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Autore: LawrenceTwosomeTime    15/09/2012    1 recensioni
Vecchia storia scritta per un concorso. Un uomo si barcamena tra esistenze multiple, cercando di sfuggire al videogioco che sembra controllare la sua vita. Quale sarà il mondo reale?
Genere: Avventura, Guerra, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Life is like a videogame with no chance to win"
Atari Teenage Riot


"Il mio capolavoro"
Tre semplici parole campeggiavano sul soffitto della Stanza Segreta, quella che aveva scoperto ormai da tre mesi: si ruotava la maniglia del Frigorifero Che Non Era Un Frigorifero in senso antiorario, si spalancava l'anta e si percorreva un breve corridoio bianco; un'altra porta, di foggia anonima, e poi quel bugigattolo pieno di ferraglie, giocattoli abbandonati, videocassette smagnetizzate e polistirolo. Il soffitto possedeva una trasparenza umida (ma forse era solo un'illusione ottica) e le parole cambiavano ogni giorno. Ieri c'era scritto "Fuck the System"

MS, questo era il suo nome, si rigirò in bocca la nuova dichiarazione. Il "capolavoro" era forse la Stanza, o l'imitazione di intelligenza che ardeva in quei pochi simboli luminosi si riferiva all'intera Casa? Quesiti aridi per dichiarazioni sterili.
"Devo uscire di qui"
MS non faceva che ripetersi quel mantra, se lo riproponeva come un conato dal giorno in cui si era svegliato nel Salone Principale, sopra quel morbido tappeto persiano – dal giorno in cui una batteria di gocce d'acqua l'aveva destato tamburellandogli sulla fronte; sopra di lui, risaltavano come punti esclamativi centinaia di stalattiti acuminate.
Non aveva un nome, non sapeva come avesse fatto a finire lì e sapeva ancor meno per quanto tempo ci sarebbe rimasto.

Le alte finestre in vetro curvato rivelavano panorami caraibici, ma nonostante fossero bloccate, non ci mise molto a capire che si trattava di raffinatissimi dipinti retroilluminati, di qualità fotografica.
Ricordava bene il mondo esterno, la luce, il calore; quelle pareti di roccia friabile, l'umidità e un vago senso di claustrofobia gli gridavano che si trovava sotto la superficie terrestre.

Aveva appena iniziato ad esplorare il nuovo habitat, così sconcertante nella sua mistura di terra e mobili vittoriani, che gli era capitato per le mani un indizio: una scatoletta viola posata sopra una credenza di frassino. Al suo interno, un post-it giallo con su scritto: "Non dimenticate: il mio nome è MS"
Non aveva idea di chi l'avesse scritto, o a chi fosse rivolto. Forse l'aveva vergato lui stesso. Ora aveva un'identità a cui aggrapparsi.
Lui era MS, cittadino del mondo, catapultato contro la sua volontà nel cuore della terra e destinato a rimanerci, se non avesse trovato una via di fuga. Sempre che il mondo esistesse ancora. Qual era, dunque, il suo posto nella società degli uomini? Qual era lo Stato delle Cose?

Aveva iniziato a contare i giorni. La Casa era piena di materiale utile, bastava cercare nei posti giusti.
Dal Salone Principale si dipanavano concentricamente sei porte. Le porte conducevano in nuove stanze, diversissime per tema le une dalle altre, a loro volta piene di porte. Non sembravano avere fine.
Fortunatamente, le più importanti si trovavano vicino alla sua posizione: colonie di funghi commestibili crescevano in abbondanza; antri non rischiarati dalla luce elettrica ospitavano vasche piene di alghe dall'elevato valore nutritivo. E poi c'erano le serre, i frutteti, il lago in cui si tuffava una spumeggiante cascata, straripante di trote e lucci.

In breve tempo arrivò a legarsi intorno alla cintola una fune fatta di lenzuoli, così da poter tentare l'arrembaggio a camere sempre più remote. Ma la curiosità gli giocò un brutto scherzo. Aveva percorso molta strada ed esaurito quasi tutte le provviste e i vestiti di ricambio: la stanza in cui si trovava era invasa da fotografie incorniciate di circuiti stampati. Sopra una porticina metallica incassata nel muro, sorgeva la scritta "Tentativi Falliti". Entrò. Nella penombra attraversata da un gelido vento intermittente, dondolavano appesi a dei ganci i cadaveri in decomposizione di uomini senza volto, marchiati da un numero scritto in lettere rosso sangue.
MS represse la nausea che gli serrava la gola e si ripromise di non proseguire mai più in quella direzione.

La fortuna non gli arrise. Per quanto remote fossero le camere in cui si spingeva, per quanto seguitasse ad esplorare nuovi, improbabili percorsi, il risultato era sempre lo stesso: nuove porte.
Il giorno (se di giorno si poteva parlare) in cui meditò seriamente la possibilità di farla finita, la disperazione portò un'idea. Si diresse in cucina e fronteggiò la ronzante mole del Frigorifero Che Non Era Un Frigorifero. Girò la maniglia, questa volta in senso orario, ed aprì l'anta. Lo attendeva un ingresso diverso, più piccolo, con lievi incrostazioni di ruggine lungo i bordi. Fece forza ed entrò.
Uno smisurato pannello di controllo che ospitava un'unica, imponente leva rossa riempiva la parete, ronzando e sfrigolando come un alveare. Un post-it giallo appiccicato ad altezza d'uomo recitava in grandi caratteri cubitali: GENERATORE ELETTRICO. NON TOCCARE!
Era il primo interruttore in cui si imbatteva da quando era capitato nella Casa. MS dapprima toccò la grande leva rossa fremendo di eccitazione, senza sapere perché e senza pensare, e poi la abbassò. Il buio invase ogni anfratto come seta liquida.
Nel silenzio che gli pungolava i timpani, si accorse che un flebile cerchio di luce verdognola baluginava sotto i suoi piedi. Non l'aveva mai notato, eppure intuiva che era sempre stato lì.
Dal cerchio si staccarono due scintillanti orme umane, i piedi di un fantasma che aveva il suo stesso numero e la sua stessa, identica andatura. L'implicita risoluzione racchiusa in quei passi lo invitò a seguirli nel buio.
Non si rese conto di quanto durò la passeggiata, sempre attento a non urtare nulla, quasi sonnambulo e spasmodicamente teso ad afferrare la possibilità di abbandonare quel posto grazie alla guida dello spettrale Virgilio.

Poi le luci tornarono.

Si trovava in una stanza quadrata, chiusa su ogni lato, e piena di polvere. Niente porte.
Sulla sinistra troneggiava una grande colonna di marmo: ospitava quello che pareva un ascensore; e sulla destra sorgeva un inquietante apparato a forma di sfera sostenuto da quattro piedini meccanici che grondavano volute di cavi.
MS si fiondò all'ascensore.

Prima di poter lanciare un'esclamazione di gioia scoprì che era regolato da un display e da una pulsantiera. Il display recitava: "Inserire codice di accesso"
"No, no, no!"
MS batté ripetutamente il pugno contro le porte serrate. Era solo questione di tempo, prima che morisse di fame nel tentativo di imbroccare la combinazione esatta.
E poi, chi gli assicurava che l'ascensore conducesse alla libertà?

Attraverso un velo di spossatezza esistenziale più che fisica, MS mise a fuoco il macchinario che prima aveva solo degnato di uno sguardo fugace. Un sedile di pelle dalla forma slanciata sporgeva come una lingua molle e nera tra le curve aerodinamiche dell'apparecchio; un paio di installazioni serpentine, attorcigliate lungo i braccioli, lasciavano penzolare altrettante insenature per i polsi; un visore simile a un casco si intravedeva a malapena nella foresta di cavi vomitati da quei meccanismi.
Titubante, MS si sedette. Qualcosa gli disse che era in procinto di confrontarsi con un avanzato, subdolo, pericolosissimo generatore di realtà virtuale; e che si trattava della sua unica possibilità per risolvere l'enigma dell'ascensore.
Inserì le mani nelle alcove snodabili, indossò il visore e spinse il tasto "PLAY" posto nel costato della sfera metallica. Il mondo divenne blu, poi nero.
Una sintetica voce di donna sillabò: "Benvenuto in Kinetic Zone, il rivoluzionario videogame dove ogni cosa sembra reale! Sei pronto per una nuova avventura?"
"Domanda retorica", pensò MS.
Migliaia di stelle simulate gli vennero spruzzate in faccia alla velocità della luce.
Per un attimo lungo un battito di ciglia sentì una scossa alla base della spina dorsale, poi perse la sensibilità di braccia e gambe. Una nuova connessione neurale era stata innestata artificialmente attraverso il suo sistema nervoso: sognava da sveglio.

Un'esplosione gli fece riprendere i sensi.
Tutto intorno a lui carambolavano detriti e piovevano schegge, c'era un fragore da sfondare i timpani e, di contrappunto, il brusio delle comunicazioni gli risuonava direttamente nel cervello.
La mappa in basso a destra sul suo display ottico annunciava che l'obiettivo distava circa tre miglia. La donna che gli sedeva al fianco, comandi in pugno e sigaro in bocca, non faceva che imprecare contro l'ammiraglia nemica, martellando di proiettili gli altri velivoli.
Si trovavano su una navetta d'assalto con propulsione a razzo.
MS sollevò lo sguardo perché il display gli fornisse qualche informazione supplementare sulla sua compagna, poi si decise e gridò: "Maggiore Modster, il nostro obiettivo?"
"Mi prende per il culo, signore?"
MS rimase stranito, poi si riscosse e disse: "Si limiti a rispondere!"
"La missione prevede di penetrare nell'avamposto nemico e recuperare la combinazione dell'ascensore!"
"Eccellente!"
Questa è la volta che esco di qui, si disse. Devo solo portare a termine questo stupido videogioco e riprendere possesso del mio corpo.
Proprio in quel momento una detonazione accecante lo ribaltò sul sedile. La navetta aveva preso fuoco.
"Il motore di sinistra è andato!", annunciò Modster. "Dobbiamo lanciarci!"
Digitò i comandi per aprire il portellone e attivò il jet pack della propria biotuta, ma MS la trattenne.
"È pazza, per caso? Finiremo per ammazzarci! Qui è tutto troppo realistico!"
"Che cosa si aspettava? È la guerra, signore!"
E si tuffò.
MS non poté fare altro che imitarla, lanciandosi sgraziatamente oltre il bordo.
Dietro di lui, la navetta andò in mille pezzi spargendo le proprie budella nel cielo grigio e punteggiato di luci.
MS ruotò e si capovolse ad un'altezza approssimativa di duemila metri, trovò finalmente il dispositivo d'accensione del jet pack e si impennò, prima verso l'alto, poi nella direzione opposta.
Un gigantesco mech a forma di mantide gli si fece incontro aprendo e serrando le tenaglie. In procinto di essere smembrato, MS si ricordò che in quel mondo lui era un cyborg, si chiamava Mark Sturgeon e non aveva paura di niente.
Estrasse la katana elettrificata e mozzò di netto gli arti al robot, poi gliela piantò nel torace in una fontana di plasma e lo troncò in due con un ampio fendente verticale.
Il display segnalò un corpo ostile che si avvicinava a gran velocità da dietro la sua testa. Fece appena in tempo a chinarsi in avanti che il missile gli sfiorò la sommità del capo, mentre i piedi già facevano presa sulla superficie del razzo e lo forzavano ad eseguire una doppia capriola aerea che travolse i corazzati più piccoli.
Lasciatosi alle spalle una seconda esplosione, Mark raggiunse Dina Modster, che nel frattempo era sgusciata tra le grinfie delle Mantidi e aveva abbattuto una decina di ptero-caccia con una serie di colpi precisi sparati dalle sue fide macro-automatiche.
Atterrarono in perfetta sincronia dietro una postazione alleata e si presero un minuto per analizzare la situazione.
Mark Sturgeon, ovvero MS, rimase sbalordito nel constatare che si trovavano sopra delle piattaforme sospese che ospitavano i resti di architetture greche e neoclassiche, inframmezzate da strutture aguzze a forma di artiglio e complicati pontili di collegamento tra un viadotto e l'altro.
"Questo gioco è dannatamente realistico"
"Mi perdoni se glielo faccio notare, signore, ma è la seconda volta che lo dice"
Mark si sollevò la visiera di plexiglas e domandò con franchezza: "Se io dovessi morire qui, morirei anche nel mondo reale?"
"Il mondo reale? In che senso? Sta facendo della parapsicologia?", ribatté Modster ostentando un'espressione dubbiosa.
"La tua IA è qualcosa di incredibilmente raffinato, potresti essere una persona reale"
"Lo prendo come un complimento, signore"

Venti minuti dopo, i due soldati scelti arrancavano con prudenza nella foresta di teleferiche che costituiva l'area centrale del distaccamento avversario.
Mentre la guerra infuriava in cielo, spedendo puntualmente al suolo carcasse di velivoli abbattuti, Mark e Dina si addentravano furtivamente tra colonne divelte e gigantesche statue di angeli senza braccia.
Sparuti raggruppamenti di soldati spianavano la strada con l'aiuto di armi pesanti, per poi essere spazzati via dai reparti speciali della fanteria invisibile.
"Se potesse essere da qualche altra parte, dove vorrebbe trovarsi?", domandò Dina a un certo punto.
"Dove vorrei trovarmi? Oh… questa storia sta cominciando a confondermi. Io sono seduto nella stanza dell'ascensore, ma il personaggio che interpreto è cresciuto nelle colonie di Saturno. Mi basterebbe tornare a vedere la luce del sole, ecco tutto"
"Spesso dimentico anch'io che il sole è diventato un dispositivo artificiale"
Non credo che possa spingersi aldilà del contesto videoludico, meditò MS. Peccato.

Stavano percorrendo un camminamento sospeso nel vuoto, quando una capsula ovoidale si teletrasportò sopra un assembramento di torrette inutilizzate sorto poco vicino, vomitando fuori decine di Mech Garroter.
"E va bene. È tempo di giocare pesante"
Mark selezionò la Modalità Hyperfast e le sue capacità di movimento vennero mostruosamente incrementate. Il mondo si congelò, poi tornò a muoversi. Ma al rallentatore.
Piroettando come un ballerino, Mark si fece strada attraverso l'unico punto debole degli avversari, la testa, affettando e sminuzzando con l'assistenza di Dina che teneva il nemico a distanza grazie al suo fucile anticarro a impulsi.
"Mi sto quasi divertendo", pensò mentre si ricollegavano all'arteria principale, una torreggiante monorotaia color ossidiana.

La Torre Champignon si distingueva chiaramente, ora. Lì dentro avrebbero trafugato le informazioni di cui Mark necessitava per completare la missione.
Ma nessun videogioco degno di tale nome può definirsi completo senza un Boss Finale.
Che in quel caso era rappresentato dalla torre stessa: ripiegandosi e torcendosi sul proprio asse, si trasformò con movimenti sinuosi in una grassa piovra galleggiante che luccicava con la potenza di mille soli. Le fondamenta caddero a terra come vestiti smessi e la mole della corazzata gettò un'ombra minacciosa sopra l'esercito alleato.
Esaminando la sua mutevole struttura in Realtà Aumentata, Mark appurò che quel mostro non aveva punti deboli.
Un tentacolo scattò, fulmineo, afferrando la sua compagna e tirandola dolcemente a sé. MS si slanciò nella sua direzione e mozzò l'appendice trasparente, che subito venne rimpiazzata da una gemella più robusta.
Dina cadde scompostamente tra i detriti, scossa da violente convulsioni, e Mark si gettò nuovamente all'attacco. Un altro enorme tentacolo tentò di schiacciarlo, ma con uno sforzo sovrumano MS lo afferrò tra le mani, lo fece ruotare su sé stesso e lo divelse.
Mandando un grido che pareva un ultrasuono, la bestia bionica sparò un raggio vermiglio in direzione del soldato, il quale si fece scudo con il tentacolo sottrattole poco prima. Come per effetto di uno specchio schermante, il raggio invertì il suo corso e colpì in pieno la piovra, che si gonfiò, baluginò di luce arancione ed esplose in una cacofonia assordante. Finalmente.
Tra volute di nebbia e spumeggianti cascate di rottami, si intravedeva ora una serie di lettere miste a numeri, solidamente stampigliati nel cielo come un epitaffio a cristalli liquidi.
N 39°52'32'' – E 18°08'25''
Si trattava forse della combinazione?
Non era possibile: sul display dell'ascensore MS aveva visto solo numeri, non lettere.
"Sono delle coordinate GPS"
Ma un gemito di dolore interruppe i suoi pensieri.
Mark raggiunse il corpo riverso di Dina, ora ricoperto di escoriazioni e ustioni che ancora sfrigolavano. La girò con cautela e vide che il suo volto era una maschera di sofferenza.
"Signore… mi dispiace… io…"
"Ssh, non parlare… Ti farò trasportare al Centro Medico per un ricovero intensivo. Te la caverai"
"Ormai… è troppo… tardi"
La damigella bianca si sporse quel tanto che bastava per annullare la distanza tra loro due e lo baciò. Le sue labbra sapevano di ferro.
Poi svanì, senza lasciare traccia.
MS avrebbe pianto, se solo non avesse saputo che era tutta una finzione.

Il gioco era finito, i cannoni tacevano, ma lui doveva ritirare il suo premio.
A quanto pareva, quel mondo era vasto quasi quanto quello reale, e Mark non aveva tempo da perdere in permessi e autorizzazioni.
Requisì un jet privato e partì alla volta delle coordinate N 39°52'32'' – E 18°08'25''.

Stava sorvolando uno sconfinato deserto ormai da parecchie ore, quando una voce computerizzata gli annunciò che era arrivato a destinazione.
Scese di quota dosando la spinta, e quasi subito la vide: una piccola costruzione arroccata tra le dune, semisepolta nella sabbia.
Atterrò, smontò dal jet, appurò che non si trattava di un imbroglio: era lì, era reale – se così si può dire – ma quello che la rendeva equivoca era la natura di ciò che proponeva.
Sopra l'ingresso, in variopinte lettere al neon, era affissa la dicitura "SALA GIOCHI".
"Una sala giochi in mezzo al deserto? Sempre più curioso"
Aveva affrontato navi da guerra e mostri alieni. Poteva concedersi di assecondare quella bizzarria.

L'interno era fresco e odoroso di moquette. L'unica fonte di luce proveniva dalle file di cabinati tutti uguali che riempivano il modesto spazio, ravvivandolo con tiepide sonorità a 16 bit.
MS avanzò lentamente cercando di decifrare la natura di quei videogame, che paradossalmente si trovavano all'interno di un altro videogame.
"Finalmente sei qui. Ti aspettavo da una vita e mezza"
MS si voltò. Dalle ombre era strisciata fuori la sagoma di un uomo anziano, con il viso coperto di grinze e spiritati capelli color zucchero filato.
"Chi sei? Che cos'è questo posto?"
Il vecchio sorrise: "Qui è dove tutto finisce. Ovvero comincia, signor Michael Static"
"Come mi ha chiamato?"
"Michael Static, è questo il tuo nome. MS, giusto?"
"Si sbaglia, io sono Mark Sturgeon. Preferirei evitare di complicare ulteriormente la situazione, quindi… No, aspetti. A meno che…"
"Mark Sturgeon e Michael Static non siano la stessa persona, esatto. Sei perspicace, non è vero? Non per niente, sei forse il più acclamato e geniale game designer di questa generazione. Il videogioco che vedi davanti a te è la tua prima creazione, il lavoro che ti rese famoso. Sai come si chiama?"
"Me lo dica lei"
"Static Zone. Semplice e diretto, non trovi? Vuoi sapere qual è l'obiettivo del gioco?"
"Si, certo che lo voglio. Ma ho paura della risposta che potrebbe darmi"
"Bravo. Sostanzialmente, si tratta di un'avventura grafica. Il protagonista è un uomo di età indefinita, nominato MS, che si ritrova rinchiuso in un labirinto sotterraneo e deve cercare in tutti i modi di uscirne. Ad un certo punto, scopre un macchinario che gli permette di sfuggire alla realtà virtuale e sconfinare nel mondo tangibile. C'è anche un ascensore di mezzo, ma quello perde di interesse ad un certo punto della storia"
Michael si sentì mancare e poggiò la mano sopra un cabinato, che emise un trillante suono festoso.
"Mondo tangibile? Questa non è la realtà, io mi trovo in una neurosimulazione interattiva chiamata Kinetic Zone. È solo un videogioco che si trova dentro una grotta"
"Un videogioco dentro una grotta, ti sembra realistico?"
"Che cosa vorrebbe dirmi? Che questo è il mondo reale? Che io sono il personaggio di un videogioco e sono uscito dal gioco che io stesso ho inventato? Si guardi intorno! Ci sono gli alieni, le armi futuristiche, i morti si dissolvono nell'aria e sento delle voci nella testa! Come può essere reale?"
"Chi ti dice che non sia proprio questa la realtà? L'assuefazione da Static Zone ti ha insegnato che la gente si fa la guerra con armi rudimentali, i morti si decompongono e sentire le voci è sinonimo di pazzia!"
Michael rovinò a terra, strisciò sul pavimento lurido, cadde di nuovo.
"Static Zone si trova dentro Kinetic Zone. E Kinetic Zone si trova dentro Static Zone.
Kinetic Zone è programmato in modo così realistico che i suoi non-player character vivono nell'assurda convinzione che il loro mondo esista davvero. Ma anche Static Zone è un'illusione, per giunta a 16 bit. Di conseguenza…"

"Di conseguenza la realtà non esiste"

Michael avvicinò la pistola alla bocca e sparò.
La sua morte fu l'unica cosa reale.
  
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