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Autore: Good Old Charlie Brown    21/10/2012    3 recensioni
Gellert Grindelwald: il mago che scosse l'intera Europa nel suo tentativo di instaurare una "società perfetta" in cui i soli Maghi fossero al potere.
Costantino Balsamo. Un mago italiano di grande talento che si trovò a sostenere Gellert nella sua scalata al potere.
Questa è la loro storia.
Titolo cambiato perchè meglo rispondente alla mia idea.
Genere: Avventura, Drammatico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Gellert Grindelwald
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Prologo: Numengard
Prologo:
Nurmengard.


Novembre 1963, da qualche parte nel Nord dell’Europa.

   
 La neve cadeva copiosa a piccoli fiocchi, sottili come aghi, che turbinavano nel gelido vento del Nord. Improvvisamente, con un sonoro POP, comparve dal nulla un uomo, avvolto in un lungo mantello bianco di pelliccia, che subito si strinse tra le braccia per scaldarsi un poco, come sorpreso dal gelo inaspettato. Dall’aspetto non poteva avere molto più di vent’anni, non molto alto, capelli scuri e una sottile barba che gli copriva le guance e il mento. Il giovane avanzò lentamente. Il terreno era un’unica distesa bianca: una vasta radura circondata da altissimi pini, abeti e larici. Un luogo selvaggio, come fuori dal tempo: odorava di vecchie storie, di mostri mitologici, di bestie spaventose: un luogo adatto a ciò che doveva nascondere. “Mi ritrovai per una selva oscura... selvaggia et aspra e forte”  recitò tra sé l’uomo con un sorriso “come direbbe il Poeta”.
    Ma Dante, almeno lui, aveva iniziato il suo viaggio immaginario all’inizio della primavera, non alle soglie dell’inverno, e in un luogo molto più caldo di quella maledetta foresta dimenticata da tutti, nel nord della Scandinavia. Nemmeno il mantello di pelliccia bastava a fornire un calore sufficiente: le gelide raffiche del vento gli penetravano fin nelle ossa, costringendolo ad arrancare nella neve. Il giovane estrasse la bacchetta, cercando di aprirsi una via con un incantesimo che sciogliesse un poco la neve: non serviva a molto, a dire il vero, ma almeno trasmetteva un po’ di calore. All’improvviso, come evocata dal nulla, apparve la fortezza.  Nera come la notte stessa, enorme; le grosse pietre di cui era realizzata erano disposte con tanta cura – fosse stato fatto grazie all’abilità dei costruttori o per magia – da non lasciare il minimo appiglio a chiunque fosse stato tanto folle da volersi arrampicare: un segno e un avvertimento per qualunque oppositore. Ma ancora più terribile era la grande torre: nera e altissima – svettava di molto sopra le torri minori – pareva scavata nella roccia, tanto era liscia: solo poche finestre, strette e allungate si aprivano su di essa. Nurmengard, la fortezza-prigione di Grindelwald, il cui nome – dopo oltre venti anni – era ancora pronunciato con terrore e apprensione sulle bocche di molti in Europa. Lui però non aveva paura. Non di un vecchio, ormai sconfitto e prigioniero,  da tempo senza speranze. Levò lo sguardo e lesse la scritta, posta proprio sopra l’ampio portone d’ingresso, realizzata con rocce rosso sangue.

“Für der Obergute”

    “Per il bene superiore”. Quante atrocità, quante follie erano state compiute in nome di quel motto: stragi di innocenti, torture, famiglie spezzate. La sua era stata solo una delle tante che aveva avuto molto da soffrire. Il bene superiore. Aveva imparato a diffidare di chiunque dicesse di agire per un simile ideale, come se il fine potesse giustificare qualunque mezzo: coloro che si dicevano in buona fede erano solo più pericolosi degli altri. “Fur der Obergute”: c’era qualcosa di ironico, ora, in quella scritta. Perché era davvero un “bene superiore” trattenere in carcere e allontanare dal mondo l’unico prigioniero di quell’oscura fortezza.
    Non appena varcò i cancelli, il carceriere gli venne incontro. Era un uomo nel complesso sgradevole: basso, grassoccio e untuoso, i corti capelli erano ispidi e biondi e la barba, ugualmente bionda, era piuttosto mal curata. Ma era l’unico altro uomo presente in quella maledetta struttura: con lui solo un gruppo di dissennatori che vagava nel castello facendo la guardia e rubando la felicità di un unico prigioniero. 
    «Benvenuto, Herr Balsamo, il suo arrivo mi era stato annunciato. Io sono Hermann Koch. Se vuole seguirmi potrà vedere il prigioniero solo dopo aver firmato alcune carte».
    «Preferirei non firmare alcuna carta, Herr Koch; e preferirei andare solo a trovare il prigioniero».
    «Non credo sia possibile, Herr, ho disposizioni molto rigide a riguardo...» gli rispose Koch allungando come casualmente una mano aperta.
    Con un sospiro e un ghigno divertito, il giovane estrasse dalla tasca un sacchetto di monete e lo lasciò cadere sulla mano aperta del carceriere. «Sono certo che per Julius Apuleio Balsamo si possa fare un’eccezione, Herr Koch».
    «Naturalmente, signore. Ma... io non ho visto nulla... Dovrà salire sulla torre più alta. Stia attento ci sono dei dissennatori in perlustrazione».
    «So come affrontarli, Koch – rispose con un ghigno – non abbia timore per me». Subito Julius evocò il suo Patronus: non senza soddisfazione notò l’ombra di uno spavento sul viso dell’altro uomo. Una reazione indubbiamente naturale: poche persone avevano per Patronus un enorme serpente Boa. Insolito, ma intonato al blasone di famiglia: il serpente che si morde la coda, dorato in campo blu scuro che portava ricamato sulla giacca, proprio sopra il cuore.

    La porta della cella era di legno solida e massiccia  e Julius attese qualche secondo prima di aprirla con un incantesimo. Fu con una certa emozione che ne varcò la soglia: stava per incontrare faccia a faccia Grindelwald, uno dei maghi più potenti di tutti i tempi, colui che aveva dominato e gettato nel terrore un intero continente appena venti anni prima.
    Lo vide non appena entrò: stava in piedi, di fronte alla porta, come se lo stesse aspettando. Lo ricordava da vecchie foto e illustrazioni di libri e giornali, ma fu comunque una visione impressionante; forse gli anni avevano forse cominciato a segnarlo, ma poteva ancora dirsi un bel vecchio: alto e vigoroso. I lunghi capelli, un tempo biondi, si stavano incanutendo, ma il suo sguardo era ancora fiero e intenso: due occhi verdi e profondi che lo fissavano con un misto di curiosità, rispetto e un orgoglio senza fine. Fu lui ad interrompere il silenzio: aveva una voce chiara, profonda, quasi suadente.
    «Buongiorno a te, ragazzo – esclamò, storcendo la bocca in un sorriso ironico – hai  intenzione di stare lì imbambolato a fissarmi tutto il giorno come  una stuatua? Chi sei? E cosa vuoi? Non sono in molti a voler visitare questo...castello...»
    «Il mio nome è Julius Apuleio Balsamo. Forse questo nome ti dirà qualcosa. Dovresti ricordartelo bene, Grindelwald!».
L’ombra dello stupore e del timore passò nei freddi occhi del mago, ma fu solo un attimo: presto ritrovò la sua sicurezza e il suo sorriso ironico. «Julius... ma certo! Devi essere l’ultimo figlio di Costantino Balsamo, il mio vecchio amico e il mio fido alleato dei giorni di gloria...»
    «Un amico e un alleato che tu hai ucciso» lo interruppe Julius.
  «Già! È vero, mi ricordo bene di quel giorno. Un vero peccato. Tuo padre era un uomo straordinario e un mago davvero molto abile. Gli altri miei “collaboratori” non erano che degli idioti pieni di sé, che vivevano dell’ombra del mio potere, nutrendosi di esso, riparandosi in esso, facendosi forti della mia forza. Tuo padre, invece... beh, lui era potente. Potente e molto intelligente. Ma spesso sono proprio gli uomini intelligenti ad essere i più pericolosi. E gli uomini pericolosi vanno eliminati. Sei forse venuto per vendicarlo? Non so che soddisfazione tu possa avere nell’uccidere uno che è già morto... Ma prego, sono completamente indifeso!». Il suo sorriso si fece ancora più pronunciato. Nulla nel tono di Grindelwald indicava che provasse il minimo rimorso per ciò che aveva compiuto, o che fosse dispiaciuto per aver ucciso il padre di Julius, o persino che temesse davvero di essere ucciso: sembrava piuttosto divertito di avere a che fare con il figlio di un uomo a cui aveva tolto la vita.
    «Non sono venuto per ucciderti, Grindelwald. Anche se devo ammettere che ne sono molto tentato – disse puntando la bacchetta al petto del mago – sono venuto per parlarti».
    Il vecchio mago scoppiò a ridere, ignorando la bacchetta puntata al suo petto, come fosse una cosa della minima importanza.  «E così – disse ridendo – sei venuto fino a qui, in questo posto dimenticato da Dio, solo per parlare con un inutile vecchio come me. Davvero non ti capisco ragazzo». Smise di ridere e fissò Julius negli occhi per qualche istante. Questi non distolse lo sguardo, malgrado provasse un certo disagio di fronte a quegli occhi verdi che sembravano volerlo perforare. Sorrise, per darsi un contegno e rompere la tensione.
        «Sai perché ho costruito questo posto, ragazzo?»
        Julius rimase un poco interdetto dall’improvviso cambio di argomento tuttavia si riprese in fretta. «Per “Il Bene Superiore”?» rispose senza nascondere l’ironia e un certo disprezzo verso il motto che Grindelwald aveva sempre sbandierato davanti al mondo.
    L’uomo ignorò completamente la sua risposta «Doveva essere una prigione, un luogo per confinare i miei oppositori: per tutti coloro che non comprendevano la mia visione, che non capivano che tutto ciò che facevo era per il bene superiore. Per coloro, almeno, che non erano tanto pericolosi da dover essere eliminati. Così lo scrissi anche sull’ingresso “Fur der Obergute”. Ho anche pensato di scriverci: Lasciate ogni speranza, voi che entrate!”. Ci sarebbe stato bene! Forse sarebbe stato anche più adatto. Dopotutto...tutte le mie speranze si sono infrante proprio qui, nella prigione che io ho creato... Quale ironia!...» rispose citando il verso in un italiano perfetto, praticamente privo di inflessioni.
    Quasi suo malgrado Julius fu colpito. Sentire un verso del Sommo Poeta provenire proprio dalle labbra di Grindelwald era qualcosa che non si sarebbe mai aspettato.  «Non avrei mai creduto che proprio tu avresti citato quel poeta, Grindelwald. Credevo disprezzassi tutti i Babbani».
    «Tutti i Babbani non sono altro che feccia che dovrebbe solo strisciare e servire di fronte ai loro padroni maghi!» Strillò quello con astio, il viso improvvisamente arrossato dalla rabbia.  «Ma dopotutto, anche dalla feccia babbana può sorgere una gloriosa stirpe di maghi. E io so riconoscere la grandezza, in chiunque compaia. E il vostro Dante... oh lui era un grande! Sai, è stato proprio tuo padre a farmelo conoscere: proprio nell’anno che passammo insieme a Durmstrang, tanti, tanti anni fa... Devo dire che il suo “Inferno” è davvero qualcosa di sublime: mi ha fornito un sacco di idee... in qualche modo mi ha persino divertito! Il “Paradiso” invece è tanto noioso. Non trovi curioso che immaginare l’Inferno sia tanto facile, mentre fare lo stesso con il Paradiso è tanto difficile?»
    «Credo che sia perché il cosiddetto “Mondo Reale” spesso assomiglia tanto ad un inferno. E gli uomini come te hanno un vero talento per renderlo tale». Rispose Julius duro. Cominciava ad essere stufo di quelle sciocche chiacchere, non aveva fatto tutta quella strada, sopportato tutto quel freddo, per discutere amabilmente di letteratura o di filosofia in una cella di Nurmengard; non con un folle assassino del calibro di Gellert Grindelwald, in bocca al quale una citazione di Dante suonava quasi come una bestemmia.
Grindelwald gli rise in faccia, come immensamente divertito da quell’accusa, la sua fu una risata folle, fredda e malvagia che nauseò e un poco spaventò Julius.
    «Non esistono “uomini come me”, ragazzo. Esisto solo io. Sono assolutamente un uomo unico al mondo» affermò con un sogghigno.
    «Ma questo non ti ha impedito di essere sconfitto, disarmato e imprigionato, vero Grindelwald? Tutti i tuoi sogni, i tuoi progetti, il tuo parlare di “Bene Superiore” si sono sciolti come neve al sole, infranti contro la forza di Albus Dumbledore, spezzati dalle mura della tua stessa fortezza! No, Grindelwald, tu non sei affatto unico. Tu sei solo uno dei tanti folli che per la loro sete di potere si sono creduti simili a Dei. E come tutti, sei caduto!».
    Nuovamente il mago rise, fu una risata diversa, breve e roca. «Ma che bel discorsetto – disse – lo hai mandato a memoria prima di venire qui o lo hai improvvisato sul momento?». Julius non rispose e Gellert continuò a fissarlo, sorridendo sprezzantemente.
    Infine, dopo un altro lungo silenzio «Ebbene? Non sei venuto per vendicarti. Non intendi farmi del male. Non vuoi uccidermi Vuoi solo parlare con me: di cosa?»
    «Di mio padre».
    «Di Costantino – riprese il vecchio mago – Lo immaginavo: dovevi essere solo un bambino, quando morì. Quello che mi chiedo però è... Cosa vuoi sapere da me? Immagino che tua madre te ne abbia parlato e nessuno in Italia può essersi dimenticato di Costantino Balsamo, Console supremo d’Italia per oltre venticinque anni». 
    Julius non rispose: non voleva mostrarsi debole di fronte a Grindelwald, non voleva rivelare a quel mago tanto malvagio tutti i suoi dubbi sulla figura di suo padre. Era solo un bambino quando era morto, è vero, ma lo ricordava abbastanza bene: era gentile, premuroso, affettuoso, sempre pronto a passare qualche minuto del suo prezioso tempo con lui. Ricordava il suo sorriso, la sua risata forte e pastosa e nello stesso tempo il senso di forza, di potere e di protezione che sapeva all’occorrenza trasmettere. Non poteva credere che si fosse alleato con un tale mostro, voleva capire cosa lo aveva spinto a tanto, perché avesse compiuto quelle scelte. Sua madre era morta, ma questo Grindelwald non poteva saperlo, uccisa dal dolore per
Grindelwald gli rivolse un altro sorriso derisorio, come se conoscesse o intuisse i pensieri che affliggevano Julius.
    «Hai perso la lingua, ragazzo? – lo canzonò – Oppure ti è venuto un qualche dubbio? Sembravi così sicuro di te, così arrogante, pochi istanti fa! Risponderò io per te, allora! Tu vuoi sapere di me e di tuo padre, di come ci siamo conosciuti e di come siamo diventati alleati. Forse non credi possibile che tuo padre sia stato alleato del più potente “Mago Oscuro” mai esistito? Forse non credi che lui potesse essere uno di quei “folli che per la loro sete di potere si sono creduti simili a dei”?»
    «Oh bene! Sembra che io abbia indovinato – continuò, ridendo nuovamente – mi dispiace, ragazzo, che tuo padre sia stato per te una tale delusione. Ma non è mia la colpa di ciò che lui è stato.».
    Julius continuò a tacere, fissando con astio Grindelwald negli occhi. Quell’uomo continuava a prendersi gioco di lui, trattandolo come un ridicolo ragazzino. Non avrebbe ottenuto niente da lui: nessuna risposta, su suo padre, se non bugie o inganni. Certo, aveva ancora la bacchetta dalla sua – al contrario del vecchio.  Avrebbe potuto provare a forzargli la mano costringerlo a parlare con la forza... o con il dolore. Ma sarebbe stato solo inutilmente crudele. Quel mago non avrebbe mai ceduto, era pur sempre Gellert Grindelwald, colui che aveva gettato nel terrore e poi dominato quasi l’intera Europa, prima di cadere: non si sarebbe mai piegato di fronte ad un ragazzino come lui.
    Si sentì stupido: aveva solo sprecato tempo e denaro, venendo fino a quel luogo solo per incontrare il prigioniero della torre. Si girò nuovamente verso la porta, ignorando il vecchio, lasciandolo alla solitudine della propria cella.
    «Già te ne vai, ragazzo? – lo richiamò Grindelwald –  Credevo volessi sentire la storia di tuo padre? Non sei curioso di sapere come, insieme, siamo giunti a conquistare il mondo magico?»
    «Basta, Grindelwald. Ne ho abbastanza di te, del tuo ego smisurato e del tuo inutile sarcasmo. Ho solo sprecato il mio tempo venendo fin qui. Non credo affatto che tu voglia rispondere alle mie domande. Resta pure qui, con i tuoi sogni di grandezza, con il tuo bene superiore e con i tuoi fantasmi. Addio!».
    «Aspetta! – lo fermò quello, afferrandolo per il braccio – Resta, per favore. Non ho mai detto di non voler rispondere alle tue domande. Ma fammene qualcuna, almeno!».
    Julius si liberò della stretta con uno strattone, ma qualcosa nel tono del vecchio lo costrinse a fermarsi, era una richiesta priva del tono derisorio che lo stregono aveva sempre mantenuto. Sembrava quasi una supplica. All’improvviso ciò che vide davanti a sé non fu più il mago oscuro che aveva terrorizzato l’Europa e il mondo, colui che aveva tentato di imporre un nuovo ordine, l’assassino di suo padre, ma un vecchio sconfitto e solo, condannato a lunghi anni sempre uguali, chiuso in una cella, privato di tutto ciò che lo aveva reso grande. La sua doveva essere una delle poche visite che mai aveva ricevuto. Decise di restare.
    «Come hai conosciuto mio padre?»
    «A Durmstrang. Abbiamo frequentato un anno di scuola insieme prima che io... beh diciamo che espulsero me, mentre tuo padre tornò in Italia».
    «A Durmstrang? Come mai mio padre frequentò quella scuola?».
    «Da quanto ho capito era una specie di tradizione del Balsamo concludere gli studi lì. Penso che sia stato tuo padre a porvi una fine. Non ha mai amato molto quel luogo».
    «Dunque è stato lì che è diventato uno dei tuoi seguaci?»
    «Seguace? Oh, no ragazzo! Tuo padre non è mai stato un mio “seguace”. Aveva troppa stoffa per quello. E troppa stima di sé, aggiungerei. Una cosa che tu sembra aver ereditato da lui: Non hai la vocazione del servitore. No davvero».
    «Cosa vuoi dire, Grindelwald? Spiegati!». Julius non capiva dove quell’uomo volesse arrivare: aveva sempre sentito dire che Costantino Balsamo era stato tra i più fedeli seguaci e alleati di Grindelwald e che alla fine era stato ucciso per aver cercato di spodestarlo. Che cosa voleva dire ora Gellert? Lo stava ancora prendendo in giro.
    «Oh, è una cosa che mi disse lui, tanti tanti anni fa, quando eravamo entrambi giovani, orgogliosi e potenti. – rispose quello con molta calma – “Non ho la vocazione del servitore, Gellert”, mi disse, “Se questi idioti tengono tanto ad inchinarsi a te leccandoti il culo”, perdonami ma ha detto proprio così, “lo facciamo pure e che si soffochino, ma io non ne ho la minima intenzione. Ti aiuterò nel tuo piano, certo, ma lo farò come voglio e quanto voglio. E pretendo la massima libertà di azione nel mio paese. In Europa fai quello che vuoi, ma l’Italia è mia”».
    Sorrise nuovamente, come lieto del ricordo di un uomo che sapeva, malgrado tutto, tenergli testa poi continuò. «Vedi, te l’ho già detto all’inizio. Tuo padre era diverso dai tanti idioti che mi circondavano, cercando solo di risplendere della luce riflessa del mio potere. Lui era davvero un uomo potente, un uomo che sapeva di valere e che sognava la grandezza, così simile a me come il fratello che non avevo mai avuto... o come quello che ho perduto. Forse avrebbe persino potuto eguagliarmi, se solo lo avesse desiderato».
    «E come accadde che finiste per lottare l’uno contro l’altro?».
    «Tu corri troppo, ragazzo! Quello venne solo molto dopo... non vuoi sapere la mia storia? La nostra storia? C’è così tanto da dire».
Julius restò qualche momento sovrappensiero, chiedendosi se fosse il caso di fidarsi di un uomo del genere, che anche allora sembrava pronto alla menzogna o al sarcasmo. Poi si decise.
    «Molto bene, Grindelwald. Ti ascolterò volentieri. – gli rispose – ma non oggi. Il mio tempo qui è scaduto e devo andare. Tornerò ancora però. A presto.»
    «Ed io starò qui ad aspettarti. Non dovresti avere problemi a ritrovarti. Non esco molto ultimamente».
   Julius lasciò la porta della cella alle sue spalle mentre evocò il Patronus per difendersi dai Dissennatori affamati. Il carceriere Koch gli venne incontro proprio all’uscita.
    «Già se ne va, Herr Balsamo? Spero che la visita sia stata di suo gradimento. Sono stato molto lieto di essere stato utile ad un esponente di una così nobile famiglia...».
    Lui lo ignorò, lasciandoselo alle spalle e uscendo dall’ampio portone di ingresso: non nevicava più, ma la coltre di neve sul terreno era sempre molto spessa. Prima di smaterializzarsi si voltò un’ultima volta verso Nurmengard. La scritta, in grosse lettere rosse era ancora ben visivile. FUR DER OBERGUTE. Chissà, forse anche suo padre aveva creduto di agire “Per un Bene Superiore”.
   
 
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