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Autore: Nocturnia    04/10/2012    3 recensioni
Ci sono storie che affondano le loro radici nelle viscere dell'umanità.
Ci sono alcune storie - quelle brutte, quelle dal sapore tragico della profezia - che dipingono il proprio svolgimento con i colori della guerra e del sangue.[...]L'ho vissuta e infine compresa, abbracciandola. E nel suo abbraccio ho trovato una risposta.
Una fine e un inizio.
Genere: Fantasy, Guerra, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'Nel segno del sangue'
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Disclaimer: Questa storia è stata scritta per puro diletto personale, pertanto non ha alcun fine lucrativo. L’intreccio qui descritto e i personaggi rappresentati sono copyright dell’autrice (Nocturnia) e non ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.

A Callie_Stephanides , perché senza di lei tutto questo non sarebbe stato possibile.





"Nessun uomo sceglie il male perchè è il male.

Lo confonde solo con la felicità, con il bene che cerca."
- Mary Wollstonecraft Shelley -


Cruore manat


Ci sono storie che affondano le loro radici nelle viscere dell'umanità.
Ci sono alcune storie - quelle brutte, quelle dal sapore tragico della profezia - che dipingono il proprio svolgimento con i colori della guerra e del sangue.
Sono quelle storie in cui è una puttana a darti i natali e uno spietato assassino a versare lacrime, le etichette la più bieca forma di controllo.
Lo so io, che di quella storia ho fatto la mia seconda pelle.
La conosco e ne ho esplorato gli amari confini, giacendo poi scomposta e rotta, al mio fianco i fantasmi di un evo ormai estinto.
L'ho vissuta e infine compresa, abbracciandola.
E nel suo abbraccio ho trovato una risposta.
Una fine e un inizio.


"Erano così belli insieme, così blasfemi nella loro perfezione, piccola Dyen."
"E perché si sono lasciati?"
Un sorriso indulgente curvava sempre le labbra di mia madre a quella domanda puerile, intrisa di un'innocenza a cui solo i bambini sapevano fare appello.
"Perché a volte, tesoro, l'amore è il più amaro dei veleni."
E io aggrottavo le sopracciglia nella spietata incoscienza dell'infanzia, l'amore una pallida nebbiolina rosa e bianca in cui pene e sofferenze venivano lenite dal bacio di un principe.
"L'amore non è cattivo." ribadivo testarda "l'amore non fa male." borbottavo nascondendomi dietro le spesse coperte in lana, le fusa di quel gatto spelacchiato che chiamavamo Pung il sottofondo ideale per quel momento intimo, privato.
Tasasi di Albir rideva morbidamente di fronte a quelle giovani e inesperte convinzioni, regalandomi una tazza di latte fumante e il continuo di una storia che, per anni, aveva fatto da epifania al mio sonno.
"In principio furono Varok e Matharet, piccola mia..."


"Il nostro mondo non è sempre stato come lo vedi ora, Dyen. In origine vi era solo Hoenir, luce e speranza, il nulla colmo del tutto. Ossessionato dall'idea della perfezione, Hoenir, l'aquila, si strappò il cuore, ritenendolo impuro e macchiato dalla scintilla del dubbio.
Non vacillò più l'aquila, ma dal quel piccolo pezzettino di carne nacque Rajas, chimera e fratello abortito mille e mille volte."
"Fa male strapparsi il cuore?"
"Ci sono diversi modi per farlo Dyen, ma non sempre il dolore è lo stesso." replicava Tasasi laconica, tra le sillabe di una madre i silenzi di una donna che non poteva - non voleva - raccontare tutta la verità.
"E poi?"
"Si massacrarono a vicenda per eoni l'aquila e la chimera, distruggendosi.
E quando la morte fu loro così vicino da specchiarsi nei loro occhi, videro la cieca debolezza che li avevi portati a combattersi.
Invidiava un Cielo tanto agognato Rajas, mentre si dibatteva tra le maglie della paura Hoenir per le domande che quel fratello maledetto portava con sé."
"È stato dai loro pezzi che sono nati i demoni e gli angeli?"
"Sì Dyen. Da ciò che erano nacquero quelli che noi chiamiamo angeli e demoni. Destinati a incrociare le lame per l'eternità, era nel loro conflitto che l'universo trovava il suo equilibrio. Nessuna forza poteva prevalere davvero, poiché nulla è perfetto. Tutto ha già in sé i germi dell'imperfezione."
Fissava la parete alle mie spalle Tasasi a quel punto della storia, nell'orbita del suo sguardo una malinconia che avrei compreso solo anni dopo.
"E...?" la incitavo sempre, lasciandomi affascinare da un'aquila di cristallo e una chimera di fumo, figli della stessa pelle.
"E poi successe quello che portò alla creazione di Matarisvan. Successe che dubbio e certezza si ricongiunsero nella figura di Varok e Matharet.
Combattevano su fronti opposti, il demonio e l'angelo, Dyen. Per millenni versarono il sangue dell'uno e dell'altro, l'indifferenza e la rabbia l'unica cosa che i loro cuori erano in grado di provare."
"E poi?'"
"E poi i loro cuori si stancarono di tutta quella furia di tutto quel dolore, della guerra. Varok, il pentito del paradiso, trasgredì alle leggi del suo ordine e gettò le proprie piume su questo mondo, creando il cielo e la terra, il mare e il fuoco. Schiere e schiere di fedeli li seguirono nel loro sogno di pace ed equilibrio, la bestia diventare infine un docile cagnolino."
"Papà dice che i lupi mordono comunque, anche se sono stati addomesticati." ribattevo piccata e anche un po' saccente.
Scopriva l'eburneo dei denti nell'ennesimo sorriso mia madre, lisciandosi metodicamente i capelli biondi, quasi quel gesto l'aiutasse a trovare le parole adatte per una bambina di soli dieci inverni.
"E infatti il lupo non divenne mai veramente cane e furono le sue zanne a dare dimensione e forma a tutto ciò che Varok aveva creato. Furono le sue unghie a scavare la dura terra, permettendo che le sue piume fecondassero il suolo.
Furono i suoi occhi di predatore ad annientare i nemici, a proteggerci.
Varok era l'ordine, Matharet la spada."
A quel punto del racconto, schiudevo sempre la bocca ansiosa, nelle pupille rifrangersi le scintille che solo la gioia dell'avvicinarsi alla conclusione poteva darmi.
Mi sollevavo dal materasso, spiando di sottecchi le imposte chiuse della finestra, quasi mi aspettassi di vederli davvero quegli occhi vermigli.
Tiravo leggermente la coda a Pung, generando un basso brontolio e meritandomi un morso sulla mano, sebbene il contatto con quel pelo ispido generasse in me l'effimera sicurezza degli illusi.
" E poi si innamorarono, vero?"
" Esatto, piccola mia. Varok, un giorno della creazione, guardò quelle polle rubino in cui tutti i peccati sembravano poter essere condonati e se ne innamorò. Si amarono per secoli, il fuoco circondare in un abbraccio il ghiaccio di cui era fatto l'angelo, disgregandolo.
Fu proprio dal quel ghiaccio, ormai disciolto, che nacquero quelli che noi chiamiamo Phazani, la prima generazione. Erano i figli prediletti, così potenti da eguagliare il padre e la madre, così puri da accecare l'empireo stesso.
Il ghiaccio gli aveva dato i natali, ma era stato il fuoco ad animarli, creando l'ossimoro che è racchiuso adesso in noi. Noi siamo il tutto e il niente. Siamo la forma primigenie di Hoenir e Rajas."
"Allora perché?"
"Perché cosa, bambina mia?"
"Perchè si lasciarono?"
"Perchè l'amore non è eterno, Dyen. Perchè alcune cose non sono fatte per stare insieme."
Taceva sempre su quel perché.
Lasciava che il sonno mi prendesse, spegnendo quel che rimaneva della debole fiamma della candela e dispensandomi un'ultima carezza.
Mi addormentavo con Pung al mio fianco e il sapore dolce delle certezze sulla lingua.
All'epoca, non potevo sapere che Varok ci aveva maledetto tutti, geloso di un potere che lui non aveva mai avuto.
All'epoca, non potevo sapere che Matharet ci aveva amato in un modo contorto, parossistico.
Che tra le sue gambe era fluito, feroce, il seme di un amplesso che mai avrebbe dovuto essere consumato.
Che, alcune volte, l'unico modo per amare è odiare.
Mia madre era una buona donna, il cui unico, vero, intento, era proteggere quella figlia a cui aveva dato tutto.
Raccontava della creazione, ma non voleva che sapessi della distruzione.
Sciorinava la vita tra le labbra, quasi la morte fosse un concetto astratto, lontano.
Non voleva farmi sapere quello che, mio malgrado, avrei appreso solo sei estati dopo.
Che l'amore è la peggiore delle ferite.

E mentre chiudevo le palpebre, emettendo un sonoro e soddisfatto sospiro, al sicuro ed al caldo nella mia casa in pietra bianca, una donna le riapriva a fatica, il sangue incollarle tra loro.
Una donna che urlava al firmamento tutto il suo lutto, gemendo nella neve che, gelida, l'avvolgeva come un tetro sudario di morte.
Una donna cui il punto fio risiedeva nel petto, all'altezza del cuore.
Era stato il silenzio ad accogliere le sue esangui parole, il vento tagliente del nord a portarle fino ai confini di Albir:
"Zanor..."

Ed è la sua storia che voglio raccontare.
   
 
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