Anime & Manga > Captain Tsubasa
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Autore: eldarion    16/09/2012    5 recensioni
Tsubasa e Sanae stanno per sposarsi. Sono felici. Tuttavia, la felicità a lungo sognata viene bruscamente spazzata via da una tragica fatalità.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Tsubasa Ozora/Holly
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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I personaggi non sono miei, appartengono a Yoichi Takahashi.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.
Note personali: non amo scrivere storie con più di un capitolo, perché ho poca pazienza, ma ho voluto tentare. E’ una specie di sfida e spero di fare un buon lavoro!
Ringrazio coloro che dedicheranno del tempo alla lettura della mia storia e coloro che avranno la pazienza di recensirla.
Buona lettura!
 
 
 
 
Solo il vento lo sa
 
"Pinto!...Mamma!"
Tsubasa si risvegliò cullato dalle carezze del piccolo Hayate che gli si era seduto accanto. L'ombra del vecchio tiglio li avvolgeva, come sempre materna. Il piccolo colse un filo d'erba e cominciò a rigirarlo tra le dita, poi ruppe il magico silenzio del bosco.
"Stavi ancora sognando della nonna e dei tuoi amici?...Dimmi di Pinto papà!"
Il giovane calciatore si mise a sedere mentre il suo sguardo vegava lontano, oltre il cielo che li sovrastava e l'orizzonte che li chiudeva. 
Un frammento della sua anima era rimasto indietro prigioniero nelle pieghe del vecchio mondo. Lui e Sanae, in fondo, erano come schegge incastonate tra i pensieri degli amici e dei cari, schegge conficcate pigramente in un angolo del cuore. Essi pungevano, pungevano e restavano là ad accompagnare le giornate e le notti, le stagioni e le parole sussurate perché parlare a voce alta, dopotutto, faceva troppo male. Lui e Sanae c'erano ancora. 
Tsubasa non poteva fare a meno di credere che i luoghi conservassero certi ricordi, certe tracce. Sicuramente un ricordo di lui di Sanae e di ciò che erano stati, era stampato nel tempo e gelosamente conservato anche dai luoghi dove avevano passato la loro vita. 
Erano ancora là, nel ricordo dei cuori che battevano forte dopo le lungue corse incontro al pallone, erano in soffitta tra le cose ammonticchiate in vecchie scatole di cartone. Essi avevano lasciato un segno del loro vissuto, erano al vecchio campetto dove giocavano da bambini, tra le risa e le cadute di Ryo che imparava a giocare a calcio, negli occhi di Genzo sempre coperti dalla visiera, al Camp Nou tra l'erba che frusciava al passaggio del pallone e sugli spalti tra le grida dei tifosi, erano ancora sotto l'acacia a giocare con Pinto e mangiare gelato, erano ancora nell'anima delle persone che li avevano conosciuti. 
Essi erano schegge d'amore che pungevano...Essi avevano vissuto.
Tsubasa mormorò al vento che cominciava a increspare la calma delle foglie autunnali e un brivido gli percorse la schiena...
"I luoghi, come i cuori, non dimenticano, noi viviamo, viviamo ancora..." 
Hayate si volse verso il padre e comprese che era smarrito in qualche vecchio ricordo ma non disse nulla: era abituato alle parole che, delle volte, il giovane calciatore affidava al vento. La brezza gentile le accoglieva e le portava con sé negli infiniti spazi che esplorava nel suo incessante soffiare. 
Tsubasa gli aveva raccontato tutto del mondo dove era nato e cresciuto, di quando era piccolo, dei genitori, della vita che aveva, degli amici di un tempo e di quelli nuovi che aveva incontrato lì dove si trovavano ora. Il piccolo conosceva così bene i particolari e le storie di quel mondo sconosciuto che, delle volte, anche lui lo aveva sognato e anche lui aveva conosciuto la nonna e molti altri dei quali parlava a lungo con Tsubasa. 
Hayate tacque per un po' mentre continuava a osservare il giovane padre poi, di nuovo, ruppe l'incantato silenzio.
"Papà! ...Raccontami di Pinto dai..."
Tsubasa si riscosse e gli sorrise dolcemente. Lo accarezzò e il bimbo gli si raggomitolò accanto avido di notizie.
"Pinto è stato il mio primo tifoso, era più grande di te quando lo conobbi. Nei momenti liberi giocavo a calcio con lui e altri bambini, nel pomeriggio al parco e poi, delle volte facevamo merenda sul terrazzo a casa mia, a Barcellona...Pinto adorava il gelato e...E' stato un grande amico per me..."
Lo sguardo di Tsubasa vagò lontano perdendosi di nuovo alla ricerca di qualcosa. 
Hayate non aggiunse nulla, spesso aveva notato la smorfia di nostalgia che trasfigurava i volti sereni dei genitori. In silenzio lo abbracciò e chiuse gli occhi dicendo piano...
"Mi sarebbe piaciuto conoscerlo. Non l'ho ancora visto nei sogni, magari lo vedrò...Ma cosa vogliono dire tutti questi sogni papà? I nonni e tutti gli altri dei quali mi hai parlato ci sono davvero? Ci incontriamo e mi conoscono anche se non ci siamo mai visti nella vita vera? Siamo svegli nei loro sogni?..Io non ho capito..."
Tsubasa sospirò, in realtà non aveva una risposta certa, non c'era una legge che dicesse come doveva essere ma il cuore aveva compreso molte cose che non avevano tuttavia una spiegazione oggettiva. Non era facile spiegare tutte le possibilità che i sentimenti d'amore e d'amicizia, e solo quelli, schiudevano all'anima. Lui era ormai parte di quel mondo sperduto in chissà quale realtà ma era anche parte di coloro che aveva amato, erano ancora insieme lui e tutti gli altri e, non aveva alcun dubbio, sarebbe sempre stato così. 
Non era facile trovare le parole ma la questione poteva essere spiegata più o meno così, col tempo poi, Hayate sarebbe cresciuto e avrebbe capito da solo.
"Beh ecco...Non è facile da dire ma...Le persone che si vogliono bene sono sempre insieme perché il cuore è dove ama...Non so come dire...Ci si incontra nell'animo e ci si può ancora parlare e amare in un tempo e uno spazio indefiniti. Ciò che siamo, e alcune cose che abbiamo fatto o faremo le viviamo insieme in un certo senso. E' come se vivessero ancora con noi, vicini, anche se questi sogni vengono e vanno un po' come vogliono, senza un tempo, senza un susseguirsi preciso di ciò che ci succede, senza logica e controllo da parte nostra...Siamo insieme nello spirito Hayate..."
Il bimbo annuì, anche se non era molto sicuro di aver capito, e si strinse più forte al ragazzo che lo accarezzò. 
Rimasero così per un po', senza dirsi nulla, come addormentati nei loro pensieri e ripiegati sul proprio cuore. Il vento, dolcissimo, li carezzava col suo tepore e il profumo dell'aria annunciava l'imminente vendemmia. Una voce lontana li chiamava...
"Tsubasa! Tsubasa!"
L'avvicinarsi della voce li riportò alla realtà e piano si alzarono volgendosi verso il sentiero che portava alla collina.
Fu Hayate a rompere il silenzio.
"Papà... mi prendi?"
E il piccolo cominciò a correre felice su per la collina, verso la voce che li chiamava a sé.
Tsubasa annuì e prese a rincorrerlo. Il capitano rideva felice, sereno. 
Correva nel prato. Le preoccupazioni e i brutti pensieri erano svaniti. Era a casa, in un modo diverso da come aveva sempre pensato ma era a casa, nel suo mondo e non avrebbe mai potuto immaginare nulla di diverso per sé.
Hayate si fermò.
"Guarda papà!..."
Sanae li chiamava allegramente mentre, correndo, li raggiungeva. 
"Tsubasa!...Tsubasa!...Eccovi. Vi ho trovati..."
Il capitano era fermo e teneva per mano Hayate.
"Sì...Stavamo riposando ai piedi del tiglio"
Disse il ragazzo mentre Sanae lo abbracciava.
"Papà! Papà mi prendi in braccio?" 
La voce di Daibu che lasciò la mano di Sanae precipitosamente alla vista del capitano si intrufolò, allegra, tra i genitori.
Tsubasa rise di nuovo mentre sollevava Daibu per farlo volteggiare nell'aria. 
"Papà anch'io..." 
Lo richiamò Hayate.
Tsubasa rideva. Rideva abbracciando i bambini e Sanae.
Sanae, i bambini, lui e l'acqua del ruscello che scorreva placida. Erano felici, insieme, tutti e quattro...
 
 
...Il vento fresco della prima mattina muoveva dolcemente le tende mentre il sole si insinuava tra le ombre della notte che fuggivano...
 
Pinto si svegliò piano con un solo pensiero nella mente, un bellissimo e rincuorante pensiero che mormorò piano alla sua stanza
"Questo era il sogno che Tsubasa mi raccontava sempre, ora l'ho sognata anch'io la sua felicità!...Tsubasa mi pensa sempre e sono ancora suo amico..."
Ne era trascorso di tempo ma a Pinto sembrava solo il giorno prima quando aveva conosciuto Tsubasa, e invece erano passati anni. Anni dal giorno in cui si incontrarono, anni dal momento in cui conobbe Sanae, anni da quel giorno in cui, sul terrazzo, parlava con il giovane calciatore che sognava la felicità e anni dall'attimo in cui dovette dire addio all'amico che sceglieva un'altra vita. 
Pinto sospirò, gli mancava molto il capitano e questo non sarebbe mai cambiato, era un tassello della sua piccola vita perduto per sempre.
Si vestì senza fare rumore e uscì lasciando un bigliettino alla mamma.
Era una giornata speciale.
Una giornata da passare insieme agli amici, al parco. 
Era maggio, era lo stesso giorno. Lo stesso giorno di molti anni prima, l'ultimo giorno in cui avevano giocato con Tsubasa. Non c'era un vero e proprio appuntamento ma fin da subito ogni anno quel giorno si ritrovavano, una tacita voglia di stare insieme e ricordare senza parlare, ascoltare senza dire parole riuniva tutti, tutti quanti gli amici in silenzio perchè parlare, parlare del dolore, era troppo.
I fiori delicati dell'acacia di Costantinopoli ondeggiavano al vento e osservavano come sempre la vita dei passanti e i giochi dei bambini. 
Anche Kumiko era là sotto l'acacia. Era sempre fermo nella sua mente il ricordo di quel giorno quando era stata al parco con Tsubasa e i suoi piccoli amici. Quando era oscura, quando non poteva vedere oltre il buio del suo cuore e non poteva sentire le risa dei bambini e la dolcezza del'amicizia di Tsubasa e Sanae che lei aveva disprezzato e respinto. Rammentava ancora la rabbia e la delusione che quel lontano giorno la presero dentro ma ora, ora guardava rapita il parco e Pinto alle prese col suo pallone. Ora vedeva la vita.
"Ciao Kumiko!...Eccoti..."
Il saluto improvviso di Pinto la fece sobbalzare.
"Ciao Pinto, i tuoi amici sono già tutti là che giocano! Sono bravi..."
Il ragazzino annuì ma c'era qualcos'altro che voleva dirle e doveva dirlo proprio a lei.
"...Ho sognato Tsubasa e Sanae...Sono felici!"
Lei lo scrutò, e sorrise.
"Lo so, lo so..Se solo io..."
"Basta adesso, lasciali volare via, è giusto così. Vado a giocare! Ciao!"
Kumiko lo osservò stupita: aveva sempre le parole giuste nonostante fosse ancora piccolo ed era sempre stato così, lo ricordava bene.
Pinto corse verso i suoi amici e cominciarono a giocare.
La ragazza continuò a osservare il parco e ciò che le accadeva intorno. Era affascinante, come aveva fatto a non vederlo: le voci delle persone, i giochi, i fiori, il profumo dell'aria...Ora li percepiva anche lei. Le piaceva tornare là a guardare i ragazzini intenti a giocare a calcio, li osservava e ciò la faceva sentire meglio, più sollevata, probabilmente un po' come capitava a Tsubasa. Kumiko non aveva più paura di Pinto, non doveva più nascondersi. Impugnò la sua macchina fotografica e iniziò a scattare. Piccoli angoli di mondo si fermavano nei suoi scatti, piccole realtà fuggevoli che nascondevano altre realtà; chissà se un giorno avrebbe potuto togliere i veli che la separavano dagli altri infiniti mondi, chissà se attraverso quell'obiettivo avrebbe visto meglio in se stessa, negli altri, nel mondo reale e in quello che stava oltre, quello che non si vedeva, quello di Tsubasa e Sanae, chissà...
Aveva un lavoro molto bello da svolgere con impegno, aveva una casa dove tornare ogni tanto per sentirsi al sicuro. Tsubasa e Sanae le avevano fatto un grande regalo: era se stessa. Loro le avevano permesso di guardarsi dentro, conoscerli l'aveva portata a sondare la sua anima, non si erano incontrati per caso, loro erano stati il suo viaggio in se stessa, quel tramite per capirsi e capire. Era di nuovo al lavoro, di nuovo e sempre sulle copertine, in passerella ma lo era in maniera diversa: niente più colpi di testa e capricci. Lei stava da parte, dietro le quinte a catturare attimi, svelare persone ed emozioni...Lei, proprio lei che aveva amato un mondo di latta e lustrini. Lei che era sempre scappata dalle emozioni.
Il vento la avvolse come in una carezza mentre tra i suoi scatti comparvero Natsuko e i genitori di Sanae, si dirigevano verso l'acacia dove Pinto e gli altri giocavano. C'erano anche loro, anche loro all'appuntamento che non era un appuntamento, tutti lì, convocati dal vento di passaggio.
Altri scatti ma... Improvvisamente fu come se tutto si fermasse: i ragazzini avevano lasciato cadere il pallone che ora stava là, inanimato, mentre Natsuko li osservava taciturna. Kumiko si avvicinò e il vento ricominciò a sussurrare tra i rami che riprendevano vita.
"Senza Tsubasa non è la stessa cosa; chissà se li rivedremo, io non credo..." disse un ragazzino.
Pinto alzò lo sguardo su tutti i presenti, uno sguardo carico d'amore.
"Non si sa mai, non si sa mai ...E poi...Volete bene a Tsubasa? E vi piace giocare a calcio?"
"SIIII!"
Risposero tutti con improvvisa vitalità.
"Allora giochiamo! ...E pensiamo a Tusbasa!" 
Gridò Pinto calciando nuovamente il pallone.
Kumiko parlò alla brezza e le sue parole volarono.
"Mi mancano...Mia nonna diceva sempre che ció che perdiamo torna sempre da noi, anche se magari non come noi lo vorremmo..."
"Ma certo..." 
Rispose prontamente Natsuko osservando il pallone volare in alto tra i raggi del sole e le risa dei bimbi. Tutto si mescolò: i giochi dei bambini, gli sguardi degli adulti, le parole di kumiko e Natsuko, le parole di altri mondi, le voci di altri cuori. Tutto fu catturato dal vento che sapeva scomporre e superare i veli tra i mondi infiniti.
L'aria s'intrise d'amore e cominciò il suo racconto. Tutto volò via, le voci, l'amore, il dolore, il ricordo, la malinconia, l'amicizia, i sogni e la felicità. 
Tsubasa e Sanae c'erano e non c'erano allo stesso tempo. 
Erano nei sogni, rimpianto e consolazione, speranza e nostalgia, erano nel vento, nei giochi, nel cuore; come una promessa, proprio come amici discreti e silenziosi. Forse si sarebbero rivisti nella realtà o forse tutti lo avrebbero sempre e solo sognato.
Solo il vento lo sapeva.
Solo il vento che giungeva da luoghi sconosciuti e si insinuava negli angoli più remoti dei cuori per raccontare le sue storie, solo lui sapeva se un giorno i sogni sarebbero diventati realtà o la realtà sogno.
 
Fine
Ed eccoci... Nessun colpo di scena o ritorni improvvisi ma solo sogni e speranza... Spero che la conclusione non vi deluda troppo. 
Comunque grazie a tutti coloro che hanno letto la mia storia: a quelli che hanno commentato, a quelli che hanno letto senza dir nulla e a quelli che mi hanno messa tra gli autori preferiti o le storie preferite o quelle da ricordare...
Mi mancherà molto il contatto con le persone che hanno seguito e commentato questa fanfiction, spero tanto di ritrovarvi in qualche altro mio racconto!
A presto!
  
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