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Autore: Nocturnia    24/10/2012    1 recensioni
Ci sono storie che affondano le loro radici nelle viscere dell'umanità.
Ci sono alcune storie - quelle brutte, quelle dal sapore tragico della profezia - che dipingono il proprio svolgimento con i colori della guerra e del sangue.[...]L'ho vissuta e infine compresa, abbracciandola. E nel suo abbraccio ho trovato una risposta.
Una fine e un inizio.
Genere: Fantasy, Guerra, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Nel segno del sangue'
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Disclaimer: Questa storia è stata scritta per puro diletto personale, pertanto non ha alcun fine lucrativo. L’intreccio qui descritto e i personaggi rappresentati sono copyright dell’autrice (Nocturnia) e non ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.

Prima lux


In quel pugno di albe che omaggiarono la mia permanenza a Shunal, si venne a creare, tra me e Joric, un rito tutto privato e personale.
Le notti in cui non ero sfiancata dagli allenamenti di Addakra, quelle in cui gli incubi si faceva più insistenti, mi alzavo in silenzio - o così credevo - e scendevo le scale della locanda solo per ritrovarmi in cucina, tra le sue braccia.
Non ero mai stata innamorata prima e le labbra di Joric mi sembravano il posto migliore a cui tornare.
In cui rimanere.

"Non hai mai incontrato un demone?" glielo chiesi nuda, sotto un cielo che aveva lo stesso sapore della mia infanzia.
Joric mi spiò di sottecchi, abbozzando un sorriso.
"No, mai. Forse Shunal non è una città interessante per loro."
Risi nervosa a quell'affermazione, ben sapendo come fosse solo una mera casualità quella a cui si riferiva Joric.
"Fidati..." sussurrai sulla sua pelle "niente fa abbastanza schifo a un demone da evitarlo."
Avrebbe dovuto essere un discorso serio e cupo, tragicamente vero, ma il sesso - o l'amore - erano un sudario che tutto coprivano, un velo oltre al quale era impossibile andare.
Mi baciò con tenerezza assassina, carezzandomi la cicatrice che avevo lungo la clavicola.
"Come te la sei fatta?"
"Joric, io non credo..."
Rialzò i suoi occhi, scuri e improvvisamente pensierosi, piantandoli nei miei e fissandomi con un'intensità lacerante.
"Voglio sapere. Devo sapere, Dyen. Perché tu sei anche questo."
Un cane aveva ululato alla luna, scalfendo il silenzio che si era venuto a creare.
Avevo sospirato, poggiandomi contro il suo petto e iniziando a raccontare.
A ricordare.

Erano appena due mesi che condividevo la vita e la speranza con Addakra: due mesi di affanni, punizioni e fatica.
Albir, la città natale di mia madre, si estedeva sotto di noi.
Si alzavano ancora nell'etere le lunghe colonne bianche dell'ingresso principale, mentre il suo simbolo, una fenice, spiccava come una ferita lungo tutta la fiancata delle mura.
Il cielo sopra di noi era grigio e pastoso, pronto a vomitare una tempesta perfetta.
Addakra rimase rigida, eretta nella sua posizione un po' legnosa e troppo dura, ascoltando il rumore della foresta alle nostre spalle.
"Questa era..."
"Lo so."
"Dicevano fosse cesellata nell'opale e nell'argento, la città grande di Matarisvan."
Addakra mi concesse un mezzo sorriso, raccogliendosi i capelli in un nodo strettissimo.
"L'esercito rimasto si è portato via quello che c'era di valore ad Albir, Dyen. Quando Moloch decise di conquistare questo mondo e Angrovis gli si oppose, Albir fu la prima a cadere. La prima a resistere."
C'era una nota amara nella voce di Addakra, un flessione piena di rimpianto e ricordi.
"I miei nonni erano di Albir. Gli ultimi profughi." replicai al suo fianco
Addakra annuì, prima di proseguire.
"Albir era macerie e polvere ancora prima che io nascessi, Dyen. Liam, il suo Re, si oppose con tutte le sue - le nostre - forze a Moloch, ma l'aiuto di Angrovis si rivelò ancora peggiore. Angeli e demoni sono fatti della stessa pasta, bronnen: basta imparare a distinguerne il sapore."
Il vento mi spirò tra i capelli, rendendoli fili strattonati dalle mani capricciose di un bambino.
"Mia madre diceva sempre che quella fu l'epifania della fine. L'apocalisse."
"Aveva ragione. Dopo che Liam impazzì a causa di Angrovis e del suo potere, l'esercito - o quei pochi sopravvissuti - si sparpagliarono per Matarisvan, rubando e diventando mercenari, ladri, disperati. Senza più l'ala di Fenice, ovvero la punta di diamante di Albir, ben presto si venne a creare il caos. "
Addakra puntò l'iride verso l'orizzonte, saccheggiando il paesaggio e carpendone ogni dettaglio.
"Non siamo più un paese. Siamo un campo di guerra, Dyen. In tutta la sua gloria, in tutto il suo orrore."
Tacqui alcuni istanti prima di replicare, ma fui bruscamente interrotta dalla ferae.
"Zitta." mi intimò perentoria "Non lo senti?"
"Io... no... cosa?"
"Il rumore. Il rumore del silenzio, Dyen."
Mi scostai il cappuccio del mantello e accostai l'orecchio all'aria immobile.
Con un brivido di terrore, capii a cosa si riferiva Addakra.
Al di là dagli arbusti non proveniva alcun suono, né l'allegro cantare degli uccellini né lo scalpiccio irritato dei buhriman.
"Addakra..."
Non feci in tempo a completare la frase.
Una massa di pelle e ossa, dall'odore putrefatto dei cadaveri lasciati marcire al sole, si lanciò contro di noi, fendendo l'aere.
Addakra e io ci scansammo giusto in tempo, rotolando ai due lati della collina.
"Cosa diavolo era?" urlai, riprendendo l'equilibrio
Ma Addakra non ebbe fiato per rispondermi.
Con un grugnito di disapprovazione si avvicinò al bordo dell'altura, appollaiandosi sul masso che troneggiava in cima.  
Si era toccata la schiena, liberando dalle cinghie la balestra e incoccando, una dopo l'altra, diverse frecce che erano poi andate a puntare verso un grumo nero e rossastro a valle.
"E' un aeshma." sibilò tra le labbra serrate "Un abominio composto da pezzi di cadaveri e altri orrori che non vuoi davvero conoscere. Di solito non si nascondono nelle città vuote, ma i saprofagi devono essergli sembrati una buona alternativa ai phazani."
"E perchè..."
Ci fu un rumore, come la pietra che si spezza, così duro e secco che il mondo stesso parve aprirsi: poi, una folgore di carne partì verso di noi.
L'istinto della bestia fu rapido e Addakra scoccò tutte le frecce che aveva nella balestra.
Incurante, l'aeshma ricaricò, dirigendosi verso di me.
Estrassi la lama dal fodero per alzarla e parare il colpo, ma l'unghia di quell'essere, lunga almeno come un pugnale da venti, mi penetrò nella scapola, lasciandone stillare plasma rubino.
Gemetti dal dolore, mentre il tanfo di decomposizione mi aggrediva le narici.
Alto circa sette piedi, pareva inciso nell'incubo di un disegnatore folle.
Dal ventre, verdastro fuoriuscivano fasci interi di interiora, mentre il busto era ricoperto da piaghe e vesciche, pus nerastro e infetto che andava a intorbidire il terreno.
E la bocca.
La bocca era un taglio netto sul volto disfatto, denti aguzzi e un creack, creack taaaak continuo che pareva quasi un metallo cigolante.
"Dyen"! latrò Addakra dalla schiena della creatura "Abbassati!"
Non pensai: lo feci e basta.

Fu in impatto roboante, stridente.
Fu come se centinaia di pungoli arroventati mi si conficcassero nelle carni, afferrandomi il cuore e stracciandolo in libbre grandi come una moneta.
Riuscii ad estrarre la spada all'ultimo minuto, mentre una miriade di piccole scintille mi esplosero dietro le palpebre.
Addakra aveva aperto il fuoco, lanciando tutte le granate che portava alla cinta.
La vidi imporsi di non arretrare di un passo, piantando saldamente gli stivali nel terriccio e gettando tra le fiamme, ormai incombenti, il corpetto e il mantello.
Il cuoio disegnato avvampò d'improvviso, l'epidermide, già deturpata, aggredita da quella luce come fosse la punta di una frusta.
Digrignò i denti Addakra, ricordando quella lezione che il figlio del nord le aveva impartito a suon di morsi e rovinosi scontri.
"Farai grandi cose con il tuo odio, Addakra. Ti nutrirà. Ti darà la forza e la lucidità. Odia e lascia che esso diventi parte di te. La tua ira, il tuo odio, la tua frustrazione! Plasmali, lascia che entrino in ogni tua cellula, ogni tua goccia di sangue! E quando ne sarai piena, fa che diventi la tua arma. Che il tuo nemico possa morire di ciò che egli stesso ha creato!"
E obbedì.
Lanciò un urlo che era vibrante di furia repressa, acuto e lacerante.
Regredì fino al nucleo pulsante della sua natura di ferae e cacciatrice, incanalando ogni fibra nell'arco d'ossidiana che attraversò poi il cielo, andando a schiantarsi contro il petto dell'aeshma.
Fu con un ultimo sforzo che Addakra riuscì a contrastare l'attacco, lasciando che fosse l'ultima trappola esplosiva a spappolare il cranio del demone.
Rialzandomi, vidi Addakra scivolare oltre il monte erboso e lì rimanere.
Le fui subito addosso, tastando, incerta, le sue ferite, fissandola con un cipiglio angosciato.
Il sangue - il suo sangue - luccicava sull'erba come rugiada, disegnando strade vermiglie intorno al suo corpo.
"Sto bene.." aveva mormorato, tentando di issarsi sulle gambe "Sto bene..." aveva pigolato, ricadendo poi sulle ginocchia e fissandosi, infuriata, i palmi delle mani, ora ridotti a un ammasso di ustioni e tagli "È la tua faccia che fa schifo Dyen, non la mia..."

Era poi svenuta Addakra ed era riemersa da quell'incoscienza solo alcune ore dopo.
Al suo capezzale aveva trovato una ragazzina biondissima e tenace che scaldava un coniglio sul fuoco e un cielo terso, incredibilmente pulito.
"Sei sveglia."
"Non crepo facilmente."
Un sorriso disarmante aveva adornato le labbra di Dyen.
"Questo l'avevo capito."
Aveva sorriso anche lei, seppur nascosta dalle pieghe dell'oscurità.
In lontananza era risuonato il cupo echeggiare di una campana, forse quella caduta di Albir, forse il vento contro lo scheletro di una città - di un mondo - morente.
Non chiedere per chi suona la campana: viene per te.


Addakra si era svegliata con una tremenda sensazione di predestinazione e pericolo.
I suoi riflessi avevano reagito ancor prima della mente e, issandosi sui polpacci, aveva toccato le doppie balestre.
Nella stanza regnava un silenzio innaturale, dubbio.
Si era girata verso sinistra solo per per vedere un pugno di lenzuola sgualcite e un letto vuoto.
Dyen era uscita: di nuovo.
Aveva annusato l'aria, percependo un sibilo feroce e prolungato.
Tesa, era rimasta in ascolto, udendo, per la seconda volta, quel graffiare di unghie giù per la gola.
Aveva deglutito, imbracciando l'arma.
Era la chiamata.
Era il suo futuro che bussava alle porte della storia.
Un secondo bramito si era levato al cielo, fischiandole nelle orecchie.
Rigida, aveva aperto la finestra e, gettata la testa all'indietro, aveva emesso un grido lungo e gutturale, quasi quello di un demonio.
La notte si era fatta rumorosa all'improvviso, ghermendo i confini di Shunal e facendoli sanguinare.
Addakra si era accasciata sul pavimento, la testa fra le mani e le gambe tremanti.
Quello era il richiamo della bestia, dell'uomo che aveva amato e a cui aveva dato tutto.
E lei aveva appena risposto.




Note dell'autrice:
Aeshma: è il nome di quello che nello Zoroastrismo è il dio della collera
Buhriman: è il cavallo del maggiore demone zoroastriano, Ahriman (o Ahrina). Dotato di poteri malefici o benefici secondo i casi, si rende invisibile di giorno e appare la notte. È di colore rosso fuoco ed emette fumo acre e sulfureo dalle narici.
"Non chiedere per chi suona la campana" è il titolo di un libro di Ernest Hemingway del 1940.
   
 
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