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Autore: LawrenceTwosomeTime    28/09/2012    5 recensioni
Un ragazzo che lavora da McDonald's si innamora di una collega molto più vecchia di lui. Ma lei nasconde un segreto...
Genere: Drammatico, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Si dice che il primo giorno di lavoro sia anche il più impegnativo.

Isaac non sapeva chi l’avesse detto, ma era quasi sicuro che quel tizio non avesse mai lavorato da McDonald’s. Potendo, avrebbe scelto una panetteria.
Solo che gli artigiani della sua città erano molto gelosi della loro attività, e lui non aveva – perdonate l’associazione infelice – un briciolo di competenza sulla fabbricazione del pane.
Invece, per diventare un impiegato di McDonald’s, non occorreva un cazzo di niente: una spiccata predisposizione a trattare con chi cercava di accaparrarsi il menù grande servendosi del buono sconto valido per quello piccolo, la capacità di compiere meccanicamente gli stessi gesti, senza sbagliare, per otto ore di fila e a volte anche di più, e l’incrollabile fede salutista di chi preferisce, nonostante tutto, cenare tardi con una fetta di prosciutto e un pezzo di formaggio, anziché sbrigare l’incombenza mangiando sul posto di lavoro. Niente che lui non possedesse già.

Quello che davvero lo sconfortava era la noia. La gente arrivava, chiedeva le sue schifezze preferite recitandone il nome come si recitano le preghiere in chiesa, lui predisponeva la cottura di quei veleni – accondiscendente esecutore di un omicidio di massa semivolontario – e poi raccoglieva in modo diligente i loro denari.
La conversazione era minima. I suoi compagni di lavoro erano talmente superficiali che con la loro piattezza d’ideali si sarebbe potuto pavimentare Piazza San Marco; cosa strana, comunque: aveva sempre creduto all’inesattezza dello stereotipo per cui chi lavora per una grande catena di ristorazione simbolo della globalizzazione e del Capitalismo più becero fosse egli per primo un idiota totale.
Eppure i fatti glielo confermavano. Gli venne il timore che dopo un mese passato a lavorare lì, avrebbe incominciato a svuotarsi della sua cultura, della sua volontà di scelta, delle sue opinioni; proprio com’era successo agli altri. Sarebbe diventato un automa, obbediente e certificato.

Spesso gli tornavano in mente i giorni della sua infanzia, trascorsi a festeggiare il compleanno di un amico (o il suo) in quel posto; non immaginava neanche lontanamente in quale buco di merda si fosse andato a ficcare, che tutto concorreva a regalargli un’illusione di felicità plastificata. E forse era meglio così.
Ora stava dall’altra parte della barricata, e rifiutava quel mondo non per partito preso, ma per l’odore. L’odore e un sacco di altri fattori. Tipo le decorazioni di cartoncino. I protagonisti di pellicole animate di successo inseriti nell’happy meal come tanti piccoli idoli votivi. Le musiche con cui facoltosi laureati in comunicazione pubblicitaria blandivano i clienti trasmettendo loro impliciti comandi che invogliavano all’acquisto.

Ma tutto questo perse di significato quando fece la conoscenza della nuova impiegata.

La vide emergere dalla stanzetta sul retro, con indosso la divisa da lavoro, e per un attimo faticò a convincersi che una creatura così bella svolgesse una mansione così umiliante.

“Tanto piacere, sono Amaryllis, ma puoi chiamarmi Mary!”
“Incantato. Io sono… mi chiamo Isaac”
“Oh, un nome biblico. Molto evocativo! Di gente che si chiama così ormai non ce n’è quasi più”
“Pensi che mio fratello si chiama Giosafat”

Lei sorrise, ma con una punta di stizza. L’aveva offesa, dandole del ‘lei’?

Era davvero una creatura affascinante, ma non dimostrava meno di trentacinque, trentasei anni.
Isaac ponderò che era davvero un peccato che una donna così attraente finisse a servire patatine in un fast-food. Stette bene attento a tenersi per sé quelle considerazioni.

Un paio di giorni dopo, si ritrovarono fianco a fianco dietro al bancone.

“Ti trovi bene in questo posto?”, gli chiese Mary. Ogni traccia di mortificazione era sparita dal suo viso, come se non si fossero mai parlati.
“Scherzi? Lo odio!”
Ridacchiarono come due ragazzini dopo una marachella.
“Cioè, ho paura che mi manchino ancora pochi frappè e poi il cervello mi andrà in pappa”
“Frappè?”
“Si. Io misuro il tempo in frappè, ormai”
“Sei un eccentrico!”
“Un eccentrico prêt-à-porter, davvero; è solo ironia da bastoncini surgelati”

E intanto prendevano le ordinazioni, ammonticchiavano scontrini, ritiravano soldi.

“Perché sei qui, se posso chiedere?”, disse lei.
“Mah, un po’ perché voglio poter disporre di un gruzzolo tutto mio, e un po’ per il motivo che accomuna molti di noi: per pagarmi gli studi”
“Sembri molto giovane”
“Ho diciassette anni”

Lei evitò di dire la sua età, e non tornarono sull’argomento.

Una sera che stavano chiudendo, Isaac le rivelò una cosa che si sarebbe vergognato a confidare ai suoi amici.
“In realtà, dopo l’arte, il cibo è la cosa che amo di più”
Lei lo fissò, incerta su cosa dire.
“Lo so, è vergognoso che io lavori qui”
“Non pensavo a quello. È che… è che per me vale esattamente il contrario. È ironico, non credi?”
“Si, bè, non è l’unica cosa ironica, in questo posto”
“Io trovo che talvolta le due aree si confondano”
“’Le due aree’?”
“Si! Il cibo e l’arte. Se ci pensi, il cibo preparato come si deve è arte da mangiare; e l’arte, come ha già scritto qualcuno, è il cibo dell’anima”
Isaac la guardò di sottecchi. Adorava quella donna. Se solo non ci fosse stata la differenza di età…

Il loro capo a volte sapeva essere davvero odioso. Quando si presentava al lavoro con i postumi di una sbornia colossale, o aveva litigato con la moglie, diventava più spietato di un dittatore: un comportamento che suonava quantomeno stonato, in quel tempio dell’imprenditorialità americana.
“Cristo se odio quando mi da del ‘lei’!”, sbottò Isaac quando fu sicuro che l’altro fosse lontano.
“È per la differenza di età, forse”, disse Mary in tono sibillino.
Lui fece una smorfia.
“No no. Ti dico io cosa c’è. Quello è un bifolco travestito da dirigente, crede che trattando le persone con sufficienza e infilando nelle sue frasi stentorei termini forbiti letti sul dizionario l’altro ieri, ne ricaverà un’impressione di autorevolezza. Pensasse a non detrarci dallo stipendio le ore di straordinari. Stupido cretino”
Mary ridacchiò.
“Tua madre cosa ne pensa?”
“Di cosa?”
“Del lavoro che fai”
Lui scosse la testa.
“Lei… lei non pensa proprio niente. È una mezza fanatica; ci ha dato questi nomi ridicoli. Ed è convinta che io faccia il bene della comunità, ‘nutrendo le pecorelle affamate del Signore’”
Sputò per terra.
“Se Cristo avesse moltiplicato le patatine e gli hamburger, anziché i pani e i pesci, sta sicura che l’avrebbero crocifisso con un largo anticipo”
Lei ridacchiò in quel suo modo infantile. La risata trillante di Mary aveva un non so che di perverso.

Un pomeriggio ci fu un compleanno festeggiato in pompa magna, con tanto di Ronald McDonald che gonfiava palloncini e fabbricava animaletti da regalare ai bambini. Solo che dopo neanche dieci minuti, del pagliaccio nemmeno l’ombra.

“Dove diavolo si è cacciato quel bastardo?”, disse Isaac.
“Se i genitori scoprono che ha tagliato la corda, rivorranno indietro i soldi”
“Io devo servire i menù”, rispose Mary in tono costernato.
“Ok, vado a vedere che fine ha fatto”

Isaac ispezionò la stanza sul retro, ficcò il naso nell’ufficio del Direttore – che russava come un ghiro – e infine si ricordò della sala al piano di sopra, che era stata chiusa per ristrutturazioni.
Salì le scale e aprì la porta con cautela. Il pagliaccio era lì. C’erano anche tre bambine: due si erano sollevate la gonna, la terza aveva appena iniziato.
“Avanti, tesorini, fate vedere al vostro amico Ronald cosa nascondete lì sotto”, cantilenava l’uomo con voce giocosa.
“Ehi!”, urlò Isaac.
Il pagliaccio si voltò.
“Che cazzo ci fai qui? Esci subito!”
“Bambine, tornate di sotto. Io e Ronald dobbiamo scambiare due parole”
Le bambine corsero via, una singhiozzando.
“Ora ti rompo il culo”, esclamò l’uomo avvicinandosi con fare minaccioso.
“Clown del cazzo. Non mi fai ridere neanche un po’”

Ronald gli tirò un pugno sul naso che lo fece finire a terra. Poi cominciò a dargli dei calci nelle costole.

“Permette?”, disse una voce acuta e squillante.

Il clown sollevò lo sguardo e Mary gli sbatté sul muso una casseruola bollente.

Mezz’ora dopo, il pagliaccio venne portato via in manette dalla polizia.

“Sei… sei stata incredibile”, disse Isaac palpandosi con circospezione il naso rotto.
“Una ragazza deve saper badare a sé stessa!”, rispose lei con fierezza.

Lui decise di provarci.
“Posso… chiederti quanti anni hai?”
Mary assunse un’espressione ostile.
“Non è un argomento che mi va di affrontare”
“Scusa…”
“Ne ho venti”, dichiarò infine.
Lui spalancò la bocca.
“È… cosa…”
“Lo so, ne dimostro di più. Il problema è che ho una… malattia degenerativa… Una malattia ereditaria. Invecchiamento precoce”
Lui annuì con circospezione, come se un minimo movimento potesse offenderla.
“Mi dispiace. Non pensavo…”
“Figurati. Te l’ho detto perché mi fido di te. Tu mi piaci, Isaac”
“Anche tu”
Lei ridacchiò.
“Non è necessario che ricambi”
Isaac le prese la mano.
“La prima volta che ti ho vista, non ho pensato che fossi vecchia. Ho pensato solamente: ‘che cosa ci fa una donna meravigliosa come questa in un posto così orrendo?’”

Mary questa volta sorrise. Un sorriso cauto e quasi caldo.
“È la prima volta che ricevo le avances di un ragazzo della mia età”
“Di cosa ti sorprendi? Siamo coetanei”

E poi lui la sollevò con la grazia di un ballerino e la trasportò con la massima cura nella stanzetta sul retro, tenendola come se fosse una statua di vetro, e si chiusero la porta alle spalle; e giacquero insieme, indisturbati, finché la luna non fu nel pieno del suo fulgore e le stelle non cantarono le loro odi silenziose.

La routine lavorativa procedeva senza turbolenze, ma ora Isaac e Mary la condividevano immersi in una sorta di muta dedizione. Ogni tanto completavano l’uno le frasi dell’altra, come fanno i gemelli, e non avevano problemi a fermarsi anche oltre l’orario di lavoro per il puro piacere di essere insieme.

Un bel giorno di aprile, un uomo alto, vestito di tutto punto e con una cespugliosa barba bianca si presentò davanti al bancone.
Strano che un tipo del genere venga a mangiare qui, si disse Isaac.
“Professore!”, esclamò Mary alzando le braccia.
“Mary! Che piacere vederti. Allora è qui che lavori”, disse l’uomo in tono affabile.
“Isaac, questo è il professor Morell: insegna Letteratura Medievale alla mia Università. Professore, lui è Isaac, un mio carissimo amico”
Mentre diceva ‘amico’, Mary gli circondò le spalle con un braccio, e subito dopo gli schioccò un veloce bacio sulla guancia.
Morell e Isaac si strinsero la mano.
“Bene. Credo che prenderò un menù piccolo. Questo stomaco ne ha già passate troppe”, disse l’uomo in tono affabile.
“Ti… dispiace se ti rubo Isaac per un minuto? Devo ripassare il discorso d’apertura per una conferenza e avrei bisogno di un pubblico. Sempre che a Isaac non dia fastidio ascoltare la dottrina di San Tommaso D’Aquino”
“Ma certo!”, rispose Mary.
“Io adoro San Tommaso, sono il suo primo fan”, dichiarò Isaac con zelo venato d’ironia.

Si sedettero a un tavolo, e quando la cameriera gli portò il suo ordine, Morell lo spinse da parte con aria schifata.
“Forse”, attaccò, “è il caso che mi presenti di nuovo. Mi chiamo Archibald Morell. Dottor Archibald Morell. Sono uno psichiatra”
“Non capisco”, disse Isaac con un’espressione scettica.
“Ho in cura la signora Evans da diversi anni ormai. Gliene parlo perché lei e Amaryllis sembrate molto… uniti. Ed è giusto che sappia a cosa sta andando incontro”
“E a che cos’è che starei andando incontro, di preciso? So della sua malattia, me ne ha già parlato. Invecchiamento precoce e tutte quelle cose lì”
“Oh, le ha detto così?”, ponderò il dottore in tono quasi dispiaciuto.
“Vede, la verità è che la signora Evans soffre di quella che noi chiamiamo agnosia. Una forma piuttosto importante”
“Non… non sono laureato in psichiatria, non ho idea di cosa sia questa… questa?”
“In effetti, ne esistono vari tipi molto diversi tra loro. Nel caso specifico, Amaryllis… è convinta di avere ancora vent’anni”
“Ma lei ha vent’anni, giusto?”
“No, ne ha trentasette”

Isaac ebbe una palpitazione.
“Mi sta dicendo che Mary è pazza?”
“Non pazza. Affetta da un disturbo mentale”
“Come… come faccio a sapere che è Mary quella malata? Potrebbe essere lei il demente, potrebbe essere un tipo che la segue raccontando a tutti di essere il suo psichiatra”
“Posso mostrarle la diagnosi comprovata da un mio collega molto stimato, se vuole”
Isaac smise di respirare. Guardò in direzione del bancone. Mary lo salutò con la mano, felice.

“La sto monitorando da tempo per verificare se le nostre sedute stiano avendo buon esito, ma a quanto pare c’è ancora molta strada da fare”
“Mary mi ha mentito?”
Morell sospirò.
Poi spiegò, paziente: “È probabile di no. Lei è assolutamente convinta di ciò che dice. Non le nascondo che trascorrere del tempo in compagnia di qualcuno che la segua, diciamo, più da vicino di come faccio io potrebbe aiutarla a ritrovare la percezione della sua età; ma non escludo che lo shock provocato da una presa di coscienza improvvisa possa causarle una forma di crollo mentale. Lei, invece, che cosa mi dice?”
Fece una pausa.
“Ora che lo sa, ha davvero intenzione di portare avanti una relazione con Amaryllis?”
“Io”, iniziò Isaac, “Io… non ero preparato a questo. Ma non fa la minima differenza”, aggiunse poi.
“Durerà quel che deve durare. Sicuramente il bene che le farò sarà maggiore del dolore che mi procurerà la sua perdita. Perché so che un giorno la perderò. Ma non oggi”
“Bene”, disse il dottore, “Non abbiamo più niente da dirci, per ora. Le lascio il mio biglietto. Si tenga in contatto, quando ritiene di dovermi mettere a parte di qualcosa”
“Senz’altro”

Isaac ritornò al suo posto.
“Di cosa avete parlato?”, chiese Mary con noncuranza.
“Ah, sai… delle vecchie materie che hanno incorporato con l’ultimo ordinamento. A quanto pare le singole specializzazioni stanno diventando sempre più differenziate”
“Non me lo dire. Io continuo solamente perché so che un giorno quel pezzo di carta mi aiuterà a fare carriera. Ma non mi è mai piaciuto studiare: preferisco leggere”
“Io pure…”, disse Isaac, scegliendo con cura le parole di una conversazione assolutamente normale, la prima di una serie di conversazioni assolutamente normali che si sarebbero protratte per molti anni a seguire.

Per quanti, non ci è dato saperlo.
  
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