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Autore: _Lightning_    21/09/2012    4 recensioni
Dal Capitolo 1 [Clint PoV]: La sua vista si sgranò come una pellicola rovinata, scomponendosi in una miriade di frammenti, e un secco dolore al volto lo accecò del tutto sprofondandolo in un grigio-blu minaccioso.
Una risata terribilmente familiare risuonò nel buio, e un brivido attraversò il suo corpo.
Serrò gli occhi e si lasciò scivolare disperatamente nell'incoscienza. Era ricominciato.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Loki, Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta
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Do You Know Your Enemy?
 
 
Part 1: Split
 
 
"And if you get too far inside, 
You'll only see my reflection.
It's always best when the candle's out, 
I am the pick in the ice
Do not cry out or hit the alarm, 
We're friends till we die..."
 
[Climbing Up The Walls - Radiohead]
 
 
"You know what it's like to be unmade?"
 
[Hawkeye] 
 
 
Un rombo assordante pulsava nella sua testa, accompagnato da lampi di luce e ombra che danzavano dinanzi ai suoi occhi impotenti.
Tutto era sfocato e si muoveva al rallentatore, a scatti incomprensibili. Un fiotto di calore gli percorse la testa e percepì il suo corpo affaticato per pochi, interminabili istanti, poi si spense di nuovo, ottenebrato da una presenza soffocante. Degli artigli gli ghermirono la mente, mantenendo la presa su di lui, e si infissero nel suo corpo, quasi tangibili, quasi reali. Un grido strozzato si spense nella sua gola quando quella stretta familiare aumentò minacciando di stritolarlo mentre scivolava via lentamente, tracciando dei solchi sanguinanti dietro di sé.
Un sussulto ruppe l'aria e ritrovò la percezione di se stesso.
Qualcosa di caldo e denso gli scorreva lungo la guancia e colava sulle sue labbra, stordendolo con il sapore ferrigno del sangue. Il dolore arrivò in ritardo, un'onda che si infranse sulla sua tempia destra.
Boccheggiò e quando fece per rialzarsi si rese conto di essere aggrappato a un qualcosa di metallico; fece leva su di esso, ma le gambe non ricevettero il suo ordine e rimasero inerti sotto di lui. Perse la presa e urtò il terreno, frastornato dalla vista che continuava ad essere offuscata da un velo grigiastro.
Si mise in ginocchio e sollevò lo sguardo, scorgendo la sagoma di una donna davanti a lui.
Non riuscì a metterla a fuoco, ma un guizzo di consapevolezza riemerse dalle tenebre e le sue labbra si mossero di loro volontà:
 
-Tasha...-
 
La sua vista si sgranò come una pellicola rovinata, scomponendosi in una miriade di frammenti, e un secco dolore al volto lo accecò del tutto sprofondandolo in un grigio-blu minaccioso.
Una risata terribilmente familiare risuonò nel buio, e un brivido attraversò il suo corpo.
Serrò gli occhi e si lasciò scivolare disperatamente nell'incoscienza. Era ricominciato.
 
***
 
 
"Love is for children. I owe him a debt."
 
[Black Widow]
 
 
-Clint?- lo chiamò ancora, e stavolta lui girò leggermente la testa, inespressivo, i gomiti mollemente abbandonati sulle ginocchia.
 
Natasha gli poggiò una mano sulla spalla, scuotendolo leggermente e scrutandolo più a fondo.
I suoi occhi erano fissi su di lei, ma allo stesso tempo distanti e freddi. L'azzurro delle iridi serbava ancora una traccia del gelo che le aveva possedute.
 
-Clint.- ripetè il suo nome con più durezza, e strinse la presa sulla sua spalla.
 
Attese una risposta, convinta di sentire la sua voce, veder muoversi le sue labbra, di vederlo sorridere, di scorgere anche solo una minuscola contrazione sul suo volto.
Una lastra priva d'emozioni ricambiò le sue aspettative.
Lui voltò la testa e scrollò appena le spalle, svicolando dalla sua presa mentre si alzava e si dirigeva in bagno con passo cadenzato e lento, innaturale.
Natasha rimase a fissare il punto in cui era stato seduto fino a pochi attimi prima. Un senso di rabbia impotente la pervase, e serrò i pugni per contenersi.
Si girò sentendo lo scorrere dell'acqua, e lo vide immobile davanti allo specchio col volto e i capelli grondanti, appoggiato al lavandino.
I suoi occhi non tradirono alcuna emozione nel fissare il suo riflesso. Un ampio livido violaceo s'intravedeva sulla sua tempia, quasi fino allo zigomo.
La donna abbassò lo sguardo e strinse le labbra.
Da quando era riuscita a strappare Clint dal controllo di Loki, lui non aveva proferito parola.
Si era risvegliato, confuso e stordito, si era guardato attorno nel panico, e sarebbe schizzato via da lì se non fosse stato immobilizzato al lettino. Poi l'aveva vista, ed era stato come se ogni vitalità fosse stata risucchiata via dalla sua mente. L'aveva fissata per lunghi istanti, come se non riuscisse a metterla bene a fuoco.
Aveva capito solo in seguito che probabilmente non l'aveva riconosciuta. Non poteva esserne certa, ma la fissità dei suoi occhi non faceva presagire nulla di buono.
Eppure era sicura di averlo sentito, nel suo brevissimo momento di lucidità dopo il loro scontro, quel "Tasha" soffocato, pronunciato come una richiesta d'aiuto.
L'uomo uscì dal bagno e si fermò sulla soglia, sfregandosi distrattamente i capelli.
Non la guardò: sembrava piuttosto concentrato sull'arco e la faretra posati nell'angolo, ma non era del tutto sicura che li vedesse per davvero.
Natasha si alzò, non ottenendo alcuna reazione da parte sua, allora gli si mise davanti, ma era come se fosse diventata trasparente.
Il suo primo istinto fu quello di prenderlo a calci e pugni fino a farlo rinsavire: aveva funzionato una volta, per poco; forse con un trattamento più intensivo gli effetti sarebbero stati permanenti.
Rimosse l'idea, che aveva seriamente preso in considerazione. Probabilmente non avrebbe sortito alcun effetto, e poi... doveva ammetterlo: le sembrava totalmente indifeso. Non era sicura che sarebbe stato in grado proteggersi. Non le piaceva il pensiero che potesse essere incapacitato a reagire.
Esitò sul da farsi, spaesata di fronte a quel comportamento assurdo e inspiegabile, poi si avvicinò di un passo a lui, non riscontrando alcuna reazione. Gli prese il volto tra le mani, in una stretta decisa; lo costrinse a guardarla, poggiando la fronte contro la sua.
Aspettava di vederlo tornare alla normalità in un istante, ma non successe.
Clint la fissò davvero per un istante, poi i suoi occhi si spensero di nuovo, risucchiando la scintilla di luce in vortice, come se stesse tentando di raggiungerla ma fosse inafferrabile.
Cercava di riconoscerla senza riuscirci, comprese infine, con un'atroce stretta allo stomaco.
Continuò a fissare quegli occhi sperduti e vacui, in cerca dell'ombra di vita che sapeva celarsi dietro quel gelo apparente.
L'azzurro rimase statico, immoto.
Natasha chiuse lentamente gli occhi e chinò il capo, lasciando scivolare le mani dal suo volto. Lui rimase apatico, le braccia abbandonate lungo i fianchi e il capo leggermente inclinato verso di lei, fisso nella posizione in cui l'aveva costretto a guardarla.
Natasha riaprì lentamente gli occhi e si accostò appena a lui.
Gli accarezzò i capelli ancora umidi, sempre sperando di vedere riaffiorare il vero Clint sulla superficie di quella lastra gelida.
Lui rimase impassibile, stretto nella morsa del ghiaccio.
Scosse la testa e lo prese con gentilezza per il braccio, guidandolo di nuovo verso il lettino e facendolo sedere senza che lui opponesse alcuna resistenza.
Lo fissò a lungo, chiedendosi quale sarebbe stata la sua prossima mossa.
 
***
 
Doveva davvero ritenerlo un idiota per pensare che avrebbe funzionato.
Che lui, sempre diffidente e cauto, potesse cadere in un trucco così grossolano.
La sua espressione rimase immutata. Che senso avrebbe avuto cambiarla? Avrebbe solo offerto più appigli al nemico.
La donna di fronte a lui lo fissava come se volesse sondare le profondità del suo animo con una sola occhiata.
Stava parlando apparentemente preoccupata, ma la sua voce gli giungeva distorta e minacciosa.
Lontano, percepiva la dolcezza del suo tono, ma aveva un che di subdolo, qualcosa di profondamente sbagliato che pizzicava il suo sesto senso mettendolo in guardia. Sembrava avvertirlo di un pericolo nascosto appena dietro quel velo mellifluo.
Natasha gli si avvicinò e si sedette sul lettino accanto a lui, smettendo di guardarlo e scostandosi i capelli dal volto in un gesto esausto.
Clint non si mosse. Come avrebbe potuto? Il suo corpo non gli apparteneva più e muoversi in uno spazio non reale lo disturbava a tal punto da preferire l'immobilità assoluta. 
Chissà dove si trovava realmente in quel momento, cosa lo stava obbligando a fare Loki mentre lui era bloccato in quell'illusione. Provò un senso di vertigine al pensiero di essere separato dal suo corpo e da buona parte della sua mente, alla mercè di quel dio folle che continuava a sottoporlo alla sua sessione di tortura psicologica quotidiana. Ricordava fin troppo bene le parole che gli aveva rivolto tempo prima -quanto, poi?- e che lo avevano sprofondato nel gelo più assoluto, in una costante sensazione di panico che minacciava di sopraffarlo da un momento all'altro.
Chinò il capo, concedendosi quell'unico gesto di sconforto per scacciare quel pensiero abominevole.
Non era la prima volta che Loki introduceva Natasha nelle sue illusioni, tentandolo e stuzzicandolo nel tentativo di estorcergli informazioni utili, o peggio, di piegarlo anche nella mente, sopprimendo quell'ultimo barlume d'inconscio che ancora resisteva strenuamente.
Cosa voleva fare, adesso?
Natasha, la sua proiezione, gli aveva fatto credere di essere libero dall'influenza di Loki, ma allora perché era tutto così sfocato e confuso?
Il mondo era ovattato, si muoveva informe attorno a lui in una massa grigia e opaca. La voce di Natasha gli arrivava come se fosse sott'acqua.
 
-Non capisco cosa ti succeda.-
 
Clint avrebbe voluto concedersi un sorriso di scherno; al contrario, il suo volto rimase una maschera di granito.
Era bravo, dannatamente bravo ad attingere dai suoi ricordi per manipolare e dare spessore alle sue illusioni. La voce di Natasha, il suo timbro soffice, la sua cadenza melodiosa e allo stesso tempo decisa, persino l'inflessione di un impercettibile accento russo che aveva imparato a focalizzare nel corso degli anni: tutto suonava perfetto alle sue orecchie, non fosse stato per la minaccia che avvertiva dietro quella che sapeva essere finzione.
Ora capiva perché lo chiamavano "il dio dell'inganno"
O, ancora meglio, "figlio di puttana".
 
-Non capisco se ti comporti così perché non ti fidi di te stesso o di me. O semplicemente perché non ti rendi conto di quel che accade. Non so neanche se adesso mi senti.- terminò la frase in tono quasi rabbioso, ma sotto il velo d'ira Clint colse le note di una profonda frustrazione.
 
Alzò gli occhi su di lui, dubbiosa. Il peso del suo sguardo premeva sulla sua pelle.
 
-Mi senti? O fai solo finta di non capire?- continuò, sempre più incerta e tormentata.
 
Clint si sentì lentamente aspirare l'aria dai polmoni, e ogni battito del suo cuore iniziò ad infrangersi dolorosamente contro le costole in una marea inarrestabile.
Faceva male sentirla parlare oltre il muro d'acqua, attraverso la mente e la bocca di quel bastardo.
E quel tono adesso così addolorato... non poteva essere lei. Lei era forte, molto più forte di come Loki la stava dipingendo.
Trucchi, inganni per annichilirlo.
Doveva resistere: ignorare lei e il mondo che stava per inghiottirlo.
 
-Clint...?- la sua voce si perse nel silenzio delle parole che avrebbe voluto dire.
 
La mano di Natasha si posò sul suo braccio. L'improvvisa vicinanza del suo corpo lo colpì come una pugnalata. Tremò impercettibilmente, soffocato dal suo tepore così familiare. 
Dentro di lui, sentiva il petto stretto in una morsa feroce, mentre la consapevolezza di avere una sola opzione, arrendersi, si faceva strada nella sua mente martoriata.
La tensione dei suoi muscoli raggiunse un livello quasi doloroso, tanto da fargli credere di stare per squarciarsi in due.
Avrebbe voluto gettarsi in ginocchio e urlare fino a consumarsi. Non lo fece.
 
-Ti ricordi Budapest?- sussurrò Natasha, come sovrappensiero.
 
A quelle parole ebbe la vivida impressione che il suo corpo stesse implodendo.
Budapest... e così voleva fargli rivivere ancora quei ricordi, come se una volta non fosse stato abbastanza. Come se lo strazio che aveva seguito quell'esperienza non l'avesse tormentato fino ad ora. 
Una luce di turbamento dovette trapelare dal suo sguardo, perché la presa di Natasha si fece più salda e lei sollevò la testa, tornando a fissarlo.
Si maledisse per essersi scoperto. Adesso che aveva scalfito la sua corazza sarebbe stato fin troppo facile ghermire la sua mente in modo completo. Stava avendo troppi momenti di debolezza: era solo questione di tempo prima che crollasse.
Una mano gli voltò il viso il viso e lo costrinse a fronteggiarla.
 
-Budapest.- sillabò, facendosi attenta -Budapest. Te lo ricordi? Clint?-
 
Perché? Perché era così abile?
La mano era gelida contro la sua guancia bollente. Ricordava vividamente quel tocco, e pensare a Budapest lo rendeva solo più reale e doloroso. Era una tortura; voleva scansare la sua mano, ma una parte di lui si appoggiò ad essa e perdersi nelle sensazioni che risvegliava.
Un vuoto allo stomaco lo inghiottì.
Si costrinse a parlare e dire qualunque cosa, solo per spezzare quell'incanto maledetto, ma la lingua era paralizzata, non sapeva se per lo shock o se per volontà di Loki. 
Non aveva idea di quanto esattamente apparisse turbato, ma vide Natasha illuminarsi di trionfo, e il suo viso si sovrappose brutalmente a quello del semidio.
Tentò di distogliere lo sguardo, ma Natasha gli prese di nuovo il volto tra le mani, come poco prima.
Faccia a faccia col nemico, gli sguardi che si incontravano silenziosi. Gli accarezzò piano una guancia, e l'urgenza di abbassare gli occhi diventò un bisogno opprimente. 
Era uno scontro impari: aveva già perso in partenza.
 
***
 
Ne era sicura. Un lampo repentino, uno spostamento millimetrico delle sopracciglia, una contrazione della pupilla: era cosciente. Non potè fare a meno di sorridere appena.
Lo forzò di nuovo a incrociare il suo sguardo, ansiosa di accertarsi di ciò che aveva visto.
Sì, non poteva sbagliarsi: un'ombra d'insicurezza era apparsa in fondo ai suoi occhi.
Si staccò da lui dopo avergli fatto una carezza leggera. Esitò.
Budapest: una parola magica. La ricordavano in modo molto diverso, ma... doveva parlare.
Rievocare quei ricordi che provocavano a entrambi solo un grande dolore.
Quel momento della sua vita era stato una pennellata dolceamara nel buio, un fuoco morente che si affievoliva sempre più ma che era sempre pronto a divampare con nuova forza al primo refolo di vento.
Lo guardò di nuovo, e vide qualcosa agitarsi nella fissità dei suoi occhi.
Iniziò a parlare.
 
***
 
Era quasi certo di poter rivivere quelle sensazioni sulla sua pelle. La sua voce continuava a rievocare ricordi lontani che aveva cercato di nascondere e dimenticare. 
Si insinuava lentamente dentro di lui, e in quel momento seppe di essere spacciato.
Tirò un brusco respiro quando le immagini iniziarono a scorrere inarrestabili nella sua testa, pugnalandolo spietate. Vedeva a malapena il mondo circostante, ridotto a una visione incoerente e lontana, ma non udiva più la voce di Natasha e sapeva che il suo sguardo era fisso su di lui.
Adesso avrebbe sferrato il colpo di grazia, nascosto nel miscuglio di emozioni e rassegnazione che regnava in lui.
Il suo strenuo muro difensivo crollò in un boato assordante, lasciandolo indifeso.
Si prese la testa tra le mani, annientato, in attesa dell'ultima stilettata di dolore che l'avrebbe privato di ogni volontà.
Gli sfuggì un gemito strozzato, sicuro che qualcuno -Loki, maledetto- gli stesse conficcando un chiodo nel cervello. Era strangolato in una morsa di paura impossibile da scacciare.
Il mondo fu illuminato per un attimo da un lampo di colore, diventando vivido e tangibile, poi sprofondò di nuovo nel grigio-blu che aveva imparato a odiare.
Le mani di Natasha si posarono sul suo volto contratto dal dolore e si rilassò istintivamente, consapevole di star commettendo un errore, forse l'ultimo. Non si sottrasse.
Perché non fingere anche lui, come Loki? Dopotutto era così piacevole, così liberatorio, credere che quella fosse la vera Natasha.
Serrò gli occhi, perché sapeva che se non l'avesse fatto avrebbe incontrato quelli di Loki, accesi dalla follia.
Si abbandonò contro Natasha, desiderando con tutto se stesso che quel senso di irrealtà svanisse.
La sua voce gli sfiorò l'orecchio, le mani ancora strette attorno al suo volto.
Lui non parlò. Non era sicuro di essere ancora in grado di farlo.
Cancellò il presente, sentendosi fluttuare tra due mondi altrettanto irreali, rifugiandosi disperatamente nell'ultimo barlume di lucidità che gli rimaneva: i ricordi.
Era molto più facile rivivere che fingere qualcosa di reale.
Budapest. 
Il primo ricordo che tornava insistentemente a galla.
Affondò lentamente nell'incoscienza, ricongiungendosi a quel turbine di sensazioni in una città rievocata dalle nebbie della sua memoria, accanto a una donna senza volto.
Gli occhi di ghiaccio di Loki lo fissavano in lontananza.
 
***
 
Clint era accasciato contro la sua spalla, il respiro rotto e irregolare.
Quel crollo improvviso e inaspettato non era quello che si era aspettata. Non riusciva a capire se stesse soffrendo a livello fisico o mentale, ma intuiva che era un passo avanti. Verso cosa, non sapeva dirlo neanche lei.
Teneva gli occhi chiusi, ed aveva un segreto timore che li riaprisse, incapace di scorgere di nuovo i pozzi bui di poco prima.
Attanagliata dall'incertezza, non fece altro che cercare di calmarlo con gesti inutili ed incerti, sentendolo lottare contro un nemico invisibile.
Clint era aggrappato quasi con disperazione alla sua mano e lei sentiva il suo calore innaturale stretto nel palmo.
L'aria sembrò pulsare per un istante e sentì qualcosa premerle contro le orecchie. L'ansia le giocava brutti scherzi; non riusciva a ricordare l'ultima volta in cui si era sentita così sotto pressione.
Clint era in preda a un dolore molto più intenso di quel che immaginava, perché si strinse a lei all'improvviso, come se la stesse implorando di farlo cessare.
Lo strinse a sé nel tentativo di rassicurarlo, ma era ancora estraniato in chissà quale realtà. 
Sfiorò il suo orecchio con le labbra e, spinta da un'intuizione disperata, pronunciò titubante quelle parole rimaste sepolte dentro di lei, che non aveva mai più avuto il coraggio di ritrovare in tutto quel tempo.
I suoi occhi si riaprirono di scatto, come dopo una lunga apnea, e Natasha si sentì sprofondare.
Erano di un azzurro opaco e smerigliato, impenetrabili, se non per un ultimo guizzo di panico che li attraversò prima che fossero velati di nuovo dal ghiaccio.

 
***
 
"He was sent to kill me... he made a different call."

[Black Widow]
 
 
Un soffio d'aria gelida sfiorò il suo corpo nudo, e si strinse d'istinto a lei, nascondendo il volto tra le sue braccia.
Le sue mani lo accarezzavano appena, perse nella penombra della stanza e nel dormiveglia.
Clint sollevò appena la testa e scorse il viso di Natasha già ammantato dal sonno, gli occhi semichiusi, sul punto di addormentarsi.
La osservò per pochi, lunghi istanti, rapito, poi la baciò delicatamente sulla fronte, scendendo fino al collo e tornando infine sulle labbra.
Natasha gli tirò appena i capelli e lui sospirò tra le sue labbra, cingendole i fianchi. Poco dopo erano di nuovo intrecciati, in un silenzio di sospiri e carezze.
Infine Natasha posò la testa sul suo petto, mormorando qualcosa. 
Clint accostò l'orecchio alle sue labbra, cercando di cogliere le sue parole, ma lei lo sfuggì e nascose il volto.
 
-Ja doverjaju tebe.- sussurrò contro la sua pelle.
 
Clint sbuffò divertito, non capendo, ma non parlò, lasciando semplicemente che il suono di quella frase incomprensibile gli risuonasse nel petto. Gli bastava la sua voce.
Si girò verso di lei, ma era già scivolata nel sonno. Sorrise, non sapendo bene perché, e chiuse anche lui gli occhi.
Fuori, il chiarore dell'alba illuminava Budapest.

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Note Dell'Autrice:

Sono passati mesi da quando per l'ultima volta ho pubblicato qualcosa in questi ameni lochi. E finalmente rieccomi, pronta a martorarvi le scatole! :D
Dunque, sono bloccata su questa fanfic da circa inizio luglio. Nel senso che ogni frase è stata partorita con dolore ed estrema lentezza. Davvero, è un miracolo se il mio cervellino è ancora intero dopo essersi strizzato e rigirato nella mia scatoletta cranica e... sto divagando.
In poche parole, sappiate solo che tengo tanto tanto tanto a questa fanfic e proprio per questo sarei felicissima di ricevere qualche commento, negativo o positivo che sia. Mi preparo al lancio di ortaggi...

Come ben vedete, ho eletto a vittima predestinata il povero Clint. E non me ne pento neanche un po' :3 Ammettetelo: faceva tanto tanto tanto sesso tenerezza nel film, così indifeso e legato al lettino. Mi fermo qui o entro nel dettaglio e non è il caso...

Altre cose? Mmm... ah, sì: niente è ciò che sembra, quindi preparatevi a rimanere così-> ._. al prossimo capitolo. O almeno, spero rimarriate così, perché l'intento è quello!
Bene, chiudo questa sfilza di parole incoerenti.
Adieu

-Light-

P.S. Loki vi manda tanti baci! Sì. Questo è Loki->  ?_
P.S. 2 Si prega la gentile clientela di prestare particolare attenzione alle citazioni e al testo della canzone. Non per niente, ma perché mi sono letteralmente fusa i neuroni a trovarne una che si adattasse alla FF. E che non vado neanche pazza per i Radiohead, ma dettagli.
P.S. 3 Ah, la frase in russo. Beh, esiste Google Traduttore, ma... poi che gusto c'è? Edit (a distanza di 6 anni): inorridisco per la traslitterazione del russo, corretta all'istante nel rileggere questa mia "vecchia perla".


 
-Tutti i personaggi appartengono alla Marvel. Tutti i diritti della canzone Climbing Up The Walls appartengono ai Radiohead. Questa storia è scritta senza scopo di lucro.-
   
 
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