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Autore: bluemary    16/09/2012    9 recensioni
"Un dolore terribile lo avvolse, mentre sentiva che gli stavano strappando la sua stessa coscienza, la sua anima. Con un ultimo barlume di lucidità ripensò a Viridian ed alla promessa che ormai non sarebbe riuscito a mantenere. Poi ci fu solo il buio."
Uno dei Cinque è caduto, ma sono ancora numerosi gli ostacoli da abbattere per chi desidera la libertà di Sylune. E mentre i tre ragazzi che hanno sfidato la Fiamma Nera si trovano a fronteggiare le conseguenze delle loro azioni e gli inaspettati intrecci dei loro destini, Kysa e Viridian si avvicinano sempre più ad un cammino da cui non esiste ritorno.
Seconda parte della mia saga su Sylune.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sylune'
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-Capitolo 2: Sussurri nella notte-


Kilik stiracchiò le membra esauste, lasciandosi andare a uno sbadiglio che risuonò nitidamente nella stanza, divenuta silenziosa ormai da diversi minuti. A dispetto dell’energia di cui faceva inconsciamente sfoggio ad ogni occasione, Sky era stata vinta dalla stanchezza poco dopo essersi seduta più comodamente sul suo letto e aveva chiuso gli occhi quasi senza accorgersene, una volta terminata la loro discussione. La guardò con un sorriso, riconoscendo nei suoi lineamenti distesi la tranquillità tipica di un sonno profondo, privo di incubi o preoccupazioni, e per un istante lo colse la tentazione di seguirla in un riposo assoluto, in cui finalmente ogni suo pensiero si sarebbe spento nel nulla, senza più assordargli la mente esausta; tuttavia aveva ancora una faccenda di cui occuparsi, un compito urgente che non avrebbe potuto rimandare alla notte successiva.
Attento a non svegliare l’amica, si stese accanto a lei, troppo spossato anche solo per pensare di andare in un’altra camera, in modo da lasciarle l’intimità di un risveglio solitario. Poi chiuse gli occhi e si concentrò per trovare Viridian.
Sapeva come arrivare alla buia prigione in cui l’Eterea si era volontariamente rinchiusa per evitare la cattura da parte degli Oscuri, ma, quando provò a raggiungerla, un’altra percezione gli sconvolse la mente, aggredendola con una collera di cui mai aveva sperimentato l’uguale. Rimase immobile, congelato da quell’urlo dal timbro irriconoscibile, furioso come il cielo in tempesta, che parlava con l’idioma di un odio ormai al di là di ogni freno o perdono, inneggiando al sangue e alle morti, alla devastazione e alla rovina.
Stordito da una simile violenza, provò a guardarsi attorno alla ricerca della fonte di quella voce che possedeva l’inconfondibile impronta della magia, mentre il desiderio quasi palpabile di annientare ogni cosa lo trafiggeva con un’intensità insostenibile, costringendolo a combattere con tutte le sue forze per non soffocare nell’odio smisurato da cui era avvolto.
L’istante successivo, prima ancora che riuscisse a scoprirne la provenienza, quel suono terribile e disumano scomparve senza lasciare tracce.
Senza fiato, l’Etereo si ritrovò a vagare nel limbo creato dalla sua stessa coscienza, il respiro affannoso per quel potere che lo aveva assalito senza il minimo preavviso e l’animo invaso dal timore mai sopito di venire scoperto e poi catturato dai suoi nemici, come già era successo al suo gemello.
Abbassò un attimo le palpebre per recuperare la calma, poi si lasciò guidare verso il luogo in cui si trovava l’amica, seguendo la debole percezione subentrata a quell’attacco improvviso, una familiare traccia di potere che gli sarebbe risultata impossibile da rintracciare se già una volta non l’avesse scoperta per caso.
Non appena si materializzò all’interno della cupa prigione, aprì gli occhi per guardarsi attorno, pronto al fato che lo attendeva. Sapeva quanto fosse pericoloso vagare con la mente nella dimensione onirica in cui si rifugiava durante il sonno, in particolar modo dopo aver richiamato l’attenzione dei suoi nemici con l’assassinio di Ghedan, e forse ad attenderlo in quella stanza illuminata a stento dalla luce di una candela non ci sarebbe stata Viridian, ma un Oscuro.
In quel secondo d’incertezza fece appena in tempo a scorgere i suoi lineamenti stravolti dall’ansia prima di essere avviluppato in un abbraccio che quasi gli tolse il respiro.
- Ti aspettavo. – mormorò la ragazza, rivelando la propria ansia con il tremito della voce e del suo stesso corpo.
Lui la cinse a sua volta, la guancia premuta contro i suoi capelli e gli occhi chiusi, per meglio assaporare quel momento di sollievo.
- Scusa se ho tardato.
- Sky…? – chiese l’Eterea, dopo qualche secondo di silenzio, senza il coraggio di terminare la propria domanda.
Il mago si permise un debole sorriso di rassicurazione.
- Sta bene. – la strinse a sé con forza, per ribadire una risposta da cui sperava di attingere un po’ di tregua dal rimorso che gli torturava il petto - Stiamo tutti bene.
Rimasero abbracciati in silenzio per un tempo quasi infinito e solo quando Kilik sentì qualcosa di umido bagnargli i vestiti e il collo si rese conto che l’amica non era riuscita a trattenere il pianto; prima di dargli l’opportunità di confortarla, tuttavia, lei si staccò bruscamente dal suo abbraccio, spinta dall’urgenza di esprimere a voce alta la speranza che le bruciava le labbra.
- Ce l’avete fatta? L’avete ucciso?
Il mago annuì.
Finalmente fu libero di studiare le condizioni dell’Eterea, ritrovando nel suo volto pallido e scavato il tormento dell’attesa e l’onnipresente paura di venire scoperta da Daygon, i segni della sua logorante prigionia in una dimensione puramente onirica; tuttavia i suoi occhi cerchiati e lucidi per le lacrime appena versate erano animati da una nuova luce, che durante la sua ultima visita non c’era.
- Raccontami tutto. – gli chiese, la voce che portava ancora gli echi del suo sfogo, ma pervasa da un’eccitazione quasi palpabile, mentre si accomodava sul gelido pavimento della stanza.
Kilik si sedette accanto a lei.
- È stata più dura di quanto pensassi. – mormorò, rivelando il piano con cui, assieme a Sky e Rafi, era riuscito a introdursi nel castello dell’Oscuro.
La sua voce sicura cominciò a vacillare non appena giunse a parlare del proprio tentativo di interrogarlo per ottenere delle informazioni su Kohori e di come avesse miseramente fallito, senza il coraggio di sollevare lo sguardo da terra.
Viridian non lo interruppe mai, ma gli appoggiò la mano sull’avambraccio in una timida carezza per dimostrargli la sua comprensione, senza spostarla per tutta la durata del suo racconto.
- Ci siamo salvati per un soffio. Se non fosse stato per Rafi adesso io e Sky saremmo due cadaveri. – concluse lui con durezza, quasi desiderasse risvegliare il rancore dell’amica nei propri confronti.
- Non devi colpevolizzarti, Kilik, si trattava di tuo fratello. E poi almeno adesso sapete molte più cose sugli Oscuri.
- Questo è vero – acconsentì, il biasimo rivolto verso se stesso momentaneamente soppiantato da un’espressione riflessiva – Sembra quasi che la loro magia non dipenda in alcun modo dalla salute del loro corpo. Però sono mortali. – aggiunse con un sorriso.
Lei lo ricambiò cautamente, manifestando nel suo sguardo il contrasto tra la paura di affidarsi a una simile scoperta, a cui ancora non sapeva se poter credere del tutto, e la neonata speranza che ci fosse davvero la possibilità di sconfiggere i sovrani di Sylune e salvare il suo popolo.
- Tu stai bene? – le chiese all’improvviso l’amico, lo sguardo costernato da cui si evinceva chiaramente il suo senso di colpa per non averle posto prima una simile domanda.
- Uno degli Oscuri mi ha scoperto.
Il volto di Kilik si velò di preoccupazione, mentre ripensava alla scarica di collera e magia che l’aveva aggredito meno di un’ora prima.
- Chi? Daygon?
La ragazza scosse la testa.
- Se mi avesse scoperto lui non sarei qui a parlarti. Si trattava di un altro dei Cinque Re. – trasse un sospiro, come se la frase successiva le risultasse in qualche modo dolorosa – E io lo conoscevo.
- Tu cosa?! – esclamò l’Etereo, certo di aver frainteso le sue parole.
Si alzò in piedi di scatto, ma la debolezza che fino a quel momento era rimasta sopita in un angolo della sua mente lo invase al punto da farlo barcollare.
Subito la ragazza fu al suo fianco, pronta a sostenerlo, con il volto pervaso dall’ansia.
- Stai male?
- Non preoccuparti. – rispose lui, sentendo a malapena la propria voce – Adesso… ho bisogno di riposare.
Maledì silenziosamente lo sfinimento che minava la sua concentrazione proprio nell’attimo in cui l’amica aveva espresso una rivelazione tanto importante, lottando invano contro il drappo di oscurità che stava ottenebrando i suoi sensi; avrebbe desiderato rimanere ancora a lungo in compagnia di Viridian, per ascoltarla e poi parlarle dello strano comportamento della propria magia e di quello che era successo nei sotterranei di Ghedan, certo di poter contare sulla sua comprensione, ma ormai era allo stremo.
Accadeva raramente, tuttavia, quando uno della sua razza si stancava a tal punto da non riuscire nemmeno a crearsi un ambiente dove poter riposare, l’unica alternativa risiedeva in uno stato di completo torpore, in cui anche i pensieri venivano soppressi per dare la possibilità alla mente di recuperare le energie e ciò che rimaneva della consapevolezza di sé erano poche e sporadiche intuizioni, per la maggior parte prive di ogni razionalità.
Era la prima volta che a Kilik capitava una simile sensazione, sebbene ne avesse già sentito parlare; molto diversa dalla totale incoscienza in cui era precipitato diversi giorni prima, quando era stato colpito e poi catturato dai soldati dell’Impero, questa caduta verso il nulla lo spaventava con una sgradevole percezione di oblio senza fine, che avrebbe dovuto sopportare immerso in un vuoto tinto di tenebre.
Con un’ultima ribellione contro la spossatezza che lo stava lentamente sopraffacendo, poggiò una mano sulla spalla di Viridian e la strinse come se fosse il suo ultimo appiglio per la salvezza.
- Tornerò… una di queste notti. – riuscì a mormorare, mentre il volto preoccupato dell’amica cominciava a divenire un’indistinta macchia di colori.
Gli sembrò di vederla annuire e muovere le labbra in quello che avrebbe potuto essere un saluto, poi tutto divenne nero attorno a lui.



L’aveva atteso per giorni interi, dopo che gli Oscuri avevano continuato le loro conquiste, espugnando le più grandi e potenti città di Sylune, con un’inarrestabile avanzata, intrisa di sangue e violenza, a cui nessuno pareva avere il potere di opporsi apertamente. L’aveva atteso in silenzio, con una trepidazione generata in pari misura dall’orgoglio e dal timore, inspiegabilmente fiero di una consapevolezza che avrebbe sconvolto la sua vita, chiedendosi silenziosamente se sarebbe stato in grado di esprimere a parole la risposta che si era già incisa nella sua mente. E, infine, il momento in cui avrebbe dovuto scegliere quale fazione sostenere era arrivato.
I Protettori erano giunti nel suo villaggio alle prime luci dell’alba, capeggiati da Lux in persona, tre combattenti a cavallo di cui uno solo, l’indiscusso comandante di quel piccolo gruppo, portava l’armatura.
Prima di soffermarsi su di lui, ormai da mesi il simbolo stesso della speranza, lo sguardo di Beck era stato catturato dai due ribelli che lo accompagnavano. Pur non avendoli mai incontrati, li conosceva di fama: l’abile spadaccina che non si era mai piegata dinanzi a un uomo e la sua muta guardia del corpo, due mercenari apparentemente invincibili in un mondo in cui la vita era effimera quanto un battito di ciglia e le morti si susseguivano troppo rapide per poter essere conteggiate.
Grazie alla sua capacità di discernere il valore di un guerriero sconosciuto con una rapida occhiata, nata in pari misura dall’istinto e dall’esperienza, gli era parso subito evidente che le voci sul loro conto fossero fondate. I loro fisici allenati e muscolosi, lo sguardo inespressivo, tipico di chi preferisce non rivelare le proprie mosse, la confidenza con cui poggiavano la mano sull’impugnatura della loro arma, in maniera quasi inconsapevole, erano solo alcuni, tra i particolari di cui aveva mentalmente preso nota, che li qualificavano come avversari di tutto rispetto.
La sua attenzione si era poi rivolta al terzo visitatore, un uomo di media statura, con i lunghi capelli castani lasciati sciolti sulle spalle e il corpo robusto e scattante di uno spadaccino coperto da un’armatura bianca, che non nascondeva i segni di numerose battaglie ma appariva stranamente lucida e pulita.
- Gli Oscuri hanno invaso una nuova città. – aveva commentato il Protettore senza alcun preambolo, le sue prime parole dopo il breve saluto che si erano scambiati.
Beck aveva faticato non poco per sostenere il peso del suo sguardo, comprendendo subito come quell’uomo fosse riuscito a riunire sotto di sé la maggior parte dei ribelli e a trovare il coraggio di sfidare i dominatori di Sylune con il solo acciaio della sua spada: c’era qualcosa nei suoi occhi, un’incrollabile determinazione che non offuscava in nessun modo la loro limpidezza e rispecchiava una giustizia priva di esitazioni, dandogli la certezza che lui avrebbe continuato a lottare anche se fosse rimasto l’unico uomo a ergersi contro la magia dei Cinque Re.
La propria replica, l’unica risposta che avrebbe potuto dargli, gli era affiorata alle labbra senza alcuna esitazione, ma pronunciarla era stato più difficile di quanto avesse ritenuto, disegnando una smorfia sul suo volto al suono cinico e indifferente della propria voce.
-
Non è un mio problema.
- Ma lo sarà presto. Per quanto credi possa durare questa tua fuga dalla realtà? Gli Oscuri stanno conquistando tutta Sylune, non si fermeranno certo davanti al tuo villaggio.
Il tono conciliante e pacato del Protettore l’aveva sorpreso, mitigando appena il significato delle sue parole, di cui lui stesso conosceva la fondatezza.
- Lo so. Però fino a quel momento desidero vivere in pace.
Nel sentire questa risposta, la donna gli aveva lanciato uno sguardo gelido, prima di rivolgersi al suo capo.
- Comandante, è inutile rimanere a discutere, lui non è come noi.
Beck si era irrigidito d’istinto per l’insinuazione nascosta dietro il suo commento.
- Non sono un codardo, se è questo che intendi. – aveva replicato, imprimendo alla propria voce una nota di minaccia.
Per quanto se lo fosse aspettato, l’aveva ferito la consapevolezza che lo considerassero un semplice vigliacco, senza comprendere le ragioni alla base della sua scelta, ragioni che aveva vagliato senza sosta per giorni interi, fino a esserne ossessionato, per poi giungere a quell’inevitabile risposta.
Si era soffermato sul volto indurito dalle battaglie della mercenaria, troppo orgoglioso per provare a spiegarle le proprie motivazioni, in attesa di una sua replica, ma, sorprendendo entrambi, era stato Lux a prendere la parola.
- Erian non intendeva offenderti, sappiamo bene che non temi la morte. È il sacrificio che ti manca, Beck, il coraggio di cancellare ogni legame, di rinnegare ogni emozione. Solo rinunciando a queste debolezze si può percorrere il passo che separa un guerriero da una leggenda. – sul suo volto era comparso un inaspettato sorriso velato di amarezza, che lo aveva invecchiato di parecchi anni, offuscando per un attimo l’innegabile fierezza dei suoi tratti - È per questo che è tanto difficile diventare degli eroi. – aveva poi concluso, con una sfumatura d’ironia rivolta a se stesso.
Beck era rimasto a fissarlo in silenzio, riconoscente per la sua comprensione e allo stesso tempo turbato per ciò che aveva lasciato trapelare; per la prima volta aveva visto in lui non un incrollabile guerriero, ma un semplice essere umano, con le sue debolezze e i suoi rimpianti.
- Tu l’hai compiuto, questo passo? – si era poi ritrovato a chiedergli, senza riuscire a trattenere la propria curiosità, mentre si domandava silenziosamente chi fosse stato l’uomo che aveva di fronte, prima di prendere l’identità di capo dei Protettori e assumersi la responsabilità della salvezza di tutti loro.
- Non si può combattere contro gli Oscuri se si ha paura. – era stata l’inespressiva replica del ribelle, pronunciata come se non avesse potuto rispondere diversamente.
Lui aveva scosso la testa.
- Tu sei un eroe, Lux. Ma io sono solo un buon guerriero, che ama la pace e desidera proteggere a ogni costo il proprio villaggio.
- Presto o tardi verranno anche gli Oscuri a richiedere i tuoi servigi. Accetterai la loro proposta?
- Se questo servisse a salvare la mia gente, sì. – aveva replicato Beck, senza esitazioni, nonostante comprendesse quanto fosse rischiosa una simile risposta; rispettava troppo il capo dei Protettori per mentirgli.
Come se avesse intravisto i suoi pensieri, Lux gli aveva sorriso.
- Dovrei ucciderti adesso, solo per il pericolo che potresti rappresentare per noi, ma non sono un assassino.
Gli era bastato un cenno rivolto ai due mercenari per annunciare il congedo che avrebbe poi espresso a parole.
- Addio Beck, spero davvero che tu riesca a mantenere questo sogno di pace in un mondo flagellato dalla guerra.
Il gigantesco guerriero era rimasto immobile, schiacciato dalla scelta che lui stesso aveva appena effettuato.
Aveva rifiutato di prendere parte ad una lotta per cui non si sentiva pronto, troppo egoista per permettersi di perdere ogni legame instaurato durante la sua esistenza, troppo debole per rischiare delle vite che non gli appartenevano, e nel momento in cui aveva visto Lux dargli le spalle era stato colto dall’amaro presentimento di aver deciso in maniera irrevocabile il proprio destino.
- Addio, comandante. – aveva mormorato, lasciando che un velo di rimpianto si posasse sui suoi lineamenti.
L’aveva seguito con lo sguardo fino a quando era scomparso all’orizzonte, una figura di gran lunga meno imponente del mercenario che lo scortava, ma dotata di una sicurezza e un’eleganza in ogni suo gesto tanto palesi da catalizzare su di sé ogni attenzione.
Nemmeno quando aveva percepito un’altra presenza uscire dalle stradine del suo villaggio per raggiungerlo, aveva distolto gli occhi dalla fitta boscaglia in cui era scomparso il capo dei Protettori.
- Quello era Lux, vero? – aveva chiesto una voce profonda, dal timbro simile al suo ma meno controllato.
Lui aveva assentito senza voltarsi. Gli era bastato udire i suoi passi per riconoscere senza ombra di dubbio l’uomo che era comparso al suo fianco.
- Perché non ti sei unito a loro?
Non gli aveva nemmeno domandato quale fosse il motivo della loro visita; sapevano entrambi quale interesse potesse aver portato i ribelli in un villaggio all’apparenza tanto insignificante.
- Sai bene che se mi unissi ai Protettori la nostra gente subirà l’ira degli Oscuri. – aveva replicato Beck, girandosi infine a fissarlo. Si era ritrovato a fronteggiare un uomo entrato solo da pochi anni nell’età adulta, meno imponente di lui, pur dotato di una corporatura superiore alla media, con gli occhi identici ai propri socchiusi in uno sguardo chiaramente ostile.
La stessa espressione che si era visto rivolgere quando, nei mesi precedenti in cui la guerra aveva lambito le terre attorno al suo villaggio, aveva proclamato la propria neutralità.
- Nobiltà d’animo? È sotto queste spoglie che nascondi la tua codardia? – lo aveva accusato il giovane.
Una fuggevole amarezza si era incisa sui lineamenti del guerriero, senza tuttavia trasparire dalla voce decisa con cui aveva risposto.
- Non ho bisogno di giustificare le mie scelte di fronte a te.
- Beck, se non ti unisci ai Protettori lo rimpiangerai. La visita di Lux non sarà certo passata inosservata, hai idea di chi saranno le prossime persone a richiedere i tuoi servigi?!
- Io ho preso questa decisione e io ne pagherò le conseguenze.
- E come reagirai quando gli Oscuri busseranno alla tua porta?! Un tempo ti ammiravo. Non deludermi adesso.
Beck gli aveva appoggiato una mano sulla spalla, un piccolo gesto con cui aveva cercato di risanare la frattura che si era generata tra loro da quando si era rifiutato di prendere attivamente parte ai conflitti su Sylune.
- Posso sopportare il pensiero di deluderti. Ma non metterò mai in pericolo la mia gente. – aveva lasciato scorrere lo sguardo sulle piccole case che costellavano il prato alla sua destra, prima di riportarlo sul giovane uomo di fronte a sé, e i suoi occhi si erano impercettibilmente addolciti – Per me non esiste nulla di più importante di te e del villaggio. Ricordatelo, Ryon.


Beck spalancò gli occhi all’improvviso.
Trasse un profondo respiro per dissipare le ultime immagini del sogno, alla ricerca dei familiari contorni della sua stanza nel castello di Daygon, ma quel poco che riusciva a intravedere attraverso la debole luce della luna gli risultava completamente sconosciuto.
A qualche metro di distanza poteva percepire le stesse voci sommesse che lo avevano strappato al dolce riposo, troppo flebili per sentirle distintamente attraverso la confusione da cui era avvolta la sua coscienza. Anche il suo corpo, pur intorpidito dall’oblio in cui era scivolato la notte precedente, gli sembrava più pesante del normale, pervaso da un disagio di cui non si capacitava, che lo spinse ad abbassare nuovamente le palpebre. Rimase immobile nell’oscurità, mentre quella blanda impressione di fastidio si acuiva fino a squarciare i suoi sensi, ovattati da qualcosa di più sfiancante della semplice stanchezza, con una vivida fiammata di dolore. E allora non ci fu più il sonno, né lo stordimento del risveglio, e lui ricordò ogni cosa.
Si morse le labbra nel riconoscere le brucianti fitte che s’irradiavano dalla ferita alla spalla lungo tutti i suoi nervi con un’intensità quasi insostenibile, ma attese ancora ad aprire gli occhi e muoversi, in modo da non dare alcun segno del suo essere cosciente.
Per un istante, nel percepire la voce maschile a pochi metri da lui, lo attraversò il timore che i soldati di Mizar l’avessero trovato. Trattenne il respiro, chiedendosi silenziosamente se avrebbe avuto la forza di combattere o scappare, nel caso si fosse rivelato necessario; tuttavia gli fu sufficiente prestare più attenzione alle parole incollerite che sentiva provenire dalla stanza attigua e alle repliche appena percettibili, dal timbro indiscutibilmente femminile, per comprendere che si trattava dei suoi salvatori, impegnati in un aspro litigio.
Reprimendo la debolezza e il desiderio di riposare ancora, tese le orecchie, nel tentativo di scoprire quale fosse la causa del loro scontro.
- Devi dimenticarti di lui! – sentì esclamare il giovane somigliante a Ryon, il cui tono smorzato veniva però compensato dal velenoso rancore di cui era imbevuta ogni sua parola.
- Tu non puoi capire. – mormorò la donna, con una calma quasi irreale se confrontata con l’impeto irato del fratello.
- Cosa dovrei capire, Hylean? Ti ha abbandonato dopo essere riuscito a infilarsi nel tuo letto, lasciandoti incinta e con il cuore in frantumi.
- Lui non ha mai promesso di amarmi, ha sempre detto che si sarebbe fermato nel villaggio solo per qualche mese. E poi non sapeva di Siran.
- Perché, credi forse che la sua nascita avrebbe significato qualcosa per uno come lui? Gli assassini a pagamento sono feccia della peggiore specie, una bambina, seppur con il suo stesso sangue, non l’avrebbe di certo cambiato. E nemmeno tu.
- Adesso basta, Natiel! Non tollero che parli in questo modo del padre di mia figlia! – replicò la donna, alzando la voce per la prima volta da quando era cominciata la discussione.
Il fratello accusò le sue parole senza alcun cedimento, ugualmente in collera.
- E invece devi guardare in faccia la realtà, Hylean! Quello era un uomo che ha ucciso. Un assassino. E adesso, per ottenere delle informazioni che lo riguardano, hai scelto di ospitare un guerriero che potrebbe essere ancora più pericoloso.
- Era un Protettore, non un assassino!
- Questo è quello che ti ha detto lui! Hai il cuore troppo tenero, sorella. Non capisci che raccontarti il suo desiderio di diventare un Protettore è stato semplicemente il modo più rapido per infilarsi nel tuo letto?!
Le successive parole della giovane rivelarono un accenno di sorriso, nella loro pacata dolcezza.
- Ti sbagli. Nonostante non mi avesse mai nascosto il suo passato, mi ha rivelato le sue intenzioni e la sua meta solo quando ormai stava per partire e mentirmi non sarebbe stato di alcuna utilità. Sarebbe andato a Hoken, per chiedere a Lux di accettare i suoi servigi. Era pronto a rischiare la vita per salvare Sylune, io lo so, ho visto il suo volto mentre me ne parlava. – la sua voce si spezzò all’improvviso, prima di risuonare nuovamente nella stanza con una nota d’incrollabile sicurezza. – E dovresti almeno perdonarlo, per questo.
Il fratello scosse la testa.
- Non posso. – mormorò, sentendo suo malgrado una vena di disperazione insinuarsi nelle sue parole – Non dopo quello che ti ha fatto.
L’istante successivo parve ritrovare la propria compostezza e il suo tono tornò gelido come al principio della discussione.
- Domani dobbiamo trovare un modo per disfarci di questo sconosciuto. Se tu sei pronta a rischiare la tua vita per ricevere delle informazioni, io non lo sono.
- Non ti obbligherò certo ad aiutarmi a curarlo, ma non ho intenzione di lasciarlo morire. – commentò lei, trasudando indignazione a ogni sillaba.
- E per un uomo che nemmeno conosci sei disposta a mettere in pericolo anche Siran? – le chiese Natiel, lasciandola momentaneamente incapace di replicare – Adesso vado a dormire, ti consiglio di fare lo stesso. – aggiunse dopo qualche istante di silenzio.
Beck sentì i passi del giovane che si allontanavano, mentre la sorella si lasciava sfuggire un singhiozzo, subito soffocato dalle sue stesse mani.
La stanchezza stava richiedendo il suo pegno al suo corpo esausto, ma, prima di abbandonarsi nuovamente ad un sonno ristoratore, registrò con cura le informazioni ricavate da quella conversazione, soffermandosi con particolare attenzione sulle ultime battute. Solo grazie all’aiuto della giovane donna che aveva insistito per portarlo nella sua casa avrebbe potuto avere qualche speranza di salvarsi e adesso, dopo aver ascoltato le sue accorate repliche alle accuse del fratello, aveva appena trovato il mezzo più semplice per guadagnarsi la sua fiducia.

   
 
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