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Autore: Mary West    08/10/2012    6 recensioni
Un evento incredibile sconvolge la vita tranquilla di Tony Stark e lui si sentirà più solo e distrutto che mai proprio nel momento in cui il mondo ha bisogno di Iron Man più che mai prima d'ora. Un arrivo dal passato, un nuovo nemico da sconfiggere, amicizie indistruttibili e l'amore più puro fanno da sfondo all'avventura del secolo e tra litigi, notti insonni, travestimenti e bugie gli Avengers si riuniranno ancora.
Lei annuì e tornò ad accarezzargli la mascella, senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi perfetti.
«Baciami» sussurrò adorante. «Tutta la notte.» Lui sorrise e la accontentò.
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Pepper Potts, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'You'll find that life is still worthwhile, if you just smile'
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Kiss me all night

 





Capitolo I
Pretty big liars 




Era piuttosto tardi, quella mattina del primo Lunedì del mese piovoso e freddo.
La sveglia era suonata almeno mezz’ora prima e Tony, che aveva brillantemente deciso di ignorarne il richiamo, ora ne pagava le conseguenze. Al primo squillo, petulante e fastidioso, aveva allungato una mano con fare irritato e indispettito e aveva staccato l’allarme in un mugolio insonnolito; poi, si era voltato dall’altra parte del letto e le sue braccia si erano di nuovo impossessate dell’esile vita di Pepper, mentre le sue labbra avevano cercato il suo volto. Pepper aveva sussurrato qualcosa, con la voce ancora impastata di sonno e gli occhi chiusi, a proposito di una riunione importante, ma Tony aveva scosso la testa e l’aveva avuta vinta. Così erano rimasti a letto per molto altro tempo, prima che Jarvis avesse ricordato al padrone l’incontro allo S.H.I.E.L.D.; e allora Tony era scattato dal letto, abbandonando malvolentieri il tepore del letto e del profumo di Pepper a conciliargli il sonno, e aveva cominciato a correre per la casa alla ricerca di vestiti, accessori e documenti. La riunione importante di cui la sua dolce metà gli aveva parlato poco prima era fissata per le nove e mezza; alle dieci meno un quarto, Tony era ancora in giro per la villa a spostare oggetti di ogni genere e tecnologia, cercando disperatamente le chiavi della sua Jaguar blu notte.  
“Finalmente!” esclamò infine, estraendo il prodotto tanto desiderato dal fondo di un cassetto. Intascò il mazzo nel giubbino di pelle e si avvicinò al letto un’ultima volta per posare le sue labbra su quelle di Pepper.
“Ci vediamo stasera” le soffiò dolcemente. Lei annuì, ancora assonnata, e ricambiò il bacio, premurosa e accogliente. Tony sospirò, perdendosi in quell’estasi infinita, e fece per riappropriarsi di nuovo di quel contatto, quando le dita di Pepper gli sfiorarono il viso.
“Non sei in ritardo?” gli sussurrò sorridendo. Lui sorrise e scosse la testa.
“Non pensare di cavartela così. Ti chiamo più tardi” le scoccò un altro bacio e fuggì dal garage. Mise freneticamente in moto il suo ultimo giocattolino e si godette a pieno il rombo feroce sull’asfalto bollente, mentre il sole gli colpiva raggiante di calore il viso coperto dagli occhiali scuri. Giunse a destinazione con poco meno di un’ora di ritardo, il che era davvero un grande successo date tutte le disavventure che aveva dovuto affrontare quella mattina, ma si aspettava senza dubbio una ramanzina da Nick, che avrebbe vertito sulla mancanza di senso di responsabilità e d’integrità e che si sarebbe senz’altro conclusa con una speranza di cambiamento da parte del diretto interessato. Rassegnato al suo destino, Tony parcheggiò l’auto proprio di fronte alla sede principale dello S.H.I.E.L.D., stridendo i freni sulla strada scura, incurante di dettagli come i divieti di sosta e il colore delle strisce sull’asfalto. Sorridendo entusiasta del suo ultimo acquisto, estrasse la chiave dal quadro e scese con disinvoltura dalla macchina, camminando con il suo passo scanzonato verso l’entrata dell’edificio. Aveva appena raggiunto l’ascensore, quando notò la prima stranezza: molti agenti, vedendolo varcare la soglia, avevano cominciato a fissarlo con espressione preoccupata e a confabulare fra loro con fare circospetto. Cercando di ignorare l’attenzione di cui era soggetto e alla quale era anche piuttosto abituato, raggiunse il quarto corridoio dell’ultimo piano e percorse la strada verso la stanza in cui solitamente avevano luogo gli incontri con Nick e gli altri Vendicatori. Fuori dalla porta della suddetta stanza, Tony notò la seconda e la terza stranezza: sapeva bene per esperienza personale che, ogni qual volta uno dei suoi paladini si presentava in ritardo alle riunioni, Nick si appostava fuori dalla camera, pronto per iniziare la sua paternale sull’importanza delle regole e degli orari, che poi continuava per almeno un’altra ora dal momento d’inizio – Tony ne era pienamente a conoscenza essendosi trovato, in più di un’occasione, soggetto a tali prediche morali e patetiche – e quel giorno non solo Nick non era fuori dalla stanza ad aspettarlo, con un’espressione corrucciata che, anche se non poteva vederlo, Tony sapeva bene coinvolgeva anche l’occhio bendato, ma c’era Phil.
“Coulson! Ehy, che ci fai qui? Nick ti ha messo a fare la sentinella?” chiese scherzoso.
Phil lo avvistò subito e Tony non poté fare a meno di notare un suono stridulo nella risata che seguì che tradiva un certo nervosismo di fondo; ma non ci prestò molta attenzione.
“Stark! Finalmente, pensavamo non venissi più…” rispose lui e Tony ebbe la vaga impressione che quasi se lo augurasse. Sbatté le palpebre perplesso, poi scosse la testa e allungò la mano verso la maniglia.
“Sarà meglio entrare. Fury sarà già fuori di testa” disse noncurante, ma Phil lo bloccò.
“Oh, no. Non è il caso” insistette e di nuovo Tony pensò che sembrava davvero strano.
“Oddio, Coulson” disse rendendosi conto all’improvviso di quale fosse il problema. “Non dirmelo.”
Phil lo guardò perplesso, strabuzzando gli occhi e stringendo le labbra in un’espressione che Tony giudicò piuttosto imbarazzante, oltre che assolutamente stupida.
“Cosa?” chiese curioso.
“Fury. È in ritardo” replicò Tony con ovvietà e capì perché non voleva che nessuno, in particolar modo lui, lo sapesse. Insomma, sarebbe stata come una legittimazione a violare quelle regole che tanto amava calcare nei suoi ridicoli discorsetti pantomimici dopo anni di lavoro infinito e sudato.
“No!” esclamò Phil e Tony aggrottò di nuovo le sopracciglia.
“Allora perché? Se Fury è dentro, sarà meglio che lo sia anch’io.”
“No, Tony, sul serio” replicò Phil, cercando ancora una volta di frapporsi fra lui e la porta.
“Ma perché? Sembri così strano… o mio Dio, è per la violoncellista, non è vero?” chiese, ora certo e anche molto compiaciuto di esser venuto a capo della questione. “La tua è un’evidente reazione post traumatica ad una situazione sentimentale confusa e ad una frustrazione sessuale di quarto grado. È chiaro che questa donna non può darti quello che cerchi… insomma, non è in grado di suonare il tuo violoncello” spiegò con aria professionale e accurata, ignorando del tutto i gemiti di Phil che, rosso di vergogna e imbarazzo, cercava di interromperlo per negare la questione e riportarla su un territorio più accessibile e meno imbarazzante. “Lo so, lo so, non fare quella faccia: io non dovrei saperlo, è vero. Ma tu l’hai raccontato a Pepper e noi due ci diciamo tutto. Checché ne dica Capitan Padella, la nostra è una relazione seria, fondata su basi solide quali la sincerità e la fiducia. E ovviamente l’aiuto reciproco. E il sesso. E l’igiene. Ma lui è solo invidioso… in tutta la sua lunghissima  e inutile vita, ha avuto meno appuntamenti di Frodo Beggins in quel film dei liceali drogati con i professori alieni…. Comunque, tornando alla tua situazione, il mio consiglio è di lasciar perdere questa donna poco pratica di strumenti potenti come il tuo e di trovarne un’altra… magari una trombettista!” continuò sull’onda dell’entusiasmo, scambiando il colorito viola sul quale si era stazionato il volto di Phil, ormai rassegnato, per eccessivo entusiasmo represso e infinita riconoscenza. “Ne conosco un paio che farebbero al caso tuo, dei tempi infelici in cui il mio cuore non aveva ancora trasmesso al mio cervello il mio amore per Pepper… tipo Katy o Isabel. Sai, le trombettiste sono davvero aggressive” concluse soddisfatto e stava per estrarre il telefono dalla tasca con l’intenzione di chiamare Rhody, quando finalmente la porta si aprì e ne uscì Barton.
“Coulson, che diavolo è tutta questa confusione? Stiamo discutendo di cose importanti qui dentro, tipo la salvezza del mondo, mica di quello che mangeremo per pranzo” disse seccato e stava per rientrare quando il suo sguardo si posò con terrore sul volto di Tony.
“Siete in riunione? Senza di me?” chiese quest’ultimo indignato e afferrò con decisione la maniglia, spalancando la porta ed evitando gli ostacoli dei due agenti. Una volta entrato, sorrise compiaciuto. Il suo sguardo corse veloce per la stanza e notò la quarta e, per fortuna, ultima stranezza.
Attorno al tavolo a cui si sedevano solitamente i Vendicatori per discutere di cose importanti quali, per l’appunto, la salvezza del mondo, erano già seduti tutti, da Nick all’agente Romanoff, da Banner e Thor a, con sommo disgusto di Tony, la Bella Addormentata fra i Ghiaccioli; ma la cosa più strana era che, oltre al posto di Barton accanto a Nick, non ce n’era nessun altro libero, il che significava che il suo era già occupato. I suoi occhi si strinsero, pensierosi, e ripercorsero la stanza: sulla sedia fra Bruce e Natasha, esattamente dove era solito sedersi lui, era seduto un uomo adulto, maturo, dalla chioma scura e un paio di eleganti baffi neri. Aveva un volto criptico, tipico di chi volesse nascondere i propri pensieri e le proprie sensazioni, e una fronte intelligente. Sopra il naso serio e pronunciato, luccicavano ansiosi due occhi color nocciola dal taglio raffinato e Tony pensò che assomigliassero incredibilmente ai suoi. Sentì il respiro bloccarsi senza motivo e, prima che potesse rendersi conto di qualcosa, avvertì la riserva d’aria tagliarsi del tutto. Automaticamente, fece un passo indietro.
“Che sta succedendo?” chiese in un bisbiglio. Aveva la salivazione azzerata e improvvisamente la testa aveva cominciato a girare. O mio Dio.
“Tony” incominciò Nick e gli venne incontro, alzando le braccia come per tranquillizzarlo. “Stai calmo.”
Tony aprì la bocca, indignato, ma non ne uscì alcun suono, così la richiuse.
“Oddio” sussurrò sconvolto. “Stai scherzando, non è vero?” domandò incredulo. “Non può essere vero.”
“Volevamo dirtelo… ma non pensavamo che sarebbe stata una grande idea fartelo sapere in questo modo. Ti abbiamo chiamato per rimandare, ma tu non hai risposto e pensavamo non venissi” si giustificò Nick e fece per poggiargli le mani sulle spalle, ma Tony si scansò.
“Lasciami stare” disse secco e arretrò ancora.
“Tony.”
Sentire il suo nome pronunciato per la prima volta dopo vent’anni da Howard Stark era davvero agghiacciante. Fece un altro passo indietro e improvvisamente si sentì piccolo e insignificante.
“Dobbiamo parlare” continuò e anche lui gli venne incontro. Tony sbatté le palpebre, quasi come se volesse assicurarsi che tutto quello non era un sogno o un’allucinazione o la conseguenza delle melanzane che Pepper aveva preparato la sera prima. Tenne gli occhi chiusi per una manciata di secondi e respirò profondamente; quando li riaprì, sia Howard che Nick erano ancora davanti a lui.
“Maledizione!” sibilò irritato.
“Tony, calmati” calcò Nick e gli afferrò un braccio, per trascinarlo verso il tavolo. Tony si districò subito dalla sua stretta e arretrò ancora; ormai era di nuovo alla porta. Strinse le labbra, indeciso, e i suoi occhi vollero di nuovo ispezionare la situazione.
Ora Natasha e Bruce erano entrambi in piedi e sui loro volti erano dipinte espressioni serie e indecifrabili; alle sue spalle, poteva sentire i respiri di Coulson e Barton, che tenevano gli occhi bassi e le mani infilate nelle tasche dei completi scuri; Nick era davanti a lui, con il viso contratto dall’ansia e l’impazienza e un passo dietro di lui Howard lo fissava quasi severo, lo sguardo rigido che gli aveva sempre rivolto; infine, l’unico ancora seduto, c’era Rogers, che spostava l’attenzione da Howard a Tony con aria di sufficienza e biasimo.
“Sarà meglio che vada” disse dopo un’eternità di silenzio. “Scusatemi per aver interrotto la vostra riunione.”
Respirò di nuovo, ma l’aria ormai sembrava essersi impregnata di quella tossicità dovuta all’assurdo evento che si consumava nella stanza. Decise che avrebbe trattenuto il fiato fino a quando non si sarebbe ritrovato fuori quel maledetto edificio; si voltò e fece per raggiungere la porta, quando Howard parlò ancora.
“Anche tu devi partecipare” disse in tono pacato e Tony detestò profondamente quel tono pacato perché era oltremodo assurdo che si rivolgesse a lui come se nulla fosse successo, come se non ci fosse nulla di cui preoccuparsi, come se non fosse passato un giorno dall’ultima volta che l’aveva sgridato perché lui aveva preso senza permesso un’altra delle sue attrezzature straordinarie.
“Stavolta credo che passo, grazie” replicò freddo e strinse i denti per non urlare. Ringraziò la sua disattenzione per aver dimenticato l’armatura a casa, altrimenti non ci avrebbe pensato due volte prima di indossarla e volare via dalla porta a vetri, distruggendo più finestre possibili.
“Lascialo stare, Howard. Tuo figlio non è una persona con cui puoi parlare civilmente.”
Aveva cercato di essere civile e di rimanere nei limiti del consentito fino a quel momento, anche se stava davvero trovando difficile reprimere tutta la rabbia che lo prendeva in quel preciso istante, rimanere calmo quando il suo più grande istinto era di fare a pezzi tutto e tutti, esattamente come si sentiva lui: lacerato. Ma quando percepì la voce superficiale di Rogers graffiargli le orecchie, con quel suo tono altezzoso e di biasimo, non pensò più. Ritornò sui suoi passi e lo incenerì con lo sguardo.
“Stanne fuori, Rogers. Nessuno ha chiesto il tuo intervento, quantomeno che tu in questa situazione non centri assolutamente niente e so che la tua frustrazione di essere costantemente fuori luogo ti spinge a inserirti dappertutto, ma resta fuori perché stavolta non scherzo” pronunciò in un ringhio basso e minaccioso.
“Non credere che abbia paura di te, Stark” replicò Rogers e già era di fronte a lui, con la mano che impugnava la presa sullo scudo. Tony lo guardò e scoppiò in una risata beffarda e vuota.
“Vorresti attaccarmi, Rogers? Ancora? Credevo si fosse capito che non sei all’altezza. Soprattutto con quella tua stupida padella” ribadì incurvando le labbra in un sorriso disgustato.
“Non è una padella” intervenne perplesso Howard. “È uno scudo di vibranio capace di assorbire qualsiasi energia cine-…”
“Grazie, non ci serve una lezione di fisica nucleare!” esclamò Tony, ormai vicino all’esasperazione. “Falla e lui, non sono io che non conosco neanche l’esistenza di un telefono!”
“Certo che la conosco!” riprese Rogers e brandì lo scudo con tanta forza da farne vibrare la superficie con un rombo metallico. Howard lo fermò stringendogli una spalla.
“Lascia stare, Steve” gli sussurrò con fare tranquillo. Tony scattò.
“Dio Santo!” urlò senza riuscire a trattenersi. “Non ci posso credere, non ci posso credere! Tutto questo è… è… è assurdo e io non voglio averci niente a che fare. Sai una cosa? Ascolta il tuo amico, dato che siete così legati visto che perfino tu sapevi e io no, e tieniti stretta la tua padella! Io mi chiudo fuori, signori.”
Si voltò deciso per l’ennesima volta ma con la ferma intenzione di non tornare più sui suoi passi.
“Tony, fermati!” lo richiamò Nick. “Non girare le spalle a tuo padre e ai tuoi amici.”
Tony si fermò un istante, ma non fece più dietrofront. Sentiva il sangue ribollirgli frenetico al cervello, con tanta forza che sembrava premere su ogni lembo di pelle per scoppiare.
“Ti sbagli. Voi non siete miei amici o io avrei saputo la verità prima che mi si sbattesse in faccia in questo modo. Solo perché abbiamo salvato il mondo insieme, non significa che usciremo come un’allegra comitiva tutti i Sabati sera. E lui” aggiunse rivolgendo a Howard un’espressione di delusione e stanchezza. “Lui non è mio padre.”
“Tutti sbagliano, Tony. Anche i padri” replicò Howard.
“Non è così” ribadì Tony e si maledì per quell’incrinatura malinconica che sporcava la sua voce perfetta. “Perché ti assicuro che se io avessi un figlio, l’ultima cosa che farei è comportarmi con lui nel modo in cui tu ti sei comportato con me. Gli vorrei bene in qualunque caso e lo stimerei sempre e, soprattutto, farei in modo che lo sapesse.”
Finalmente la sua mano raggiunse la porta e con molta più foga di quanta ne avesse avuta prima nell’aprirla, la richiuse alle sue spalle. Per un istante, rimase con la nuca poggiata sull’uscita, respirando aria pura; poi cominciò a correre.
 

*

 
Era quasi ora di cena quando Tony tirò il freno della sua Jaguar blu notte, parcheggiandola nel suo garage fra la Porsche gialla e la Rolls Royce nera metallizzata. Camminò a passo lento lungo le scale che conducevano al primo piano ed entrò nel salotto. Gettò di malomodo il giubbino su una poltrona e osservò la luce fioca che proveniva dalla cucina: riusciva a sentire la voce di Pepper canticchiare fra sé, il morbido frusciare delle sue mani tra i fornelli, il dolce profumo del cibo sul fuoco e, per la prima volta da quella mattina, sorrise.
“Tony?”
Stanco per l’estenuante giornata appena conclusa, Tony si lasciò cadere sul divano, poggiando le gambe su un bracciolo. Pepper fu subito da lui.
“Ehy” gli disse dallo stipite della porta. Tony alzò il viso e la guardò: indossava una camicetta bianca e un paio di pantaloncini di jeans molto corti, con sopra un grembiule da cucina. I capelli ramati le scendevano sulle spalle in parte scoperte e non portava le scarpe.
“Ehy” replicò lui sorridendo. Lasciò scorrere gli occhi su di lei e un sospiro gli sfuggì dal naso, mentre lei lo raggiungeva davanti al divano. Gli lasciò tre minuti, poi incalzò.
“Cos’è successo?” gli chiese e Tony fu contento di non sentire nella sua voce nient’altro se non la sua solita serenità.
“Perché dovrebbe essere successo qualcosa?” chiese lui di rimando ed evitò gli occhi di Pepper perché sapeva che non sarebbe mai stato capace di mentirle guardandola negli occhi.
“Be’” replicò lei scrollando le spalle. “La riunione doveva finire tardi, questo me l’avevi già detto, quindi presumo che ci fosse qualcosa di importante da discutere. Hai un’aria davvero provata, in più” e cercò i suoi occhi con insistenza. “Fury ha chiamato sei volte per sapere se eri tornato. Naturalmente, non gli ho domandato niente” aggiunse con un pizzico di superiorità e Tony colse il sentimento, malcelato, di astio che la sua dolce metà provava nei confronti del capo dello S.H.I.E.L.D. “ma ho detto a Jarvis di controllare la tua posizione e sei stato sulla spiaggia di Los Angeles oggi pomeriggio e ci vai solo quando sei davvero sconvolto. Non ti ho chiamato perché pensavo volessi rimanere solo” concluse e lo guardò stavolta con preoccupazione. Tony abbassò il viso e pensò.
“Bene” disse paziente Pepper. “Mentre tu decidi se dirmelo o meno, io finisco di preparare la cena.” Si allontanò dal divano, accarezzandogli delicatamente una guancia, e ritornò in cucina. Tony la seguì con lo sguardo e rimase a fissare la porta della stanza attigua.
Certo che era provato. E turbato. E anche sconvolto. Quello che era successo quella mattina l’aveva assolutamente lasciato senza parole e si era davvero sentito mancare la terra sotto i piedi. Insomma, tutto ciò per cui aveva combattuto in vent’anni di vita si era rivelato falso; non solo, proprio nel momento in cui aveva deciso di accettare non solo la morte ma anche l’atteggiamento che suo padre – ed era ancora incredibile poterci pensare in quel modo – aveva avuto nei suoi confronti durante tutta la sua vita, lui si ripresentava lì, rivelandosi per quello che era veramente: un bugiardo, e un genitore mancato. Non poteva neanche definirlo davvero pessimo perché Howard non era mai stato un padre: quando Tony era nato, lui lavorava ancora per l’esercito e tutta la sua attenzione era concentrata nella ricerca di una soluzione per trovare quell’idiota con la padella che si era ibernato da solo. Negli anni successivi, era passato a lavorare in modo sempre più assiduo per le Stark Industries e Tony era rimasto ancora una volta in secondo piano: il figlio di Howard Stark doveva essere geniale e Tony non era mai troppo intuitivo, troppo brillante, troppo rispettoso per lui. Quando era morto, Tony si era ritrovato da solo e l’assenza della madre era stato uno scoglio molto più arduo da valicare perché lei si era occupata di lui, sempre; nulla a che vedere con il magnate delle armi, il primo eroe della guerra americana, uno degli inventori della bomba atomica, per il quale l’unico interesse era scolpire il proprio nome a fuoco nella storia. Quanto contava un figlio? Un figlio a cui non aveva mai detto di voler bene, di stimare, che aveva mandato con gioia in collegio? Quanto poteva un video di pochi secondi colmare anni di maltrattamenti e indifferenze? Di bugie.
Fingere di essere morto era stato davvero l’apice. Tony conosceva abbastanza l’ambiente per sapere che poteva succedere che una persona ritenuta morta da tutti fosse viva – insomma, la Bella Addormentata fra i Ghiaccioli ne era l’esempio lampante – ma la chiara mancanza di stupore da parte di tutti men che sua era un dato da non trascurare. Nel caso non avesse potuto comunicare con nessuno, allora avrebbe capito; ma la situazione scomoda e imbarazzante in cui si era ritrovato quella mattina aveva indicato tutt’altro: lui era l’unico a non sapere e a giudicare dall’espressione sul volto di Howard non sembrava affatto una cosa a cui attribuire troppa importanza.
Certo, perché no? Aveva Capitan Padella, il superpotenziato o quello che diavolo era diventato a botte di iniezioni di siero nella sua zucca vuota. Che facessero pure gli amiconi rievocando insieme i ricordi lieti di quando trascorrevano amabilmente le loro giornate a farsi bombardare dai Nazisti. E dire che gli aveva persino regalato la padella; Tony ricordava bene come l’unico regalo che Howard avesse mai fatto a lui fosse stata una caramella gommosa. Ed era suo figlio.
Un sospiro più pesante degli altri gli sfuggì dalle labbra e scosse la testa.
“Hai fame?”
La voce di Pepper lo richiamò alla realtà e lui sorrise di nuovo.
“Certo” replicò e si sedette di fianco a lei sul tappeto del salotto, chinandosi sul tavolino basso dove lei aveva predisposto tutto. Perfetta, come sempre.
Mangiarono tranquillamente, parlando di cose superficiali e Tony apprezzò infinitamente come Pepper riuscisse a capirlo così bene, come gli desse tempo, nonostante soffrisse a sua volta vedendo lui soffrire senza neanche saperne il motivo. Aveva pensato a lei per tutta la giornata. Immediatamente dopo la riunione disastrosa, era salito in macchina e aveva imboccato la strada per Los Angeles, con la ferma intenzione di rimanere solo e magari di cogliere l’occasione e affogarsi. Poi aveva concluso che lui era Iron Man e che non avrebbe concluso proprio niente in quel modo; si sarebbe solo bagnato i vestiti appena stirati e gli dispiaceva dover mandare di nuovo Happy, che aveva acquisito quella mansione dopo la promozione di Pepper, in tintoria. Una volta smontato dalla Jaguar, però, si era sentito più solo che mai e l’unica cosa che aveva sentito di volere accanto a sé era Pepper. Così aveva imboccato di nuovo la strada per Malibu ed era tornato a casa.
Aveva appena ingoiato l’ultimo boccone, quando le prese la mano e la trascinò al divano. Lei si sedette, liberandosi del grembiule, e lui si stese poggiando la testa sulle sue gambe. Giocava con le sue dita intrappolate in una mano.
“Alla riunione… c’era Howard.”
Pepper non disse niente e Tony la guardò. Nei suoi occhi, intravide un pizzico di incredulità, turbamento e poi preoccupazione. Sentì la mano libera cominciare ad accarezzargli i capelli.
“Com’è possibile?”
“Non lo so, non chiedermelo. Me ne sono andato” replicò scrollando le spalle.
Pepper annuì e Tony chiuse gli occhi. Non era la prima volta che si stringevano così, anzi c’erano state innumerevoli occasioni in cui il contatto era stato molto più approfondito, e non era neanche la prima volta che Pepper lo vedeva in uno stato simile, quasi indifeso, ma non avevano quasi mai parlato di Howard. Pepper aveva sempre saputo che non era un argomento di cui lui parlasse volentieri e l’unica occasione in cui ne avevano discusso era stato dopo il rinnovamento del cuore di palladio grazie ad video di Howard stesso.
Non disse niente, voleva aspettare che fosse lui a parlare.
“Mi sento a pezzi” bisbigliò in un sospiro triste e Pepper scosse la testa, socchiudendo gli occhi. La sua mano continuava instancabile ad accarezzargli la fronte.
“Lo sapevano tutti, sai? Tutti… perfino Capitan Padella. Era ridicolo. Volevo prendere a pugni tutto. Non riesco a capire nulla… non capisco come non abbia potuto dirmelo.”
“È normale che tu ti senta così” disse lei paziente. “Ti senti deluso, amareggiato, dispiaciuto. E hai ragione.”
“Che devo fare?” le chiese stanco.
“Aspettare” rispose lei pronta. “Sei davvero sconvolto. Hai bisogno di un po’ di tempo per assorbire la notizia e renderti seriamente conto della situazione. Devi darti l’opportunità di comprendere come stanno le cose e di decidere se vuoi sapere il passato. Aspetta qualche giorno e deciderai se voler dare una possibilità ad entrambi.”
Tony rise e scosse il capo.
“Come fai ad avere sempre ragione?” le chiese divertito.
Lei sorrise di rimando e si fece più vicina.
“Sono la ragazza di Iron Man” replicò soddisfatta. Lui annuì, compiaciuto.
La ragazza di Iron Man… suona bene, signorina Potts.”
Pepper sorrise ancora, poi si fece di nuovo seria.
“Comunque davvero: prenditi un po’ di tempo e decidi se vuoi sapere la verità.”
“Tu lo vorresti?” le chiese titubante.
Aveva pensato molto a quella domanda tutto il pomeriggio. Sapeva bene che Pepper, proprio come lui, si era trovata sola al mondo sin da piccola, e non avrebbe voluto rievocarle dolore con quella domanda. Tuttavia, aveva bisogno di consigli e non esisteva persona al mondo di cui si fidasse più di lei.
“Be’, quando i miei genitori sono morti, io non avevo rapporti conflittuali con nessuno dei due…” iniziò tranquilla. “Se mi succedesse qualcosa del genere, reagirai male a primo impatto, questo è vero. Ma poi vorrei sapere e mi dispiacerebbe vederti perdere quest’occasione.”
Tony annuì sospirando ancora e pensò che era davvero meraviglioso come potesse essere sempre così sincera con lui. I suoi consigli erano così preziosi ed era fantastico pensare che lei non gli avrebbe mai mentito.
“Vieni qui” le bisbigliò dolcemente e lei gli sorrise, chinandosi verso di lui e le loro labbra si incontrarono. Tony chiuse gli occhi e si lasciò trasportare e fu beato oblio: lei era l’unica cosa davvero reale e autentica al mondo, il suo profumo favoloso e inebriante a fargli girare la testa, le sua dita delicate a sfiorargli il viso, le sue labbra morbide e sempre entusiaste a muoversi armoniose sulle proprie…
“Signore, c’è il signor Fury in linea. Chiede di parlare con lei.”
La voce di Jarvis fu davvero irritante e Tony vagliò seriamente l’ipotesi di prendere la sua scheda madre e immergerla nel succo di clorofilla a tempo indeterminato. Aprì la bocca, in quella cha sicuramente si apprestava ad essere una risposta scortese e molto poco galante, ma Pepper lo anticipò.
“Avverti il signor Fury che non siamo in casa, Jarvis. Non vogliamo essere disturbati stasera. Grazie” rispose adorabile e Tony sorrise ancora. Se il mondo fosse caduto e tutto avesse cominciato a diventare buio e senza speranza, lui sarebbe sopravvissuto in ogni situazione perché lei era la sua luce personale e l’avrebbe illuminato sempre.
“Andiamo a dormire” aggiunse poi e lo trascinò per mano verso la camera da letto.
Tony la guardò, lasciandosi guidare nella stanza laterale, senza riuscire a smettere di ridere e di cercare il suo volto, adorante e ammaliato. Lei rise con lui e ricambiava il suo sguardo, con le guance che arrossivano per l’imbarazzo.
Arrivarono fino al centro della stanza e lei finalmente si girò, gli gettò le braccia al collo e lo baciò come non l’aveva mai baciato. Tony sospirò nel contatto e la prese in vita, rispondendo al bacio e stringendola a sé con forza.
“Perché non vuoi essere disturbata?” le sussurrò, giocando con il primo bottone della camicia. Lei gli lanciò un’occhiata scettica e maliziosa e si aggrappò alle sue spalle.
“Pensavo avessimo lasciato qualcosa in sospeso stamattina. E a me non piace lasciare le cose a metà, soprattutto sul lavoro. Dovrebbe saperlo, signor Stark” lo blandì dolce e lui sorrise ancora.
“Mi ricordi di darle un aumento domani” le soffiò riverente e la baciò di nuovo.

 












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Fatto :)
Dunque, ho questa long in cantiere da un po' e sto circa a metà lavoro, per cui la posto. Sono molto agitata perché è la mia prima storia a capitoli non raccolta che scrivo e mi ci sono impegnata davvero tanto. 
Questi sono i casi in cui non ci sono mai generi abbastanza, perché avrei dovuto metterli quasi tutti: ci sarà fluff, angst, malinconico, romantico, azione, suspence, comico... tutto, insomma. Ho inserito il raiting arancione, invece che il lime o contenuti forti; ci saranno delle scene un po' più spinte - un po' di sex e qualche mazzata -  avviso subito, ma niente di troppo forte, anzi ho cercato di mantenermi abbastanza sul semplice e spero di esser riuscita nel mio intento *paura* 
Non so come mi sia venuta in mente questa storia, ma avevo una voglia pazza di scrivere su di loro e ho pensato ad una situazione simile *-* Mi piace il rapporto che lega Tony, Howard e Steve e non ho resistito alla possibilità di metterceli tutti e tre ;) 
Il titolo è un verso di una canzone che m ha fatto venire in mente la storia - If we never meet again - mentre quelli dei capitoli - e qui mi sono divertita un sacco :D - sono i nomi di famosi telefilm a cui ho cambiato qualche lettera. Insomma, li ho presi e ho fatto qualche gioco di parole - contrari, sinomini, cambio di un paio di lettere. 
Dunque, ancora qualche cosina: 
-Pretty little liars è il titolo originale di un telefilm americano; 
-la storia sarà - credo - di venti capitoli più un epilogo;
-l'allusione alla violoncellista è libera ispirazione ad una battuta nel film. 
Penso di aver detto tutto. Dunque io vi lascio e spero che vi piaccia questo squallido inizio. 
Un bacio e alla prossima!
Mary 
   
 
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