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Autore: Gaia Bessie    17/10/2012    2 recensioni
Loro ti hanno fatto male, troppe volte per contarle tutte. Eri nell’abisso e loro erano con te, non potevi scappare. Ti trovavi in un labirinto e tutte le vie portavano al mostro. Non c’era modo di fuggire, lo ricordi bene. Eppure, non avevi fatto male a nessuno, mai.
Non sapevi, Annie, che tutti gli uomini sanno comportarsi da mostri.
Stringi fra le mani un vecchio pezzo di stoffa, recuperato da un vecchio cassetto, a casa. Stoffa candida che ha conservato il profumo di Finnick, una vecchia “F” ricamata in blu, in un angolo. Dicono che sia utile annodare i fazzoletti, per non dimenticare pensieri importanti. Un nodo per un pensiero.
Non riesci più a decifrare i tuoi pensieri come una volta: sono troppo veloci per riuscire ad interpretarli, per essere qualcosa di più di quella massa confusa che si offusca, col passare del tempo. Un altro nodo. Due pensieri.
Te lo sei meritato, Annie. Ti hanno spinta giù nell’abisso con le loro risate e tu non sei riuscita ad opporti.
Genere: Angst, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annie Cresta, Finnick Odair, Johanna Mason
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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A Sara, che mi starà detestando.
A Bee, che non se lo aspetta.
Continuo ad essere in ritardo.


 

 

June

Il cuore batte forte, sembra quasi che voglia squarciarti il petto. È insopportabile, un dolore continuo che ti scuote. Ti chiedi se smetterà mai o se, semplicemente, il tuo cuore salterà fuori dal petto e fuggirà via lasciandosi dietro solo una scia di sangue. Sarebbe buffo, non è vero?
Ridi, Annie. Il tempo passa velocemente e lo sai anche tu. Ridi e non sai il perché.
Tuo figlio è fra le tue braccia, ti ha appena regalato quella parola che ti sta facendo scoppiare il cuore. Mamma. Ti ha chiamata “mamma”.
Ha chiamato te “mamma”. Non Johanna. Ha riso e spalancato gli occhi verdemare, riflesso di quelli di Finnick, ed ha pronunciato quella parola. Mamma.
Sorridi, Annie. Sorridi.
È giugno ed il sole riscalda il Distretto, il mare è più azzurro che mai. Il cielo è terso e perfetto, Johanna guarda il mare con aria diffidente.
-Mamma-
Il tuo cuore si scioglie, per colpa di questa parola. Prima così sottovalutata ed ora così necessaria. Come l’aria per i polmoni; vuoi sentire tuo figlio che ti chiama. L’aria si ferma appena ti chiedi cosa succederà quando tuo figlio cercherà suo padre.
Altri bambini corrono sulla spiaggia, le loro madri ti guardano e scuotono la testa, con aria rassegnata. E pensano che tu sia pazza, anche se non hanno il coraggio di dirlo ad alta voce.
Ti alzi lentamente, tuo figlio fra le braccia. Ti guardi attorno, come se ti aspettassi di vedere Finnick che intreccia la sua rete infinita. Solo che non è lì.
Ti chiamano pazza, Annie. C’è un motivo.
Sospiri e ti avvii verso casa, Johanna che ti segue e guarda male il mare. Tutti ti chiamano pazza. Ti chiedi cosa dovrai mai fare per sentire il tuo nome pronunciato ad alta voce.
Camminare senza  ascoltarli è sempre stato difficile, per te. Ti volti sempre all’ultimo secondo, non riesci a non guardare indietro. Per non dimenticare ciò che hai perso.
Una nave scivola sulle onde azzurre. Ogni tanto credi di vedere Finnick che butta la sua rete in mare, a bordo di quella nave che ti tormenta.
Sei sempre stata brava ad illuderti. Giugno è il regno delle illusioni.

 

August (Four years later)

Non credevi che sarebbe successo. Forse l’avevi intuito ma mai e poi mai credevi di potere vederlo con i tuoi occhi. Johanna in piedi, le unghie che graffiano i palmi, rigida. Non ci hai mai creduto, Annie.
Non ci hai mai creduto, eppure è successo. Il piccolo Finn si è addormentato su una  poltroncina, una vecchia fotografia in mano. Le avevi nascoste tutte, nel vecchio portagioie di tua madre, per non farle trovare a nessuno. Finnick.
Ti eri avvicinata, piano, per sbirciare uno dei ricordi che credevi di aver sepolto. Lontani dal tuo bambino, per non fargli male. Per lui suo padre è un’entità mistica, un Dio che non conoscerà mai. Gli hai parlato di lui, una sera, in un mare di lacrime. Lui, piccolo ometto di cinque anni, ti ha ascoltata attentamente. E ti avrebbe chiesto altri dettagli, se non avesse avuto paura di ferirti. Non sei riuscita a dirgli cosa gli è successo. A tuo marito, Finnick. Quella sera non sei riuscita a dirlo. Per quella sera e tutte le altre, le parole sono rimaste nella tua gola, cercavano di soffocarti.
Ti aveva chiesto com’era suo padre. E tu gli avevi risposto che era bellissimo, suo padre, bellissimo. Non eri stata in grado di aggiungere altro. Non ti ha chiesto altro.
Sei stata una sciocca, Annie. Non sei riuscita a dire la verità a tuo figlio.
L’hai guardato con gli occhi pieni di lacrime, quando ti ha chiesto perché suo padre non era lì. Ti sei raggomitolata sul letto ed hai continuato a mormorare qualcosa che somigliava ad un “se n’è andato”. Ed il piccolo Finn si è rifuggiato in braccia che non ti appartenevano. Johanna non smise di sorridere nemmeno per un secondo.
La vedi bene, ogni volta che ti guardi nello specchio. È lì, sul fondo. Il suo sguardo nei tuoi occhi. Ogni volta cerchi di dimenticarla, di guardare altrove. Eppure, il suo sguardo non ti lascia mai.
Nemmeno adesso, mentre guardi tuuo figlio e tuo marito. Insieme, per la prima volta. Per l’unica volta: il piccolo Finn avrebbe potuto conoscere suo padre solo attraverso le foto. Ed i tuoi ricordi confusi.
Le senti, Annie, le lacrime che ti rigano il volto. Lo sguardo di Johanna su di te, aspetta che tu commetta un passo falso.
Crolli sul pavimento, singhiozzando disperata finché tuo figlio non si sveglia. Senti la sua manina che s’insinua nella tua.
Scende dalla poltroncina e prende posto fra le tue braccia, sorridendo felice. Tuo figlio è un bambino bellissimo, non piange più. Ha imparato subito il valore di quelle lacrime che non sopporti, che Johanna teme. È cresciuto con due donne diverse, a cinque anni sa già comprendervi entrambe.
È cresciuto con una donna di pietra, Johanna. Ha capito troppo presto che l’acqua scava la pietra, la distrugge dall’interno.
-Mamma- ti scuote leggermente, come ogni volta che rischi di perderti.
È cresciuto con una donna fragile. Ha capito subito che doveva essere lui a prendersi cura di lei. Per non farla tornare nell’abisso. Sei tu, Annie.
-Finnick- chiami, lo sguardo perso nel vuoto. Col tempo hai capito che perderti è l’unico modo per rivederlo. Per poter tornare.
Senti quasi la sua voce, fusa con quella infantile di vostro figlio, che ti chiama. Annie. Non rispondi mai, persa come sei nel vortice di ricordi indecifrabili.
-Dove sei?- singhiozzi, piano.
Nessuno risponde.
La nave affonda lentamente, nella nebbia nella tua testa.


Non doveva lasciarti, te lo aveva promesso.“Finché morte non vi separi” erano state le parole che vi avevano uniti, per sempre.
Quella giornata è l’unica che ricordi con piacere. Non ci sono momenti dolorosi, lacrime versate sul cuscino.
Un vestito verde che scivolava sul pavimento, lentamente. Ne eri affascinata, il modo in cui il tessuto pregiato catturava quel poco di luce che entrava nella stanza. La stoffa verde che si univa a quella scura del completo di Finnick.
-Non lasciarmi- l’avevi implorato, come ogni volta. –Ti prego-
E lui aveva sorriso e ti aveva stretta a sé, una bambina spaventata dai mostri sotto al letto.
-Sai che non lo farò- aveva risposto lui, piano.
Ti eri fidata di lui, per l’ennesima, maledetta volta. Credevi davvero nel vostro amore.
Eravate finiti nel letto, lentamente, lui che ti teneva stretta per non vederti sparire, di nuovo. Non sapeva, Finnick, che era destino. Sei stata creata per perderti e tornare infinite volte. Non lo sapevi nemmeno tu.
Quella sera non importava, non ancora. La vostra sera, quella importante. Quella che ricordi ancora e che ti ossessiona più del tuo periodo da prigioniera. In verità, non sai cosa sia, la libertà.
C’è sempre stato qualcosa, qualcuno che cercava di rinchiuderti. Lasciarti in una prigione buia a morire, da sola.
Ti teneva per non farti cadere, mani troppo delicate per essere… umane. Non avevi che ricordi di mani dure, troppo rabbiose per permetterti di provare sentimenti diversi dalla paura.
I Pacificatori a Capitol City. Quello con i capelli castani e gli occhi neri come la pece, le mani grandi solcate da cicatrici biancastre. Che ti toccavano e ferivano dentro.
Non come quelle di Finnick.
-Non voglio farti male- ti aveva detto, piano. E tu lo sapevi già, non è vero?
L’avevi guardato, solo per pochi attimi. Non sei mai stata in grado di sostenere il suo sguardo. Mai.
-Shh- avevi sussurrato. –Va tutto bene-
Se era la verità, non lo sapevi neanche tu. C’era solo lui che ti guardava con quei suoi occhi troppo difficili da sostenere.



Il piccolo Finn ha gli occhi di suo padre. Uguali, della stessa bellissima sfumatura di verdemare. Difficili da sostenere, come quelli di suo padre. È incredibile il modo in cui le lacrime ti inondino il viso, ogni volta che tuo figlio ti guarda troppo a lungo.
Johanna non ha i tuoi problemi. Fissa Finn con uno strano bagliore negli occhi. Ogni volta, riesci a convincerti che sia solo affetto. Sei brava a mentire, Annie.
Tieni tuo figlio fra  le braccia, tremi mentre lui tira una ciocca dei tuoi capelli, felice.
Johanna tende le braccia con fare imperioso.
-Dammelo- dice, semplicemente. Come fa ogni volta che ti vede in difficoltà. Crede che tu sia davvero in grado di tornare nell’abisso.
Sbuffa quando vede che Finn ha nascosto il viso fra i tuoi capelli.
-Avanti, Annie- dice, semplicemente. –Dallo a me-
E cedi, come fai ogni volta. Johanna sorride quando Finn si aggrappa a lei, felice. Vorresti piangere come facevi quando Finnick era con te e ti chiedeva di raccontargli del tuo periodo da prigioniera. Non ci riesci.
Odi quel pensiero che ti perseguita, che ti ossessiona. Tuo figlio ha scelto Johanna. Quel pensiero così vero, nonostante tutto. Ha scelto Johanna perché lei non gli ha mai permesso di conoscerti veramente. Quel pensiero che condividi. Finn ha scelto Johanna perché lei non è te. Finn ha scelto Johanna perché suo padre ha scelto te.
Nascondi le lacrime, come ogni volta. Combatti contro la forza misteriosa che ti coostringe a chiudere gli occhi e tappare le orecchie.
-No, Annie- ti rimprovera Johanna, come ogni volta. No, Annie, non perderti di nuovo. Un sorriso. Guardami mentre ti porto via tuo figlio.
Seaweed si arrampica sulle tue gambe, miagolando. Lo accarezzi distrattamente, le dita che vengono solleticate dal pelo morbido.
Sorridi e gli permetti di prendere il posto di tuo figlio. Lo fai perché non hai altro.



September (Another four years later)

Lo guardi da lontano, il tuo bambino. Corre felice con i suoi amici, Johanna che li insegue con una gaiezza che non sembra adatta a lei.
Stringi al petto i ricordi di Finn ancora piccolo, così diverso dal bambino nella Yule dei suoi otto anni. Che gioca con i suoi amici ed ignora la madre pazza che lo guarda, di nascosto.
Un cappuccio calato sulla testa, per nascondersi. Per non fare vergognare tuo figlio. Anche i bambini ti chiamano pazza.
Canticchi una vecchia canzoncina, per mandare via i pensieri molesti. Tuo figlio corre e non si accorge che tu sei lì. Che lo guardi e speri che lui ti venga a salutarti. Ma non c’è nemmeno un cenno da parte sua, è troppo impegnato a giocare. Johanna sa che sei lì. Ogni tanto si volta con un sorrisetto soddisfatto, quasi come se volesse rinfacciarti il fatto che tuo figlio ha scelto lei.
Finn ride felice quando lei lo agguanta e lo prende in braccio. Come tu non fai mai. La risata vibra nell’aria, illumina gli occhi verdemare di Finn. Che contemplano tutto meno che te.
Johanna sa che sei lì, con il tuo gattino fra le braccia. Sei avvolta in un vecchio cappotto di Finnick, che risale a prima dei tuoi giochi. C’è ancora l’odore della sua pelle, nella stoffa. Non se ne va mai.
È troppo grande per te, lo sai bene. Eppure è il tuo indumento preferito. Ricordi bene la sensazione della stoffa sulla tua pelle di ragazza, ogni volta che lo abbracciavi.
Senti chiaramente la voce di tuo figlio, che pronuncia quelle parole che ti fanno male.
-Dov’è la mamma? Aveva detto che sarebbe venuta!-
All’inizio pensi che Johanna gli dirà qualcosa come “Tua madre è pazza” con la sua voce sarcastica e pungente. Non lo fa.
-Non sta  bene- dice, con un tono che non ammette repliche. –Ti aspetta a casa-
Una lacrima cade sul pelo di Seaweed, provocando una serie di indignati miagolii.
-La mamma non mi vuole bene-
Quelle parole che non ti saresti mai e poi mai aspettata di sentire. Un colpo al cuore, neve che congela le onde del mare. La neve riesce a coprire persino gli alberi, le case. Congela i cuori ed i fiori che non facciamo in tempo a cogliere. Non cogli i fiori, cogli la neve.
-Annie ha scelto tuo padre- risponde Johanna, semplicemente.
È settembre, non nevica ancora. Non cogli la neve.
Era settembre quando ti fecero prigioniera.


Non coglievi la neve, chiusa com’eri in quel tuo mondo pieno di mostri. Passeggiavi avanti ed indietro per la casa, aspettando.
Guardavi fuori dalla finestra le barche che solcavano il mare, il tuo mare. Non coglievi ancora la neve, ti stringevi in una vecchia vestaglia di Finnick. Blu e decisamente troppo pesante per quella lieve brezza che entrava nella stanza, dalla finestra appena aperta.
Profumo di mare, di neve che non cadrà per molti mesi. Troppo presto, era ancore troppo presto per cogliere la neve.
Le foto di Finnick dormivano su un cassettone, coperte da un sottile strato di polvere che non riuscivi a togliere. Sorrisi opachi che non rendevano giustizia a quelli veri, che ti regalava fin troppo spesso. Camminavi velocemente, un passo che subito era seguito da un altro. Lo sguardo perso, oltre la finestra, in quel mare infinito che circondava il Distretto. Non nevicava ancora, eppure sentivi fin troppo bene quel gelo che aveva preso possesso del tuo corpo. Aveva trovato il suo rifugio nelle ossa e lì imbandiva banchetti con il poco calore che riuscivi a racimolare, per andare avanti. Che fosse semplicemente la paura, un presagio nefasto che si sarebbe rivelato vero?
Non potevi saperlo: vagavi per la stanza con la grazia di una fatina, rivolgendo sguardi esitanti ai vetri opachi della finestra.
Una bambina, Annie, eri ancora una bambina. Non capivi niente, credevi che ci sarebbe sempre stato un principe pronto a salvarti. Guardavi gli ultimi fiori di settembre appassire in un vaso che non rendeva loro giustizia, un pallido riflesso di ceramica verde, di quello che era stato un bellissimo prato. Innocenza era la parola chiave per chi amava i fiori.
Erano tutti innocenti, timidi figli di una Madre Terra troppo debilitata per proteggerli a lungo. Tutto ciò che esiste è nato per morire. Non potevi saperlo.
Era il settembre della tua prigionia e tu, bambina ingenua, non facevi altro che danzare per ingannare un’attesa quasi eterna. Lì fuori i fiori morivano e tu non te ne rendevi conto, perché l’unica cosa che riuscivi a cogliere era la neve eterna che c’era nel tuo animo. Che ti riempiva i polmoni come l’acqua salata in cui stavi quasi per annegare, da bambina. Avvolgeva i ricordi come una carta da regalo troppo spessa per poter in qualche modo fare intuire il prezioso regalo che avvolgeva.
Ma se il regalo non nasconde una sorpresa piacevole, ma una bamba inesplosa è meglio non aprirlo ed ignorarlo. Come se fosse possibile ignorare i regali del fato, come se certe bombe non siano state progettate per esplodere ed uccidere un certo numero di persone.
Era settembre, Annie, quando arrivò il tuo regalo. Una bomba che avrebbe distrutto tutta la tua vita, con la stessa facilità con cui un bambino cancella la parola “mamma” scritta male. Nessun rimpianto.
Una macchia cancellata dal foglio. Un mondo che esplode.
Accadde tutto durante un giorno di settembre.



Tuo figlio ha cancellato il tuo mondo con poche, semplici parole. Mia madre non mi vuole bene. E tu, che sei cresciuta in un mondo popolato da bugiardi, sei crollata sotto il peso di questa menzogna. “Non è vero” vorresti urlare. Solo che Finn non sarebbe in grado di sentirti.
Stanno cancellando il tuo mondo con la neve, Annie, sai che benissimo che te lo sei meritato.



October (Two years later)

Ottobre è il mese dell’attesa e della disperazione. Sa di quei chicchi scuri e dolci, nella ciotola di vetro violaceo. Finn ama l’uva, continua a mangiarne ad ogni pasto. Ogni tanto cerca di convincerti ad imitarlo, con scarso successo: il cibo si blocca nella gola e tu rischi di soffocare, ogni volta.
Sei rannicchiata sul pavimento, Annie. Il vestito celeste che scopre una piccola porzione di gambe pallide. Lacrime fredde che finiscono sul tappeto.
Ottobre sa di morte. L’hai capito ora, il corpicino freddo fra le tue braccia, lo stringi mentre i singhiozzi ti scuotono. Non hai altro.
Johanna non è a casa, è uscita appena ha visto quel corpicino così freddo. La vita che scivola via, ad ottobre, lascia quel sapore sgradevole sulla punta della lingua. Ad ottobre si muore perché non si ha un’altra scelta.
Porti le mani a coprire le orecchie, per non sentire più quella lenta litania che sa di morte. Non c’è altro.
-No, mamma, no!-
Un singhiozzo ti sfugge dalle labbra, il pelo di Seaweed è freddo sotto le tue dita. Non miagola più. L’unico conforto che avevi ti è stato negato da quel vento di ottobre che cerca di ucciderti, le parole che mormora sono lame taglienti. Sei sola, Annie, completamente sola.
-Mamma!-
Singhiozzi più forte, gli occhi serrati ed il pavimento contro la guancia. Ottobre è il mese delle  bugie. La senti, Annie, la mano di Finnick sulla tua spalla?
-Mamma, mi senti? Sono Finn, tuo figlio!-
Spalanchi gli occhi con cui non riesci più a vedere con chiarezza, i fumi di ottobre  hanno già annebbiato i tuoi occhi. Lo vedi, Annie, Finnick che ti sorride?
-Finnick?- chiami, sottovoce. Vivi un mondo popolato da fantasmi, illusioni. Finnick accanto a te, che ti dice che andrà tutto bene.
Ottobre è il mese delle bugie.
-Finnick?- la voce tradisce le lacrime che arrivano troppo presto, che graffiano il viso e provocano altre lacrime. –Dove sei?-
-Sono qui, mamma, sono qui- risponde una voce. La senti Annie e non ti fidi di lei. Sai che Ottobre ti vuole illudere, ti vuole uccidere. Come quei fiori che ondeggiano sotto quel vento freddo, cercando di resistere con tutte le forze. Alcuni perdono petali, durante la loro lotta, piccole teste che cadono e rotolano via. Porti le mani al collo, cercando di capire se riesce ancora a reggere la tua testa.
Tendi le braccia, sperando che Finnick venga da te. Solo che non c’è nessuno, solo una lieve brezza. Ottobre ama illuderti, Annie.
È solo tuo figlio, il ragazzo che ti raccoglie dal pavimento. Non sei in grado di capirlo, Annie, continui a singhiozzare come una bambina.
È colpa di ottobre e tu non lo sai.


Prima di imparare a camminare, i bambini imparano a cadere. Si aggrappano alle mani dei genitori e muovono i primi passi, incerti. Se vuoi andare avanti devi imparare a camminare, è inevitabile.
Un passo dopo l’altro, una caduta dopo l’altra. Stringere i denti, sentire il cuore che esplode. Rialzarsi, ogni volta. Solo che tu non ne sei capace, Annie. Non lo sei mai stata.
Era sempre Finnick a prenderti in braccio per farti andare avanti, una bambina appoggiata al suo petto. Una bambina che amava troppo anche solo per poter pensare di lasciarla. Scelse te senza pensarci, senza che gli fosse permesso di avere anche solo un’alternativa. Eri tu la scelta giusta.
Era l’ottobre del tuo undicesimo compleanno, l’ottobre più importante della tua vita. Avevi undici anni e troppe fantasie in testa, troppi sogni irrealizzabili.
Camminavi ogni giorno sulla spiaggia, sopporando gli sguardi delusi dei tuoi parenti. Ti chiamavano sciocca perché passavi le giornate a camminare sulla spiaggia, raccogliendo conchiglie. Non sapevi nuotare.
Camminavi da sola, respingendo ogni compagnia. Ad ottobre le cose  peggioravano e smettevi quasi di parlare, le onde cancellavano i tuoi passi. A volte desideravi quasi che cancellassero anche te, semplicemente e velocemente.
Come si cancella una macchia dal foglio.
Camminavi velocemente, quel giorno, le mani in tasca ed il volto scuro. Avevi litigato con tua madre, quella mattina, subito dopo la colazione. Odiavi litigare con lei. Odiavi litigare e basta, mentire e dirle che la detestavi. Eppure c’erano momenti in cui riuscivi quasi a crederci. Colpa di ottobre, ti dicevi. Era sempre colpa di ottobre.
Lui era lì, seduto sulla spiaggia. Aveva quasi quindici anni e non parlava mai. Intrecciava reti in silenzio, con cura. Tua madre sosteneva che il Fato intrecciasse reti, incrociasse destini.
Vedevi Finnick Odair ogni giorno e ti chiedevi se avesse la presunzione di credersi il Fato. Sedeva ed intrecciava, senza rivolgere la parola a tutte le persone che si voltavano a guardarlo. E poi spariva, di punto in bianco. Passavano giorni, ore e minuti e poi lui tornava. Ed intrecciava le reti che avrebbe regalato ai pescatori, ottenendo in cambio ampi sorrisi che non avrebbe guardato.
Ti ricordavi di lui. Un tempo eravate stati amici, lasciati a giocare sulla spiaggia da genitori troppo impegnati a procurarsi il necessario per sopravvivere. Ti ricordavi di lui ma, ne eri sicura, lui non si ricordava di te. Come avrebbe potuto?
Eppure era lì e non parlava, intrecciava la sua rete in un silenzio che faceva quasi paura. E tu camminavi, lentamente, in mano delle conchiglie bianche. Amavi il bagliore perlaceo che  emanavano.
Era ottobre e faceva  freddo e tu avevi appena litigato con tua madre. Ed era colpa tua, nonostante tutto.
Eri scivolata sulla sabbia, il vestito raccolto attorno  alle gambe, non troppo lontana da Odair. Tremavi sotto la forza del vento di ottobre.
Avevi sospirato. –Ti dispiace se resto qui?- avevi domandato, piano.
-No, non mi dispiace- aveva risposto lui, senza alzare lo sguardo dalla sua rete.
-Sono Annie, Annie Cresta- avevi detto.
-Mi ricordo di te-



Passi allegri di Johanna che torna a casa. Risata cattiva che non sopporti.
-E così il gattaccio è morto?- chiede, divertita. –Era ora-
Non riesci nemmeno a guardarla. Il respiro diventa più lieve, senza quel vago sentore di lacrime. Johanna guarda disgustata il corpo di Seaweed e le lacrime che ti solcano il viso.
Sbuffa e si siede sul pavimento. –Suppongo che Katniss te ne manderà un altro- dice, anche se quel pensiero sembra disgustarla. –Oppure potresti scrivere ad Haymitch e chiedergli di mandarti una delle sue… deliziose paperelle-
Guardi fuori dalla finestra, senza ascoltare le parole di Johanna. Canticchi una vecchia canzoncina che sa di uva e sale sciolto in acqua. Aspetti che Seaweed salga sulle tue gambe. Poi ti ricordi che lui non c’è più.
Una nave muore fra le onde di metallo.



November (Another two years later)

Non hai voluto un altro gatto. Hai passato due anni da sola, cercando di abituarti all’idea di aver perso tutto, per l’ennesima volta. Novembre è l’attesa estenuante, Annie, aspetti che arrivi qualcosa. Qualcuno.
Tuo figlio ti guarda attraverso le palpebre socchiuse, irritato come non mai. Finn si è chiuso in se stesso da qualche mese. Ha smesso di ridere e chiacchiere allegramente con Johanna. Vaga per casa come un’anima in pena, perso in pensieri che tu non riuscirai mai a decifrare. Troppo difficili per te. Una foresta che si stende davanti a te e tu sai bene che sei troppo incline a perderti.
È novembre e la neve inizia a cadere. Riesci a coglierla.
Natale sta arrivando e a te non importa, come ogni volta. Altri giorni da sopportare. Convivere con quel dolore che ti spezza il cuore, con la neve che hai dentro.
Tuo figlio non capisce. Ha la testa sulle tue ginocchia, i capelli ramati sotto le tue mani, gli occhi chiusi. Non ti guarda più. Ha dodici anni ed un pessimo carattere, che tu non comprendi.
È cresciuto con te, Annie, non avrà mai una vita normale. È vissuto fra i fumi di una madre troppo strana per essere normale. Fra della neve che non riesce a cogliere.
Siede tranquillo, senza parlare, le mani che torturano un lembo della maglietta. Non guarda la neve che cade nel mare di metallo, non guarda niente. Ogni tanto sospira ed apre gli occhi, cercando di incrociare il tuo sguardo. Che tu non vedi mai.
-Non mi piace la neve- mormora, piano. Eppure tu lo senti. –La odio-
E non rispondi, come ogni volta. Ti sei rinchiusa nel tuo silenzio, troppo simile a quello del piccolo Finn. Che è cresciuto troppo in fretta, abbandonando le braccia destinate a lui. Di nuovo.
Ogni tanto, Finn ti guarda e ti chiede qualcosa. Trova solo silenzio ostinato da parte tua, una bambina che si è offesa. Ti chiama “mamma” e tu non rispondi mai. Solo il silenzio come regalo. Le parole come eccezioni alla regola ferrea che ti sei autoimposta. Un castigo che pensi di meritare, perché hai permesso a Finnick di lasciarti. Non ricordi mai, Annie, che lui è fuggito via da te prima che tu fossi in grado di accorgertene. Non lo ricordi mai.
-Mamma- Finn sbuffa irritato. –Potresti dire qualcosa, ogni tanto-
-No- rispondi, semplicemente. Come ogni volta, ogni maledetta volta. Solo un “no” mormorato a mezza voce, non c’è mai altro. Non riesci più a dire altro.
Ed i tuoi mostri ridono, in un angolo della tua testa. Ti prendono per mano e ti trascinano via, piccola bambina, per non farti infrangere una promessa.
-No?- sibila tuo figlio. –“No” cosa?-
E tu chiudi gli occhi, come sempre. E’ arrivato di nuovo novembre, la neve che cade sul mare. Muore nell’acqua salata.
-Non posso- mormori, piano. Ogni parola è una ferita, Annie. Di questo passo morirai certamente. Nell’acqua del mare, perché hai smesso di piangere durante la tua infinita prigionia.
Finn sbuffa, gli occhi chiusi per evitare dii vedere il fumo che ti circonda. –Lo so- mormora, piano. –Lo so, mamma. Mi dispiace-
Senti quello che ti sta dicendo o senti solo quello che vorresti sentirti dire?
Ci pensi, guardi fuori dalla finestra la barca  che non c’è più, il vaso vuoto ed i petali sul davanzale. Non trovi una risposta.
Che male c’è ad illudersi un po’, Annie? Lo sai?
Ottobre è finito, ma le illusioni sono rimaste. Ti ossessionano con le loro forme accattivanti, con i loro colori troppo accesi. E tu le ami, solo perché non hai altro.
Ti fidi delle illusioni, Annie, ma non sai che potrebbero riportarti nell’abisso. Ed allora moriresti lì, da sola, circondata dai tuoi ricordi.
Sarebbe la giusta punizione, lo sai anche tu.


December (Three years later)

Finn sembra essersi perso in un mondo tutto suo, te ne sei accorta? Cammina stropicciando l’orlo della maglietta, con te non parla più. Con Johanna litiga sempre, le senti chiaramente, le loro urla. Parole troppo brutte per poterle ricordare, che magari non comprendi nemmeno.
Mille “come hai potuto?” che squarciano l’aria, aprono ferite nel velo che ci avvolge. Tutti quanti. E senti cosa urlano i mostri, nella tua testa. Moriremo tutti.
Non è una bugia, Annie, una menzogna inventata per turbarti. È la verità, lo sai anche tu, vedi il mare che s’increspa mentre il vento inizia a soffiare. Chissà cosa sta dicendo. Non lo capirai mai.
-Come hai potuto?-
Ascolti la voce di Johanna, un tempo così temuta, adesso assolutamente indifferente. I bambini smettono di temere i mostri sotto il letto, quando capiscono che non sono reali.
-No-
Un tempo ti eri chiesta che senso avesse rimanere qui, nel Distretto, da sola. Senza Finnick. Che senso avesse rimanere in una casa vuota, aspettando che il vuoto ti accogliesse fra le sue braccia?
Aspettavi. Cosa non lo sapevi nemmeno tu. Non sapevi nemmeno cosa di tacesse desistere dal crollare nell’abisso, piano, senza fare rumore. Nessuno se ne sarebbe accorto. Scivolare in punta di piedi, verso il baratro, per non tornare più. Era tutto ciò che desideravi, non c’era posto per altro, nel tuo cuore.
-No? “No” cosa?-
Il tuo sorriso è celato dalla stoffa della coperta rossiccia, ruvida contro il tuo viso. Credevi che non avresti mai assistito a questo giorno. Invece è successo. La ragazza siede accanto a te, nervosa, continua ad arricciare una ciocca dei lisci capelli castani. Si guarda attorno, come se avesse paura. Il suo attegiamento contrasta con la sua espressione altezzosa, la piega delle labbra.
Non hai mai visto una quattordicenne così. Avevi quattordici anni, quando Finnick faceva parte del tuo mondo. Sarebbe scorretto dire che era il tuo mondo. C’era ancora altro, quella vita che ancora non era stata cancellata dal sangue di Trevor.
-Non capisci!-
Tenti la mano alla ragazzina, un sorriso rassicurante sul volto.
-Ciao- le dici, piano. –Come ti chiami?-
La sua espressione sprezzante s’incrina e lei diventa una quattordicenne come tante. Fragile come lo eri stata tu. Per un momento, preghi che a lei non sia riservato il tuo stesso destino. È solo una bambina. Dimentichi spesso che anche tu lo eri. Non sei stata risparmiata.
-Shellie- risponde lei. –Shellie Turner-
Le sorridi, sperando di farla sentire  a suo agio. Ti piace, questa bambina. È fragile, anche se cerca di sembrare forte.
Assomiglia vagamente alle conchiglie che raccoglievi da bambina, sulla spiaggia. Piccola e fragile, da tenere al sicuro.
-Io sono Annie, la mamma di Finn- dici, con un sorriso. Ignori le urla di Johanna e Finn, che non fanno altro che unirsi ai mostri nella tua testa. Non li temi più.
-Sei un bugiardo! Proprio come…-
-Non parlare di lui! Non parlare mai di lui! È mio padre. Non ha scelto te!-
Un colpo al cuore, Annie. Tuo figlio lo sa. Non sei stata tu a dirglielo. Però lo sa. E non ti chiama pazza.
-Lo so-
Guardi fuori dalla finestra, come non facevi da tanto tempo. Troppo. Non nevica ancora, una pausa dalla noiosa routine quotidiana. Non nevica.
Il mare non è agitato, è bellissimo sotto il cielo scuro. Non ci sono stelle. Non c’è niente, a dire il vero. Eppure non riesci a smettere di guardare.
-Mi dispiace-
-Sei un bugiardo, Finnick-
Le navi sono abbandonate sulla sabbia fredda, non solcano più le onde. È quasi Natale, Annie, solo tu non te ne rendi conto. Sei troppo triste per accorgertene.
Sei pazza, Annie, e lo sai anche tu.
Prendi il tuo fazzoletto, posato sul tavolino, abbandonato da qualche tempo. Ritornato fra le tue mani in questo mese così triste. Troppi fantasmi.
Finnick, Seaweed, Trevor. Tutti qui per tormentarti.
-Non sono mio padre. Dovresti saperlo-
-Lo so-
-Non sei poi così brava a mentire-
Un nodo sul fazzoletto, le mani che procedono troppo sicure. È passato tanto tempo dall’ultima volta. Troppo.
-Un nodo per un pensiero- mormori, piano. Un nodo per un ricordo, per una persona che non c’è più. Un nodo per un amore appena sbocciato ed uno per un figlio ritrovato. Un nodo per delle lacrime da versare. Un nodo per il tempo che passa e cambia tutto. Mille nodi per il tuo fazzoletto, Annie.
-Come fa a fare un nodo per ogni pensiero?- mormora Shellie, perplessa. –Un fazzoletto non basta-
Sorridi amaramente, ricordando quante volte hai dovuto disfare i tuoi pensieri.
-I pensieri non sono eterni- osservi, semplicemente.
E le mani stringolo la stoffa consunta del fazzoletto, lo sguardo vaga fuori dalla finestra, sulla neve che ricomincia a cadere. Cogli la neve, Annie.


March (One year later)

Johanna se n’è andata. Senza un biglietto, un saluto. Niente. Se n’è andata e non hai idea di dove sia diretta. È strano, a dire il vero, vivere qui. Finalmente da sola.
Eppure, è quasi come se non se ne fosse mai andata. La vedi ancora, rannicchiata sul pavimento che sbuffa davanti all’ennesima camicia strappata da Seaweed.
È strana la consapevolezza che hai acquisito subito: lei non tornerà. Se n’è andata per sempre.
Questo solo perché a marzo c’è il disgelo. Non credi che Johanna sarebbe stata in grado di sopportare un altro anno con voi. Altri giorni senza un minimo di senso, per lei. Con Finn che evitava i suoi sguardi, che la evitava.
Shellie continua a piacerti. È capace di stare ore seduta accanto a te, mentre tu intrecci i tuoi fazzoletti. Ogni tanto ti parla della sua vita nel Distretto, dei suoi genitori che non ci sono più. Di suo nonno che è un pescatore. Tu non racconti niente.
Oggi ti ha portato dei fiori di un delicato rosa tenue, molto carini. Ancora freddi di rugiada, lo stelo piegato sotto la forza del vento. Ti piacciono i fiori, Annie. Li hai sempre amati.
Li hai sistemati nel vaso davanti alla finestra, come fai ogni anno. Non piove nemmeno, oggi. Il cielo è carico di nuovole biancastre, ma nessuna goccia è caduta sul vetro della finestra. Nessuna goccia ha solcato il tuo volto.
C’è solo l’odore della primavera, nella stanza. I boccioli che rinascono davanti a te.
Marzo è il disgelo. Non c’è più traccia della neve.
Shellie ti ha chiesto se ti va di andare con lei a cogliere i fiori appena sbocciati, quelli che ami tanto. E tu le hai sorriso e non le hai rivelato che non sei in grado di cogliere i fiori. Diventano neve ogni volta che li tocchi, come le tue lacrime diventano lame quando le guardi.
Finn non è particolarmente scosso. Non ha detto niente, quando gli hai detto che Johanna se n’era andata. Ti ha guardata ed ha alzato le spalle. Nemmeno per un momento, il terlo  del dubbio si è insinuato nella tua mente fragile.
Non poteva saperlo. Non prima di te.
Gli sorriddi, esitante. È cresciuto tantissimo, durante quest’anno troppo breve. Non sembra nemmeno più lui. Assomiglia troppo a Finnick, te ne rendi conto. E questa somiglianza è un nuovo, sconosciuto e perpetuo dolore che ti scuote. Che ti accompagna, ogni giorno. Non ti abbandona mai, nemmeno per un momento.
-Dov’è andata?- domandi, piano, appena Shellie torna a  casa. Guardi tuo figlio con aria interrogativa, una bambina che si è persa.
-Via- risponde Finn, semplicemente. –Non preoccuparti-
Non capisci, Annie. Come ogni volta. C’è il disgelo e le barche solcano il mare. E tu sei qui, come sempre: Annie che guarda fuori dalla finestra e guarda le altre vite che scorrono.
Non ti appartengono e lo sai, Annie. Come non ti appartengono quei fiori così belli. Irragiungibili per te.
Fai come ti dice Finn, solo perché è la cosa giusta da fare. È tuo figlio e ti vuole bene, sa cosa è giusto per te. Esattamente come lo sapeva Finnick.
Eppure la senti, quella voce, nella tua testa. Che ti dice che è sbagliato, che tuo figlio e Finnick non sono la stessa persona, che cambia tutto. E’ troppo diverso per essere reale.
Guardi fuori dalla finestra, solo per mandare via i pensieri molesti. Quelli che ti tormentano, sempre, da quando hai rischiato di annegare nel sangue. Di morire nell’abisso.
Johanna se n’è andata, per sempre e tu non sai nemmeno il perché. Una nave rinasce dal sangue.


May

Non è arrivata nemmeno una lettera di Johanna, nemmeno un segno. Il silenzio ti ha accompagnata durante questi due mesi di solitudine. I fiori che sbocciano davanti e te e tu che non hai la forza necessaria per coglierli. Non cogli nemmeno la neve, Annie.
Hai passato altri due mesi davanti alla finestra, a fissare qualcosa che non riuscivi veramente a vedere. Shellie che parlava e tu che non la ascoltavi veramente. Non ci saresti riuscita. Troppo difficile.
Maggio è bianco e puro, un mese che non vale la pena di essere vissuto. Non come ottobre.
Aspetti che succeda qualcosa, che Finn ti dica quelle parole che sai essere vere. Devono esserlo, anche se solo tuo figlio conosce la verità.
E temi che quella verità resterà sempre una sconosciuta, un’estranea con cui non parlerai mai. Shellie ti guarda costernata e ti racconta delle storie molto carine. Pirati che salvano principesse, fate buone che fanno sparire la neve. A volte ci credi davvero, alle favole che Shellie racconta. Credi davvero nel lieto fine, quello che tu non hai avuto. Che non avrai mai.
Finn ti ha portato delle rose, oggi. Rose bianche e bellissime, che sono state messe nel vaso. Sprigionano un profumo tenue e delicato che adori. Sono bianche come la neve.
Un tempo odiavi il bianco. Aprivi gli occhi e vedevi il nulla. Il bianco asettico che si stendeva davanti a te come un campo infinito. Lo odiavi solo perché non ti ricordavi cosa ci fosse, oltre quel colore.
Adesso lo ami perché ti ricorda Finnick. Che ti ha salvata quando vivevi nell’abisso bianco latte, con piccole parentesi di sangue e mostri pronti a distruggerti. Che ti ha lasciata quando avevi bisogno di lui.
Shellie sorride e ti guarda, ha notato che ti sei distratta, come ogni volta. Stava raccontando la strana storia di una fioraia che vestiva solo di  bianco e si era interrotta proprio sul più bello. Il finale, quando la fioraia s’innamore del belloccio di turno. E lei, che non ha mai avuto niente, diventa la donna più felice del mondo.
-Cosa succede poi?- domandi, piano.
Gioisci nel vedere la sua espressione stupita. Era convinta che tu non ascoltassi. Esita e non risponde, come per risparmiarti un dolore.
-Cosa succede alla fioraia?- insisti. –May si sposa con Edgar, no?-
Shellie scuote la testa, piano. –No- ammette. –Lui si sposa con Miss Stewart-
-E May?- chiedi. –Cosa le succede?-
Shellie sospira ed inizia a torturare l’orlo della gonna. Abbassa lo sguardo, prima di pronunciare quella parola.
-Muore- ammette, a malincuore. –Le si spezza il cuore perché lui ha scelto un’altra-
-Ma se l’amava davvero…- interviene Finn, seduto sul pavimento.
-Non importa- osserva Shellie. –Non doveva illuderla in questo modo. Anche se amava Jane Stewart. È colpa di Edgar-
Sospiri, la mano che copre un cuore che batte troppo forte, anche solo per poterlo sopportare. Tutte le storie hanno elementi comuni, sempre le stesse principesse da salvare, gli stessi amori da rispolverare. Le stesse lacrime da versare.
Passa il tempo e le storie rimangono sempre le stesse, il dramma di un uomo alle prese con una scelta. Che farà soffrire tutti, giusta o sbagliata che sia.
Le storie scandiscono il tempo che passa, con la loro verità universale facilmente replicabile ed adattabile ad ogni singola vita. Anche alla tua.
-E’ colpa delle sue scelte- osserva Finn, alzando le spalle.
Ridi Annie, perché la conosci fin troppo bene, quella storia.
-Del destino- osservi. –E’ colpa del destino-
Che taglia i fili troppo belli per essere dimenticati. Altrimenti la storia sarebbe un’eterna matassa più intricata di quanto già non sia.
Tuo figlio inclina la testa, lo sguardo insostenibile come quello di suo padre. –E’ sempre colpa del destino- osserva. E, solo per un attimo, sembra davvero Finnick. Ma è solo un attimo.
Poi la nave torna a scivolare fra le onde azzurrine.


July (Two years later)

È venuto da te in silenzio, lo sguardo basso di chi ha delle colpe da nascondere. E ti nasconde veramente qualcosa, l’hai compreso subito. Continua a guardare fuori dalla finestra con aria nervosa, come se avesse intenzione di scappare via da un momento all’altro.
Stringe un cesto di vimini al petto, un nastro verde che lo decora. Un regalo.
Te lo porge, esitante, un sorriso incerto sul volto. Ti sfiora la mano e scivola sul pavimento, la testa sulle tue ginocchia.
-Auguri, mamma- dice, piano. –Buon compleanno-
Sorridi, radiosa. Si è ricordato del tuo compleanno, che cade a luglio. Con il sole che splende e la barca che solca le acque cristalline.
Una testolina tigrata fa capolino dal cesto e salta sulle tue gambe. Sorridi come una bambina, davanti al gattino con il pelo rossiccio.
-Un gatto?- domandi, contenta.
-Per aiutarti a ritrovare la serenità- conferma tuo figlio, usando le parole che erano state di Katniss e Peeta. – Puoi chiamarlo come vuoi-
Pensi a quei fiori che ti ha portato Shellie, la settimana scorsa. Li chiamano denti di leone, dicono che portino fortuna.
-Dandelion- dici, piano.
Tuo figlio alza le spalle, accomodante. –Come i fiori?- domanda, indicando con la testa il tuo vaso di vetro.
Annuisci. Dicono che quei fiori portino fortuna. Tu hai bisogno di tutta la fortuna che il Fato ha da offrirti.
-E’ un bel nome- osserva Finn. Passa la mano sul pelo soffice di Dandelion. –Mamma devo dirti una cosa-
Le mani corrono a coprire le orecchie. Sai cosa sta per dirti, lo sai fin troppo bene. Troppe volte hai creduto di sentire Finnick pronunciare quelle parole maledette. Le conosci fin troppo bene, sono quelle che deve aver pronunciato anche Johanna, prima di scomparire. Quelle che Shellie sarà o è già stata costretta ad ascoltare. Prima ancora che Finn riesca a pronunciarle, senti le lacrime che rigano le guance, lacerando la pelle. E non riesci a crederci, non possono essere davvero lacrime. È impossibile.
Hai smesso di piangere quando ti hanno portata via da Finnick, per la prima volta. Per l’ultima volta.
-Non dirlo- lo supplichi, la voce che sa già di lacrime e sangue.
Luglio, mese degli addii. Sapore di lacrime, sangue sulla pelle, sale.
-Me ne vado, mamma-
Sospiri, piano. L’hai sentito lo stesso. Non serve a niente cercare di perdersi nell’abisso, il dolore arriva anche lì. È impossibile fuggire da dolore.
Le parole s’impigliano nella gola, faticano ad uscire fuori.
-Dove?- mormori. –Dove vai?-
Finn ti guarda, esita un po’, prima di rispondere. –Nel Distretto 12- spiega. –Da Katniss e Peeta Mellark-
Dandelion miagola piano, il pelo contro le tue dita. E tu senti le parole che si bloccano nella gola e non riesci a dire niente. O forse, semplicemente, non vuoi parlare.
Piangi e, per una volta, sai perché. Non sai perché non riesci a parlare.
-Perché?- biascichi.
Finn abbassa lo sguardo, imbarazzato. –Ho rotto con Shellie- confessa. –Ed ho bisogno di parlare con i Mellark-
Trattieni un sorriso. Bugie. Solo bugie.
-Stai scappando- lo accusi. Occhi freddi di Annie, che tagliano come lame. Non dirai altro, come facevi prima. Solo silenzio ostinato per il figlio che vuole abbandonarti.
-Mamma…- mormora Finn, piano.
Accarezzi il pelo soffice di Dandelion, come un tempo facevi con Seaweed. Per un attimo vorresti parlare e chiedere a quel piccolo animaletto fulvo di non abbandonarti. Almeno lui.
Poi serri le labbra e ti riprometti di non dire niente. Solo silenzio per Finn, non merita altro.
Non pensi mai a cosa meriti tu. Taci e accarezzi il tuo gattino, con aria assorta.
-Mi dispiace- mormora Finn, prima di andare via.
E tu non dici niente. Lasci che il gelo mastichi ogni osso del tuo corpo, facendoti rabbrividire sotto il sole di luglio. Il mese degli addii.
Guardi fuori dalla finestra e non vedi niente, solo un sole troppo luminoso per essere reale. E l’abisso si stende davanti ai tuoi occhi, pericoloso e terribile come lo era un tempo.
Eppure non riesci a temerlo. Ormai non hai più niente da perdere, precipitare lì sarebbe fin troppo facile. Anche Finn se n’è andato.
Stringi Dandelion, sperando in un po’ di conforto. Una nave piomba nell’abisso.



Bessie's Corner:

Mi starete odiando. Davvero, sono in ritardo di due giorni. Ma ho studiato ed adesso sono sul divano, agonizzante. Maledetto clima. Anyway, dubito che questo possa interessarvi xD
Anche qui ho da chiarire qualche punto:
- Le paperelle di Haymitch. Quest'idea è stata suggerita da Roxar (E Charlotte), che parlavano di un'ipotetico allevamento di papere del povero H.
- Shellie Turner. Oc, quindi guai a chi la tocca. Comunque, è un personaggio che ritroverete nella long (a cui questa mini fa da prequel :3) "Finchè morte non ci separi"
- Dandelion. Sì, ho un gusto esemplare in fatto di nomi xD Alga marina, dente di leone. Rasseegnatevi, nel prossimo cap avremo Campanula e  Ortica.
Ed è tutto. Vi ricordo che una recensione è sempre gradita xD
Bess

   
 
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