Anime & Manga > Puella Magi Madoka Magica
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Autore: Walpurgisnacht    25/09/2012    2 recensioni
Un piccolo missing moment subito dopo il ventiquattresimo capitolo de L'Orrore? fra Mami e Akira, due anime in pena che soffrono per una tragedia comune.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Mami Tomoe, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Puellaception!'
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Accompagno Akira fuori dalla stanza.
La sua faccia è il ritratto dell’abisso. Quand’eravamo dentro ha avuto la forza di trattenersi, ma qui niente gli impedisce di sfogarsi. Le lacrime gli bagnano la giacca di jeans, perde dal naso con molta poca classe e singhiozza come un bimbo che ha perso contatto con la mano della mamma in mezzo alla folla.
Poveretto. Ha appena visto la ragazza che ha confessato di amare esplodergli addosso. Letteralmente, se le mie orecchie non mi hanno mentito.
“Mami...”.
Non riesco a rispondergli, troppo presa dai miei pensieri e dal mio senso di colpa. Mi limito a sorridergli, quel sorriso falso che ho affinato dopo anni di allenamento. Lui pare accorgersene e se ne risente, visto che mi guarda scocciato. No caro, non provarci neppure a mettermi a disagio. Lo sono già abbastanza senza il tuo contributo.
“Sai tornare a casa?” gli chiedo.
“Penso *sniff* di sì. Se però *sniff* ti va potresti accompagnarmi, così *sniff* sono sicuro di non perdermi”.
“Certamente”. È il minimo che posso fare per questo disgraziato.
“Così forse possiamo *sniff* parlare un po’, se vuoi”.
“No, non voglio”.
“Capisco...”.
Gli faccio strada fuori dall’appartamento di Homura.
Passeggiamo placidi per le vie di Mitakihara. Ora non c’è più alcuna fretta e possiamo godere appieno della brezza primaverile, ancora un po’ fredda ma piacevole.
La scena di due ragazzi che camminano uno a fianco dell’altra in silenzio fa molto manga romantico. Ma nei manga è molto, molto difficile che i due, pur procedendo così vicini, abbiano un baratro simile a dividerli ed allontanarli. E non che mi interessi poi così tanto essergli vicina.
Ho ancora nella testa l’esatto momento in cui il mio gomito tocca la Gemma di Kyōko, scagliandola a terra. Segnando la sua fine.
Una fatalità, Mami. È stata una fatalità. Finiscila di torturarti. Finiscila.
Non avrei voluto. Non avrei assolutamente voluto. Non volevo. Non voglio.
Kyōko, se puoi sentirmi... no, certo che non puoi sentirmi. Sei proprio una povera illusa sognatrice e speri che, nella miglior tradizione drammatica, accada qualche miracolo e che la tua amica, morta per colpa tua, ti appaia davanti e ti assolva da qualsiasi responsabilità.
Nel mondo reale queste cose non succedono.
Mi spiace anche di ignorare Akira. Non conosco i precedenti fra di loro ma lui mi è sembrato davvero emozionato, davvero coinvolto negli ultimi istanti in cui ha potuto starle accanto. Ogni parola di quelle che ha pronunciato era imbevuta di devozione, rispetto e anche una goccia di terrore. Chissà cosa ti ha fatto quella pazza.
Però, adesso, la mia unica priorità sono io. O quel che resta di me. Questo disastro mi peserà addosso per sempre, lo so. Mi conosco. Non sono capace di lasciarlo andare, come la parte razionale del mio cervello mi suggerisce già da ore, e tentare di rifarmi una parvenza di vita. Inutile, non succederà. Farò una piccola, ridicola scommessa con me stessa: andrò al cimitero una notte di queste, imbastirò una misera tomba abusiva e la visiterò tutti i giorni per tentare di lasciarvi il masso che ormai è diventato parte della mia schiena.
“Speri che sappia che ci hai provato, vero?”. Uh? Mi volto verso di lui, lo sguardo perplesso. Non capisco cosa voglia dirmi.
“Da come mi hai parlato di quanto è successo... beh, non è difficile immaginarti ingobbita da un macigno su cui sta scritto made in Senso di Colpa SpA”.
“Già, hai ben ragione”.
“E quindi scommetto che, in qualche modo, speri che lei sappia tutto quello che razionalmente anche tu sai già. Che è stato un incidente, che non volevi, che avresti preferito essere tu al suo posto eccetera eccetera”.
Non so se stimarlo od odiarlo. E mi chiedo il perché della seconda opzione.
“Scusa Akira, perché sei finito a fare il concierge in un albergo invece di studiare psicologia?”.
“Non mi è mai interessato fare lo strizzacervelli, trovi troppi casi umani da manicomio e rischi di farti infettare”.
“Capisco, sì”.
“Mami, so che non ci conosciamo e solo questo brutto avvenimento ci accomuna alla lontana. Ma sapere che una delle amiche di Kyōko sta soffrendo come un cane mi fa stare male. Ti prego di ascoltare quello che ho da dirti”.
Mi fermo e lui fa altrettanto. Non mi giro nella sua direzione, reagirei male. Mi sto spropositatamente surriscaldando e non me ne spiego il motivo.
Il ragazzo è carino, gentile e tutto quanto ma in questo momento è irritante come un porcospino nelle mutande.
Stringo i pollici con le altre dita e so che stanno sbiancando, privati come sono dell’afflusso sanguigno. È uno dei miei segni di nervosismo più palesi e ormai lo conosco come le mie tasche.
“Ho la tua attenzione, signorina Tomoe?”.
Che fai, sfotti pure? Sai che sei a tanto così dal farti cambiare i connotati a fucilate?
“Bene, non mi frega se mi stai a sentire o no. Te lo dirò comunque. Ti chiedo una e una sola cosa: di non rovinarti la vita a causa dell’incidente. Kyōko non lo vorrebbe, io non lo voglio anche se a giudicare dalla tua reazione la cosa non ti tocca, tu non lo vuoi anche se al momento credi diversamente. Quale persona è disposta a colpevolizzarsi così per un’avversità dovuta puramente alla sfiga? Ho parlato a lungo con lei quando stava al Grand Hotel e sono riuscito a carpirle un po’ di informazioni. Sai, vero, che era sola al mondo?”.
“Sì, lo sapevo”. Ultima risposta senza accenni isterici, ragazzotto. Non spingere il carretto della fortuna oltre la linea gialla.
“Ecco. Tu credi che vorrebbe vedere una delle sue poche amiche prendersi a figurate badilate sui genitali per... questo? Un gomito che sfortuna ha voluto fosse nel posto sbagliato al momento sbagliato, dopo che la sua proprietaria aveva passato gli ultimi dieci minuti a prendersi scoppole sulla faccia per proteggerla? Perché, se ben ti ricordi, mi avevi parlato piuttosto approfonditamente degli avvenimenti sul tetto. E grazie a te so che le hai fatto da scudo umano. Non provare a ritrattare ora, abbassa quel dito. Eri talmente sconvolta che il solo concetto di bugia ti era completamente alieno. So per certo che tutto quanto mi hai raccontato è successo veramente. Sistemato questo punto... ne vale la pena, secondo te? Rispondimi, su”.
SOCK.
Ti piace come risposta?
Cade per terra, la guancia arrossata.
“Chi diavolo ti credi di essere? Con quale confidenza vieni a farmi la paternale? Non sei nessuno per me, non ti conosco, non ti calcolo, sei niente. Vattene a casa da solo, stronzo”.
Lo supero con una poderosa falcata. Poi mi arriva alle orecchie qualcosa che mi sarei dovuta aspettare, e in parte mi aspettavo, ma sa comunque colpire i tasti giusti: “Pensi di essere l’unica a patire quanto accaduto, Mami? Se è così lasciati dire che sei una gran bella egoista”.
Torno indietro con la bava che mi cola dagli angoli della bocca.
Ti ammazzo. Giuro che ti ammazzo.
Lo afferro per il bavero della giacca. Lui sostiene la mia maschera di rabbia senza timore. Forse ha bisogno di un altro pugno.
“Che c’è? Ho toccato qualche punto dolente?”.
“No, mi hai semplicemente mandato fuori dalla grazia divina”.
“Mpf. Non ritratto quanto ho detto: c’è altra gente che soffre per la sua morte. Il tuo dolore non è più speciale degli altri”.
“Akira, non mettermi nella condizione di farti del male e chiudi il forno. Lo dico per il tuo bene”.
“No. Mai stato uno che non dice quel che pensa. Inoltre mi preme farti notare che nel mio caso, al contrario di Kyōko, sarebbe un omicidio in piena regola. Se una morte accidentale ti precipita in questo stato non voglio pensare cosa succederebbe...”.
SOCK.
Sì, aveva bisogno di un altro pugno. Decisamente.
Rotola all’indietro. Mi ci voleva questa valvola di sfogo, mi ha fatto bene.
Quando si ferma alza gli occhi verso di me e, pur con il labbro inferiore ammaccato, mi sorride con odioso sarcasmo.
“Che cacchio hai da fare quella faccia? Ne vuoi ancora?”.
“Tornatene a casa e rifletti su quanto ti è stato detto, da me e da Kyōko. Al momento non sei in grado di ragionare lucidamente”.
“E se preferissi rimanere qui a massacrarti di botte?”.
“Non posso impedirtelo. Fai quel che ti senti”. Almeno se ne rende conto, è già qualcosa.
Rimango ferma mentre lui si rimette in piedi e si spolvera gli abiti sporchi per la doppia caduta. Non mi stacca lo sguardo di dosso, quasi fosse affamato di sentire qualcosa di particolare da me. E io non so cosa dirgli, né se voglio dirgli qualcosa.
“Sai dove trovarmi se dovessi avere bisogno di me. Arrivederci, Mami”. E se ne va senza un’ulteriore parola.
Sono casualmente finita sotto il cono di luce di un lampione. Altra classica scena da cartone animato o da fumetto. Sarebbe carino smettere di vivere situazioni stereotipate.
Perché uno sconosciuto riesce a rivoltarmi come un calzino bucato?
Sarà meglio seguire il suo ultimo consiglio, ora sono davvero troppo scombussolata per avere un processo mentale degno di questo nome.
“Kyōko, cosa devo fare?” chiedo all’aria mentre con le dita cerco di asciugarmi i primi accenni di lacrime che minacciano di uscire.
...
“La fai troppo facile tu. Non riesco a scrollarmi...”.
...
“No, certo che no. So che è stato involontario da parte mia, te l’ho anche detto. Ma...”.
...
“Oh, con te non si può proprio parlare. Viva, morta o X che tu sia”.
Mi avvio verso casa, il gozzo gonfio e la sensazione che non starò tanto meglio di così in futuro.
   
 
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