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Autore: Ciajka    12/09/2012    3 recensioni
John Watson non crede ai suoi occhi quando si ritrova davanti a sè Sherlock Holmes, creduto morto da ben tre anni. E comincia seriamente a dubitare della sua sanità mentale quando il suo migliore amico gli svela il suo incredibile segreto.
La mia personalissima (e altamente improbabile) versione post-Reichenbach fall.
Genere: Avventura, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: Spoiler!
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ATTENZIONE! Leggete queste righe prima di continuare la lettura!
Prima di tutto devo dire che è un crossover tra Sherlock e Doctor Who. Cioè, non è proprio un crossover.. Insomma, il Dottore non centra nulla, per ora.
 Per quelli che non hanno idea di cosa sia la serie Doctor Who, non preoccupatevi, non è indispensabile conoscerla.
Per quelli che non conoscono la serie Sherlock della BBC la lettura potrebbe rivelarsi leggermente più complicata.
 
La porta del 221 b di Baker Street si aprì, facendo entrare un uomo di statura media, capelli biondi e occhi verdi circondati da profonde occhiaie, dovute dalla stanchezza.
Per un istante John Watson non seppe spiegarsi il motivo della sua presenza in quel luogo che negli ultimi tre anni aveva così accuratamente evitato.
Ma non aveva varcato quella soglia per il solo gusto di nostalgia,no.
Se fosse stato per quello non sarebbe mai entrato.
Per quanto tempo fosse passato, per quanto si fosse ripetuto di essere forte ricominciando una nuova vita senza il suo migliore amico, se si soffermava troppo a rimembrare i bei e i brutti momenti passati con lui sentiva ancora quel senso di pesantezza nel petto, come se qualcuno lo stesse squarciando da dentro, e gli occhi incominciavano inevitabilmente ad inumidirsi.
Certo, forse questi sintomi si erano leggermente affievoliti col tempo, la migliore cura per qualunque cosa, però non era ancora capace di straniarsi dal tutto.
Sospirò, posando velocemente lo sguardo alla sua vecchia poltrona, con l’immancabile cuscino con impressa la bandiera inglese. Gli si strinse leggermente lo stomaco quando i suoi occhi si soffermarono sull’altra poltrona, quella che si trovava a dirimpetto dalla sua, sulla custodia del violino, che si trovava poco distante, e sul teschio, sopra il camino.
Notò che la signora Hutson aveva veramente ripulito la cucina da tutte quelle attrezzature chimiche che la rendevano, più che un luogo dover riunirsi per pranzare o cenare, un confusionario laboratorio. Adesso la trovava veramente irriconoscibile.
Ma per quanto quell’appartamento fosse rimasto quasi uguale a quando se n’era andato ( Mycroft si era preso l’impegno di pagare l’affitto anche se nessuno ci abitava) John Watson non voleva abbandonarsi ai ricordi.
Il motivo della sua visita era solo un libro, il terzo volume dell’Enciclopedia Medica, che si era reso conto di aver dimenticato sugli scaffali del 221 b di Baker Street.
Se non fosse stato per la sua recente promozione, non sarebbe mai corso a prenderlo.
Si ricordava perfettamente che tra le sue pagine si trovavano ancora i suoi appunti da universitario e che forse lo avrebbero aiutato con il difficile paziente che aveva visitato qualche ora prima.
Aveva appena afferrato il libro e, senza alzare lo sguardo per dare una seconda occhiata all’appartamento, si stava avviando verso l’uscita, quando una voce richiamò la sua attenzione.
«John.»
Non era possibile, no.
Il tomo cadde a terra con un tonfo.
Sulla soglia della porta c’era lui. Il suo migliore amico. Quel migliore amico che aveva perso la vita davanti ai suoi occhi, buttandosi dal tetto del Bart’s.
«Non è possibile.» mormorò John, incredulo.
Poi si stropicciò gli occhi: «Lo sapevo, ho le visioni.»
«No, sono proprio io, John.» cercò di rassicurarlo l’altro uomo, rendendo il suo tono di voce più dolce possibile «Sherlock Holmes.»
John indietreggiò un poco «Ma come! Sei morto! Ti ho visto con i miei occhi!»
«Si, hai ragione.»
«Come?!» gli urlò il medico «Come diavolo sei ancora vivo?!»
Poi John si mise la testa tra le mani «No, no.. sto impazzendo, tu non puoi essere vero..»
«Sono vivo e vegeto, non si tratta della tua immaginazione.»
Sherlock aveva allungato il braccio verso quello del suo amico, come per toccarlo, per fargli sentire che effettivamente lui era fatto di carne ed ossa.
A quel gesto John si sentì formicolare le mani e, con un ira che non avrebbe mai pensato di avere, si scaraventò contro di lui, cercando di strozzarlo.
«Come ti permetti?!» gridò «Ricomparire così?! Ma io ti ammazzo!!»
«No, John!» cercò di calmarlo Sherlock, anche se trovava alquanto difficoltoso parlare mentre due mani gli stavano stringendo il collo «Ti prego, scusami!»
A quelle parole le mani del medico si ritrassero.
«Va bene, sarebbe stupido uccidere l’idiota che è miracolosamente sfuggito alla propria morte.» disse John tutto ad un fiato, poi aggiunse «Adesso mi devi spiegare come hai fatto, poi completerò il lavoro.»
Sherlock si stava ancora massaggiando il collo quando iniziò a parlare «Non sarà facile spiegare.»
«Oh oh!» commentò il biondo in modo sarcastico «Questa poi! Il grande Sherlock Holmes che non trova le parole!»
Ma John si smorzò immediatamente appena incontrò gli occhi di Sherlock. Erano tristi, immensamente tristi.
«D’accordo.» mormorò John, dopo una lunga pausa «Ti ho visto morire, Sherlock. Sei caduto e poi.. tutto quel sangue, i tuoi occhi vitrei.. non avevi polso!»
Sherlock sospirò tristemente «Quello che hai visto ero proprio io, John.»
«Si, lo so che eri tu.. o almeno..»
«Cadendo sono morto, John.» continuò Sherlock «Completamente morto.»
John rimase paralizzato. Quello che aveva appena sentito non aveva affatto senso!
«Non è possibile.. Se tu sei qui, vuol dire che sei vivo!»
«Già, infatti io non sono ancora morto. E, se lo stai pensando, no. Non sono un fantasma o un vampiro.»
«Ma allora cosa diavolo..?»
«Quello che hai visto ero io, d’accordo, ma quel Sherlock non si tratta del mio passato, ma bensì del mio futuro.»
John spalancò la bocca e cominciò a replicare «No, no, no, Sherlock, no. Questo non ha affatto senso!»
«Io devo ancora cadere! Devo ancora morire!»
«Ma non è umanamente possibile!» saltò John.
«Infatti. Non è umanamente possibile.»
«Cosa stai cercando di dirmi? Che per caso non sei umano?» ridacchiò nervosamente il biondo.
Sherlock rimase in silenzio per qualche secondo prima di dire «Esattamente.»
«No.» fu il sofferto commento di John «No.»
«Non faccio parte di questo pianeta» iniziò Sherlock «Sono un Signore del Tempo, provengo da Gallifrey, nella costellazione di Kasterborous, 250 milioni di anni luce dalla Terra.»
John lo guardava con gli occhi spalancati, come per dirgli di fermarsi.
«Posso viaggiare nel tempo e nello spazio tramite una particolare macchina che il mio popola chiama Tardis.»
Sherlock osservò la reazione dell’amico, che era completamente scandalizzata, però decise di continuare la spiegazione lo stesso «Tanto tempo fa c’è stata una guerra, un’enorme guerra, tra il mio popolo e un altro. Dovevo combattere anch’io, però.. per codardia.. per paura.. non so neanche bene per cosa.. sono scappato e mi sono rifugiato sulla Terra. Avevo deciso di vivere tra gli umani, gli essere più affascinanti dell’universo, finché la guerra non fosse finita. Inizialmente ho vissuto tra il 1800 e il 1900, probabilmente ho contribuito a qualche scoperta scientifica che ha rivoluzionato gli anni avvenire, ovviamente sotto il più completo anonimato. Poi mi è giunta la notizia che la guerra tra i Signori del Tempo e i Dalek era terminata.»
Sherlock fece una pausa, dove John commentò: «E… perché non sei ritornato da loro?»
«Erano tutti morti, John, Tutti. Il mio popolo si è definitivamente estinto. Sono solo.»
Ci fu un altro lungo silenzio che fu interrotto da Sherlock «Ho deciso di non usare più il Tardis e di vivere sulla Terra per sempre. Ho scelto questo periodo storico senza un particolare motivo. Un filtro della percezione ha modificato i ricordi di qualche persona, tanto per far vedere che ho frequentato un liceo e che ho una famiglia, e ho cominciato a vivere sotto le spoglie di Sherlock Holmes, il consulente investigativo.»
John non sapeva cosa dire né tantomeno cosa pensare.
«E poi ho finito le rigenerazioni.»
«Le… cosa?»
«Rigenerazioni. Il mio popolo, per sfuggire alla morte, può rigenerarsi cambiando il proprio corpo in un altro. Ma non sono infinite e io le ho usate tutte.» poi aggiunse con voce flebile, quasi solo a se stesso «Forse è anche per questo che sono fuggito alla guerra con i Dalek..»
«È pazzesco. » commentò John «Però.. non so se crederti, insomma..»
«Non mi credi? Che altra soluzione potresti pensare? Prima muoio e dopo qualche ora ricompaio nel nostro appartamento vivo e vegeto!»
«Cos-?» domandò John «Qualche ora?!»
Sherlock lo guardò sbalordito «Si, saranno passate si e no due o tre ore dalla caduta.. o no?»
«Sono passati tre anni, Sherlock. Tre anni.»
«Oh.» mormorò interdetto l’altro «Probabilmente stare fermi per tutto quel tempo ha messo fuori allenamento il Tardis..»
«Lo sai che più ci penso e più non ti credo?» disse John, massaggiandosi le tempie «Forse sei impazzito e hai immaginato tutto.. O, cosa più probabile, sono io che ho perso qualche rotella e ho le visioni.»
«Bene allora!» tuonò Sherlock «Ti farò vedere il mio Tardis! Vedremo se mi crederai o no!»
Detto questo si avviò verso l’uscita dell’appartamento e scese con agilità le scale.
John non sapeva se seguirlo o meno, poi optò per la prima opzione.
 «Tanto, cos’ho da perdere ormai?»
 
Erano usciti dal 221 b di Baker Street e una flebile nebbiolina autunnale li avvolse.
«Dobbiamo prendere un taxi per caso?» domandò John, mentalmente esausto.
«No, il Tardis è proprio qui, di fianco a noi.»
John osservò la strada e non riuscì a vedere nessuna navicella spaziale o qualcosa di simile. Era tutto perfettamente normale.
A quella vista il suo cuore si fermò per un istante: Sherlock era ritornato, era di nuovo vivo, ma era completamente matto. Pensava di essere un alieno e di vedere navicelle spaziali invisibili.
«Sherlock, io non vedo nulla..» mormorò, con un nodo in gola.
«Come sempre tu vedi ma non osservi!» sospirò Sherlock «Dai un’occhiata a quella cassetta per le lettere.»
John analizzò l’oggetto a lato del marciapiede.
«Non ricordo che c’era mai stata prima..»
«Perché infatti è così!» esclamò Sherlock «E adesso entriamo!»
«Entrare li?!» commentò il compagno scandalizzato «Come cavolo-?»
Ma non finì la sua domanda che Sherlock era già sparito dalla sua vista.
«Dove sei finito?!» John cominciò a tastare la superficie metallica della cassetta, poi aprì lo spioncino e la cosa che vide al suo interno lo spiazzò completamente.
Lui si aspettava di vedere il classico interno pieno di lettere e cartoline, invece quello che aveva davanti agli occhi era un ingresso circolare, molto luminoso, con al centro una specie di pannello di controllo con vari tasti, svariate leve e una lunga pertica che saliva al soffitto.
Appena di fianco a questa si trovava Sherlock, con un sorrisetto divertito stampato in faccia «Muoviti, John!»
John chiuse gli occhi, li riaprì e, vedendo che la visione non si era modificata, pensò che forse questo era tutto reale.
Diede un’occhiata alla strada e, dopo aver aspettato che non ci fosse nessun passante nei paraggi, mise la testa dentro lo spioncino.
Non seppe dire come si trovò tutto ad un colpo all’interno della cassetta per le lettere, ma, beh, era li.
«Non è possibile..» mormorò John, osservando la stanza. Notò inoltre che dal soffitto pendevano diverse maniglie di cuoio, cosa che trovava alquanto singolare, per un posto del genere.
Sherlock ridacchiò, poi chiese all’amico «Mi credi ora?»
John annuì, mentre girava su se stesso con la bocca spalancata dalla meraviglia.
«Come.. no..domanda sbagliata..» boccheggiò John «Sono confuso..»
«Con questa» iniziò Sherlock dando una pacca affettuosa alla colonna centrale «posso viaggiare nel tempo e nello spazio.»
«Dio mio..» evocò l’amico, poi cercò di formulare la domanda «Ma.. allora.. come hai fatto..Insomma.. se quello lo Sherlock che è morto è il tuo futuro..»
«Oh, certo.» alzò le spalle il moro «Devi sapere che quando ho deciso di diventare umano ho parcheggiato il Tardis sul tetto del Bart’s e l’ho reso invisibile. L’ho lasciato li per molti anni, poi quel giorno al laboratorio mi è venuta un’idea geniale. Ho invitato Moriarty sul tetto dell’ospedale apposta, perché sapevo che voleva la mia morte. Ma non ho fatto bene i conti. Pensavo volesse spararmi, per poi lasciare il mio cadavere li, in modo che mi trovassero i giornalisti. Se mi avesse sparato al cuore non sarebbe stato un problema: avrei finto di essere morto, poi, appena se ne fosse andato, sarei entrato nel Tardis per curarmi nel migliore dei modi. Non fare quella faccia, John! I Signori del Tempo hanno due cuori!»
«Ah, certo. Dovevo immaginarlo. Stupido io che non ci sono arrivato prima.»
«Comunque, mi sono sbagliato. Lo ammetto. Il suo piano non era spararmi, ma farmi cadere dal tetto, in modo che si pensasse ad un suicidio. Ma comunque sono riuscito ad evitare la mia morte, almeno per ora. Appena Moriarty si è sparato un colpo in bocca sono corso immediatamente nel Tardis, l’ho avviato e sono apparso davanti il nostro appartamento.»
«Dopo tre anni.»
«Non era mia intenzione..» sospirò Sherlock «Quando il Tardis sta fermo a lungo è possibile che non funzioni immediatamente a dovere..»
«Allora quello che ho visto e sentito..»
«Ero sempre io. Anche se è più corretto dire sarò sempre io.»
«Oh, ma.. Se Moriarty è morto.. perché lo hai fatto lo stesso? Eri libero di andartene!»
All’occhiata interrogativa dell’amico, Sherlock rispose «Moriarty mi aveva ricattato. Se io non mi suicidavo, sia tu, John, sia la signora Hutson che Lestrade sareste morti. Aveva ingaggiato dei cecchini che tenevano sotto controllo ogni vostra mossa.»
«Oh.. io non pensavo che..»
«Non c’è motivo di ringraziarmi.» lo precedette Sherlock.
Il silenzio scese tra loro come un velo invisibile, ma estremamente pesante.
«Quindi.. un giorno tornerai li e ti butterai giù?»
«Si. Devo farlo. Non posso evitarlo, altrimenti creerei un paradosso.»
John lo osservò con occhi tristi, mentre le immagini del suo volto ricoperto di sangue e ormai freddo gli ritornarono alla mente.
«Ma prima di allora passerà tanto, tanto tempo! Voglio continuare la mia carriera di consulente investigativo!» esclamò con un sorriso Sherlock.
«Ma.. hai una navicella spazial..»
«Tardis, John.»
«Ok.. Hai un Tardis che può portarti dove e quando vuoi e non vuoi usarlo?»
Sherlock guardò il pannello di controllo, poi disse «È che.. mi ricorda troppo quando ero un Signore del Tempo e viaggiavo in lungo e in largo..»
«Sei ancora un Signore del Tempo, o mi sbaglio?» il sorriso di John fece inarcare in su anche gli angoli della bocca di Sherlock.
«John Watson, mi stai per caso proponendo di fare un viaggio nel tempo e nello spazio?»
Gli occhi del medico scintillarono.
«Oh, Dio, si!»
 
 
Se siete arrivati fin qua vi devo assolutamente ringraziare!
Ditemi cosa ne pensate, così cestino questa idea completamente strampalata! Altrimenti c’è il pericolo che continui a pubblicare altri capitoli!
(Ah, il rating probabilmente si alzerà leggermente in seguito. Inoltre c’è alta probabilità di slash!)
  
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