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Autore: Rosebud_secret    04/09/2012    10 recensioni
Spoiler: ambientata tre anni dopo la 2x03
Sono passati tre anni dalla morte di Sherlock.
Ora probabilmente vi aspettereste un John che sta tanto male, che soffre, che ha sempre stampata negli occhi l'immagine dell'amico che si schianta al suolo.
Beh, vi state sbagliando.
John sta bene, ha una compagna, una vita, persino una figlia, non pensa al passato, l'ha lasciato dietro di sé.
Lui non ha più un passato.
Sherlock lo osserva da lontano e lo osserva da vicino, ma John non sembra proprio accorgersi di lui, lo ha dimenticato.
È passato oltre e Sherlock ne soffre.
Mai avrebbe pensato che il suo amico, la persona più importante per lui potesse dimenticarlo, lasciandolo da solo a vagare nel nulla. Non pensa nemmeno di poter uscire dal loop in cui è caduto, nemmeno gli importa, fino a che una frase di Mycroft non lo risbatte nel passato:
«Hanno arrestato Gregory.»
Ma vorrà tornarci, senza John?
Nota: nessuna Mary Sue, i personaggi originali saranno secondari, odio le Mary Sue.
Buona lettura!
Ros.
Genere: Angst | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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No, non sto bene. Non sto bene per niente.

La signorina è ferma di fronte a me, incerta su cosa fare. Non osa nemmeno toccarmi per non rischiare di far peggio.

Meglio che mi concentri sul quanto mi fa pena, perché se ancora penso a tutto quel che è successo nell'ultima mezz'ora non credo che il mio equilibrio mentale riuscirebbe a reggere.

Mi risollevo e barcollo nel maldestro tentativo di reggermi ancora in piedi.

 

Quanti colpi può sopportare un uomo, prima di stramazzare al suolo?

 

Prima della sua caduta l'Inghilterra, no, il mondo, giudicava Sherlock Holmes quasi come un essere intoccabile, qualcosa di superiore, immune al dolore, alla sofferenza.

Era vero?

Eppure anche lui è caduto.

Io sono caduto?

 

«Signore..?»

 

«Sto bene...» Il mio tono non è convincente, ma non mi sto nemmeno sforzando.

 

Mi porto una mano al costato per controllare i danni, non credo di aver nulla di rotto, ma, a ben vedere, non m'importa nemmeno.

 

«Non volevo urtarla, mi dispiace.»

 

«Vuole che chiami un ambulanza?» Non mi ha creduto e continua ad essere preoccupata.

 

Scuoto la testa. Ci mancherebbe giusto un'altra giornata dentro un ospedale.

 

Mrs Hudson...

 

No, non voglio, non DEVO pensarci.

 

«Sto bene, davvero. Ho solo... ricevuto una brutta notizia...»

 

Mi sto giustificando e non so perché lo sto facendo. Forse ho anch'io bisogno di conforto umano?

Non credevo fosse possibile.

L'unica certezza che ho e che, comunque io mi chiami, James, Sherlock... sono solo e la consapevolezza di questo fa male.

 

«Mi dispiace.» La signorina continua ad essere gentile.

 

Mi sarei comportato allo stesso modo se qualcuno avesse tamponato me?

In fin dei conti le ho causato un danno da (guardo il parafango posteriore della sua auto) almeno duemila sterline...

Un tempo nemmeno il denaro era un problema o, forse, questo era solo un mio desiderio insoddisfatto?

Doveva essere bello crogiolarsi nel sogno di non aver altra preoccupazione che il proprio piacere... un piacere malato, con tutta probabilità, il piacere di un folle nel risolvere enigmi.

Forse è questo che mi accomuna con Holmes, ma da quanto tempo, ormai, ho smesso di provare piacere per quello che faccio?

Sarebbe più corretto dire: per quello che dovrei fare. Il caso è a un punto morto, l'ho già detto.

Non sono in grado.

Tutto il mondo, attorno a me, vacilla.

No.

No.

E' un pensiero presuntuoso sono io l'unico a vacillare.

 

Scuoto la testa e mi concentro sul momento presente. Scambio i dati con la signorina e, finalmente, me la levo di torno.

Mi stava facendo girare i...

 

Molly! Molly Hooper!

 

Come ho fatto a non pensarci prima?!

 

Risalgo in macchina e riparto, correndo, se possibile, ancor più di prima. Sono davvero un pessimo autista e gli altri, in strada, non esitano a farmelo notare con clacson e frenate brusche.

Lascio la macchina di fronte al Bart's e mi rendo conto solo dopo esser sceso che questo è proprio il marciapiede da cui John...

Oddio, John! Il telefono!

Alzo la testa per guardare il tetto, proprio quel tetto e mi coglie un capogiro, le gambe tremano.

Difficile stabilire quale sia la sensazione che sto provando in questo momento.

 

Paura?

Smarrimento?

 

Mi sento soffocare, quindi mi affretto ad attraversare la strada, rischiando di venir travolto da un povero tassista che mi ha evitato all'ultimo momento. Ignoro i suoi insulti e proseguo verso l'ingresso tenendo gli occhi puntati a terra.

In portineria c'è un tizio che non conosco e già questo mi induce all'insano desiderio di scappare via.

Potrei sopportare un'altra mazzata?

Mi avvicino e prendo un respiro profondo.

 

«Vorrei parlare con Molly, Molly Hooper.» La voce mi esce in un sibilo incerto.

 

Il portinaio solleva lo sguardo dal cruciverba con fare annoiato. «Chi?»

 

Chiudo gli occhi e faccio appello a una calma che so di non avere. «Molly Hooper.»

 

Scorre una breve fascina di fogli. «Nessuna Molly Hooper, mi spiace.»

 

Ogni barlume d'autocontrollo viene meno. Non ragiono e non ho ben chiaro come mi ritrovi ad afferrare questo tizio e a trascinarlo fuori dalla portineria. Lo sbatto con la faccia contro il pavimento e poi... poi tiro fuori la pistola e gliela punto dritta in faccia.

 

«Voglio-parlare-con-Molly-Hooper!» Lo scandisco con aria minacciosa, tirando indietro la sicura.

 

Non ho realmente intenzione di sparargli in faccia.

Spero di non averla.

Lui striscia indietro e solleva le mani. È visibilmente terrorizzato.

 

«N-Non so chi sia questa Molly! Lo giuro!» Geme.

 

Trema e non sta recitando.

Di colpo mi sento uno stupido e metto via la pistola. Mi afferro le tempie e mi rendo conto che sono sudato.

Il portinaio non accenna a scappare. Ha troppa paura che io possa ripensarci e gli spari.

 

«Sono un agente.» Chiarifico. «Sto seguendo un'indagine.»

 

Il suo terrore si tramuta in rabbia e subito comincia a urlarmi contro tutte le ingiurie che gli passano per la testa.

Inutile dire che non vi presto alcuna attenzione. Quando, finalmente, si placa per riprendere fiato, ne approfitto:

 

«Lavorava qui qualche anno fa... Ho bisogno di rintracciarla...»

 

Non accenna ad essere collaborativo e mi chiede il numero del mio superiore per potermi fare rapporto.

Gli do quello di Mycroft e tanti auguri.

 

Una volta placati i suoi istinti vendicativi, fa una ricerca sul computer ed è così che scopro che Molly è stata trasferita, ha ottenuto un nuovo posto in un laboratorio governativo nel nord dell'Irlanda.

Mi faccio lasciare il suo numero, mi accontenterò di sentirla per telefono e spero, prego che almeno lei riesca a fare chiarezza.

Abbandono il poveraccio a cui ho rovinato la giornata e torno in macchina. Frugo nelle tasche alla ricerca del telefono e mi ricordo, per la seconda volta, che ho lasciato in sospeso la conversazione con John.

Comincio a cercare il telefono sotto i sedili e, alla fine, riesco ad afferrarlo. Ci sono ben tredici chiamate senza risposta.

Tutte di John.

Lo richiamo e il semplice gesto di premere il tasto verde mi riporta alla realtà.

 

Mrs Hudson è morta.

 

In un secondo mi arriva addosso uno sconforto che non credevo fossi in grado di sentire.

Non per la dipartita di una persona.

Non in questo modo.

Io non conoscevo Mrs Hudson.

Questo dolore non ha il minimo senso...

Sherlock avrebbe saputo come razionalizzarlo...

 

«James! Alla buon'ora!» La tua voce, John, mi arriva come una doccia fredda. Devo ricompormi.

 

«Ho avuto un incidente...»

 

Nemmeno mi lasci finire che già m'interrompi.

 

«Cosa? Dove sei? Vengo a prenderti?»

 

«Sto bene, ho solo tamponato...»

 

La tua preoccupazione m'infonde una strana sensazione. Tu sei l'unica persona per cui esisto, come dimenticarlo?

Gli occhi mi pizzicano.

 

«Ti sei fatto male?»

 

Me lo chiedi ma, in un certo senso, lo sai che la risposta è sì. Il tuo essere retorico è curioso. Sembra quasi che tu sia molto più acuto di me in tutto, ormai, John.

Che senso ha vivere ancora in questa maniera?

Non è un discorso da depresso cronico, non provo alcun desiderio di suicidarmi perché sto troppo male...

No...

La verità è che non sento di avere un posto, un ruolo, un senso.

Quando una qualsiasi creatura non ha più ragion d'esistere si estingue, perché per me dovrebbe essere diverso?

Mi guardo nello specchietto e vedo un uomo che non riconosco e per cui non c'è spazio in questo mondo.

Forse è solo la droga a parlare.

 

«James?»

 

«Sì. Cioè, no, non mi sono fatto male.»

 

«Vieni da me.» Un ordine perentorio.

 

«No, John. Hai già i tuoi problemi...»

 

«Non mi era parso di aver posto una domanda.»

 

«Ho da fare.»

 

«Non me ne frega niente!»

 

Non so come oppormi, quindi, va bene, mi arrendo.

 

«Arrivo.»

 

Metto in moto e provo a chiamare Molly. Non sono fortunato e il telefono squilla a vuoto per ben cinque volte di fila.

Il tempo che mi occorre per raggiungere casa tua, a ben vedere.

Ora che ci penso, non ci sono mai entrato...

Indugio di fronte al campanello, devo essere sicuro di poter reggere, di non crollare di fronte a te.

 

Altra cocaina?

No, non è il caso.

 

Premo il bottone e apri il portone senza nemmeno premurarti di chiedere. Una cosa un po' incauta, ma non starò qui a farti la predica. Sarebbe ridicolo.

Non mi stupisco che tu non mi abbia detto il piano e il numero dell'interno, hai supposto nelle mie deduzioni.

Prendo l'ascensore, sono stanco di fare scale, in realtà so quale sia il tuo appartamento. Suppongo di aver fatto delle ricerche.

Il mio passato o presunto tale appare sempre più confuso.

Arrivato al piano non devo nemmeno chiedermi quale sia il tuo appartamento, visto che sei sulla soglia.

Appena mi vedi corrughi le sopracciglia sei preoccupato e sdegnato al tempo stesso.

 

«Hai un aspetto terribile.»

 

«Brutta giornata.» Taglio corto.

 

Ti sposti di lato e mi fai entrare, ma mi fermi prima che possa superare l'attaccapanni.

 

«Girati.» Mi ordini, poi volti lo sguardo verso una porta sulla sinistra. «Trisha, va' nella tua camera.»

 

«Ma papà!» Una debole protesta.

 

«Su, appena ho finito vengo a giocare con te.»

 

Piccoli passi di corsa, prima sul pavimento, poi sulle scale.

Ho un aspetto così terribile che non vuoi nemmeno mostrarmi a tua figlia, John?

 

«Vieni in bagno.»

 

Mi lascio scortare sino a un piccolo bagno di servizio, non credo che sia quello principale.

 

«Hai un'epistassi.»

 

Mi porto le mani appena sotto le narici, quella parte di pelle è come insensibile. Confermo, il mio naso gocciola sangue.

Non c'è bisogno di parlare, anche se m'inventassi qualche scusa improbabile non riuscirei a sradicare la convinzione che sia stata la droga. A ben vedere non ho nemmeno voglia di inventare...

Mi chino sul lavandino per evitare di sporcare il pavimento, tampono il naso con l'acqua fredda e non commento.

 

«Hai intenzione di dire qualcosa?» Mi apostrofi.

 

«Se tu hai intenzione di chiedere.»

 

«Perché?»

 

«Non sono affari tuoi.» Una risposta secca e decisa per ovviare al fatto che non lo so il perché.

 

Prima credevo fosse per via della noia, poi della depressione, adesso la droga c'è e basta, senza ulteriori scuse.

 

«Quanta?» Il tuo tono è severo.

 

«Non lo so.»

 

Prendi un respiro profondo per placare la tua irritazione. Non ho bisogno di una paternale.

 

«Ascoltami...»

 

Mi volto di scatto e lascio perdere il naso. «No. La droga NON è un problema, John! Abbiamo cose più importanti di cui occuparci, dobbiamo incontrare il detective Lestrade. Parlare con lui potrebbe fornirci nuovi elementi. Quando hai il funerale?»

 

Sei confuso, poi realizzi e il tuo volto s'intristisce. «Domani pomeriggio alle tre.»

 

Torno al lavandino, dandoti le spalle e mi premuro che tu non possa vedermi in volto nemmeno dal riflesso.

 

«Com'è successo?» Mi tappo di nuovo le narici, mentre lo chiedo, per soffocare il tremore nella mia voce.

 

«Un infarto, niente che tu possa ritenere interessante.»

 

Niente che io possa..?

Hai ragione, ma pagherei per poterti smentire...

Mrs Hudson...

 

«La conoscevi bene?»

 

Stai annuendo, lo sento dal fruscio del maglione.

 

«Non ha mai sofferto di cuore.» La tua frase mi sorprende, cosa stai cercando di dirmi?

 

«Pensi che ci sia qualcosa di sospetto nella sua morte?»

 

Non ti basta un solo vero caso in cui brancolare nel buio? Vuoi inventartene un altro, John?

Era una donna anziana, è plausibile che sia morta d'infarto.

Questo chiude la questione.

 

«No, non penso niente.» Confessi. «Suppongo che si tratti di deformazione professionale.»

 

Buona risposta.

Riesco, finalmente, a placare il sangue.

Voglio andare via.

 

«Devo andare.» Sguscio fuori dal bagno prima che tu riesca ad impedirmelo.

 

«James!» Mi rincorri sin sul pianerottolo. «Non abbiamo finito!»

 

A ben vedere non abbiamo neanche cominciato.

 

«Ci vediamo domani, quando torni.»

 

Non ho chiaro il come sono riuscito ad rientrare a casa, il tragitto si perde in una nebbia di ricordi confusi.

Varcata la soglia vengo assalito da ricordi che non sono sicuro siano miei.

 

«Non sono la governante!»

 

«Mrs Hudson via da Baker Street?

L'Inghilterra cadrebbe.»

 

No.

Non l'Inghilterra, solo io, solo lui.

Mi accascio sulle scale e piango, piango come credo di non aver mai fatto in tutta la mia vita.

Piango perché non c'è più niente, mi sento soffocare. Non riesco nemmeno a pensare.

Tutto questo non è per la morte di Mrs Hudson, non solo...

Mi costringo ad alzarmi e a raggiungere l'appartamento.

È uguale a come l'ho lasciato: vuoto e freddo. Afferro il borsone e infilo una mano dentro, ho bisogno di coprirmi, poi voglio solo dormire, spegnermi.

Le dita sfiorano qualcosa di rigido, lo afferro, istintivamente e lo tiro fuori è un raccoglitore.

Ho quasi paura di scoprirne il contenuto. Sarei pronto a dire che non l'ho mai visto, ma...

Sollevo la copertina e deglutisco alla vista di un articolo: un articolo su Sherlock Holmes. Cominciò a scorrere le pagine, ci sono centinaia di articoli, migliaia di appunti.

 

Sono un mitomane...

 

 

N.d.A.: Eccoci qui, alla fine del capitolo quattordici. Ho una comunicazione importante da fare: avevo detto che questa storia sarebbe stata slash, ma, ancora una volta, non riesco a figurarmela tale. Siccome non voglio distruggere le speranze di nessuno, ho deciso di lasciare la decisione nelle vostre mani, se volete che lo slash ci sia, o non ci sia, o “fa lo stesso”, comunicatemelo. A seconda del responso e del numero di sì/no, io mi muoverò di conseguenza. Chiedo scusa per quest'indecisione ad oltre metà storia, ma proprio non riesco ad immaginare come potrei renderla slash, ma visto che siete da sempre così gentili nel leggermi, non posso arbitrariamente decidere di toglierlo senza interpellarvi.

Ros.

   
 
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