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Autore: Jerry93    09/09/2012    14 recensioni
Dicono che siamo padroni del nostro destino. Non mentono.
Solo noi siamo i signori delle nostre decisioni e delle conseguenze di queste.
Hermione ha fatto la propria scelta, tramutando l'argine di un fiume. Draco non resterà a guardare.
Con la Guerra a fungere da scenario, la lotta per la sopravvivenza ha inizio mentre la ricerca degli Horcrux porta un gruppetto di ragazzi lontani da casa.
[Seguito di You and Me]
Genere: Avventura, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger, Il trio protagonista, Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: Draco/Hermione, Harry/Ginny
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Da VII libro alternativo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Becoming Us'
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Chapter one, The Last Betrayer

Harry teneva un braccio attorno ai fianchi di Ginny, mentre si muovevano simultaneamente di alcuni piccoli passi. Non erano dei grandi ballerini e la mente del ragazzo era persa a ripercorrere gli istanti trascorsi con Silente, avendo la conferma che, sì, l’oramai deceduto Preside non gli aveva mai rivelato che anche i suoi genitori avevano visto il sopraggiungere della fine a Godric’s Hollow. Questo, infatti, gli aveva da poco rivelato Elphias Doge, l’autore di quell’elogio funebre pubblicato dalla Gazzetta del Profeta. I due ragazzi, però, si tenevano stretti, resi ancora più affettuosi nei reciproci riguardi dalla dipartita di Malocchio.

Quella guerra maledetta, mai come in quei giorni, li intimoriva, incutendo nelle loro menti un terrore distruttivo e totalizzante. Un erbicida, lanciato al suolo contro gli steli di fragili piante che, in futuro, avrebbero potuto generare il tronco di un albero. Un veleno deglutito a fatica.

Ron si era allontanato da un paio di minuti, in cerca di una Burrobirra o, forse, desideroso solamente che quel matrimonio finisse presto per chiudersi nella sua camera a scrivere l’ennesima lettera. D’amore, sostenevano Fred e George, non sbagliando.

Continuavano a stare così, avviluppati dolcemente, godendosi quell’attimo di tranquillità. Attimo.

A raggiungerli fu, prima, un ruggito basso e gutturale. Poi, a pochi metri da loro, videro l’imponente figura di un felino argenteo: una lince, fiera della sua muscolatura massiccia, creava scompiglio tra i ballerini.

La voce di Kingsley Shacklebolt proruppe tonante, lievemente incrinata dall’agitazione.

“Il Ministero è caduto. Scrimgeour è morto. Stanno arrivando”.

Le loro mani corsero, a causa di una troppo precoce abitudine, verso le bacchette, che impugnarono saldamente. Un urlo, in grado di rompere anche quell’innaturale silenzio che si era generato, fece da colonna sonora al momento in cui il Patronus svanì. Fu il caos.

La piccola Weasley cominciò a cercare i suoi famigliari, concertandosi su quello con meno esperienza, dopo di lei, e che, per ovvi motivi, era quello che Voldemort voleva catturare: Ron. Lei, la fidanzata di Harry, e suo fratello, il suo migliore amico, si trovavano sotto quella tenda con un bersaglio lampeggiante attaccato alla fronte. Perché così il Signore Oscuro agiva: divide et impera. Lo chiamò, urlando sopra il clamore della calca, ma non ottenne alcuna risposta. Intanto, all’apparire dei primi Mangiamorte, Lupin e Tonks, spalleggiandosi, produssero all’unisono un incanto di Protezione che rispedì al mittente una Maledizione.

Ogniqualvolta qualcuno, nella foga della fuga, li urtava, le loro nocche sbiancavano, stringendo la mano dell’altro ancora più saldamente. Quando il lampo luminescente di un incantesimo sfrecciò sopra le loro teste, i cuori d’entrambi persero un battito: difficile stabilire se si trattasse di una fattura, così come era complesso risalire a chi l’aveva lanciato e verso chi era diretto.

Vedere Ron ancora vivo fu un sollievo, il quale, però, durò il tempo frugale d’un battito di ciglia. La sua bacchetta, infatti, era sguainata e si muoveva al ritmo degli affondi di un Mangiamorte incappucciato e con il viso coperto da una maschera. Ginny, degna Gryffindor, non perse tempo.

“Reducto!” urlò, dopo aver preso rapidamente la mira ed essersi avvicinata con Harry di alcuni passi. Il fisico dell’avversario manifestava l’insolita assenza di una corporatura massiccia ed imponente, ma, nonostante ciò, tutto poteva sembrare meno che un novellino. La sua arma si mosse con una rapidità tale da far credere loro che non fosse mai stata agitata. Il Ragazzo Sopravissuto continuò l’assalto con uno Schiantesimo, subito seguito da una Pastoia Total-Body di Ron. Entrambi si infransero su una barriera azzurrina, ben più potente di un semplice Incantesimo Scudo.

Questo, però, offrì la possibilità ad Harry di afferrare Ron, che si era subito avvicinato ai due, per eseguire un’affrettata, seppure corretta, Smaterializzazione Congiunta.

L’ultima cosa che i loro occhi videro furono le spalle di quello che era il loro avversario, mentre questo, con passo sicuro, si faceva spazio tra i pochi rimasti a colpi di bacchetta, fino a raggiungere il professor Kennan, già circondato.

 

***

 

Quando mancavano poco più che cento metri alla casa dei propri genitori, Hermione smise di correre e cominciò a camminare. Ansimava, affaticata dal già eccessivo calore di quella giornata, nonostante fossero appena le nove del mattino. Lasciò che i suoi troppi pensieri defluissero dalla sua testa, come risucchiati in un gorgo, abbandonandola a quello strano torpore che prova chi ha la fortuna di poter vivere alcuni istanti di silenzio mentale. Non avvertiva nulla, neppure il dolore delle sue gambe stanche, mentre rientrava verso casa svoltando dolcemente verso destra, dopo aver percorso una lunga rete metallica dalle cui maglie sbucavano i rami flessibili, sebbene inariditi dall’afa, di una siepe sempreverde. I suoi piedi, spontaneamente, seguirono le lastre che andavano a comporre il viottolo, come se ancora, dopo anni, stesse giocando a campana con sua padre. Di quell’uomo, il primo e l’unico ad averla chiamata principessa, rimanevano solo i ricordi di una casa vuota, gli echi delle stanze disabitate ed un pianoforte scordato che non aveva ancora imparato a suonare. Là, in fondo, a pochi passi da lei, la sua unica luce in quel periodo oscuro la stava aspettando: rimaneva immobile, seduto sull’ultimo scalino che dà accesso alla piccola veranda, troppo stanco anche per combattere l’implacabile avanzata del sonno. Così, con gli occhi chiusi e la testa appoggiata alla parete, sfruttava un angolo d’ombra per dare alle proprie membra un poco di riposo. Tra le dita, un sacchetto di carta, contenente la loro colazione.

Era diventata una tradizione, da quando il panettiere di quella piccola cittadina aveva accettato di prenderlo come apprendista. Così, dopo il lavoro, che regolarmente cominciava molte ore prima dell’alba, lui l’aspettava lì, scomodo sul legno duro di quei gradini, così che potessero condividere il piacere di quella colazione con brioche alla marmellata appena sfornate.

Passandogli accanto silenziosa, anche quel giorno fecero il loro solito gioco: premurosa, Hermione gli passò una mano tra i capelli e lo svegliò chiamandolo piano. Tra le sue dita, che non avevano più la carnagione chiara della ragazza studiosa, quell’oro, filato da un fuso stregato, risaltava di riflessi di miele. Credette di poter quasi vedere la sua espressione schiudersi in un sorriso, mentre, dopo che lui ebbe ricambiato il suo buongiorno, andò ad aprire la porta. Cominciarono subito le loro chiacchiere, compiendo i pochi metri che li distanziavano dalla cucina: parlavano del più e del meno e di quanto, a volte, il meno fosse troppo e il più troppo poco. Come d’abitudine, lui si sarebbe seduto sul balcone, lei avrebbe preso del succo d’arancia rossa dal frigo e, poi, avrebbero preso a mangiare i loro croissant, mentre, tirandola piano per i fianchi, si sarebbe ritrovata tra le sue ginocchia, ad un sospiro di bacio.

Era proprio in momenti come questi che Hermione avrebbe voluto rinnegare il mondo magico: lei, la Nata Babbana, oramai non più reietta della società magica per quell’anello che portava all’anulare destro, avrebbe voluto rinunciare a tutti i suoi poteri e alla sua bacchetta, scappando con lui da quella Guerra infinita contro il Signore Oscuro che le aveva sottratto fin troppo. Perché Christopher Hunt sapeva farsi amare, per quel suo tocco lieve e per quel suo modo in cui era in grado di stringerti il viso tra le mani.

Eppure, pur sapendo che non avrebbe neppure dovuto dare al tempo la possibilità di tracciare il suo solco, lei non riusciva a concedersi quel lieto fine di fiaba che, in fin dei conti, credeva di meritarti. Da che era diventata uno degli stendardi del suo battaglione, nulla aveva senso ai suoi occhi se non in vista della Guerra. Da che aveva sbattuto la porta in faccia a Draco, all’inizio dell’estate, nessuno, se non lui, avrebbe potuto rendere realtà quell’utopia che l’amore era diventato.

Nessuna donna completamente senziente avrebbe potuto disprezzare quelle tenerezze che lei e Chris si scambiavano, ma erano solamente le coccole di due bambini che si erano giurati amore eterno davanti ad un autorevole compagno di classe goloso di merendine, nulla in confronto a quel sentimento, ben più vero e reale, che Hermione aveva provato con Draco. Proprio quest’aspetto della sua relazione con il Malfoy, però, era stato il suo più grande errore, quello che non riusciva ancora a perdonarsi e che, con buona probabilità, mai avrebbe potuto superare: la veridicità di quel loro rapporto, si era tramutata fin da subito in un bisogno anche carnale, che l’attesa non aveva fatto l’altro che aumentare di intensità. Come un amplesso, fare l’amore con Draco l’aveva lasciata sfinita, desiderosa solamente di lui e con il bisogno sulle labbra d’averlo ancora tutto per sé, di sentirlo fremere, come accadeva a lei, sotto le sue carezze.

Tutto era accaduto all’inizio di quell’estate, con una spontaneità quasi disarmante, come se i loro corpi non fossero stati fatti per altro che toccarsi. Tutto era accaduto una settimana prima che lo lasciasse.

 

***

 

I giorni, dopo aver lasciato Hogwarts, trascorsero immersi nella noia e nel dubbio. Le ore, quindi, trascorrevano piano, come se tra le sue mani vi fosse una spessa corda di canapa con cui qualcuno la stava costringendo a trascinare un grosso masso. Continuava a salire rupi, le cui vette parevano irraggiungibili e, quando pochi passi la distanziavano dalla tanto agognata meta, qualcosa andava storto e la pietra cominciava a rotolare, senza che lei nulla potesse fare se non seguirla fino a valle. Così si sentiva Hermione, non capendo quale fosse l’ostacolo che non era in grado di superare per poter finalmente superare il traguardo. Continuava a cadere nei suoi stessi errori, negli stessi pensieri che non la conducevano in alcun luogo, in quelle frasi che le erano state confidate con ovvi secondi fini. E negli occhi di Drew, nella sua sicurezza, nella sua caparbietà, nella sua folle e geniale strategia d’attacco.

“Purtroppo” aveva continuato, aggiungendo altre informazioni a quelle che, dopo quella chiacchierata nel suo ufficio, Hermione avrebbe dovuto affrontare e digerire “una guerra non si vince solo con i duelli e con le guerre. E non bastano neppure ideali saldi e piena convinzione in questi. Ci vuole dell’altro: l’astuzia”. Lei, si era limitata ad annuire, intuendo forse dove quel discorso sarebbe volto, ma rifiutandosi di semplificare le cose al giovane uomo che aveva dinnanzi. “Silente si fidava completamente di Piton, ma lui era un traditore e lo ha ucciso. Ora l’Ordine della Fenice non ha più un leader, Hogwarts ha perso la propria guida e non abbiamo la benché minima idea di quante e quali informazioni sono giunte all’orecchio del Signore Oscuro” la sua pausa, ben studiata, ottenne l’effetto desiderato: aprirle gli occhi.

“Hermione, oggi non abbiamo perso solamente una delle tante battaglie della guerra! Oggi il nostro migliore plotone di uomini è stato sterminato!”

Dal punto di vista di Drew, così come da quello di chiunque fosse in grado di estraniarsi dai drammi personali per avere una visione d’insieme più ampia, la situazione non era ancora tragica, ma poco ci mancava. La vittoria s’era fatta miraggio, così come la sconfitta, morso di vipera, aveva già messo in circolo il proprio veleno: la società magica, anche nei suoi capillari villaggi, si stava tingendo del colore della paura. Tutto si era già ridotto ad un timoroso vociferare, i negozi venivano chiusi prima che il sole tramontasse e nessuno, oramai, osava uscire di casa la sera. I pettegolezzi, infatti, dicevano che i Mangiamorte stessero progettando delle violente retate.

Così, lei aveva trascorso quella prima settimana lontana da Draco in una solitudine pressoché completa, se escluse le poche visite del suo vicino Chris che, nonostante i suoi continui rifiuti, continua a riempirla d’attenzioni. Lei, però, imperturbabile e troppo innamorata, si limitava a non calcolarlo, dandosi alla lettura degli ultimi libri che il professor Kennan le aveva suggerito e rispondendo alle sempre più frequenti missive del suo fidanzato. Le capitava spesso, inutile negarlo, di sorridere, mentre scriveva poche parole alle domande a volte troppo insistenti del Malfoy, rigirandosi tra le dita quel piccolo ciondolo a forma di “D” che pendeva dal suo braccialetto.

Quel giorno, non era cominciato poi in maniera differente dagli altri. Se ne stava seduta sulla sua sedia a dondolo, regina indiscussa del porticato di casa sua, con un libro pesante che sfogliava distratta ed una coperta leggera in grado di ripararla dal vento di quella giornata di temporali estivi. La pioggia, scrosciante, le faceva compagnia.

Sbucò dal nulla, mentre, camminando lungo il viottolo di casa sua, si avviava verso di lei con passo sicuro e deciso.

“Hey, ti sono mancato?” disse Draco con voce bassa e gutturale, atteggiandosi come poche volte lo aveva visto fare.

Inutile dire che la ragazza era scoppiata a ridergli in faccia, ottenendo un’occhiataccia offesa.

“Per niente, bambola!” gli rispose a tono, mentre cercava, asciugandosi le lacrime dagli occhi, di riassumere un minimo di serietà. Quando alzò gli occhi, lui l’aveva già raggiunta. Percepì le sue mani bagnate, posate lungo il suo viso, mentre le dita, fredde, le sfioravano il collo. Si era persa nei suoi occhi grigi come la sfumatura più chiara delle nuvole temporalesche che avevano inzuppato i suoi vestiti. Draco non fece nulla, se non posarle un bacio innocente sulle labbra, facendo di tutto pur di non essere costretto a sciogliere così precocemente quel ritrovato legame con il profumo alla vaniglia di lei. Credeva quasi di poterlo assaporare sulla propria lingua, tanto da ritrovarsi costretto a deglutire: non poteva farci nulla, le sue papille gustative erano in visibilio.

Continuò a guardarla, mentre le sue palpebre, piano, presero a celare le iridi nocciola e mentre la sua mano, docile, si posava sulla sua maglietta bianca e zuppa, all’altezza del suo cuore. Avrebbe sentito quanto questo pulsava come un forsennato per lei, sebbene già la sua presenza lì fosse un chiaro indicatore della sua follia, visti i rischi che correva nel farlo. Voleva che lo sentisse, voleva che ne fosse sicura, ma sentire pronunciare qualche parola a riguardo, a suo parere, avrebbe sicuramente minato la sua mascolinità. Per questo, giocò d’anticipo, rispondendo alla sua futura stilettata con un astuto affondo.

“Invece, sì, ti sono mancato”. Perché il loro amore era fatto anche di questo. Nessuno dei due voleva mostrarsi debole agli occhi dell’altro ed entrambi cercavano di celare, sotto una corazza di forza e determinazione, le proprie debolezze. Erano così mal assortiti, da risultare un’accoppiata perfetta; erano talmente opposti da sembrare quasi simili. Perché conoscendosi, amandosi, si erano circumnavigati vicendevolmente, finché nel riflesso del proprio amante avevano rivisto se stessi e i propri timori.

 

Hermione non aveva avuto bisogno d’utilizzare la propria fantasia per intuire cosa si celasse sotto quell’indumento fradicio d’acqua: la maglietta, infatti, si era perfettamente attaccata alla pelle di Draco, delineando in maniera chiara quei suoi muscoli appena accennati che, dal torace, scendevano ipnotici fino agli addominali. Alzarsi per avviarsi verso casa fu una sofferenza atroce perché questo aveva implicato, ovviamente, sfuggire da quella presa così dolce e ferrea in cui il ragazzo, con suo estremo piacere, la aveva costretta. Sì, ne aveva sentito la mancanza e nulla, neppure l’odore di lui ancora impregnato nei suoi vestiti né quel braccialetto che le aveva regalato, aveva potuto anestetizzare, anche per poco, quella così piacevole sofferenza. Per questo, nel compiere quel gesto che allontanò i loro corpi, afferrò saldamente la sua mano, conducendolo all’interno.

“Ti prenderai qualcosa” continuava a ripetere, troppo felice di quella sorpresa perché il suo cervello fosse in grado di formulare un pensiero comprensibile ad altri “Devi toglierti quella maglietta zuppa”.

Bastò il tempo, una volta giunti nel salotto, per farle comparire tra le mani un ricambio asciutto, affinché, voltandosi verso il fidanzato, si ritrovasse la sua maglietta bagnata in faccia. La esiliò lontano, con un rapido incantesimo non verbale, mentre, stendendo bene il braccio e puntando la sua bacchetta, si preparava a ridurlo in cenere.

Sul suo volto, un ghigno compiaciuto. Era di nuovo rimasta vittima di uno dei suoi ridicoli tranelli.

“Mi piacciono le ragazze che prendono l’iniziativa” ridacchiò “Dai, slacciami tu la cintura”. Concluse il tutto, immancabilmente, con un occhiolino che, per quanto sarcastico, aveva evidentemente un qualcosa di sensuale e provocatorio.

No, non gliel’avrebbe data vinta. Non così facilmente, almeno.

“Subito, amore” gli rispose a tono, mentre già nella faccia di Draco si dipingeva “Prima, però, vado a prendermi un caffè, dicono che sia un forte eccitante”. Gli voltò le spalle, volendo sorridergli compiaciuta, ma ritrovandosi a mordersi il labbro inferiore.

Sentì solamente le sue braccia sicure attorno alla vita e il petto nudo di lui contro la propria schiena. Poi, poté avvertire solamente le sue labbra che risalivano piano la sua spalla, percorrendo la piccola insenatura della clavicola e soffermandosi alla base del collo.

“Va bene, questa volta hai vinto tu” sussurrò, avvicinandosi al suo orecchio “Mi arrendo”.

Le scostò piano i capelli, ricci e folti, svelando d’improvviso le linee morbide del suo viso. Il respiro caldo di Draco ben presto venne sostituito da baci, con cui abilmente tracciò il profilo della sua nuca. Strinse piano tra le labbra calde una piccola porzione di pelle all'altezza della mandibola, mentre Hermione brandiva, in maniera piuttosto imprecisa, la propria bacchetta. Con un tonfo sordo, che fece sobbalzare entrambi, il divano-letto si aprì e il ragazzo sorrise compiaciuto mentre, prendendola in braccio, annullava la distanza da quel giaciglio improvvisato. Alcune cose si persero per strada, come inutili suppellettili quali erano. La bacchetta d’Hermione, la camicia di suo padre che voleva dare a Draco affinché si coprisse, le scarpe d’entrambi. L’unica cosa che la ragazza ebbe la coscienza di portarsi a tutti i costi con sé fu quella coperta troppo piccola per coprire entrambi, che si era trascinata fin dentro dalla sua sedia a dondolo.

Si ritrovò prigioniera sotto di lui, incarcerata dal materasso troppo duro e dal corpo di Malfoy.

“Sei bellissima”.

Quelle parole, unite al movimento ondulatorio e periodico di quel ciondolo a forma di “H” legato al collo di Draco, la resero ancora più desiderosa di fare l’amore con lui. Flettendosi in avanti, cingendogli il collo con il braccio sinistro, si presentò alle porte del suo sorriso e, dopo aver dovuto bussare per ben poco tempo, ottenne finalmente l’accesso a quel tanto agognato Eden: la sua bocca.

Non era lui a condurre quella lenta danza, così come non era neppure Hermione. Pareva, infatti, che i loro due corpi si muovessero perfettamente secondo le esigenze dell’altro, in un’armonia che difficilmente avrebbero saputo spiegare. Così, mentre lui cominciò a sfilare piano la canottiera della ragazza, questa piegò il proprio busto nel tentativo di aiutarlo, alzando, poi, le braccia, affinché quel tessuto leggero andasse a fare compagnia a ciò che già si trovava sul pavimento.

La loro non era fretta, ma incombenza, bisogno. Per questo, la mano di Draco corse a chiudersi a coppa sul seno di Hermione e lei, lentamente, percorreva la sua schiena e si infilava nei suoi pantaloni. Poi, furono baci e carezze. E sospiri liberatori. E gemiti non trattenuti.

Si liberarono definitivamente dei pantaloni e, poi, anche di quella così scomoda biancheria. A coprire i loro corpi, nudi ed accaldati, solamente quella coperta troppo piccola e che lasciava scoperti i loro piedi. Scambiandosi un bacio, i loro corpi si persero, divenendo l’uno quello dell’altro ed impedendo ad entrambi di stabilire i propri confini. Non era un semplice armistizio, il loro, era amore. Il modo in cui Draco l’accarezzava i capelli e le sfiorava il seno con le labbra. Il modo in cui Hermione si stringeva al proprio amato e mordicchiava, sorridendo, la sua pelle morbida.

Quelle spinte, lente e costanti, con cui protrassero per molto tempo quel loro piacere e che si conclusero con un amplesso che gridava liberazione e felicità.

Amarono tutto dell’altro, anche il sudore e la stanchezza. Per questo, dopo aver taciuto a lungo, dopo che il loro corpo si riprese dall’euforia di quell’intimo contatto, le parole che si scambiarono rimbombarono potenti e sincere. Non era l’eccitazione a parlare, non era il piacere ad imporsi come narratore, ma i loro sentimenti, ciò che per lungo tempo avevano maturato, ciò che ora gli aveva nutriti con linfa vitale.

“Draco, ti amo” gli disse, mentre si faceva spazio sotto la sua spalla e contro il suo rannicchiandosi addosso a lui.

“Ricordatelo anche domani, quando ci sveglieremo, perché dopo oggi, se tu ritrattassi, potrei morirne” disse lui, con il finto intento d’apparire scherzoso e non risultandolo affatto. Si piegò per posarle un casto bacio sulla guancia e per stringersela ancora più vicina, così da vincere, dopo tutti quei brividi che il fare l’amore aveva dato loro, quelli che il freddo li stava procurando.

“Io ti appartengo, ricordi?”.

 

Il risveglio, uno dei più belli della sua vita, le aprì gli occhi. Tra le sue mani, vi era la sinistra di Draco. A pochi centimetri dai suoi occhi, svettante sulla pelle pallida e nobile del ragazzo, il Marchio Nero. L’inchiostro, ancora vivido come se quel tatuaggio fosse appena stato fatto, tracciava con eccessiva precisione i tratti d’un teschio e della sua lingua, ispide velenoso. Ricadde in quell’incubo, nei visi cianotici dei suoi genitori morti, nel corpo scomposto di Silente riverso al suolo, nel sangue che sgorgava dalle ferite durante la Battaglia di Hogwarts, nella crocchia scomposta della McGranitt che dava battaglia. E le parole di Drew le sovvennero, acquisendo un nuovo significato, una diversa angolazione, una spiacevole soluzione.

Una guerra non si vince solo con i duelli e con le guerre. E non bastano neppure ideali saldi e piena convinzione in questi. Ci vuole dell’altro: l’astuzia.

Nessuno avrebbe potuto farlo, se non lei. Il suo titolo onorifico le avrebbe spianato la strada, il suo talento le avrebbe aperto le porte, il suo coraggio le avrebbe permesso di lasciarsi alle spalle ciò a cui teneva per dare una nuova speranza all’intero Mondo Magico. Lei, Hermione Granger, l’Ultima Matriarca, la Traditrice.

Non ebbe più il coraggio di guardarlo, così, quando Draco si svegliò, si limitò a sorridere e a rispondere in maniera evasiva.

“Non sono stato all’altezza delle tue aspettative?” le chiese Draco, incredulo per primo d’aver osato pensare ad una tale fesseria.

“A dire il vero, dopo Krum e la storia del freddo siberiano, pensavo che non avrei potuto incontrare qualcuno così poco fornito” sospirò teatrale “Per fortuna, Madre Natura con Ron è stata veramente molto generosa”

L’occhiata che il fidanzato le rivolse valse più di mille parole. Cercando di mantenere la calma, posò, il vassoio con i biscotti che era andato a prendere in cucina per fare colazione. Incrociò le braccia sul petto, ancora nudo, come del resto era anche la restante parte del suo corpo, fatta eccezione per quella coperta dai boxer neri.

“Tu e Weasley l’avete veramente fatto? Speravo fosse una leggenda metropolitana, come quella dei coccodrilli nelle fogne!” esclamò esterrefatto, per poi accorgersi di quanto fosse offensiva la frase della ragazza. “Aspetta” disse, incredulo, sorridendo nervoso “Tu mi stai dicendo che la donnetta di Lavanda Brown è … ma da quando ce l’ha?”

La sua espressione era realmente sconcertata. Hermione lo vide togliersi i boxer serio.

“Giuralo” la intimò “Adesso”.

No, allontanarlo non sarebbe stato facile.

 

***

 

La casa, dopo che Chris se ne era andato, era crollata miseramente in un terribile silenzio. Più volte, nei mesi trascorsi, era capitato che il ragazzo fosse così stanco da chiederle l’ospitalità del suo divano ed Hermione, sorridendogli cortese, non gli aveva mai negato questo privilegio, visto l’affettuoso comportamento che teneva sempre nei suoi riguardi. Eppure, se lo avesse fatto quel giorno, sarebbe stata costretto ad allontanarlo. Tutto era evoluto così rapidamente da non permetterle di comprenderlo veramente: era già giunto il momento.

Sentiva sulla pelle, quella maschera soffocante che aveva deciso di indossare e percepiva chiaramente quanto ogni giorno trascorso portasse quel malefico oggetto ad adattarsi ai suoi lineamenti, diventando irremovibile. Aveva perso se stessa, in un bacio che Draco le aveva rubato, ed aveva deciso coscienziosamente di farlo. Aveva rinunciato a se stessa e al proprio futuro, nel vaneggiante speranza di poterne dare uno alle future generazioni.

Ora, guardandosi allo specchio, non riusciva più a riconoscersi: non era solo il fisico ad aver subito drastici mutamenti, ma anche il suo spirito. Il suo grande coraggio e la sua predisposizione al sacrificio l’avevano condotto a tutto ciò e, ora, non aveva più la possibilità di ripercorrere a ritroso i propri passi. Anche perché, in fin dei conti, non ne aveva la benché minima intenzione.

Lo aveva capito a sue spese che la menzogna non è solamente un’attitudine, ma un vero e proprio talento. E lei, l’onesta Gryffindor, ne era completamente sprovvista, così si era ritrovata obbligata a dover imparare anche questo, nel breve tempo che aveva a disposizione.

Il vapore della doccia calda condensandosi sulla superficie che rifletteva i suoi tratti un tempo amorevoli, si accumulava in gocce d’acqua, che, percorrendone l’intera lunghezza, sparivano in un insenatura del legno. I lineamenti del suo viso si erano fatti più acuminati, dandole un tocco di femminilità quasi inusuale, che aveva annullato completamente quello che era il pallido ricordo, dopo la morte dei suoi genitori, delle sue gote paffute da ragazzina. La corsa mattutina aveva diminuito ancora il suo peso, mentre quella serale aveva aumentato la sua muscolatura. Lo yoga quotidiano, poi, aveva reso più tonico ed elastico il suo corpo. Non aveva potuto fare molto per la sua forza, ma un intensivo allenamento di karate, suddiviso su quattro pomeriggi settimanali, le aveva fornito gli aspetti basilari della tecnica di un buon combattimento corpo a corpo e dell’autodifesa. Infine, con qualche visita alla piscina comunale, cui Christopher si era sempre gentilmente offerto di partecipare, aveva migliorato la sincronia dei suoi movimenti. Ovviamente, tutto ciò aveva avuto molte spiacevoli controindicazioni: di rado le poche ore che si concedeva per dormire erano sufficienti a farle risanare la stanchezza data da questo sforzo, spesso i dolori erano tali da compromettere la sua prestanza fisica e molte cose del suo nuovo corpo non le piacevano affatto. Per esempio, il suo seno, quello che a contatto con le labbra di Draco la faceva fremere, si era rimpicciolito. Almeno una taglia, ad occhio e croce, anche se le sue ricerche a riguardo si erano concluse ben prima di scoprire quanto marcato fosse questo danno. Una fortuna, le aveva fatto notare Drew, nel tentativo di consolarla invitandola a guardare il proverbiale calice riempito per metà, visto l’impaccio che questo avrebbe potuto arrecarle durante un duello magico. La stessa motivazione, in quest’ultimo caso ben più fondata, l’aveva spinta a tagliarsi i capelli: entrata nel salone di una sua vecchia amica di famiglia con i suoi lunghi boccioli perfetti e ottenuti grazie ad una abbondante dose di Tricapozione Lisciariccio, ne era uscita con un taglio ben più corto e decisamente meno impegnativo. Eppure, nonostante il taglio deciso, questo non aveva leso in alcun modo l’innata delicatezza del gentil sesso. Non era divenuta più bella, ma non vi era stato in lei neppure alcun imbruttimento: Hermione Granger era semplicemente diversa.

Finalmente, poi, durante quell’estate di metamorfosi, aveva realmente capito il senso di tutti quei libri che il professor Kennan le aveva fatto leggere durante l’intero corso dell’anno. Con questi, infatti, si era potuta costruire una solidissima base che aveva sveltito notevolmente quelle lezioni private che le impartiva nella segretezza della taverna della dimora dei suoi genitori, che la ragazza aveva stregato abilmente così che questa evitasse d’andare distrutta nell’arco della prima seduta. I muri riflettevano le maledizioni e le fatture, ricreando il clima di una vera e caotica battaglia, il pavimento era disseminato di ostacoli ed oggetti utilizzabili durante lo scontro e, infine, si era procurata alcuni manichini con cui continuare ciò che aveva iniziato con Drew. I due, su volontà d’entrambi, si vedevano tutti i giorni, all’imbrunire. Lui le aveva insegnato buona parte di ciò che era a conoscenza della magia oscura, non tralasciando l’Occlumanzia e la Legilimanzia. Spingendola più volte tra la vita e la morte, torturandola come solo un vero avversario desideroso d’ucciderla avrebbe fatto, l’aveva resa una duellante ancora più abile di ciò che già era, ampliando gli orizzonti della sua conoscenza e permettendole di reggere uno scontro con un qualsiasi Mangiamorte, nonostante entrambi sapessero che, nel caso in cui tutto fosse andato come speravano, sarebbero dovuti essere gli Auror la sua principale fonte di pericolo.

Si era occupata, tra l’altro, anche della protezione di quell’abitazione da possibili attacchi, aumentando gli incantesimi difensivi e potenziando quelli già esistenti. Aveva stregato anche un paio delle piante del giardino, per ogni eventuale evenienza. Non si era dimenticata, poi, di far aggiungere, compilando non poche scartoffie per il Ministero, anche il suo camino alla rete nazionale di Trasporto Magico.

Infine, aveva troncato il suo fidanzamento, lasciando Draco senza molte spiegazioni.

Non poteva fare altrimenti, aveva deciso che questa sarebbe stata la sua strada e non si sarebbe voltata indietro, neppure per piangere. Smise di rispondere alle lettere che quotidianamente gli mandava via gufo, anche solo per chiederle come stava. Lui, preoccupato, si presentò immediatamente a casa sua, ma Hermione non si fece trovare. Tutto mutò in paura ed ansia. Poi, Malfoy ricevette quel suo ultimo messaggio. Riempito di scuse che non avrebbe mai accettato, gli rivelò d’essersi innamorata di Christopher Hunt e che, nel suo cuore, non c’era più spazio per lui e per il futuro che, insieme, avrebbero avuto.

Inutile dire che nessuno avrebbe potuto credere a quelle motivazioni.

Il suo già ex-fidanzata bussò urlando alla sua porta. Fu costretta ad aprirgli e a reggere il suo sguardo.

Cercava ancora di capire come vi era riuscita, ma non trovava ancora alcuna risposta che non fosse la sua disperata accettazione. Del suo destino, della fine che la attendeva.

 

***

 

“Se vuoi lasciarmi, devi avere il coraggio di dirmelo. Devi guardarmi negli occhi”.

Questo gli aveva chiesto.

Lo aveva fatto.

Scosse piano il capo, trattenendo appena un’espressione di noia. Incrociò le braccia sotto al petto. I suoi occhi si fossilizzarono su quelli grigi di lui.

“Tra noi è finita. Ora, non in un futuro prossimo” disse, scandendo piano le parole “Ora”.

Vide i suoi occhi farsi lucidi, mentre chinava il suo sguardo e, rabbioso, tirava un pugno contro il muro. Si ferì alla mano, da cui prese a sgorgare sangue in maniera costante. Lo vide voltarsi, pronto ad andarsene sconfitto. Ma non era soddisfatta, non era abbastanza. Doveva conficcare più in profondità quello stiletto. Lo chiamò. Si volto con uno strano sorriso, le gote segnate da lacrime che non aveva neppure il coraggio di  versare. Le avrebbe perdonato tutto, anche questa sua crudeltà, pur di riaverla.

Lei allungò la mano verso di lui, reggendo tra le dita il braccialetto che le aveva regalato. Il segno del loro amore.

Vedere il suo volto cambiare espressione in maniera istantanea la fece quasi morire. Draco cercò di dire qualcosa, ma le parole gli morirono sulle labbra prima d’acquisire un qualsiasi suono. Gli voltò le spalle e si chiuse la porta di case alle spalle.

Protetta, dal suo sguardo e dal desiderio di chiedergli scusa. Vinta, dal peso di ciò che aveva deciso d’affrontare.

 

Dopo molte settimane di preparazione, il momento cruciale era giunto. Lo studio, la pratica, i combattimenti, il dolore. Tutto era finalizzato solamente a questo. Lei che a malapena era in grado di dire una bugia, avrebbe dovuto mentire a tutti, se stessa compresa, per entrare nelle grazie di Lord Voldemort. Sicuramente sarebbe stata sottoposta ad alcune prove e lei doveva dimostrare non solo d’essere in grado di superarle, ma anche di poterlo fare senza essere costretta neppure ad impegnarsi. Non si poteva accontentare d’essere brava, se voleva trarre in inganno il Signore Oscuro, doveva essere eccelsa.

Era già notte. Malfoy Manor, ora sede principale del convoglio dei Mangiamorte, si stagliava ancora più oscura su quella volta celeste d’un tetro blu notte. Non una stella illuminava il suo cammino e anche la Luna sembrava averle voltato le spalle. Dell’intero complesso, tra le antiche pietre che componevano le pareti, solo un paio di finestre al secondo piano trapelavano, con le luci arancio e flebili che emanavano, una qualche forma di vita all’interno.

Il suo incedere, su quelle décolleté laccate di nero e leggermente aperte sul davanti, era sicuro e fiero. Poco importava che nel suo petto il cuore sembrasse voler lacerare la sua stessa carne, era l’apparire quello che solo aveva importanza. Nascosto sotto un cappuccio calato sul viso, incorniciato da un unico ciuffo più lungo degli altri, il suo sguardo era fermo. Nel pungo destro, ben salda, la sua bacchetta, pronta a scattare ad ogni evenienza. Hermione si avvicinò al portone di ferro battuto, studiandone per pochi istanti i contorti arabeschi e le cime acuminate. Intravide, con non poca fatica vista la sua inesperienza in quell’ambito, una traccia magica. Un potente incanto oscuro, una violenta maledizione che avrebbe colpito chiunque avesse valicato quella soglia senza permesso. Un potente virus, in grado di condurre alla morte in pochi mesi. Una variante meno aggressiva di quella che, ora lo sapeva, aveva infettato Silente al braccio sinistro. Impossibile da arrestare, ostica persino da rallentare. Nonostante ciò, sapere che il vecchio Preside di Hogwarts sarebbe morto comunque non aveva reso la sua morte meno ingiusta.

Un servo le si avvicinò, chiedendole chi fosse.

“Hermione Granger Bright. Riferisca al suo Padrone che sono venuta ad offrigli i miei servigi”

Dopo pochi minuti, l’alta inferriata si aprì e un elfo domestico la condusse all’interno di quella che, un tempo, era stata la casa di Draco. Troppo presa da ciò che stava per fare, lanciò un’occhiata disinteressata e prese a seguire la creatura salendo l’ampio scalone che conduceva ai piani superiori.

Il rumore dei suoi tacchi scandiva i trascorrere dei secondi, così come il lieve frusciare di quell’abito lungo fino al ginocchio sembrava essere deciso a contare le contrazioni del suo cuore. Non era, quella che indossava, la tenuta migliore per tenere un combattimento, ma aveva scelto qualcosa di sufficientemente ampio da non impedirle il movimento. Di nuovo, tutto ciò che aveva da giocarsi era il suo aspetto esteriore e quello che questo suggeriva.

Si fermarono dinnanzi ad una grande porta di mogano a doppia anta. Hermione trasse un grosso respiro. Quando questa si aprì, entro con passo sicuro. Una grande stanza, illuminata da un prezioso lampadario di cristalli di Boemia e con ampie vetrate. Non era questa la zona che dall’esterno aveva visto illuminata, ma sembrava che la riunione, visto il suo inatteso arrivo, fosse stata spostata di ubicazione. Molti furono gli sguardi che ricevette, ma su alcuni si soffermò più che su altri. Bellatrix Lestrange, colei che aveva ucciso i suoi  genitori, pareva essere curiosa e divertita, mentre, al contrario, Fenrir Greyback, che aveva ferito gravemente Bill Weasley, non sembrava essere molto felice della sua comparsata, cui avrebbe posto facilmente rimedio sbranandola. Ma tra tutti, non poté non soffermarsi sul volto imperturbabile e ambiguo di Piton, l’assassino di Silente. In quella stanza, era riunite tutte quelle persone che aveva distrutto la sua esistenza e delle persone a lei carica.

Lord Voldemort ridacchiò, interessato alla sua presenza lì e a quel suo strano e suicida coraggio.

Non avevano i volti coperti dalle loro solite maschere: da quel luogo, lei sarebbe uscita Mangiamorte o cadavere. Non c’era altra via di fuga, né alcuna alternativa da vagliare.

“Allora, signorina Granger, cosa la porta nella mia umile dimora?” esordì il Signore Oscuro con la sua voce sibilante “O preferisce essere chiamata Bright?” concluse con un ghigno malefico sul viso.

Fu il caos. Qualcuno cominciò a parlottare, altri a ridacchiare senza un motivo apparente.

Nella folla, qualcuno parlò a voce troppo alta.

“È l’Impura!”

Hermione lo squadrò dall’alto in basso.

“Avery Junior” disse tranquilla “Ho studiato il suo albero genealogico, di recente, e secondo le mie ricerche il suo sangue è ben meno nobile del mio, semplice Nata Babbana che ha avuto la fortuna di divenire parte di una delle famiglie più antiche dell’aristocrazia magica inglese” continuò, guardandolo con aria di sufficienza “Ma del resto, se non fosse risaputo che è completamente sprovvisto di astuzia, avrebbe avuto la furbizia di starsene in silenzio, visti i suoi disastrosi trascorsi. Mi dica, com’è stata la sua esperienza ad Azkaban? Certo che sfuggire ad una prima accusa dichiarandosi sotto l’effetto della Maledizione Imperius per poi venire incarcerato a causa di un manipolo di ragazzini nell’Ufficio Misteri non le fa proprio onore …”

Aveva toccato il nervo scoperto giusto. La reazione dell’uomo, fu immediata. Lo vide impugnare la bacchetta e questo le bastò per ritenere quel gesto un attacco.

Il suo braccio compì un rapido vortice nell’aria, mentre lei si spostava in posizione d’attacco. Prevedibilmente, l’incanto andò a segno. Le sue pupille parvero cominciare ad ingrandirsi, fino ad inglobare completamente l’iride azzurra e il biancore dell’orbita. Se non fosse stato per quel lieve rigonfiamento al di sotto delle palpebre, si sarebbe detto che qualche essere mostruoso glieli avesse cavati.

Cadde al suolo stramazzato, senza emettere alcun gemito.

Il rumore di due mani che cozzano tra di loro rianimò la stanza. Lord Voldemort la stava applaudendo.

“Magia Oscura di livello molto avanzato” motivò “Una piacevole sorpresa, signorina”

Hermione chinò il capo in una reverenza che non si faceva il minimo problema a mostrare un’insita superbia.

“Malfoy” continuò l’Oscuro Signore “Sciogli l’incanto e riporta tra di noi quell’idiota del tuo compagno”.

Dalle retrovie, Lucius Malfoy, ancora rinchiuso ad Azkaban per l’opinione pubblica, uscì con passo incerto e testa bassa. La Granger mascherò alla perfezione il suo stupore, con un’espressione schifata.

“I Dissennatori andrebbero istruiti meglio” commentò con cattiveria.

Il suo unico interlocutore si alzò dal suo trono. Le fece cenno d’avvicinarsi e lei così fece.

“Dimmi, cosa mi offri?” le domandò, toccandole il viso con la sua mano diafana.

“Potrei offrirle informazioni, ma so che non ne ha bisogno” gli rispose, sorridendo a Piton “Quindi, le offro la possibilità di divenire immortale”

Quello che un tempo era stato il giovane Tom Riddle si fece improvvisamente serio.

“Interessante” sussurrò Voldemort “Ma impossibile. Ho già fatto ogni genere di ricerca, a riguardo, e ho vagliato tutte le possibili alternative, le quali, però, fino ad ora si sono dimostrate tutte piuttosto deludenti”

Sul volto della ragazza si dipinse quell’espressione compiaciuta che molte volte aveva riservato ai suoi insegnanti e ai suoi compagni di classe.

“So tutto a riguardo” esordì annuendo piano “Il sangue d’unicorno, la pietra filosofale, il rito con cui è stato riportato in vita. Ritengo, tuttavia, che non abbia ancora vagliato l’ipotesi del Tredicesimo modo di utilizzare il sangue di drago”

Venne bruscamente interrotta dal mago oscuro.

“Sono solamente dodici”

Hermione colse la palla al balzo.

“Sono dodici quelli che Silente ha dichiarato pubblicamente. In realtà, però, se ne dovrebbe annoverare un altro che, però, è rimasto sempre abilmente celato. Si tratta di un progetto segreto, presente in un’unica forma manoscritta”

“Mi stai dicendo che quel vecchio pazzo è riuscito a ottenere la chiave per l’immortalità?”

“Lo trova poi così improbabile? Se non erro, è stato proprio quel vecchio pazzo, nel suo periodo migliore ovviamente, a creare la Pietra Filosofale assieme al celebre Nicholas Flamel. E vogliamo disquisire, per caso, del Fuoco Gubraitiano, l’unica fiamma in grado di non spegnersi mai? Risulterebbe ovvio a qualunque stolto che Albus Silente era particolarmente interessato a questo concetto. Non era, del resto, una rarissima fenice il suo animale da compagnia?”. Era questo il suo affondo, la strategia che aveva accordato con Drew. Ed entrambi erano pronti a svelare il mistero che Silente aveva raccontato al professor Kennan prima che questo abbandonasse Hogwarts per partire alla caccia dell’assassino della propria madre.

Vide nei suoi occhi una vena d’interesse.

“E tu sai dove questo si trova?”

“All’interno di Hogwarts, ben protetto in un luogo segreto. Non ne conosco l’esatta collocazione, ma sono sicura che, se potessi svolgere qualche ricerca all’interno della scuola, potrei trovarlo”.

Questo era il suo obbiettivo. Riuscire a diventare un occhio per Voldemort, all’interno della scuola, ora che il nuovo Preside si era istaurato e che le misure di protezione, dopo quella inaspettata ribellione nei confronti del Ministero, erano aumentate. Per un Mangiamorte non sarebbe stato semplice infiltrarsi all’interno, ma, in fin dei conti, anche prima di Marcus Belby ciò sembrava pressoché impossibile.

In quell’istante, gli sovvenne del ragazzo e lo cercò con lo sguardo. Quando lo trovò, vide in lui solo lo spettro di quello che era. La punizione per non aver ucciso Silente non doveva essere stata semplice da superare.

“Severus, ti prego, offri da bere alla nostra graditissima ospite” disse improvvisamente il Signore Oscuro.

L’attimo cruciale. Vita e morte si basavano solo su questo.

Veritaserum. Impossibile da riconoscere, non in quel bicchiere d’acqua, almeno. Tuttavia, Drew aveva supposto che avrebbe dovuto superare questa prova. Era stata una tortura quotidiana, a cui si era dovuta sottoporre. Alla fine delle loro sezioni di allenamento, dopo che lei era stata costretta ad assumerne alcune gocce e dopo che il suo insegnate privato l’aveva tempestata di domande, ben poche erano le cose che poteva definire private. Nell’arco di un’estate, il professor Kennan era venuto a conoscenza di molti dei suoi segreti, da ciò che provava nei confronti di Draco, ai suoi timori per il futuro.

Alla fine, però, sebbene non potesse in alcun modo mentire sotto l’effetto di quella pozione, era riuscita a controllare i suoi pensieri e a formulare risposte che, pur tralasciando una parte della verità, non potevano essere definite false. Assuefazione da Veritaserum, l’unico metodo per ridurne gli effetti.

Bevve quindi dal bicchiere senza timore, psicologicamente pronta a rispondere alle domande che il Signore Oscuro le avrebbe porto.

“Per quale motivo sei qui?”

“Per la gloria”. La gloria che portarlo alla sconfitta definitiva le avrebbe arrecato.

“A cosa sei disposta?”

“A tutto ciò che sarà necessario”. A tutto ciò che sarà necessario per ottenere il mio unico obbiettivo.

“Ucciderai chiunque si metterà sulla tua strada?”

“Sì” disse, senza alcuna remora.

“Allora, il tuo primo bersaglio sarà Drew Kennan” disse, pronto ad assistere glorioso a qualsiasi reazione la ragazza avesse avuto. Sul suo volto, però, c’era solo risoluzione.

“Se è questo che desidera, così sia” gli rispose, quasi annoiata da quell’incarico. Nessuna domanda, ergo nessuna bugia che il Veritaserum avrebbe potuto svelare.

Anche perché, stranamente, sentiva l’effetto di quel distillato meno soffocante.

“Perfetto, Hermione. Porgimi il braccio”

Quando la punta della sua bacchetta toccò la sua pelle, le stilettate di dolore raggiunsero galoppanti la sua testa. Avrebbe voluto urlare, ma non lo fece. Era stata marchiata. Come un animale.

Come una traditrice, quale era.

 

***

 

Non sapeva su cosa concentrare le sue preoccupazioni, se sul duello che stava per tenere con Drew o se su quell’eredità che Silente le aveva lasciato e che non riusciva ad interpretare. Non era l’unica, anche Harry, Ron, Draco, Blaise e Daphne avevano ricevuto qualcosa dal Preside. Questo l’aveva spinta a pensare che si trattasse d’un indizio per la ricerca degli Horcrux, quindi, non sapendo se e quando avrebbe rivisto l’unica persona a conoscenza del suo segreto, doveva riferirgli tutto quello che ne aveva carpito durante il loro combattimento. Un appunto in penna, su una delle tante pagine d’una versione antica, tanto da essere scritta in Antiche Rune, di quella che aveva scoperto essere una raccolta di racconti per bambini: le Fiabe di Beda il Bardo.

In qualche modo, doveva far sì che Drew facesse arrivare ad Harry quell’informazione.

Si fece largo nella folla, colpendo chiunque le venisse a tiro, ma evitando di infliggere ferite mortali. Infine, fiancheggiata da altri Mangiamorte, tra i quali la stessa Bellatrix, accerchiò il professor Kennan.

Non avevano avuto modo di stabilire un piano comune. Semplicemente, avrebbero duellato, come durante un allenamento, senza risparmiarsi alcun colpo. Sapeva solo che Drew confidava nell’intervento di qualcuno.

Lei sperava solamente che nulla andasse storto, o si sarebbe vista costretta ad ucciderlo.

Qualcuno provò ad alzare la bacchetto contro di lui, ma Hermione, rapida, lo disarmò.

“Lui è mio!” gridò sicura di sé, mentre la sua voce veniva resa più profonda e gracchiante, quasi mascolina, dalla maschera che indossava.

La loro fu una danza di perfetta sincronia che durò quasi per una decina di minuti. Ad ogni attacco seguiva un incantesimo Scudo o una controffensiva.

Poi, un affondo imprevisto, invece di una parata, colse il professore in fallo. Una magia oscura lo colpì in pieno petto, ritrovandosi incapace di muovere gli arti superiori.

“Incarceramus” sibilò, mentre pesanti catene uscivano dalla sua bacchetta e, dopo averlo spinto contro un albero, lo legavano a questo. Un serpente che tiene tra le sue spire una povera preda.

Sciolse in uno sbuffo di fumo nero la propria maschera e si fece scivolare il cappuccio sulle spalle.

“Hermione?” chiese realisticamente sconvolto Drew. “Tu?”

La ragazza sogghignò e alzò le spalle.

“Mi spiace, ma al momento attuale sei diventato solo un peso” gli spiegò tranquilla, avvicinandosi di un passo “Ma non ti preoccupare, mi prenderò cura io dei risparmi della famiglia Bright”

Bellatrix che piacevolmente colpita l’aveva raggiunta, la invitò a finirlo.

“Non ancora” rispose lei, avvicinandosi alla donna e sussurrandole quelle due parole all’orecchio.

Hermione alzò la bacchetta e, dopo aver evocato un incantesimo non verbale, prese a muoverla lentamente.

La camicia candida del professore cominciò a macchiarsi di rosso in maniera indistinta. Ampi squarci si stavano aprendo sul suo petto.

Poi, qualcosa accadde inatteso.

Un rapace si avventò sulla sua mano, recidendole in maniera profonda la carne con i propri artigli e lanciando lontana la sua bacchetta. Poi, si avventò con violenza sul viso di Bella, sfigurandola.

Con una rapidità che mai aveva visto neppure nella McGranitt, l’animale mutò in donna.

Non poté neppure studiarne il profilo.

Questa, afferrato per una mano il professor Kennan, si era Smaterializzata nel nulla.

Il Falco aveva fatto la sua entrata in scena.

Anche l’ultima pedina della sapiente scacchiera di Silente si era mossa.

 

 

Note dell’Autore

Avrei voluto che non fosse così, ma, dopo un anno di pausa, avrei dovuto intuirlo. Sì, sono piuttosto arrugginito. Sì, probabilmente non sarò più in grado di gestire né i miei personaggi né la mia trama.

Tuttavia, questa rimane la mia piccola fatica e deve avere un finale.

Per chi fosse interessato, questa è You and Me.

Qui, invece, trovate la mia pagina Facebook.

Un grazie a chi ha letto e a chi leggerà.

Sperando che qualcuno commenti,

Jerry

   
 
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