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Autore: Akrois    25/09/2012    4 recensioni
Quindi Dean si doveva alzare, vestire, magari mettere quella sorta di penosa imbracatura che qualche pazzoide aveva creato e qualche amico suo aveva commercializzato, quella rivisitazione sotto acidi di una giacca e di una camicia che doveva coprirgli il petto e al contempo lasciare le sue ali libere. Non capiva perché gli umani fossero così fissati con i vestiti.
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Wings. A lot of wings.

 

 

 

 

 

01

 

C’erano quelle giornate splendide, in cui il sole brillava alto in cielo, le nuvole erano graziosi batuffoli d’ovatta bianca, gli uccellini cantavano la tua canzone preferita fuori della finestra, la casa era piena dell’odore di pancake e tuo fratello era di buon’umore.

Poi c’erano quelle giornate di merda, che faceva freddo, il sole era in vacanza da qualche parte sull’orbita di Plutone, le nuvole erano come delle grosse pantegane grigie cariche di pioggia, la casa odorava dell’orribile soufflé di cipolle del giorno prima e tuo fratello era semplicemente troppo una rottura di coglioni per questo mondo.

La giornata di cui stiamo parlano era, sventuratamente, una di quelle del secondo tipo. Esistono anche giornate del terzo e quarto tipo, ma ora non c’interessa parlarne. Magari saranno uno degli argomenti che toccheremo prossimamente o magari no. Magari questo tre righe sono solo per irritare i lettori.

In effetti è vero.

Comunque.

Stiamo parlando di una giornata di merda, davvero. Una di quelle in cui tutto quello che vuoi è nasconderti sotto le coperte e contare fino a sei miliardi e settecentoottantamilamilioni mangiando marshmallow finché la giornata non inizia a diventare bella. Ma questo non è quasi mai possibile. Anzi, non è mai possibile.

Dean Winchester doveva aprire i suoi splendidi occhi al mondo e prepararsi per andare a scuola o erano uccelli senza zucchero con suo padre, sua madre e quel pidocchio del suo fratellino.

Quindi si alzò, sbadigliò deliberatamente mostrando al mondo tutti i suoi denti, le sue carie e le sue splendide tonsille, per poi aprire e sbattere le ali, cercando di liberarsi di quella orribile sensazione di costrizione che ogni notte bloccava ogni singola fibra delle sue povere, piccole ali. Fottuti letti umani. Avrebbe preferito dormire su un cazzo di trespolo che su una di quelle bare per vivi.

Un crack soffocato avvertì tutta la famiglia che Dean si era svegliato e che aveva appena fatto fuori la lampada da comodino numero 174. Ma non era colpa sua. Erano loro gli stupidi che continuavano a comprargliene una dietro l’altra, visto che “leggere al buio è da demoni e non da umani e le piccole cose sono quelle che permettono d’integrarci più in fretta” e integrarsi con le scatolette di carne con le gambe era una cosa buona o giusta, o almeno così diceva John Winchester e in casa Winchester quello che diceva John era un po’ tipo la Bibbia non scritta o un regolamento sacro.

Quindi Dean si doveva alzare, vestire, magari mettere quella sorta di penosa imbracatura che qualche pazzoide aveva creato e qualche amico suo aveva commercializzato, quella rivisitazione sotto acidi di una giacca e di una camicia che doveva coprirgli il petto e al contempo lasciare le sue ali libere. Non capiva perché gli umani fossero così fissati con i vestiti. Come se un demone come lui (o anche un angelo) potesse prendersi il raffreddore per essersene andato in giro a petto nudo. La nudità non era un tabù nel loro mondo. I parchi erano pieni di angeli e demoni di entrambi i sessi che giravano con lo stretto necessario, magari un paio di pantaloni o una gonna, e il petto nudo. Era rilassante e permetteva di muovere le ali senza problemi.

Ma lui doveva mettersi quella dannata divisa. E magari lavarsi e pettinarsi. E rendersi decente, in generale. Un demone decente. Era un ossimoro.

 

 

Fra tutte le idee folli che aveva sentito negli ultimi, tipo, mille anni, quella della coesistenza e amicizia tra angeli, umani e demoni era la più stupida. E lui era lì quando avevano detto che gli esseri umani discendevano tutti da una coppia che aveva avuto solo figli maschi!

I demoni facevano i cazzi loro, gli umani crepavano, gli angeli facevano i cazzi loro e tutto filava liscio in simpatia. E invece no, si dovevano sovvertire millenni di pacifico “tu stai dalla tua parte che io sto nella mia” per amore di quei poveri piccoli umani che morivano come mosche ogni volta che ad un demone e ad un angelo prudevano le parti basse e decidevano di prendersi a cazzotti in grande stile da qualche parte.

Quindi ora dovevano essere tutti amici. Vivere vicini. Lavorare assieme. Andare a scuola assieme. Magari anche, chi lo sa, un giorno lo avrebbero obbligato a portare degli angeli in casa sua, a guardare la partita sul suo televisore, seduti sul suo divano a mangiarsi la sua crostata. Il solo pensiero lo faceva incazzare a morte.

Si unì alla mandria semicomatosa che si dirigeva pigramente verso le porte della scuola, le ali attentamente ripiegate sulla schiena e lo sguardo perso.

Notò Pamela ciondolare vicino alla porta, Jo che le camminava accanto e Ash che strisciava i piedi dieci metri dietro di loro. Alistair, quel porco viscido bastardo (perché esistono anche demoni bastardi a questo mondo, sappiatelo) sorrideva a una ragazzetta umana e Uriel lo guardava arruffando le penne, pronto a difendere la fanciulla (o a dare man forte ad Alistair nel distruggerla psicologicamente, entrambe le possibilità erano piuttosto plausibili). Poco più in là Rachel discuteva con una ragazza di cui non conosceva il nome.

In mezzo alla folla di umani fragili e tremanti c’erano delle ali. Un sacco di ali. Avevano dovuto rimodernare la scuola e creare aule e corridoi più grandi per far passare tutte quelle ali e cambiare tutti i mobili.

Conosceva tutti in quella scuola, o meglio, tutti conoscevano lui. E conoscevano anche suo fratello, quello abbastanza stupido da essersi innamorato di un umana. Ed eccoli là, i piccioncini che camminavano mano nella mano nella folla, felici come se al mondo non ci fossero altro che rose e arcobaleni e coniglietti che cagavano uova di pasqua. Povera Jess, non immaginava cosa l’aspettava: nessun’essere umano si metteva con un demone e ne usciva integro.

Poggiò la testa contro il suo armadietto e sospirò, troppo preso a sguazzare nel mare dell’auto-compatimento per notare un leggero tossicchio e una vocina fina fina che sussurrava qualcosa.

Si voltò grugnendo e li vide. Vide gli occhi più grandi, blu e splendidi che avesse mai visto. Deglutì a vuoto, osservando un ragazzo con un brutto trench e la cravatta annodata a mo’ di cappio attorno al collo, lo zaino che pendeva da una spalla e la scarpa destra slacciata – Scusami- pigolò il ragazzo – ma quello è il mio armadietto.

Dean si voltò verso l’armadietto, colpendo un ragazzino con le ali nel voltarsi, notando che, sì, quello non era il suo armadietto. Era così impegnato a sguazzare nella tristezza del lunedì piovoso che era andato a sbattere la testa sull’armadietto altrui.

- Scusami- bofonchiò – non l’avevano notato.

Il ragazzo annuì leggermente e tirò fuori dalla tasca un foglietto stropicciato – Sai come si aprono?- domandò porgendogli il foglietto – Il professore me l’ha spiegato ieri, ma l’ho già dimenticato.

Dean sorrise – La maggior parte di questi cosi si aprono a pugni. Ma puoi anche aprirli con la combinazione. Guarda, ecco, devi solo ruotare questa manopola, fammi vedere il foglio, quindi sei, otto, sette, due, che combinazione del cazzo amico, ecco, sette, diciassette, aperto. Ta-dan.

Il ragazzo guardò incuriosito l’interno dell’armadietto – È piuttosto grande.

- Sei nuovo?

- Sì, è il mio primo giorno.

- Allora scoprirai presto che per voi piccoli umani sono piuttosto stretti.

Era un peccato che quei begli occhioni appartenessero ad un umano. Insomma, lui aveva atto del “non mischiarsi con gli umani” una regola di vita, eppure in quel momento provava una voglia pazza di mischiarsi con quell’umano nella maniera più sudaticcia e scivolosa possibile.

Il ragazzo inclinò leggermente la testa, corrugando le sopracciglia – Ma io non sono un umano.

- Sì, certo. Infatti vedo le tue splendide, ampie e lucenti ali da-

- Angelo- lo fermò il ragazzo – sono un angelo. Ma non ho ancora le ali.

- Impossibile.- sbottò Dean incrociando le braccia, mentre le sue ali mimavano l’azione, incrociandosi leggermente sulle punte, dove l’osso era scoperto e formava un piccolo uncino – Cosa sei, un pulcino? È impossibile che tu non abbia ancora le tue ali. Hai qualche problema o cosa?

Il ragazzo lo guardò dritto negli occhi e poi abbassò lo sguardo, fissandosi intensamente le scarpe.

- Non è colpa mia.- pigolò prima di allontanasi nella folla, lasciando Dean accanto all’armadietto vuoto a sentirsi uno stronzo.

 

 

 

 

 

- Sammy!- Dean passò una mano lungo la curva esterna delle ali di suo fratello, che si voltò scocciato.

- Ti avrò detto mille volte di non chiamarmi Sammy, Dean.

- E io ti ho detto mille volte che non smetterò mai di farlo, Sammy.- Dean sorrise porgendogli un sacchetto marrone – Pranzo della mamma. Panino al fegato umano e un paio di coniglietti scuoiati.

Jessica lo guardò disgustata e Sam sospirò – Sono solamente panini con il pollo e delle carote a pezzetti, Jess. Lo stronzo qui presente ha un particolare gusto per il macabro.

Jessica rise e Dean sbuffò, lasciandosi cadere sull’erba accanto a loro – Allora, cosa mi raccontate?

- In classe mia è arrivato un ragazzo nuovo- disse Jessica porgendo un biscotto al cioccolato a Dean – è carino e silenzioso. Si chiama Castiel.

- Attenta Jess, potresti rendere Sammy-pohh geloso.- ghignò Dean con la faccia piena di briciole. Sam alzò gli occhi al cielo e Jessica sorrise – Sam sa che amo solo lui.

Dean guardò i due scambiarsi uno di quegli sguardi da innamorati e provò l’opprimente desiderio di spararsi in bocca con una carabina o qualcosa del genere.

- Per chiedere, ha i capelli neri tutti incasinati e gli occhi blu? E magari un trench da cesto delle offerte a tre dollari al supermercato?

- Ha parlato il maestro dello stile.

- La solita vipera, Sammy. Ci ho preso?

Jessica annuì – Guarda, è laggiù.- disse indicando un ragazzino con la divisa della scuola che rosicchiava qualcosa seduto sotto un salice – Scusatemi, ragazzi, ho da fare.- Dean raccolse il sacchetto con il suo pranzo e si diresse verso l’albero.

Il ragazzo lo guardò incuriosito – Posso sedermi qui o la tieni occupata per i tuoi amici immaginari?

- Questo posto è libero. E anche se fosse occupato potresti sederti lo stesso, perché gli amici immaginari sono, per l’appunto, immaginari e non occupano veramente uno spazio fisico e tu potresti comunque sederti senza problemi perché sarebbero i miei amici immaginari e di conseguenza per te non esisterebbero-

- Okay, okay, mi siedo e basta, va bene? Niente più battute del cazzo, prometto sulla tomba di mia nonna.

Dean si lasciò cadere sulla panchina – Cosa mangi?

- Mars.

- E fai quella faccia da funerale mentre mangi un mars? Amico, io ho delle fottute carote.

Il ragazzo si voltò verso di lui con gli occhi brillanti – Vuoi fare a cambio?- domandò porgendogli la cassetta di WonderWoman che a quanto pare conteneva il suo pranzo – Mio fratello ha riempito di questa roba dolce e io, davvero, non la sopporto più, non mangio altro. Le carote per tutto quello che ho qui dentro.

Dean aprì circospetto la cassetta, ritrovandosi davanti qualcosa come cinquanta dollari di caramelle e cioccolatini di varie forme e incarti – Tu sei un cretino. Ma accetto. – il ragazzo sembrò più che felice dell’accordo e si mangiò anche l’insalata del panino che Dean aveva accuratamente scartato.

- Mi chiamo Dean.- biascicò con la bocca piena di roba dolciastra.

- Io sono Castiel.-

Dean pensò che magari doveva chiedere scusa al ragazzo per quello che gli aveva detto prima o qualcosa del genere, ma pensò che qualunque cosa avesse detto avrebbe finito per rompere quell’atmosfera strana e piacevole che si era andata a creare.

Così si limitò ad allungare una mano, strofinando il palmo tra le scapole di Castiel, laddove, prima o poi, le sue ali sarebbero spuntate, crescendo fino a coprire tutta la schiena di soffice piumaggio.

Castiel lo guardò e sorrise.

 

 

 

Quella sera sua madre gli fece i compimenti perché aveva finito tutte le verdure e Dean le chiese se poteva mettergli più carote nel pranzo, d’ora in poi. E magari un paio di mele.

- Le mele fanno bene per le ali, vero?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A.Corner____

Ed ecco a voi la mia nuova fan fiction! Come se avessi bisogno di altre storie da finire! Ma chissenefrega, yayyyy!

 

 

 

AU!Highschool, demon!Dean, angel!Castiel, wing!kink, adolescentiecretini!Dean&tuttoilcast, AngelandDemoninheat!kink.

Cazzo, quanti punti esclamativi.

 

 

Questa storia potrebbe continuare, oppure no. Non saprei, davvero. L’ho ripescata oggi dalle profondità del mio computer, l’ho riletta e ho capito che era un gran pezzo di storia e che meritava l’attenzione del grande pubblico.

E ho anche capito che sono un tipo umile e modesto.

 

Parlando d’umiltà e modestia, ci saranno sicuramente degli errori di battitura qua e là.

 

   
 
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