Anime & Manga > Puella Magi Madoka Magica
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Autore: Walpurgisnacht    10/10/2012    3 recensioni
Immagini, pensieri, azioni, psicopatia ambientati prima, dopo e durante la saga che ha rapito tutti i vostri cuori... ehm, portafogli.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Homura Akemi, Mami Tomoe, Nuovo personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Puellaception!'
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Titolo: E tu dove vai a ballare? Attorno a un fosso vuoto?
Personaggi: Mami Tomoe, Akira Ito.
Collocazione: seguito di Imperdonabile Peccatrice?, ambientata X giorni dopo la suddetta storia.
Generi: angst, introspettivo.
Traccia: Intorno a una fossa vuota, orfana. Scritta per la prima sfida della Staffetta in Piscina della Piscina di Prompt.


Questa ossessione finirà col farmi impazzire.
La mia vita ormai ruota attorno a una persona morta. Una persona che ho ucciso senza volerlo. Una persona che avrei preferito avere al mio fianco adesso, viva e possibilmente sorridente.
Kyōko Sakura, mi stai distruggendo dopo che io ho distrutto te.
Finisco di ammassare la terra che ho raccolto sradicando un po’ di piantine e mi asciugo il sudore. Oggi c’è un sole infernale.
Come se servisse la fatica fisica oltre a quella psicologica.
Poi tiro fuori dalla tasca della divisa scolastica il ridicolo torii shinmei che ho intagliato personalmente nelle ultime settimane. Un affarino che sta in una mano, quattro stecchini di legno in croce. Lo pongo con solennità alla cima dell’improvvisata tomba.
So di essere patetica, insulsa, persino svenevole. Lo so bene.
Il fosso vuoto. Rendiamoci conto, il fosso vuoto.
Eppure, per quanto sappia perfettamente che tutto ciò non ha alcun motivo reale per esistere e che dovrei smetterla di torturarmi in questo modo... no, non ci riesco. È come se cadessi in trance e la parte peggiore di me si installasse nel mio cervello, obbligandomi a fare e dire e pensare cose che so non essere vere, ma che nonostante questo non smettono di pesarmi addosso.
È complicato. Assurdo, stupido e complicato.
Immagino di essere l’unica quattordicenne sulla faccia della terra a essere in lutto per una coetanea che lei stessa ha ucciso, in lutto al punto di imbastire questa ridicolaggine.
Mentre sto ancora in ginocchio a rimirare il frutto del mio lavoro sento uno scalpiccio alla mia sinistra. Volto lo sguardo in quella direzione e ci vedo la signora Kagawa che mi osserva a metà fra l’incuriosito e lo scandalizzato.
“Signorina Tomoe... cosa sta facendo?” chiede gentilmente, anche se la sua mimica facciale tradisce tutt’altro che gentilezza.
Ma bene. Ci mancavano i vicini di casa a prendermi per sciroccata.
“Oh, questo” balbetto rialzandomi, rimestando alla ricerca di una risposta soddisfacente “ecco, vede... mi è morto il gatto da poco e ho... sì, ho pensato di seppellirlo qui in giardino”. Le dimensioni perlomeno sono dalla mia.
Che bugia penosa. E tutto il condominio sa che non ho animali domestici.
“Ma lei non ha animali domestici”. Ecco, come volevasi dimostrare.
“L’ho... l’ho preso di recente... era vecchio e mi hanno chiesto se volevo... ecco, sì... se volevo tenerlo per il suo ultimo periodo...”.
“Ah. Sarà” dice, molto poco convinta. Voglio sperare che non le venga mai l’idea di andare a controllare cosa c’è, o meglio non c’è, sotto quel cumulo di terriccio. Per fortuna se ne va quasi subito, evitando altre domande imbarazzanti.
Ma, come si suol dire, piove sempre sul bagnato: da dietro il cancello di ingresso spunta la figura di Akira Ito.
No, perfetto. Sul serio. Proprio chi avevo bisogno di vedere.
Entra con naturalezza, come se fosse casa sua. Le mani in tasca, il ciuffetto che gli copre parzialmente un occhio, lo sguardo annoiato.
“Come mi hai trovata?”. Inutile girare attorno alle domande che davvero mi premono.
Si indica con un dito mentre risponde “Credi di essere l’unica a saper rimediare un indirizzo qui a Mitakihara?” con l’aria più innocente del mondo.
La riconosco. La riconosco. È la stessa rabbia di quella sera, quando l’ho preso a pugni perché se lo meritava.
‘Sto tipo è oltremodo bizzarro. La prima volta che l’ho visto in vita mia mi ha fatto una pena indescrivibile, con quel suo sguardo da cucciolo ferito e l’agitazione montante non appena ho pronunciato il nome di Kyōko; non più di quindici minuti dopo volevo frantumargli tutte le ossa a sprangate perché era riuscito a tirarmi fuori dalla grazia dei kami.
“Cosa vuoi, Ito?”.
“Ehi, cos’è tutta questa aggressività? Volevo solo vedere come stavi. Io, nonostante quel che tu possa pensare di me, ti considero quasi un’amica e agli amici mi interesso”.
“Che onore essere tua amica, guarda. Vedi di svanire, la tua sola presenza mi irrita”.
“Allora temo che dovrai imparare a masticare un po’ di nervoso, cara mia. Ero solo passato a buttare un occhio ma vedo che ti sei data al giardinaggio”.
“Sì, beh. Non sono fatti tuoi”.
“Ah davvero? Com’è che una vocina nella mia testa continua a ripetermi che hai fatto quella piccola scultura in memoria di chisappiamonoi e questo, di riffa o di raffa, li rende almeno in parte fatti miei?”.
“Akira, taci”.
“Oh no, troppo facile. Affronta questa cosa invece di continuare ad affogarci dentro, Mami. Se continui così presto avremo due quattordicenni cad... cadenti” si corregge in corsa perché il signor Fujimoto gli passa dietro e sentire la parola cadavere non sarebbe piacevole per la mia vita in questo palazzo. Meno male che lui ha colto le ampie smorfie che gli ho fatto e ha capito cosa c’era che non andava.
Mi si avvicina e mi sussurra all’orecchio “Da questo momento ogni istanza della parola morte e derivati verrà sostituita da ballo, ok?”.
“Come la canzone Vieni a Ballare in Hokkaidō. Ok”.
Si gira verso il mio altarino improvvisato, lo squadra con disgusto e ci dà un calcio spandendo tutto il mio duro lavoro all’aria. Il torii finisce a testa in giù mezzo conficcato nel terreno.
Scusa? Cos’è che hai appena fatto, tu? Vuoi un’altra scarica di botte?
Guarda soddisfatto il proprio operato. Se non fosse che sono prevenuta nei suoi confronti e tendo a dipingere ogni suo atto e parola come spregevole potrei dire che sta godendo nel profondo.
“Mi dispiace Mami, ma a mali estremi estremi rimedi. Non mi piace particolarmente fare l’iconoclasta ma al momento questo ti serve, questo ti fa bene. E non costruire piccoli loculi vuoti per gente... che ha ballato di recente. Vuoi fare la stessa fine? Basta che me lo dica. Se ciò che vuoi è farti del male fino a ballare non hai che da dirmelo. Dimmelo adesso, chiaro e tondo, e sparirò dalla tua vita lasciandoti al destino che ti stai cercando”.
Ho appena capito cosa mi manda in bestia di costui: la sua capacità di saper colpire al cuore un problema e la sua totale mancanza di ricami, grechine e imbellettature. Sarebbe davvero uno psicologo potenzialmente eccellente ma fattualmente senza clienti, che li farebbe scappare tutti.
Eppure, mettendo per un secondo da parte l'immensa voglia che ho di spaccargli la faccia, non posso negare che percepisco come il suo goffo, maldestro e mal calibrato tentativo di aiutarmi sia sincero. A livello puramente inconscio capisco che lui tiene davvero al mio benessere e che il vedermi contorta in questa infinita spirale di autocommiserazione gli fa male.
E solo uno che non ha tornaconto personale, o al contrario un tornaconto personale fuori scala, si prende un simile rischio sapendo che posso spezzargli le dita una ad una e fargliele ingoiare molto lentamente.
Mi toccherà rispondergli, temo.
“N-No, non lo voglio”. Mi esce più strozzato di quanto volessi.
“E allora piantala di fustigarti con un gatto a nove code infuocato, santo dio. Basta Mami, basta! Basta con le fosse vuote! Basta con i è stata tutta colpa mia! Basta! La gente balla tutti i giorni, voi... ragazze speciali più della media. Mettici una pietra sopra e vai avanti anche per lei”.
Sospiro come se avessi la faccia sopra la ciminiera di una fabbrica. Ha ragione cavolo, ha pienamente ragione. Lascio cadere libere le prime lacrime.
Ehi. Chi mi ha sganciato due o tre chili per gamba?
“Io e te” ammicca con lo sguardo da marpione veterano “non abbiamo una camminata in sospeso? Recuperiamo? Magari possiamo bere qualcosa”. E mi offre il braccetto, un sorriso a ottocentododici denti che potrebbe tranquillamente sostituire tre o quattro pannelli solari.
Ricambio il sorriso e glielo prendo. Si merita una seconda possibilità. Ho dato seconde possibilità a persone molto peggiori di lui.
“Ehi!” arriva la voce del signor Fujimoto da dietro “guardate che anch'io conosco Vieni a Ballare in Hokkaidō”.
   
 
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