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Autore: millyray    13/10/2012    2 recensioni
Sono tutti bravi a parlare dell'amore: un sentimento talmente forte e travolgente da essere in grado di distruggerti.
Quante poesie o canzoni conosciamo che parlano di questo? Tante parole cercano di spiegarlo.
Ma l'amore non può essere spiegato e non ne ha nemmeno bisogno.
L'amore, in realtà, non esiste... esiste la passione, una passione che ti divora da dentro come il fuoco.
L'amore uccide... la passione ti fortifica.
(Oneshot ispirata a Catullo e Lesbia)
Genere: Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
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C’è chi l’amore lo fa per noia, chi se lo sceglie per professione
Bocca di Rosa né l’uno né l’altro, lei lo faceva per passione.
(“Bocca di Rosa”, F.de Andrè)

OTIUM MOLESTUM EST

Dammi mille baci, e ancora cento, poi altri mille, poi ancora cento, poi senza pausa mille, e altri cento.
                                                                                                                                                (Catullo, Carme 5)

Lo amavo? Certo che no. Ma poco importava.

D’altronde l’amore non esiste, è solo un’illusione, un’immensa bugia che gli uomini raccontano a se stessi e ai propri sentimenti per dare più gusto a questa misera e tormentata vita che siamo costretti a vivere, per dare più senso ai giorni che passano lenti e inesorabili, per eliminare almeno una parte della monotonia che ci segue sempre dietro le gonnelle, come un fedele cane che non si stacca mai dal proprio padrone.

L’amore è inganno, è tormento, è un alternarsi di sensazioni ed emozioni che nemmeno gli Dei riescono a capire.

Chi vuole amare è soltanto un masochista e di masochisti ne conosco molti, troppi.

Ma io non sono come loro, io non sono solita farmi del male, indi mi tengo lontana da questa passionale trappola che sembra riuscire ad accecare tutti gli uomini, come se mettesse una benda sopra i loro occhi e li costringesse a seguirla perché altrimenti andrebbero a sbattere contro ogni ostacolo che si trovano davanti, come mosche cieche che non sanno trovare la strada per la liberà e continuano a girare sempre in tondo, disperati, tormentati, ma anche troppo orgogliosi e testardi e forse persino spaventati per togliersi la benda e poter tornare a vedere di nuovo coi propri occhi, vedere quella che è la realtà, una realtà nella quale l’amore non può esistere in quanto fa parte solo delle favole, delle leggende, quelle che si raccontano ai bambini prima di mandarli a dormire.

La Dea bendata non dovrebbe essere la fortuna, dovrebbe essere l’amore. L’amore cieco, l’amore imprevedibile, l’amore illusorio.

L’amore che inganna.

L’amore che ti brucia, che non ti fa vedere, che non ti fa sentire, né dormire, né… pensare.

Perché, perché lasciarsi andare a tutto questo? Perché soffrire per nulla?

Non si dovrebbe, invece, andare alla ricerca di ciò che ci fa star bene? Ma forse, nemmeno il bene, ormai, fa provare tutto questo piacere, forse ci siamo stufati un po’ troppo di questo bene, parte anche esso della nostra monotonia quotidiana.

Io non lo so, non riesco a capirla la mentalità umana e ancor meno quella degli uomini che sono quelli che di più si lasciano travolgere da questo falso sentimento. Non so cosa cerchino veramente le persone, se il bene o se il sentimento travolgente che con l’andare del tempo diventa sempre di più un ago affilato che ti trapassa le vene.

Ma riesco a capire cosa provo io, riesco a capire quello che voglio io. Proprio ora, mentre accarezzo delicatamente con le mani il corpo maschile che si trova sotto di me, un uomo di cui non ricordo esattamente il nome, uno dei tanti visitatori notturni del mio letto, di cui l’indomani resterà solo uno sbiadito ricordo, uno dei tanti da aggiungere alla lista proprio come le date dei giorni che si sommano le une sulle altre, ma che, alla fine, sono sempre le stesse perché i numeri non sono infiniti come le stelle e i giorni sono tutti uguali uno all’altro, monotoni, pieni di noia.

La noia è brutta, non l’ho mai amata. Penso che tutti debbano trovare un modo per combatterla.

Il ragazzo, poco più che vent’enne, sotto di me gemette schiacciandomi il seno e i capezzoli tra le sue dita troppo piccole per riuscire a raccoglierle tutte.

Oh, perché cercare l’amore, perché voler vivere per sempre accanto alla stessa persona quando si può avere questo? Piacere e passione allo stato puro, ogni volta diverso, ogni volta nuovo, ogni volta intenso.

Un uomo non è mai uguale ad un altro e in questo modo non potresti mai stancarti, non potresti mai incappare nella monotonia e nella noia.

Cambiare fa bene, d’altronde, non c’è niente di male nel voler scoprire le novità e, se ci si accontenta sempre della stessa cosa o della stessa persona è come navigare sempre nelle stesse acque: si ritorna sempre alle stesse isole, agli stessi scogli e prima o poi si consumano pure tutti i pesci.

“Clodia”. Sussurrò con voce strascicata il mio fugace amante nel buio della stanza, un buio nel quale le nostre espressioni non potevano vedersi, nascoste da questa scura e spessa coltre che non lasciava spiragli, celando così anche i pensieri o quanto meno, i miei pensieri, perché il ragazzo sdraiato sulle lenzuola sotto di me era stato avvolto dalle braccia sottili e tenaci dell’eccitazione che lo avevano afferrato dal basso ventre, per allungarsi lungo tutto il suo corpo, lungo la colonna vertebrale, fino al suo cervello, obnubilandogli la mente come un ubriaco che non riesce più a pensare a niente a causa degli effluvi dell’alcool. Ma, in questo caso, della passione.

Oh Dei, riuscivo a sentirla, riuscivo a sentire la sua eccitazione in parte anche mia, riuscivo a sentire la sua erezione premere forte contro le mie cosce, il piacere che provava era palpabile anche senza che i nostri corpi si toccassero. Io riuscivo a percepirla. Ed ero felice di questo, sospesa in un limbo di beatitudine e piacere che mi faceva essere orgogliosa di me stessa. Mi piaceva eccitare gli uomini.

Lui continuava a sussurrare il mio nome, il suono della sua voce che si perdeva nel buio della stanza come un’eco lontana troppo debole da poter essere udita. Il mio nome mi era diventato così sconosciuto, come appartenente a una persona che non era nulla, che nessuno conosceva né avrebbe mai ricordato.

Ma io ero qualcuno, io sarei stata ricordata.

Eppure il mio nome mi sembrava aver perso significato, come una parola che viene ripetuta talmente tante volte che non siamo più sicuri se esista o se si dica veramente così e finiamo addirittura per storpiarla.

Il mio nome è stato storpiato, sì, molte volte.

Però, evidentemente per lui ha ancora molti significati, per lui il mio nome deve avere qualcosa di sensuale, il suono di un’arpa, di una lira che ti suona canzoni melodiose, ma che purtroppo durano solo l’attimo in cui le note si consumano. Ed è inutile suonarle un’altra volta, ormai tutti le conoscono e nessuno vorrà più ascoltarle.

Il mio nome, non ha niente di sensuale, non contiene il fascino e il piacere posseduti dalle azioni, dai gemiti, dai sussurri, dai nostri corpi caldi ed eccitati stretti l’uno all’altro consumati soltanto nell’attimo di quella notte.

Come le note musicali.

Fugaci.

Come il mio nome.

Fugace.

Niente amore. Troppo lungo, troppo monotono.

Solo passione.

E la passione c’era, mentre entrambi raggiungevamo l’apice dell’orgasmo.  

 

Passero, delizia della mia donna, con il quale suole giocare affinché così si plachi il suo grave ardore.                                                                                                                                              (Catullo, Carme 2)

Ho sempre amato molto gli uccelli, di tutti i tipi e di tutte le dimensioni. Mi hanno sempre affascinata molto questi animali volatili, così belli, così innocui, innocenti, così liberi. Sì, credo sia proprio questo che mi piace di più di loro, il fatto che siano liberi e che nessuno possa dir loro che cosa fare. Possono volare e andare dove vogliono, fare quello che più desiderano senza dover avere paura delle conseguenze o di quello che gli altri potrebbero dire.

Il cielo è tutto per loro, quell’infinito spazio azzurro dove non c’è mai pericolo che si possano scontrare, dove possono sempre trovare un posto per loro perché tanto è immenso. Loro non si trovano a beccarsi per delle cose inutili, a farsi la guerra, a litigare per del cibo o per il nido. Madre natura ha offerto loro tutto. In realtà, però, ha offerto tutto anche a noi, bisogna solo sapersi accontentare. Ma sembra che da questo punto di vista siano gli uccelli le creature più intelligenti.

Le persone non si sanno mai accontentare, troppo presi dalle loro passioni e da questi assurdi sentimenti che continuano a farti desiderare di più, di più e sempre di più. Non ti permettono mai di accontentarti. La ricchezza, il potere, l’autonomia… l’amore.

Il sesso.

Il sesso è l’unica cosa che tutti possiamo avere in ugual modo, è l’unica cosa che ci appaga veramente e ci rende soddisfatti.

Il sesso e la libertà.

Peccato che molte persone, per non dire tutte, questo ancora non lo hanno capito. Che cosa c’è di male nel lasciarsi travolgere dalle passioni carnali? Non è quello che fanno anche gli Dei?

Oh bella Venere, se mi stai ascoltando, dimmi, che cosa c’è di così affascinante nell’amore? Fa così male, è così noioso, così monotono.

L’amore ti ancora a terra, ti sottopone a costrizioni, a rispettare delle regole, a comportarti secondo certi limiti. L’amore non ti permette di volare, di andare libero come gli uccelli, di lasciarti travolgere dalla passione.

L’amore è tormento.

Passero, delizia dei miei occhi e dei miei giorni, tu solo puoi capire il mio turbamento e i miei ideali su questi assurdi e tormentati sentimenti. Vola alto nel cielo, vola libero, raggiungi gli Dei. Porta loro il mio cuore, tu, che non sarai mai costretto a seguire delle regole.

Le mie mani saranno per sempre il tuo nido quando avrai bisogno di un rifugio.

Odio e amo. Forse ti chiederai perché faccia ciò. Non lo so, però sento che accade e ne sono tormentato.                                                                                                                         (Catullo, Carme 85)

Odi et amo.

Ci risiamo. Non ho mai capito il senso di tutte queste parole, di tutti questi versi che mi sembrano tanto messi a caso.

Sono solo parole, tante parole che non servono a nulla. Le parole sono come le foglie che d’autunno cadono dagli alberi e che vengono sparse al vento, calpestate da tutti, spinte via e rovinate, ma che comunque, sono anche belle da vedere, con tutti quei colori caldi e accesi, belle come i fiori in un mazzolino. Sono belle almeno finché durano, finché non vengono rovinate del tutto e buttate via.

Ecco, le parole sono proprio così, belle all’inizio, appena vengono pronunciate, parole in cui ti perderesti definitivamente e che trovi immense come il cielo e aspre e dolci come una melodia, specialmente se si tratta di versi e poesie. Ma poi, perdono ogni significato, semplicemente perché vengono dimenticate. Le parole non possono essere ricordate per sempre, sono così tante che finiscono per accavallarsi, non sono eterne. Non sono cariche di passioni.

Però, come gli uccelli, volano libere non appena escono dalle nostre corde vocali e si disperdono, trasportati dal vento. E finiscono per non rivedersi più.

Le parole sono come i sentimenti. Un nulla, un inganno, una bugia. Le parole storpiano tutto, anche il mio nome è stato storpiato da esso. E non so più come mi chiamo. Lesbia o Clodia?

Me lo potresti dire tu, Catullo, per favore, come mi chiamo? Tu, che sei tanto bravo con le parole, oh sei tanto bravo. Ma ti inganni perché le parole non ti servono a molto, non ci fai niente.

Ma consolati, non sei l’unico a credere che le parole siano potenti. Sono tutti bravi a parlare, a giudicare, a commentare, criticare e raccontare favole.

Ma nessuno è bravo a guardarsi intorno e accorgersi, piuttosto, dei propri peccati.

Ci sono tante persone che mi sparlano alle spalle, lo so bene e Cicerone prima di tutti. Ma ti sei guardato bene allo specchio, Cicero? Dici tanto che è sbagliato andare a letto con tutti gli uomini, essere infedeli al proprio marito. Ma mio marito è morto e io sono stata costretta a sposarmi. E tu? Non dirmi che tu sei sempre stato fedele come un cagnolino. Dimmi che desideri anche tu fare visita nel mio letto. È così, mio caro, è impossibile resistere alla passione, è come un pezzo di ferro che cerca di resistere all’attrazione di una calamita.

Ah, io ho avuto tanti amanti, non lo nascondo, perché dovrei d’altronde? E non sono assolutamente pentita di questo, potrei fare una lista dei migliori che hanno occupato il mio letto e, rallegrati Valerio, tu sei fra questi. Mi piaci come ti muovi a letto, mi piaci, poeta che incanta le mie notti e arricchisce il mio banale nome di una musicalità dolce da riuscire a sciogliere pure il mio arido cuore.

Solo una cosa non riesco a sopportarti.

Stropicciai il foglio con il carme che mi aveva spedito Catullo quella mattina.

Odi et Amo.

Non odiarmi, mio caro, io ti voglio bene anche se forse non ti sembra. Ma cerca di capirmi, sono solo una donna piena di passione che, gli Dei non me ne vogliano, vuole sfruttare la sua vita al meglio, senza noia e godere dei piaceri che le si possono offrire. Magari ti appaio un po’ capricciosa e incontentabile ed, effettivamente, tutta la nostra storia è iniziata solo per un mio capriccio. Tu, però, avresti dovuto capire che si trattava solo di sesso, anch’esso è un arte e questa dovresti conoscerla bene, anche la poesia lo è. E da questo punto di vista noi due ci intendiamo.

Solo che abbiamo modi differenti di praticarla.

Però, smetti di amarmi. L’amore non esiste, è vano e ingannevole come le tue parole. L’amore ti distrugge, ti accartoccia come ho fatto io poco prima col foglio di carta, come le foglie in autunno che si piegano per il troppo vento.

Sii felice, Catullo, e continua pure a scrivere le tue parole, se ti va. Ma non confidarci troppo, come non confidare troppo nemmeno nell’amore. Pensa a te stesso, prima di tutto, prima delle poesie. Fare poesia è come fare l’amore: non si saprà mai se la propria gioia è condivisa*.

 

 

*Cesare Pavese

MILLY’S SPACE

Hum, salve amici… la fantasia di Milly non si esaurisce mai ^^.

Allora, credo si tratti di una Oneshot un po’ “particolare”. In realtà non è una storia del tutto originale perché i personaggi NON sono assolutamente miei. Chi ha studiato un minimo di letteratura latina saprà certamente che Catullo e Lesbia sono due personaggi vissuti nel VII – VI secolo a. C. a Roma, lui era un famoso poeta che viveva nell’ “otium” e lei la donna della quale era perdutamente innamorato. Lesbia, però, come si capisce anche dalla storia, non ricambiava questo amore, preferendo semplicemente dedicarsi a delle relazioni più “carnali”.
Purtroppo, però, non c’è una sezione dedicata ai personaggi storici in questo sito (che io sappia almeno, ma se così non è vi prego di avvisarmi ^^).

In realtà questa storia l’avevo scritta tempo fa per un compito di scuola e poi, sempre con essa, avevo partecipato anche ad un concorso di scrittura.
Non ho vinto però, il che mi è un po’ dispiaciuto perché devo ammettere che questa è una delle storie a cui più mi sono affezionata, oltre ad essere anche la più elaborata tra tutte quelle che ho scritto (e non mi riferisco solo a quelle pubblicate in questo sito).

Quindi ho deciso di condividerla con voi.
Fatemi sapere cosa ne pensate, magari in realtà è un vero e proprio disastro vista dalla vostra ottica.
E, naturalmente, non dimenticatevi di fare un salto nella mia pagina Facebook per sapere le novità sulle storie di Milly. ^^
http://www.facebook.com/MillysSpace

Baci, baci.

  
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