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Autore: serelily    23/10/2012    4 recensioni
Carissima ragazza,
se stai leggendo queste parole, vuol dire che la mia vita è già finita. La colpa che mi porto dentro mi sta distruggendo, ma non credo di riuscire a reggere ancora per molto.
Però vorrei che tu mi facessi un ultimo favore. Qui dentro troverai tutto quello che ti serve. So che ti chiedo molto, visto che voglio che tu faccia una cosa per cui io non ho mai avuto il coraggio.
Voglio che racconti la vita e la morte di Arthur Duvall. Ma devo avvisarti, è questo che ha portato fine alla mia vita, e anche alla sua.
Classificata quarta al Contest "Amore? No grazie!" di SNeptune84
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi sono voluta cimentare in questo genere per il contest di SNeptune84 (Amore? No, grazie) dove non erano previste coppie di alcun tipo, e per me è stata veramente una sfida visto che vedo il romanticismo in tutto. Ok, questo è quello che ne è venuto fuori. Quando finirò le due long che ho in corso (Intrighi a Darkstone e Ti aspetterò tutto il tempo del mondo) potrei decidere di riprendere in mano questi personaggi e farne una long come sequel. Per cui, se vi piace, rimanete sintonizzati xD.
A presto, baci baci.
Serelily <3


VITA E MORTE DI ARTHUR DUVALL

 



Erin Porter non si poteva certo definire una ragazza remissiva. Aveva in testa solamente una cosa, quella di diventare una reporter di fama mondiale. Per questo, quando il Detective Rogers, un uomo pacato e gentile, prossimo alla pensione, l’aveva chiamata, era rimasta leggermente perplessa, ma aveva accettato subito.
Qualsiasi cosa aveva da riferirle, poteva tornarle utile per il suo lavoro, e per questo non c’era niente da perdere.
Non era pronta, però, a quello che si ritrovò davanti.
La casa in cui viveva Rogers era in periferia, quindi la ragazza rimase stupita di trovare la porta spalancata.
Era tutto in perfetto ordine, eppure un brivido le corse lungo la schiena. C’era qualcosa che non andava, come una nota stonata in una canzone perfetta.
Si aggirò lentamente per la casa, non riuscendo a trovare nulla di strano. Eppure la sua sensazione di fastidio continuava a crescere.
Solo quando sentì lo stridio della corda che strisciava contro qualcosa, si decise ad alzare gli occhi. Lanciò un urlo, quando vide nel vano delle scale il corpo senza vita di Rogers che dondolava leggermente.
Si era impiccato con una corda alla scala che conduceva in soffitta. Se non avesse sentito il rumore della corda non se ne sarebbe mai accorta, per quanto la tromba delle scale era alta.
Con orrore si accorse che Rogers aveva ancora il telefonino legato al collo con un laccio. Doveva essere stata l’ultima persona che aveva chiamato prima di morire.
 
Erin aveva avvertito le autorità, chiedendosi come mai Rogers avesse desiderato farle trovare il suo corpo. Certo, avrebbe scritto lei l’articolo che riguardava il suicidio del detective, ma non era certo per questo che aveva voluto proprio lei, doveva esserci sotto qualcos’altro.
Rimase nei paraggi, cercando di capire cosa ne pensassero le autorità, ma questi fecero di tutto per tenerla all’oscuro delle informazioni.
Non si fidavano di lei, non si erano mai fidati. L’unico che l’aveva sempre considerata una giornalista professionista era proprio Rogers.
Passò parecchio tempo prima che Erin potesse tornare in quella casa e setacciarla da cima a fondo. Temeva che Rogers le avesse lasciato un messaggio, ma che fosse stato trovato dagli agenti.
Ebbe però fortuna. Il quarto giorno di sopralluogo trovò finalmente il plico con sopra scritto il suo nome, accuratamente nascosto tra le doghe e il materasso nella camera degli ospiti.
Il plico era pieno da straripare, ma il primo foglio che Erin tirò fuori conteneva una lettera di Rogers.
 
Carissima ragazza,
se stai leggendo queste parole, vuol dire che la mia vita è già finita. La colpa che mi porto dentro mi sta distruggendo, ma non credo di riuscire a reggere ancora per molto.
Però vorrei che tu mi facessi un ultimo favore. Qui dentro troverai tutto quello che ti serve. So che ti chiedo molto, visto che voglio che tu faccia una cosa per cui io non ho mai avuto il coraggio.
Voglio che racconti la vita e la morte di Arthur Duvall. Ma devo avvisarti, è questo che ha portato fine alla mia vita, e anche alla sua.
Se avrai il coraggio di farlo, di raccontare la sua storia, allora te ne sarò per sempre grato. Glielo devo, ad Artie. È colpa mia se è morto.
Ti prego, esaudisci questo ultimo desiderio ad un vecchio che ormai prova troppa vergogna per se stesso.
Con affetto,
Joseph Rogers
 
Erin non sapeva cosa fare. Aveva dato un’occhiata ai documenti e non era sicura di volersi imbarcare in questa sfida. Aveva paura, temeva per la sua vita.
Eppure al funerale di Rogers si era sentita in colpa. Aveva sempre creduto che il dovere di giornalista fosse quello di raccontare storie, di informare la gente, e la storia di Arthur Duvall era straziante e triste.
Tutti avrebbero dovuto conoscerla.
 
Arthur Duvall non sapeva cosa sarebbe diventato nella vita, ma era consapevole di avere uno straordinario talento nello scoprire le cose che gli altri volevano nascondere. Era nato in un paesino piccolo, troppo per lui. Aveva sempre avuto una mente straordinaria e per questo era guardato con terrore da tutti quanti.
Era considerato quello strano, quello da tenere alla larga. Persino suo padre e sua madre cominciarono a guardarlo con paura.
L’unica persona che riusciva a stargli vicino senza pregiudizi era la sua sorellina, la piccola Anne.
Arthur era silenzioso, riflessivo, ma i suoi occhi erano sempre attenti a quello che accadeva intorno a lui.
Non gli sfuggiva nulla, e questo lo portava a conoscere cose, scoprire segreti che potevano metterlo in pericolo.
Eppure Arthur non aveva paura. Continuava a spiare le persone, a carpirne i segreti, sperando un giorno di usarli in modo saggio.
Ad Anne non aveva mai detto nulla, non voleva metterla in pericolo. La ragazzina non era sciocca, però, e ben presto cominciò a chiedersi perché il fratello sparisse per ore e perché la gente lo guardasse sempre con paura.
Arthur non avrebbe mai voluto che Anne si trovasse in pericolo a causa sua, ma era consapevole che prima o poi sarebbe successo.
La prima volta che Anne capì cosa faceva suo fratello, fu quando lo incrociò sul retro di un locale. Arthur stava parlando con un ragazzo, un giocatore di football della loro scuola. Il giocatore lo guardava terrorizzato, dicendogli che avrebbe fatto di tutto, gli avrebbe dato dei soldi, purché quelle cose non sarebbero mai venute fuori.
Arthur sorrideva e annuiva, contento di aver raggiunto il suo obiettivo. Per quella volta, Anne decise di far finta di niente.
La seconda, Anne lo vide ricattare il preside in persona. E doveva trattarsi di qualcosa di grosso, perché l’uomo aveva cominciato ad accettare ogni richiesta assurda di Arthur.
Anne non sapeva cosa Arthur stesse combinando, ma non aveva idea che questo si sarebbe ripercosso anche su di lei.
Arthur cominciava a diventare troppo pericoloso. Non si sa per chi: se per il preside, il giocatore di football oppure altri di cui la sorellina non era a conoscenza.
Però, nessuno voleva più Arthur Duvall in giro; una mattina Arthur aveva deciso di prendere la macchina per andare a scuola, e con lui Anne.
Sapeva, intuiva, che qualcosa non andava nel verso giusto, eppure non gli era importato. Doveva parlare di nuovo con il preside, eccitato per l’accordo che intendeva proporgli. Correva, superando il limite, ma quando provò a frenare si accorse che i pedali non funzionavano.
Era così che avevano deciso di farlo fuori? Tagliando i freni della sua auto?
Si scontrarono contro un albero, perché Arthur aveva deciso di uscire fuori strada e finire in qualche modo quella corsa pazza.
Non aveva pensato ad Anne, troppo occupato nel suo delirio di onnipotenza, credendo che scontrarsi contro un albero li avrebbe salvati.
Non aveva calcolato che avevano colpito la pianta dalla parte del passeggero, che andavano troppo veloci perché l’impatto fosse minimo.
Anne morì sul colpo, e Arthur lo scoprì dopo mesi, quando si svegliò dal coma.
 
Passarono dieci anni, e Arthur Duvall era l’ombra di se stesso. Riusciva a carpire ancora i segreti degli altri, ma questo ormai non gli dava più soddisfazione. Si stava consumando, letteralmente. Non mangiava praticamente mai e continuava a drogarsi con qualunque cosa gli arrivasse tra le mani.
Fu così che Rogers lo vide per la prima volta. Stava pattugliando la zona per un caso di omicidio avvenuto nella via, quando lo incontrò seduto per terra, con la testa tra le mani. Sembrava ancora più magro con i vestiti troppo larghi.
Insospettito, si avvicinò per fargli qualche domanda e rimase letteralmente di stucco quando quello rispose:
«E’ un piacere incontrarla mentre lavora, detective Rogers»
Indispettito, lo aveva fatto portare dentro. Arthur non aveva detto una sola parola, per tutta la notte. Non avendo niente per collegarlo all’omicidio, quindi lo avevano lasciato andare.
Rogers era rimasto parecchio stupito di trovarlo sulla soglia di casa sua, quella sera stessa.
«Che ci fai qui?»
«Non sapevo dove andare» fu la risposta, prima che il ragazzo entrasse senza essere invitato.
«Cosa ti fa pensare che io ti farò rimanere?»
«Il fatto che non vuoi che tua moglie sappia che te la fai con ragazzi che hanno trent’anni in meno di te» disse quello con naturalezza, lasciando Rogers sconvolto «Andiamo, Rogers, ti manca qualche annetto alla pensione, puoi divertirti ancora per un po’! Vuoi davvero che tutto finisca solo perché non mi hai ospitato questa notte?»
E Arthur rimase. Non solo quella notte ma anche le successive. I Rogers cominciarono a trattarlo come il figlio che non avevano mai avuto, e il detective lo perdonò presto per quella minaccia con cui era iniziata la loro profonda amicizia.
Arthur aveva provato a trovare lavoro, ma il suo aspetto inquietante non gli permetteva di andare oltre la prima impressione.
Rogers così aveva avuto un’idea: perché non sfruttare il talento di Duvall a suo vantaggio?
Sarebbe diventato il suo informatore, avrebbe lavorato segretamente sotto copertura e gli avrebbe permesso di arrivare degnamente alla pensione con un notevole numero di casi risolti.
Sarebbe stato perfetto.
Non ne aveva parlato con nessuno, pregustando già gli encomi che avrebbe ricevuto una volta.
Fu così che Arthur cominciò a frequentare giri poco raccomandabili, a infiltrarsi dovunque, in città. Rogers ne trasse un enorme beneficio: grazie alle capacità del ragazzo era riuscito a risolvere più casi di omicidio di tutti i suoi colleghi messi assieme. Questo venne notato da un collega, che non ci mise molto a rintracciare il ragazzo e minacciarlo. Rogers si era vantato troppe volte dei risultati, e casualmente questi erano cominciati ad arrivare proprio quando il detective aveva affittato la camera per gli ospiti a quello strano e inquietante giovane.
Andò da Arthur e gli rivelò di sapere tutto.
Se non avesse lavorato anche per lui, sarebbe stato denunciato sia lui che l’uomo che l’aveva accolto in casa. Arthur si trovava con le mani legate. Nonostante tutto quello che aveva in mano per minacciare il suo ricattatore, non poteva fare nulla senza rischiare di danneggiare se stesso e Rogers.
Era senza via d’uscita. Andress, così si chiamava l’altro detective, era intenzionato a stanare una serie di poliziotti corrotti che gestivano un giro di prostitute. Duvall avrebbe dovuto fingersi uno spacciatore e cercare di entrare nel giro, per scoprire quanto più possibile.
Ma Andress non aveva capito dove si era andato a cacciare. I poliziotti coinvolti nel caso erano ai piani alti, e quando scoprirono di questo ragazzo, non ci pensarono un attimo a risolvere la situazione. Andarono da Andress e lo fecero confessare: disse che voleva unirsi a loro, che voleva diventare ricco e non gli interessava un accidenti della giustizia. Consegnò loro Duvall e disse loro che Rogers era il suo contatto e che probabilmente avrebbe cercato di portare avanti le indagini.
Vendendo i due, Andress si costruì una posizione solida.
Il corpo di Arthur Duvall fu ritrovato davanti alla casa di Rogers, una mattina di Marzo. Accanto a lui c’era un messaggio scritto con lettere ritagliate da un foglio di giornale. Minacciavano di fare la stessa cosa con la sua mogliettina se non fosse rimasto fuori dai loro affari.
Ma Arthur Duvall non era uno stupido. Dopo un mese dalla sua morte, fu recapitato a Rogers un pacco contenente tutte le prove che il ragazzo aveva raccolto, con nomi e cognomi.
Rogers, però, era stato troppo codardo per farsi avanti.
 
 
Erin trovò, alla fine del plico, un’altra lettera che Rogers le aveva lasciato.
E’ colpa mia se Artie è morto, non l’ho protetto abbastanza, ho lasciato che sfruttassero il suo talento e questo l’ha portato alla morte. Non ho nemmeno avuto il coraggio di denunciare i suoi assassini, sebbene avessi tutte le prove per farlo.
Racconta la storia di Arthur Duvall. So che quello che ti sto chiedendo potrebbe mettere in pericolo la tua vita, ma so anche che tu sei l’unica che ha abbastanza coraggio per fare quello che è necessario. Quel coraggio che a me è sempre mancato.
Si era recata alla tomba di Arthur Duvall con in mano il plico con le informazioni. Se l’avesse fatto, la sua vita sarebbe cambiata per sempre. Si sarebbe dovuta nascondere, perché gli uomini che venivano accusati erano ai vertici della polizia e lei non era che una piccola giornalista.
Tuttavia non aveva paura.
Dentro la borsa, la sua chiavetta USB conteneva l’articolo che aveva impiegato tutta la notte a scrivere: “Vita e morte di Arthur Duvall”.
Non aveva ancora chiamato la sua capo-redattrice, però. Se avesse deciso di pubblicare quell’articolo sarebbe stata costretta a fuggire, cambiare identità, ricominciare da capo. La sua vita sarebbe stata in pericolo.
Era pronta a tutto questo?
Accarezzò piano con le dita la foto del ragazzo. Anche lì appariva come una creatura strana, che non apparteneva a questo mondo.
Se fosse rimasto in vita Arthur Duvall avrebbe potuto fare molto, per tutti quanti. Doveva solo trovare uno scopo, un motivo che gli permettesse di andare avanti.
Lo scopo che lei aveva trovato molto tempo fa. Strinse la borsa al fianco e, con passo deciso, si avviò verso l’uscita del cimitero.

   
 
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