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Autore: _Sushi_    08/10/2012    4 recensioni
Un nuovo personaggio: Kim Jinhyun, detta Jin o J... importa davvero sapere quale sia il suo nome? E' davvero fondamentale scoprire chi è?
No e di sicuro non sarebbe mai importato a nessuno dei Super Junior, men che meno a Cho Kyuhyun.
Certo, se poi, per uno strano incidente, questa ragazza si ritrovasse a vivere sotto il tuo stesso tetto, se il suo comportamento insolito, le sue caratteristiche fuori dal comune, la sua incompatibilità con le consuete norme sociali, o peggio, la sua ambigua doppia faccia ti facessero dubitare di lei, al punto da crederla un pericolo per te stesso e per i tuoi Hyung... tu cosa faresti?
Una ragazza con un segreto sepolto in profondità, una serie di (s)fortunati eventi, il destino e mille storie che s'intrecciano per dare vita ad una trama folle e ricca di colpi di scena.
La fervida immaginazione dell'autrice vi saluta e v'invita a prender parte a questo piccolo delirio.
La storia prende in considerazione tutti i Super Junior, donando loro moltissimo spazio in maniera uniforme. Protagonisti della storia principale: Kyuhyun e Heechul; storie parallele con Siwon, Eunhyuk, Donghae, Leeteuk.
Buona lettura :)
Genere: Avventura, Science-fiction, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Heechul, Kyuhyun, Nuovo personaggio
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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- Venticinque Ottobre, ore nove e mezza -


Era un'esperienza fuori dal comune, di quelle che nessuno sciocco uomo poteva immaginare. Lei sentiva, sentiva tutto, sentiva oltre ogni previsione. Ogni respiro, il più impercettibile movimento era il frutto della cooperazione di milioni di miliardi di cellule e di meccanismi finissimi, reazioni a catena che si sommavano perfettamente le une sulle altre senza mai sbagliare. Il tutto alla velocità del pensiero. Un solo corpo ma fatto di apparati a loro volta fatti di organi, di tessuti, di cellule, di proteine, lipidi, zuccheri. Mille, immensi, infiniti, giganteschi universi, composti da miliardi di unità perfettamente cooperanti tra loro, racchiuse l'una dentro l'altra, in stretta correlazione. Un solo corpo, sì, un solo piccolo corpo... eppure così grande all'interno! Era semplicemente troppo perché chiunque potesse immaginarlo.

A questo e ad altro stava pensando la strana ragazza affacciata a quella che sembrava una semplice e anonima vecchia porta blu. Per lei non era in effetti difficile pensare a più cose contemporaneamente, non aveva un'intelligenza comune, dopotutto, neppure per l'ambiente in cui era cresciuta. Infatti, proprio mentre quei pensieri di poco prima sfioravano la sua mente, una parte di lei ripensava agli eventi accaduti quel giorno e a ciò che stava accadendo proprio in quel momento davanti a lei. Solo fiamme, fuoco e furore sembravano riflettersi nei suoi grandi occhi. Con un profondo sospiro, la strana ragazza si morse il labbro inferiore e per un solo, microscopico istante sembrò immensamente triste, di una tristezza radicata e profonda, di quelle che ti scorticano l'anima. Fu solo per un momento perché, quando parlò, la sua voce uscì chiara e cristallina, limpida come un ruscello in primavera:
«Quando dicevi che non mi avrebbe fatto male stavi mentendo, non è così?» Doveva esserci qualcuno alle sue spalle perché lei si voltò a fronteggiarlo.
Di colpo tutto si fece confuso, annebbiato. Un dolore lancinante sembrava spaccarle la testa in due, sentiva solo la propria voce urlare, la gola bruciante, i polmoni in fiamme. Con gli occhi quasi rovesciati all'indietro per l'agonia riusciva ad intravedere solo strane forme: sembrava ci fosse un'enorme foresta di corallo di fronte a lei. Il dolore era troppo forte, sentiva solo le urla, tanto potenti, tanto lontane da non sembrare neanche più sue. Un fischio acuto le spaccava i timpani e uno dietro l'altro continuava a sentire quei numeri: dieci-zero-undici-zero-zero-zero-due... dieci-zero-undici-zero-...


«...ZERO-ZERO-DUE!» Saltò in piedi talmente in fretta che per poco non cadde. Dopotutto il suo equilibrio non era un granché, soprattutto se si trattava di stare ritta su un autobus. Attorno a lei tutti i passeggeri la stavano guardando come se avesse un terzo braccio che le usciva dalla fronte. Solo un coraggioso uomo d'affari dall'aria stanca si azzardò a farsi avanti per chiederle se era tutto a posto. Dopo aver fatto scorrere febbrilmente gli occhi tutt'intorno, la ragazza deglutì sonoramente, rendendosi conto di avere la bocca asciutta. Con voce impastata e il viso viola per l'imbarazzo ringraziò il signore per l'interessamento e chiese scusa agli altri passeggeri inchinandosi più e più volte, molto profondamente. Mentre tornava a sedersi, o meglio, a sprofondare nel suo sedile desiderando di sparire, le parve anche di sentire una vecchietta sibilare all'amica qualcosa tipo "questi occidentali megalomani non hanno rispetto!". Sbuffando, si accucciò e raccolse le gambe al petto appoggiando i talloni al bordo del sedile, poi affondò con il viso tra le mani: lo sentì bollente di vergogna. Non era la prima volta che le accadeva di fare quegli incubi. Era tutto talmente vivido nella sua testa che sentiva persino le tempie pulsare al ricordo del dolore. Non le era mai successo, però, tanto spesso come ultimamente. In quegli ultimi due mesi si era quasi abituata all'idea di non dormire la notte ma mai prima di allora quegli incubi l'avevano raggiunta anche durante le sue pennichelle diurne.

«Sei troppo stanca, Jin!» ripeté a sé stessa, premendo con i palmi sugli occhi e sulle guance.
«Devi rimanere concentrata. Questo è il tuo giorno, qui si decide tutto il tuo futuro: non hai aspettato altro nella tua miserabile vita!» esclamò annuendo con rinnovata determinazione, ignorando lo sguardo infastidito del suo vicino di posto. Passarono ancora pochi minuti e, quando le porte dell'autobus si aprirono, la ragazza di nome Jin scese trafelata assieme a un mucchio di altre persone, per il 90% ragazzine. Nonostante i suoi lineamenti palesemente occidentali non sembrava spiccare in mezzo alla folla. Non era alta, anzi, era bassa persino per la media orientale, e non poteva certo vantare una lunga chioma di capelli dorati. A dire il vero, non fosse stato per i grandi occhi di un verde talmente strano e brillante da tendere quasi al giallo, sarebbe stato facile confonderla con una qualunque ragazza coreana. Con aria crucciata Jin spinse in su gli occhiali che tendevano a scivolare lungo il nasino dritto e minuto, prendendo un bel respiro prima di iniziare a farsi largo attraverso la calca. Erano le nove e mezzo di mattina e fuori dallo Stadio Olimpico era già il delirio. Tutta la Corea attendeva quel momento, doveva aspettarselo. Abbassando lo sguardo sulla sua vecchia borsa di cuoio sdrucita, la ragazza si mise a rovistare alla ricerca del cellulare, quindi compose un numero a memoria e si mise in attesa di una risposta. Dall'altro capo del telefono giunse un urlo, subito riecheggiato dal grido infastidito di Jin stessa:
«YAH! Jungwon-ah, mi hai fatto prendere un infarto! Aspetta domani per assordarmi! Dove sei?» Con aria assorta si mise a far scorrere lo sguardo attorno a sé, grattandosi il capo con la mano libera.
«Vaaaaa bene, aspettami lì!»

Molte spinte dopo era sotto all'ingresso dello stadio. Un giovane e limpido sole stava illuminando i cinque grossi cerchi colorati, simbolo delle Olimpiadi, stagliati proprio sopra di lei, sulla facciata dello stadio. Con un mezzo sorriso Jin notò che stava scintillando proprio sul cerchio blu, in quel momento. Quando abbassò lo sguardo la vide.
La salutò con la mano, da brava occidentale. Jungwon, dall'alto del suo metro e settantatre, l'aveva notata già da un po' e la stava guardando stranamente accigliata.

«Dov'è il blu?» chiese non appena Jin fu a portata di voce.
«Mh? EH?!» con orrore Jin si guardò il vestito: aveva optato per indossare un abitino di pizzo bianco molto carino e innocente, dimenticando totalmente di aver deciso assieme all'amica di vestirsi entrambe di blu per l'occasione.
«Sei stata tu a proporlo!» esclamò Jungwon, incrociando le braccia tra loro come faceva sempre quando era arrabbiata. «Ora io sembro una deficiente mal vestita e tu la classica ragazza dolce e remissiva che qualunque uomo desidererebbe!» Jin deglutì imbarazzata. Bastava sentire l'amica parlare per capire che non era la classica ragazza coreana di buona famiglia. Aveva una spruzzata di sangue italiano nelle vene, infatti.
«Chi a differenza tua non può vantare uno stacco di coscia allucinante e un fisico da modella di intimo, deve puntare sulla tenerezza! Qualunque coreano sano di mente rivedrebbe subito le sue priorità alla vista di questi pantaloncini blu...» replicò Jin borbottando. I complimenti sembrarono sortire qualche effetto perché quando Jungwon parlò di nuovo la sua voce si era decisamente ammorbidita.
«Hai detto bene, sano di mente! I Super Junior sono tutto tranne questo...»
«I Super Junior? Punti davvero così in alto?» si ritrovarono entrambe a sorridere come due liceali alla prima cotta.
«Eonnie, non ci credo che siamo davvero qui!» ammise infine Jungwon e i sorrisi di entrambe si fecero se possibile più radiosi. Si abbracciarono. Jungwon aveva una presa stritolatrice. Quando Jin sentì di poter respirare di nuovo, si fece indietro e prese l'amica per mano, facendo un respiro profondo. Tutto qui: sembrava una ragazza come tante altre, ordinaria, con sogni ordinari, pensieri ordinari. Nulla in lei era fuori dal comune, almeno apparentemente. Una banale ragazza di 23 anni, in Corea per lavoro.
«Ok, oltre quelle porte c'è il concerto più importante della nostra vita, pronta?!» La risposta di Jungwon giunse senza la minima esitazione. Tuttavia la ragazza di nome Jin non poté concentrarsi su di essa a lungo perché venne strattonata. Una spinta violenta la scaraventò in avanti, sentì qualcosa aggrapparsi alla sua vecchia borsa e, per lo stupore, se la lasciò sfuggire di mano prima ancora che potesse accorgersene. Iniziò tutto così: con uno scippo di fronte allo Stadio Olimpico di Seul. Allora Jin non aveva idea di cosa quell'unico evento avrebbe portato con sé. Sembrava una ragazza come tante. Non poteva vedere, non poteva capire le cose nella loro interezza. Non seppe mai chi fu a derubarla di tutti i suoi averi, quel giorno. Se solo lo sapesse, di certo oggi, lo ringrazierebbe con tutto il cuore.

  
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