Fanfic su artisti musicali > One Direction
Ricorda la storia  |      
Autore: beastille    12/09/2012    2 recensioni
Larry Stylinson, Doctor Who!AU.
Mentre questo dubbio gli solletica un punto indistinto tra la base del collo e la prima vertebra della schiena, sente un gran baccano proveniente dal retro del locale, e quasi si soffoca con l'ultimo sorso di thé rimasto nella sua tazza bianca. L'atmosfera gli ricorda quella di un film horror piuttosto scadente, e già si immagina di dover affrontare ladri con la sola forza delle sue (gracili) braccia e di salvare damigelle in pericolo conquistandole col suo sorriso sghembo, ma la verità è che non riesce ad alzarsi dalla sedia per andare di là. Quando però sente l'ennesimo tonfo e il rumore di ceramica in frantumi (merda, zia Anne mi ammazza stavolta, mi ammazza su serio) deglutisce rumorosamente e apre la porta del retro sbirciando nella penombra.
Genere: Generale, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

20 Febbraio 

Harry Styles si é sempre considerato un ragazzo ordinario.

Uno di quelli con qualche buon amico, una carriera scolastica nella norma, il giusto numero di relazioni sentimentali finite male per fargli comprendere che forse il suo orientamento sessuale andava rivisto, una famiglia piuttosto incasinata e un lavoro nella panetteria sotto casa per tirare avanti. Insomma, tutto a posto.

Per questo non riesce a capacitarsi di come un saggio breve sulla Rivoluzione Francese da consegnare per il giorno dopo stia mettendo in crisi la sua intera esistenza. Davvero, non riesce a comprenderne il motivo. Le parole del libro di Storia sembrano scritte in aramaico antico (Harry non sa neanche cosa sia, l'aramaico antico, ed è questo a preoccuparlo), le lettere sono troppo piccole e l'emicrania cronica sembra un'ipotesi molto vicina.

Le luci soffuse della panetteria non aiutano, e se non fosse che in casa sua a quest'ora è in corso una festa organizzata da sua sorella non sarebbe venuto nemmeno per scherzo a studiare qui alle undici di sera. Ma, purtroppo, non gli restava molta altra scelta. Quindi si è dovuto accontentare.

L'unica cosa che lo tiene sveglio - oltre alle numerose tazze di thé che ha già consumato in modo quasi maniacale - è la storia di Maria Antonietta, e no, non é per colpa del film di Sofia Coppola, e nemmeno di Kristen Dunst (più o meno), é che lui vuole davvero sapere se questa benedetta donna ha detto al suo popolo di mangiarsi brioche al posto del pane. Affascinante.

Mentre questo dubbio gli solletica un punto indistinto tra la base del collo e la prima vertebra della schiena, sente un gran baccano proveniente dal retro del locale, e quasi si soffoca con l'ultimo sorso di thé rimasto nella sua tazza bianca. L'atmosfera gli ricorda quella di un film horror piuttosto scadente, e già si immagina di dover affrontare ladri con la sola forza delle sue (gracili) braccia e di salvare damigelle in pericolo conquistandole col suo sorriso sghembo, ma la verità è che non riesce ad alzarsi dalla sedia per andare di là. Quando però sente l'ennesimo tonfo e il rumore di ceramica in frantumi (merda, zia Anne mi ammazza stavolta, mi ammazza su serio) deglutisce rumorosamente e apre la porta del retro sbirciando nella penombra.

Quella che sembra una cabina telefonica di un blu bellissimo è magicamente apparsa nell'angolo più in fondo, e un giovane uomo emerge improvvisamente dalle tonnellate di scatole di cartone sul pavimento oramai parzialmente coperto di farina. Merda.

Lo sconosciuto, evidentemente ancora ignaro della sua presenza, si prodiga alcune contorsioni teatrali come per controllare di essere ancora intero, per poi spazzarsi via dagli abiti la polvere e la farina e qualunque cosa sia rimasta in quello stanzino tanto a lungo da essere sicuramente più vecchia di Harry stesso.

Ora che lo guarda bene, Harry decide che lo sconosciuto é decisamente un tipo strano: indossa degli insoliti pantaloni rosso fosforescente strettissimi che sono quasi un pugno in un occhio, abbinati ad una maglia a righe sottili bianche e blu e, tocco di classe, un paio di bretelle.

«Uh.» mormora Harry cercando di attirare la sua attenzione, risultando forse un po' stupido.

«Oh, buongiorno!» lo saluta cordiale l'altro, regalandogli un sorriso che fa esplodere qualche parte dentro di Harry che nemmeno sapeva di avere, prima.

«Uh.» dice ancora lui, e adesso sta facendo decisamente la figura dell'idiota. Lo sconosciuto lo guarda con un'espressione incoraggiante, e Harry si fa coraggio.

«Quello non c'era, prima.» tenta, indicando quella cosa blu che sta accanto alla parete.

«Ah, ma lo so perfettamente! È con quella che sono arrivato. Lei é il Tardis. Tardis, ti presento… uhm, chi ti presento?» chiede interrogativo, parlando così veloce che Harry si è già perso tre volte tra il colore dei pantaloni che gli fa ancora bruciare un po' gli occhi e le labbra dell'uomo e la sua voce così strana e acuta.

«Harry.» riesce miracolosamente a biascicare.

«Ecco, perfetto. Dove eravamo rimasti? Ah, giusto. Tardis, ti presento Harry. Harry, ti presento Tardis. E, prima che tu me lo chieda, si, è più grande all'interno.»

E Harry ancora non capisce. «Cosa vuol dire, "è più grande all'interno"?»

«Esattamente quello che vuol dire. Ma dopo tutto ti sarà molto più chiaro.» dice mentre scavalca le sopracitate tonnellate di scatole, cercando di evitare di rompere altri servizi e sacchi di farina, finché non rimane in piedi davanti a Harry con le braccia lungo i fianchi in una posa estremamente innaturale.

«Allora.» gli dice quasi carico di aspettativa, come se da un momento all'altro dovesse saltare in aria tutto.

Harry, nel frattempo, é passato dalla fase estremamente spaventata a quella estremamente divertita. Quindi sorride di rimando.

«Posso offrirle un thé?» chiede, accennando col viso alla stanza principale del locale, nella quale la luce è ancora accesa (merda, zia Anne mi toglie dallo stipendio l'importo della bolletta, stavolta lo fa davvero).

«Perché no.» mormora lo sconosciuto seguendo Harry, che lo fa accomodare al tavolo sul quale stava studiando.

Mette su l'acqua in silenzio, rischiando di bruciarsi tre volte in tre modi diversi e quasi versa tutto il contenuto della teiera per terra dal nervoso, ma dopo un po' riesce comunque a portare due nuove tazze fumanti sul tavolo senza combinare danni irreversibili.

«Sai,» dice ad un certo punto lo sconosciuto, e ha uno sguardo così vacuo e soprappensiero che Harry non è nemmeno sicuro che stia parlando con lui, «non dovresti darmi del lei, preferisco il tu. Sembriamo quasi coetanei, in fondo. Anche se, in linea pratica, dovrei avere suppergiù mille anni più di te. Non male, eh? Perché in linea teorica ne dimostro venti, o almeno così mi è stato detto. Quindi non so, decidi tu se darmi del lei o no.»

Harry non ha capito niente ma tutto questo gli fa molto, molto ridere, quindi si limita ad annuire trattenendo un sorriso che altrimenti sarebbe inequivocabile.

«Quindi tu, uh, saresti arrivato qui con quella cabina telefonica da dove, esattamente?» chiede poi, curioso. (No, dire curioso è dire poco, il suo stesso stomaco si sta contorcendo dalla voglia di capire che cazzo ci fa uno in bretelle nella sua pasticceria con una cosa blu che forse vola, ecco, forse così l'idea rende di più.)

«Italia. Venezia, credo, ma potrebbe essere stata Firenze. Verso il milletrecentocinquanta comunque, sono scappato di corsa per via della peste. E per via di uno strano uomo vestito di bianco che ha iniziato a tirare sassi contro il Tardis. Buffa gente, gli italiani.»

Harry annuisce ancora, cercando di ignorare il fatto che quest'uomo ha appena detto di venire da un'altra epoca e da un altro luogo. Cerca, senza neppure impegnarsi a sembrare tranquillo, di cambiare argomento nel minor tempo possibile.

«Perché le bretelle?» chiede, indicando il capo d'abbigliamento indossato dall'altro. L'uomo istintivamente passa il pollice e l'indice su e giù per il tessuto in un movimento lento e un filo ipnotico che si confonde quasi subito con tutte quelle strisce e Harry non ci sta già capendo più niente.

«Non ti piacciono?» risponde, come se il suo parere gli interessasse davvero.

«Sono più un tipo da papillon.» dice Harry, sentendosi un po' più sicuro.

L'altro poggia la tazza sul tavolo e inizia a fissare un punto lontano nella stanza.

«Papillon…» sussurra lievemente, lo sguardo leggermente corrucciato. Harry aspetta, paziente. «Un paio di vite fa mi piacevano molto.»

È confortante come anche questa cosa non abbia assolutamente né capo né coda, ma sta iniziando ad abituarcisi.

«Quindi tu chi sei?» si decide a chiedergli. L'altro sembra scuotersi dai suoi pensieri e riprendere quel suo sorriso un po' strano, non troppo ampio e a labbra semiaperte.

«Io sono il Dottore.» dice semplicemente. Harry annuisce.

«Dottor chi?» chiede ancora esortandolo a continuare.

«Dottore e basta.» afferma l'altro.

«Non ci credo, non può essere il tuo vero nome.» insiste Harry ridacchiando.

Il Dottore si prende qualche secondo di pausa per prendere un altro sorso di thé.

«Hai ragione, non lo é. Ma é passato così tanto tempo che ormai mi chiamo anche da solo così.» dice, alzando le spalle.

«E allora perché non posso sapere il tuo vero nome?»

Il Dottore alza di nuovo le spalle. «Non è ancora il momento.» e sorride di nuovo, e qualcosa di indistinto si agita nello stomaco di Harry.

Il silenzio cala come un telo pesante, ma è strano come entrambi si stiano guardando negli occhi sembrando perfettamente a proprio agio.

A Harry, però, cade di nuovo l'occhio sul libro di storia aperto e sulle pagine di appunti che necessitano decisamente di essere rilette, e deglutisce a fondo perché è quasi mezzanotte e domattina alle sette ha lezione e grazie tante, non vuole essere rimandato in storia. Nessuno si fa rimandare in storia. Deglutisce nuovamente con cipiglio preoccupato, e il suo gesto non sfugge allo sconosc— al Dottore. Si domanda mentalmente come diavolo faccia la gente a chiamarlo istintivamente così, insomma, non è che abbia proprio l'aspetto di un Dottore; più che altro quello di un modello uscito da una rivista particolarmente colorata e hipster, non di certo un Dottore.

«Ah, sei alle prese con Storia.» puntualizza.

«Rivoluzione Francese.» mugugna Harry, ormai di cattivo umore. «L'unica cosa che riesco a farmi piacere è Maria Antonietta.»

«Marie, che adorabile donna! Che personaggio, che verve!» dice il Dottore alzandosi in piedi con fare teatrale, facendo cadere la sedia. Harry prega silenziosamente che non sia rotta perché — ha già accennato al fatto che Zia Anne potrebbe ammazzarlo? Ecco, per questo. Poi, dopo qualche secondo, rielabora le parole dell'altro e rimane attonito per qualche secondo.

«Tu — tu l'hai conosciuta?» mormora, con la bocca aperta a formare una 'o' perfetta.

«Si, le ho fatto visita qualche anno fa l'ultima volta. Ora che ci penso, sarebbe carino ripassare uno di questi giorni.» si risiede con fare pensieroso, poi sorride di nuovo in quel modo di cui Harry già non può più fare a meno e lo guarda, come a sfidarlo.

«Se vuoi, potrei portarti con me.»

«Si.»

Harry non è sicuri di essere stato lui a parlare; insomma, le parole devono essergli uscite da sole dalla bocca grazie a qualche strana reazione chimica, perché lui nemmeno ci ha pensato. (O forse, ci ha già pensato dall'inizio della conversazione, ma di sicuro non lo ammetterà mai.)

«Ottimo!» urla il Dottore alzandosi di nuovo bruscamente e questa volta si, merda, la sedia cade di nuovo e una scheggia di legno si stacca dallo schienale. Il Dottore capitombola con poca grazia tra gli scatoloni, e con uno schiocco di dita apre le porte della cabina telefonica — del Tardis, ecco come si chiama — e fa cenno ad Harry di seguirlo.

Il ragazzo esita un attimo sulla soglia, trattenendo per un secondo il respiro. Guarda dietro di sé, dove sta lasciando tutto, e sente immediatamente un nodo che gli stringe la gola. Cosa sta facendo? Sta seguendo uno che sostiene di viaggiare nel tempo vestito in modo improbabile che gli ha appena promesso che lo porterà a conoscere Maria Antonietta.

Però… c'è un però. Harry non ha mai creduto in una cosa come il destino, ma c'è qualcosa che formicola appena sotto il cervelletto e gli sta chiaramente dicendo di andare. E fino ad oggi Harry è sopravvissuto davvero molto bene contando sul suo istinto, quindi perché no?

La testa del Dottore emerge dal Tardis.

«Allora?» dice, le sopracciglia esageratamente inarcate. Vede l'esitazione dipinta sul volto del ragazzo, e il suo viso si scioglie in un sorriso furbo.

«Sai,» dice, picchiettando due dita sulla vernice blu del Tardis, «con questa, posso riportarti a casa tra un minuto.»

Gli tende la mano e Harry la afferra ormai convinto, e sorride talmente tanto che iniziano a fargli male i muscoli facciali. Ops.

Varca le porte della cabina e… ah, è questo che il Dottore intendeva quando ha detto che era più grande all'interno.

 

*

 

«Perché sei venuto proprio da me, quella volta?» chiede Harry, che ha appena scoperto l'utilità della piscina nel Tardis che ha deciso che un bagno poteva proprio concederselo.

Da quella volta di tempo ne è passato — relativamente meno di quello che hanno passato insieme, comunque, perché saltare da un millennio all'altro svariate volte al giorno ti porta a perdere spesso la cognizione delle epoche e dei mesi e degli anni — tanto che non ci crede veramente. Ogni tanto, quando di notte si stende sul suo letto in una stanza che ormai profuma di lui, ha paura di svegliarsi di nuovo a Holmes Chapel, con un compito di storia non finito da consegnare.

«Eh?» chiede il Dottore distratto, continuando a pigiare tasti sulla console del Tardis.

«Voglio dire,» dice Harry improvvisamente un po' incerto, «perché sei capitato in un posto talmente anonimo come l'Inghilterra del ventunesimo secolo?»

«Ah.» dice l'altro, fermandosi senza guardarlo negli occhi. Accenna un sorriso a labbra serrate, e poi lancia a Harry uno sguardo che è più o meno a metà tra il furbo e l'apprensivo.

«Lei,» inizia, picchiettando due dita sulla console, e Harry si dice che ha già visto questo gesto da qualche altra parte, «lei mi ha detto che ci sarebbe stato qualcosa di interessante e di assurdo proprio lì.» E, come se niente fosse, si sistema una ciocca di capelli dietro l'orecchio e torna ad armeggiare con i pulsanti del Tardis.

Harry si ravviva i ricci a sua volta e accenna a lasciare la stanza, sorridendo.

«Lei ha sempre avuto ragione.» mormora piano il Dottore, il giusto perché Harry lo senta appena, e poi tace di nuovo.

Harry quasi lo bacia, e non sa neanche perché.

 

*

 

Quando Harry ha salvato per la prima volta la Terra insieme al Dottore, si è subito accorto che la sua permanenza al suo fianco non sarebbe stata esattamente una passeggiata. Anzi, a dirla tutta, non ci ha messo molto a capire che rischiare la vita sarebbe stata un'attività all'ordine del giorno.

Insomma, ormai ha un bagaglio di esperienza rispetto a creature che neanche avrebbe mai immaginato potessero esistere da fare invidia a uno scrittore di libri di fantascienza. Non c'è più niente che gli possa fare paura, non c'è niente che lo possa fermare finché rimane al fianco del Dottore.

O almeno, ne è stato convinto fino adesso.

 

Perché qualunque cosa l'abbia steso in questo momento, qualunque cosa abbia deciso che la sua vita era un sacrificio necessario per sterminare la razza umana o riprendere il controllo della sua vecchia galassia non gli interessa, perché tutto intorno a lui gira e la testa fa male malissimo e gli sembra che ogni cellula del suo corpo stia stridendo dal dolore.

Ha sonno, Harry, oppure qualcosa di molto simile: le palpebre gli si chiudono, il corpo diventa pesante e il pavimento sotto di lui — quello del Tardis, forse? Non ricorda di essercisi trascinato dentro, deve essere stato il Dottore a portarcelo — è troppo freddo, e ci vorrebbe davvero una coperta come di quelle che gli faceva su misura sua mamma Anne quando era piccolo.

Mamma, cerca di dire, ma le parole non escono dalla sua bocca, rimangono intrappolate in un punto indefinito tra la gola e la punta della lingua.

Qualcosa di caldo gli afferra delicatamente il polso, stringendolo piano tra le dita. «Dottore.» riesce finalmente a mormorare, talmente basso che non lo sente nemmeno lui.

«Shh,» gli intima questo posandogli una mano sulla guancia, e Harry lotta contro il suo stesso corpo per riuscire a tenere gli occhi aperti. A malapena distingue il contorno del viso dell'altro, ma i suoi occhi azzurri brillano con insistenza nel buio che tutto ad un tratto ha circondato la visuale di Harry.

«Dottore, Dottore, Dottore…» mormora, quando sente che le forze lo stanno abbandonando.

Il Dottore gli posa un dito freddo sulle labbra, sorridendo. Poi si china leggermente in avanti, tanto che Harry può sentire il suo respiro sulla sua pelle, e gli lascia un bacio all'angolo della bocca. Poi si avvicina verso il suo orecchio e sussurra qualcosa di apparentemente senza senso.

«É Louis

Harry finalmente chiude gli occhi.

 

*

 

Si sveglia con la testa appoggiata a qualcosa di duro e freddo, con un mal di testa lancinante. Apre gli occhi con fatica, e riconosce i contorni di un luogo che non visita tanto tempo. I libri di storia sono sparsi sul tavolo, e il Saggio Breve sulla Rivoluzione Francese giace in cima alla pila. Conta solo quattro righe.

Improvvisamente, come investito da un fulmine, ricorda, tutto, ma tra tutto un solo viso. Guarda con ansia l'orologio che ha al polso, e legge quasi con terrore la data: 20 Febbraio.

Harry passa in rassegna tutte le soluzioni possibili, e quando arriva a quella che dice "é stato solo un sogno" il suo stomaco fa una capriola, e quasi senza pensarci i suoi piedi lo portano nello stanzino.

Ha quasi paura di accendere la luce, e quasi non vuole.

Però, quando intravede nell'ombra i resti di decine di scatoloni caduti per terra e una consistente quantità di farina che ricopre tutto come se fosse neve la mattina di Natale, sorride così forte da farsi male alla mascella.

Nell'angolo, proprio dove c'era il Tardis l'ultima volta, c'è attaccato un post-it giallo.

Tornerò.

Harry lo stacca, e lo fissa per qualche minuto, senza realmente guardarlo.

Poi, quasi come se fosse destino, la vede: nell'angolo destro, in basso, c'è una lettera piccolissima, quasi invisibile.

L.

Harry sorride, questa volta più dolcemente, perché ricorda: quella parola, sussurrata negli ultimi momenti della sua coscienza, suona ancora come una promessa.

Si tocca l'angolo della bocca, e infila il post-it in tasca.

 

 

 

 

 

A/N:

Questa cosa ha bisogno di un paio di note: per prima, é al cento per cento per Ness, l'amore mio, che la voleva da tempo. Spero che possa piacerti, hun! In secondo luogo, oddio, cosa sto facendo. Io non scrivo Larry in modo serio da una vita, ma ok. In terzo luogo, insomma, mi sono divertita a scrivere questa fic come non mai. Omg.

Per ultimo: prompt fandom!AU at auverse.

(crossposted @ livejournal)

   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: beastille