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Autore: LawrenceTwosomeTime    19/09/2012    1 recensioni
Soldati senza gradi attendono in una fortezza senza nome l'assalto di nemici senza volto. Ognuno ha un passato da rivangare, una storia da raccontare per provare a sé stesso di essere stato una persona.
Genere: Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mattino.

Esco sulla balconata, baionetta alla mano, mi drizzo sull’attenti. Il parapetto è ricoperto di cacche di piccione.
Lancio un’imprecazione e vado a cercare qualcosa per pulire quello schifo. Ormai dovrei aspettarmelo.
Tutti i giorni, la mattina presto, un membro della guarnigione sparge briciole di pane lungo la balaustra; nessuno è mai riuscito a scoprire chi sia. Sospetto che non lo faccia tanto per nutrire le bestiacce, ma per il piacere di saperci sgobbare come sguatteri. Un passatempo come un altro, in fondo. Non lo biasimo.

Il sole si alza con studiata flemma, come se non avesse nessuna voglia di illuminare il mondo. Già. Il mondo.
La Fortezza si trova all’imbocco del passaggio costituito dalla quasi convergenza di due montagne, in pratica due muraglie. Incuneati davanti a questa gola, abbiamo un’eccellente visione del deserto bianco che si estende a perdita d’occhio come una striscia di zucchero a velo.

Il rombo minaccioso delle nubi all’orizzonte è l’unico suono naturale.

Rimetto a posto secchio e scopa e raggiungo Carlyle sull’altro lato della sommità. Sta leggendo il giornale.
Dovrebbe scrutare l’orizzonte, ma da per scontato che non succederà niente. Non succede mai niente.
Io non sono dello stesso avviso; ho come l’impressione che ci stiamo preparando spiritualmente ad affrontare qualcosa di poderoso, di colossale. Comportarsi con leggerezza ci farà trovare impreparati, quando il giorno verrà.
Non glielo dico perché gli voglio bene; o forse perché gli voglio male. Tra l’altro il giornale è vecchio di anni: sempre lo stesso maledetto mucchio di fogli semipolverizzati, con le increspature grinzose dovute ad anni di spiegature e ripiegature.

“Niente di nuovo sul fronte occidentale, soldato?”
Lui borbotta qualcosa e ripiega il fascio di carta.
“Ti è spuntato un secondo cazzo, di recente?”
“Cosa?”, domando.
“Si, bè, perché le probabilità che qualcuno ci attacchi sono pari a quelle che ti nasca un pisello di scorta”

Le sue cavolate da inizio giornata riescono sempre a risollevarmi il morale; il che è strano, dato che si tratta di freddure abbastanza deprimenti.

“Senti”, chiedo dopo un po’.
“Tu ti ricordi qualcosa della tua vita? Cioè, della tua vita prima di essere assegnato a questa postazione?”
Carlyle mi lancia uno sguardo bieco.
“Oh, per favore, Blake. Mi vuoi dire che siamo finiti in quel libro di Buzzati, Il deserto dei Tartari? Vattene un po’ a fare in culo, va!”
“Rispondi alla mia domanda”, lo esorto.
“Certo che mi ricordo, biondina”
Si accende una cicca ed esala il fumo con evidente piacere.
“Vivevo in una città minuscola e piena di figa. Avevo circa… sedici anni, all’epoca dell’arruolamento. Ricordo che amavo un angolo in particolare della città: io lo chiamavo “l’angolo chic”. Una galleria sotterranea con un casino di negozi un sacco belli, tutti accostati uno di fianco all’altro come puttane ad Amsterdam. Ce n’era uno che vendeva abiti di Shiro Kuroi, roba di classe, sempre a metà prezzo. Ce n’era un altro di elettronica, soprattutto roba della Apple, modelli personalizzabili, non ti dico i colori. E poi c’era un ottico specializzato in occhiali da sole: Rayban, Silhouette, Police. Ero diventato un maniaco degli occhiali, praticamente ne acquistavo un nuovo paio ogni mese…”
“Eri un figlio di papà”, lo interrompo.
“Col cacchio. Mi ammazzavo di lavoro tutti i santi giorni. Dalle nove di mattina alle sei di sera facevo il cameriere in un baretto schifoso; poi mi toglievo la tenuta da concierge e sfanculavo fino al cinema. Mi avevano assunto come proiezionista. Se mi restava ancora tempo, prendevo il treno fino alla città vicina e voilà, diventavo un figurante”
Fischio di ammirazione.
Un po’ lo invidio, però. Io non mi ricordo quasi niente della mia vita precedente.
Lui sembra notare il mio disagio, e mi tira uno schiaffetto premuroso.
“Ascolta, se proprio ti va di giocare a ‘come eravamo’, puoi andare da Nobbs e chiedergli chi era e cosa faceva in tempo di pace. Potresti, che ne so, scoprire particolari interessanti, tipo che si vendeva gli orifizi per una pinta di birra calda o cose del genere”
“Buona idea. Sei uno svelto, Carlyle”
“Lo so”

Mi incammino in direzione delle scale e proseguo fino al cortile interno.

Una volta avevamo dei gradi a distinguerci; in verità, i gradi li abbiamo ancora, solo che sono passati così tanti anni che nessuno se li ricorda. Di conseguenza, stabilimmo che i più anziani avessero il diritto di comandare sui più giovani. Io e Carlyle siamo i più giovani, ma da che ne ho memoria non è più stato emesso un ordine da… già, da quando?

“Signor Nobbs, signore”
“Mh?”
Nobbs deve avere qualche anno più di me, ma dimostra una maturità (e un senso di deterioramento) non comune per quelli della sua età.
“Signore, mi chiedevo… Non le andrebbe di raccontarmi che cosa faceva prima di venire qui?”

Lui smette di ripulirsi le unghie con la punta del coltello e si volta per ispezionare alcuni caricatori. Fa l’inventario dei proiettili. Sta prendendo tempo e ho come l’impressione di aver posto la domanda sbagliata.
Proprio quando decido di lasciar perdere, lui dice: “Ero fidanzato”
Mi da le spalle mentre lo dice. Il tono è neutro.
“Avevo un posto stabile e ben remunerato, non amavo gli eccessi, e la ragazza con cui avevo scelto di trascorrere la mia vita era… non mi vengono le parole. Era perfetta. Assolutamente perfetta”
Azzardo un quesito.
“Ma allora perché se n’è andato?”
Lui fa una risatina amara.
“Vedi, in realtà non ero costretto ad arruolarmi. Non c’era nessun obbligo. Ma dalle mie parti già si parlava di guerra. E così mi misi a pensare. Pensai che la mia casa, il mio lavoro, la mia donna erano le cose più preziose che possedevo. E che se non avessi combattuto per difenderle, le avrei perse. Non volevo perderle. Era richiesto un sacrificio”
“La sua ragazza capì?”
“Oh, certo. Per un po’, ci scambiammo delle lettere. Poi lei smise di scrivermi. Per quello che ne so, potrebbe aver lasciato il Paese, o essersi trovata un altro, o essere morta. Per lei io sono morto. E forse è davvero così”

Mi guarda e io leggo nei suoi occhi un’assoluta mancanza di partecipazione. Mi da i brividi.
Lo saluto educatamente e mi dirigo ai magazzini dove sono conservate le scorte alimentari. Non c’è nessuno.
Un braccio mi si serra intorno alla gola e mi solleva con una facilità disarmante. Annaspo.
Una voce ruvida mi intima di arrendermi.
“Mi… mi arrendo!”
Il braccio mi lascia andare. Tossisco e mi riprendo, e non sono sorpreso di vedere Rogers, la signora Rogers, che mi guarda con un’espressione sprezzante e divertita insieme.
“Cosa ci fai qui, soldato? Hai le voglie, per caso?”
“Io… ah… signora Rogers…”
“Per te sono la Magnificentissima signora Rogers, rospetto”
“Magnificentissima… ecco, sto cercando di risalire all’ultima volta che la Fortezza è stata attaccata, e pensavo che raccogliere le testimonianze dei soldati potesse aiutare…”
“Vuoi farti gli affari miei?”
“Assolutamente no, io…”
“Molto bene. Vuoi sapere perché non ho mai scopato con nessuno, qui dentro?”
“Non sono interessato a conoscere i dettagli della sua vita privata”
“Certo che no”, mi fa l’occhiolino.
“Ero ricca sfondata, sai. Schifosamente ricca. O meglio, la mia famiglia lo era. Non combinavo nulla tutto il giorno. E la cosa mi faceva sentire molto, molto inutile. Così decisi che alla mia vita serviva una scossa”
“Si arruolò?”
“Neanche per sogno! Mi misi a frequentare gli ambienti in cui sguazzavano lesbiche, transessuali, travestiti. Ebbi varie relazioni, tutte rigorosamente omosessuali. La cosa ti eccita?”
“Non molto”
“Sei frocio. Comunque, non pensare che lo facessi per volontà di ribellione o che altro. Sono davvero lesbica. La mia famiglia lo sapeva e non mi metteva i bastoni tra le ruote; pensavano che fosse addirittura una cosa socialmente distintiva. Solo che poi la combinai grossa”
“Si mise con un uomo?”
“Spiritoso, per una checca. Sai cos’è la gerontofilia?”
Non attende risposta.
“È un modo crudele per dire che ti piace scoparti gli anziani. Ebbi una relazione con una donna che aveva trent’anni più di me. Indovina cosa fecero i miei”
“La diseredarono”
“Infatti. E quindi, per tornare al pretesto con cui sei venuto a scavare nel mio passato, no: non sono stata testimone dell’ultimo attacco che hanno sferrato, ma posso suggerirti chi potrebbe saperlo”

Dieci minuti dopo, busso alla porta dell’ufficio di Carter.
“Avanti”

Carter non mi piace, ha l’aria di un uomo che si compatisce. Nonostante questo, è un eccellente burocrate.
“Di cosa hai bisogno, Blake?”
“Oh, una questione di poca importanza, davvero. Le ruberò solo cinque minuti”
“Dimmi, allora”
“Mi piacerebbe sapere da quanto tempo è via da casa. Le… le emergenze che ha dovuto affrontare. La sua vita da civile”
Carter tira su col naso.
“Io non ho avuto una vita da civile, se è questo che intendi. Mi chiedo, però, cosa ti spinge a credere che sia disposto a raccontarti spontaneamente le mie questioni personali”
Oso.
“Se non quelle, almeno i problemi a cui è andato incontro in veste di ufficiale superiore”
“Lasciamo perdere, qui non succede mai niente; niente è mai successo, per quello che posso ricordare. Quando vivevo nella mia villetta in periferia le cose non mi andavano tanto meglio, sai?”
Annuisco come se sapessi di cosa sta parlando.
“Bevevo. Non so perché. È solo che mi faceva sentire meglio. Mia moglie la pensava diversamente. Ogni giorno aveva dei lividi nuovi, e potevo solo immaginare chi glieli avesse fatti. Mi lasciò dopo dieci anni di matrimonio. Tutti i giorni eccetto la domenica camminavo fino alla scuola elementare in cui andava nostro figlio. Appoggiavo le mani sulla rete che recintava il cortile e lo guardavo giocare. Non lo chiamavo, mai”
Si ferma un momento, indugia nei ricordi.
“Poi, un giorno, una suora mi notò. Venne da me e mi disse di andarmene, altrimenti avrebbe chiamato la polizia. Le dissi che ero il padre del bambino che giocava sotto l’ippocastano, le dissi il cognome. Sfortunatamente, mia moglie aveva ripreso il suo cognome da signorina, perciò fui costretto ad abbandonare quel passatempo. C’è altro?”
“No, signore. Mi scusi se l’ho disturbata”
“Non ti scusare. Avevo bisogno di parlarne con qualcuno”

Questa sera farò una cosa che nessuno, con tutta probabilità, ha mai fatto dal primo giorno di operatività della Fortezza. Ho chiesto a tutti gli occupanti di radunarsi nel salone principale per un briefing. L’idea è di chiedere al vecchio Mobius di raccontarci la sua versione. Non nutro grandi speranze, a dire il vero: Mobius è più anziano delle pietre, e nove volte su dieci dice cosa assolutamente insensate, buone per farsi quattro risate alle sue spalle.
Ma se non altro, avremo qualcosa su cui meditare.
Confido che il mezzo litro di whisky che l’ho aiutato a cacciarsi nello stomaco intercederà tra noi e il suo cervello bacato.

La sala è silenziosa, ora. Tutti sono curiosi di sapere cos’ho in mente: Carlyle, Nobbs, Rogers e Carter mi guardano con espressioni ora divertite ora inquisitorie.
Mi passo la lingua sulle labbra e mi rivolgo a Mobius.
“Signore, le reclute e gli ufficiali e gli abitanti della Fortezza hanno l’impellente necessità di sentirle raccontare una storia”
“I gabinetti sono ancora intasati?”
Qualcuno ridacchia. Il vecchio si acciglia.
“Recluta Blake, se non sbaglio si è servito dell’aggettivo impellente per avanzare la sua richiesta: una mente meno brillante della mia ricondurrebbe immediatamente la cosa a questioni di ordine scatologico”
Sono ammutolito. Non l’avevo mai sentito parlare così. A quanto pare l’alcool ha sollevato il sudario di demenza che avvolgeva la sua testa, lasciando scoperta un’indole decisamente più subdola e beffarda.

“La prego, mi perdoni”
“E piantala di chiedere scusa! Chiedere scusa è la via più breve per farsi sottovalutare dagli altri, ricordalo sempre”
Tossicchio e domando: “Si, ecco, dunque. Ci potrebbe dire se ha assistito in prima persona all’ultimo assalto documentato?”
Lui ridacchia e ammicca.
“Quello che vuoi è una testimonianza, giovanotto?”
“Si, è corretto”
“Oh, io ti posso dire che… ah. Sai che cosa significa trascorrere trent’anni in isolamento parziale senza una donna che non sia un’imitazione di lattice e gommapiuma? Lo sai?”
“Posso immaginarlo”
“No, non puoi. Significa che tutto quello che credevi di sapere su te stesso viene messo in discussione. Un giorno, ripensi ai dolci pomeriggi della tua infanzia; il giorno dopo, il fondoschiena del tuo compagno di stanza non ti sembra più così svalutabile”
Carlyle e Rogers si voltano l’uno verso l’altra e scoppiano in una fragorosa risata. Carter li zittisce.
Nobbs sembra assente.
“Lo ricordo come fosse ieri… I momenti più belli della mia vita. Ma ripensarci fa male, come la prima volta”
Decido che può bastare.
“Grazie, signor Mobius. Ora la lasciamo in pace”
“Frena, ragazzo. Non hai detto di voler sapere della guerra?”
“Ehm, si”
“Ebbene, io ricordo il giorno in cui ci informarono che il nemico aveva aperto le ostilità. Dovevamo aspettarci un assalto da un giorno all’altro. E da allora, io sto ancora aspettando”

Ci scambiamo occhiate dense di significato; nessuno osa aprire bocca.

Mobius spezza la tensione con un traballante: “Devo pisciare”



Il giorno successivo, abbiamo finito di fare i bagagli. Ognuno ha rassettato la sua stanza, gli anziani gli alloggi. Abbiamo impacchettato le vivande. Lucidato i fucili. Ci siamo assicurati che le entrate fossero debitamente chiuse. Niente ci lega più a questo luogo.

Mentre scendiamo con passo sicuro la collinetta su cui sorge la Fortezza, per la prima volta abbiamo la sensazione che il tempo riprenda a scorrere.
Ai rumori dei tuoni lontani si aggiunge il morbido scalpitare di cavalli sulla sabbia.
Fragori gentili, grida animalesche, fanfare di guerra si mescolano nell’aria come bacche profumate in un paiolo.

Non ci voltiamo.
Questa sinfonia è l’accompagnamento perfetto per il nostro ritorno a casa.

Per la prima volta, non ci importa niente di quello che sarà. Siamo liberi.
  
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