi, e purtroppo ne conosceva anche la ragione: proprio mentre il sole calava, in quel giorno di molti mesi prima, Shinichi l’aveva esortata ad andare avanti e si era allontanato per quello che sarebbe stato il peggior errore della sua vita; non era la prima volta che vedeva nei suoi occhi quello sguardo.

"Beh, ecco... pensavo a papà. Ho paura che possa alzare un po’ il gomito e.. ricordi quanto ci siamo spaventati quando credevamo che il dottore gli avesse dato solo sei mesi di vita?"

"Sì, ma a quanto pare lo shock non ha infierito sullo zio!" Ran rise, per fortuna Conan non si era accorto di nulla e andava bene così. Aveva notato quanto fosse sveglio e temeva che avesse intuito qualcosa, ma avrebbe tanto voluto confidare a qualcuno ciò che sentiva. Da un po’ di tempo aveva cominciato a fare strani pensieri, pensieri che la spaventavano, perché andavano contro tutto ciò che aveva sempre creduto.

O contro tutto ciò che Shinichi ha sempre rappresentato per me.

La verità di quell’affermazione le fece star male, ma si insinuò nella sua mente incontrollabile, la trafisse come una freccia: i sentimenti contrastanti che le attanagliavano il cuore l’avrebbero presto costretta in lacrime, ma non voleva, non lì, non in quel momento, non con gli occhietti di Conan puntati su di lei... perché Conan la stava fissando e sembrava intuire, sembrava

capire...

No, era solo la sua immaginazione. Quel bambino era piuttosto sveglio, questo sì, sapeva un sacco di cose strane in effetti, ma non avrebbe mai potuto conoscere ciò che le succedeva, perché con lui non aveva mai parlato di quanto dolore provasse per la scomparsa di Shinichi. Conan non poteva neanche lontanamente comprendere..

"C.. Conan..." era sempre più difficile sorridere "Che vuoi per cena?"

"Non so... per me va bene tutto... fai tu" Conan si strinse nelle spalle, era sereno, calmo e tuttavia imperscrutabile come al solito, ma questo le bastò a far sparire tutti i sospetti.

"Uhm... vorrà dire che farò delle polpette... l’ultima volta ti erano piaciute tanto, non è vero?"

"Sì! Tra l’altro potrò mangiare anche la parte dello zio, tanto al ritorno sarà così alticcio che crollerà sul divano!" Conan sfoggiò un sorriso a trentadue denti che rassicurò ulteriormente la ragazza, e per il resto del viaggio Ran riuscì a non pensare ai suoi problemi, distratta dalla cena. Il suo scopo era stato raggiunto e Conan ne fu felice, vederla così sofferente lo faceva veramente star male. Si era accorto che era sul punto di piangere, e lo confortò il fatto che Ran non potesse guardare se stessa mentre gli parlava: il suo sorriso era così maledettamente lontano da esprimere contentezza o qualsiasi altro sentimento positivo: era decisamente una smorfia vuota e anonima. Certo, vederla di nuovo serena lo tranquillizzò, ma si accorse suo malgrado di essere la fonte del suo dolore e allo stesso tempo la sua cura. Anzi, più precisamente, "Shinichi" era la causa del suo male e "Conan" che la faceva sentire bene. Possibile che adesso riusciva a farla felice solo attraverso il suo alter - ego infantile? Probabilmente avrebbe fatto meglio a telefonarle quella sera, a parlarle e a cercare di farsi confidare le sue ansie. Perché stavolta i suoi occhi esprimevano un dolore diverso da quello che da mesi e mesi le aveva letto nello sguardo, era quasi... paura... disperazione... Che le fosse successo qualcosa di cui non era a conoscenza? Strinse così forte i bordi del sedile che le nocche divennero bianche: se qualcuno aveva fatto del male alla sua Ran, gliel’avrebbe fatta pagare cara. Prima di tutto bisognava scoprire quello che succedeva, era decisamente il caso di telefonarle quella sera, dopo cena magari; temeva però che se avesse toccato un tasto dolente, di cui non conosceva la gravità, avrebbe fatto del male a Ran più di quanto si aspettasse. Risuonarono nella sua mente le parole di Sherlock Holmes: "l’emotività è nemica della chiarezza del ragionamento". Non capì mai quel concetto meglio di quel momento.

Il taxi si fermò davanti ad un edificio a più piani con dei grossi ideogrammi bianchi sui vetri delle finestre. Ran scese, pagò l’autista e prese nuovamente in braccio Conan. Lui arrossì, ma non mostrò nessuno dei sentimenti di pace e felicità che aveva provato solo poco tempo prima, nella stessa situazione.

Conan era sdraiato al buio, sul suo futon, lo sguardo fisso sullo schermo del cellulare illuminato; intorno a lui tutto taceva, e poteva sentire lo scrosciare dell’acqua in cucina, segno che Ran stava lavando i piatti. Come aveva previsto, Kogoro era tornato pochi minuti prima barcollante, cantando a squarciagola una canzone di Yoko Okino per poi crollare sul divano durante un acuto. Probabilmente in quel momento era lì che russava, e fu contento di non dover per quella sera passare ore d’inferno cercando invano di prendere sonno. Non aveva voglia di dormire però: rifletteva su quale fosse la cosa giusta da fare con Ran, se era meglio ignorare ciò che aveva letto nel suo sguardo, perché in fondo poteva anche essersi sbagliato, o chiamarla e parlarle. Era strano che fosse così preoccupato, ma la verità è che aveva un brutto presentimento, e il suo istinto finora non l'aveva mai ingannato. Sentiva come se qualcosa di terribile stesse per accadere, e se non avesse agito subito, sarebbe stato troppo tardi... non ne aveva fin troppi di rimpianti? Spinse il tasto centrale del cellulare, selezionò il numero di casa Mouri ed esitò: se avesse peggiorato la situazione? Non poteva sopportare di vederla di nuovo in lacrime per colpa sua. O forse

forse non è di lei che mi preoccupo

Sobbalzò: era vero, in realtà non voleva ammetterlo nemmeno con se stesso, poiché un vero detective deve essere forte, non lasciarsi trasportare da sciocchi sentimentalismi. A volte nascondere a tutti ciò che provava lo portava a nasconderlo anche a lui stesso, come in questo caso: aveva paura. Non che a Ran fosse successo qualcosa, ma che potesse decidere qualcosa. Pensava con timore ai giorni in cui lei si sarebbe stancata di aspettarlo in eterno, in cui avrebbe smesso di sospirare invocando il suo nome, in cui avrebbe cominciato a guardarsi intorno scoprendo che moltissimi ragazzi erano disposti ad uscire con lei

e chi non lo farebbe? È così bella

sorrise per un attimo, un sorriso pieno di malinconia. Temeva quel giorno, nel quale avrebbe visto gli occhi di lei illuminarsi parlando di un ragazzo che non era lui. Così, quando la vedeva triste e sofferente per la lontananza di Shinichi, lui

Oddio mi odio per questo non dovrei se le voglio bene davvero no

Strinse i denti e scagliò lontano il cellulare. Sapeva quello che aveva provato, lì, in quel taxi, accorgendo si che era sul punto di piangere, ma non voleva affrontarlo. Si sentiva così sporco, provava quasi disgusto per sé, e nonostante ciò non poteva farne a meno... perché era il pensiero di lei che l’aspettava ad esortarlo ad andare avanti, a non arrendersi pur sapendo di andare contro un’Organizzazione pericolosamente potente, era Ran, la sua Ran, a dargli la forza per lottare per quanto la situazione si presentasse insostenibile. Quel pomeriggio, certo, aveva provato dolore a vederla in quello stato per colpa sua, era vero, ma un’altra sensazione si era unita a quel dispiacere...

era stato un attimo, così rapido che riusciva ancora a mentire a se stesso, a fingere che non ci fosse mai stata... ma l’aveva percepita... e lo faceva star male.

Tirò le coperte fin sul mento e si voltò su un fianco, raggomitolandosi: era sicuro che prima non facesse così freddo. Avrebbe fatto meglio a mettersi a dormire, per quel momento non voleva pensare più a tutte quelle angosciose sensazioni: e poi rimandare era l’unica soluzione che era riuscito a pensare. Udì i passi di Ran per il corridoio e la sentì aprire la porta: un fascio di luce si proiettò sul suo futon, ma Conan rimase immobile nella sua posizione, fingendo un sonno profondo: l’ultima cosa che gli mancava era essere trattato come un moccioso e quindi rimproverato per essere ancora sveglio ad un’ora assurda come le dieci di sera. Aspettò che la ragazza richiudesse la porta e se ne andasse, ma non accadde: lei gli si avvicinò cercando di non far rumore, e si sedette piano piano accanto a lui. Conan sentì che gli posava delicatamente la mano sulla testa, accarezzandogli i capelli. Non voleva andare a letto; se fosse rimasta da sola, nel buio, avrebbe ricominciato a pensare quelle cose, e aveva paura. Sperava che il bambino fosse ancora sveglio, parlare con lui l’avrebbe distratta un po’. Forse però non era con Conan che voleva parlare, forse stava di nuovo ingannando se stessa. Il fatto è che lui gli somigliava così tanto... era addirittura arrivata a pensare che fossero la stessa persona, per sentirsi meno sola, meno abbandonata... credere che lui non l’avesse mai lasciata l’aveva confortata; ma era stata una speranza vana, un’illusione resa evidente dai fatti di qualche tempo prima. Quella sera, aveva pregato che il telefono squillasse, che fosse lui... Shinichi... perché aveva tanto bisogno di parlargli, di sentire la sua voce, che le faceva sempre battere forte il cuore, da quando era lontano. Ma Shinichi non aveva chiamato, forse era stato impegnato, forse

non aveva nessuna voglia di parlare con me

La mano sulla testa del piccolo si bloccò, Ran restò immobile, lo sguardo fisso nel vuoto. No, non poteva essere.. non lui.... inoltre, quella sera di qualche tempo fa, in quel lussuoso ristorante... Shinichi era sul punto di confidarle qualcosa, qualcosa di importante, che sembrava imbarazzarlo molto. Non che credesse al suggerimento della cameriera, la quale aveva detto che intendeva ¢ chiedere la sua mano¢

però... la sicurezza e la fermezza del suo carattere erano scomparse, esitava, balbettava, arrossiva...

Ran si era sentita serena e felice, credeva di potersi finalmente lasciare alle spalle la nostalgia, la tristezza... e invece lui l’aveva ancora delusa. Era di nuovo scomparso, aveva ancora anteposto il suo lavoro a lei...

Diede uno sguardo al piccolo Conan... che tenero, non si era nemmeno tolto gli occhiali, prima di andare a letto... glieli sfilò con delicatezza, cercando di non svegliarlo, e a quanto pare ci riuscì, perché il bambino non fece una piega: restò col viso affondato nel cuscino, respirando a ritmo regolare. Era meglio se lo lasciava in pace, l’ultima cosa che voleva era svegliarlo..

In effetti Conan si era addormentato veramente: il caso della morte di Kyoko era stato sfiancante, e sentire la mano della ragazza che lo accarezzava, il tepore che aveva ritrovato sotto le coperte calde, l’aveva rilassato, fino a farlo assopire.

La notte era buia e silenziosa, senza luna. Un uomo se ne stava sotto l’agenzia di Kogoro, avvolto in un pesante cappotto di feltro, con una sigaretta in bocca e un accendino in mano. Ci fu una scintilla,

poi si accese una piccola luce. La bocca dell’uomo sbuffò fumo e poi si dischiuse in un ghigno tutt’altro che rassicurante.

  
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