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Autore: Lisa_Pan    28/10/2012    3 recensioni
(concerto di Myles, Slash & The Conspirators a Padova del 26\10\12)
Piango perché c’è quella roba, giù in profondità, di fianco a me, intorno, dietro, sopra e sotto. C’è la musica. Nirvana, paradiso, purgatorio, inferno, limbo, nulla, scienza e religione e spaghetti, non importa in cosa cazzo credi, lei ti fotterà sempre. Ti renderà il più gay tra gli etero, il più demente tra gli intelligenti, vegetale tra polmoni sani.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I'm here completely

I'm here completely

A Giuns perchè piange

e non sa smettere.

C’è questa cosa, in un punto che non so dirvi di preciso, è profonda perché anche se mi concentro più del minimo non riesco a trovarne comunque l’origine, che ti prende e ti ribalta. Una roba che strizza lo stomaco e ti chiude la vescica. Quella stessa roba che ti fa dimenticare di avere un naso sulla faccia, al centro degli occhi e qualche centimetro più su delle labbra. Credo che smetti persino di sudare, o forse sudi così tanto che dimentichi di come fosse sentirsi asciutti e profumati. Assomiglia al sesso, solo senza quel groviglio di lenzuola attorno al corpo, o quell’odore di consumato che impregna persino i capelli.

Un minuto prima mi ritrovo col naso spalmato sulla giacca di pelle di un tizio con una massa di capelli che giudicherei fuori legge; grida, grida da fare schifo, sento quasi le corde vocali lacerarsi. La sua voce perde toni, cose se stesse ruzzolando dalle scale e si ritrovasse con il collo rotto e una costola frammentata sull’ultimo gradino. Un minuto prima ho fame, sete, devo fare la pipì, sono terrorizzata e ho quella cazzo di adrenalina che sudo persino dagli occhi. C’è puzza di ruggine, vecchio, testosterone ed eccitazione. Sento lo sfrigolio delle transenne, gemono come disperate sotto il peso di quella massa compatta di persone che spingono, spingono. Mi ritrovo a pogare ancora prima di entrare, in una sorta di preliminare violento ed impaziente.

Un minuto prima, ed anche il minuto dopo effettivamente, quando mi ritrovo schiacciata contro un fianco, una schiena, un braccio, un polpaccio, un’unghia, di un qualsiasi tizio mi chiedo se al mondo sia mai esistito un etero. Uno qualsiasi ma che abbia le idee ben chiare, insomma o la vite o il bullone, non entrambe. C’è quella roba, quella profonda, quella che non riesco a trovare e a toccare, che trasforma il più etero degli eteri nel gay più meraviglioso del mondo, tanto che chi è già gay decide di diventare etero solo per il gusto di sentirsi gay di nuovo e per la prima volta. Lì è tutto una prima volta, una specie di sesso imbarazzato e disinibito al tempo stesso. La tua prima volta e ti ritrovi coinvolta in un’orgia di corpi e fiati e stomaci che si strizzano e vesciche che trattengono.

In quel fottuto minuto prima, davanti ai cancelli serrati, con i capelli del tipo in bocca e l’adrenalina che lascia aloni bagnati sotto le ascelle avevo in mente note, spartiti interi a volte anche se non sono mai stata capace di suonare o leggere la musica, suonavo il flauto ma che si fotta. In quel minuto prima mi sono ritrovata senza bottiglietta e con una sete boia, in quel minuto prima mi piove addosso, la pioggia ci si appiccica ai vestiti e si mischia con il sudore e l’adrenalina che scorrono a fiotti nelle vene. Sono incazzata, non so come ma mi ritrovo addosso la rabbia di quello di fianco a me e anche un po’ della tizia che sbraccia a un palmo di naso da me, un palmo di naso. Si mischia all’ansia, al piscio, all’adrenalina, alla fame, sono una fottuta sensazione che cammina e che grida e che sgomita. C’è Luca, lo stronzo, ci ferma, ci trattiene e io urlo. C’è Giovanni che mi spinge nelle retrovie, perdo di vista la prima fila e inveisco contro quello scimmione. 

E il minuto dopo..

Il minuto dopo le transenne, Dio non ho mai amato così tanto quei pezzi di ferro scomodi, freddi, spacca costole e mozza fiato. Piscio, sudore, fame, sete, stanchezza finiscono in un buco qualsiasi del mio corpo, li strappo via come un cerotto, li pesto, con le suole bagnate delle scarpe, vorrei non averle ai piedi, vorrei lanciarle a quelle frasi che mi arrivano come schiaffi alle spalle. Cazzo, non ce le ho davvero le scarpe. Mi guardo i piedi, mi son cresciuti e sono più pelosi di quanto ricordassi, devo tagliarmi le unghie, diamine ci vorrebbe anche una passata di ricostituente o come diavolo si chiama e da quando li ho così zezzi?

Quella roba, ti fa persino credere di avere i piedi di un tizio che si è perso le scarpe strada facendo. Ed è pazzesco. Cioè pensateci. Passo dopo passo quello ha affrontato le teste urlanti e i corpi spigolosi di un mare di gente consumando la suola delle scarpe, facendosi diventare i gomiti lividi che sembrano due braccioli; le ha perse quelle scarpe, è arrivato a lasciarsi dietro i propri passi come se si fosse spogliato di qualsiasi inibizione, come se i preliminari lo avessero già svuotato di tutti i liquidi possibili, di tutta la passione sporca, spinta, per portarlo lì davanti alle transenne di fianco a quest’imbecille che crede che i piedi di quel tizio siano i suoi. Glielo leggo negli occhi, è il più gay tra gli etero, ha quella faccia da aspettativa, quella di uno che viene continuamente provocato negandogli il sesso vero e proprio. Ha quella roba che ho anch’io da qualche parte, quella che non trovo, ce l’ha negli occhi, lui, e nei piedi.

C’è troppo  casino, troppe urla, troppe cazzate che volano per aria, ho voglia di spaccare facce e sputare a terra o magari lanciare cattiveria a pacchetti di sola andata alle due tipe dietro di me, quelle che non capiscono, quelle che il sesso lo fanno con le mutande addosso, quelle che i preliminari si mangiano. Quella roba loro non ce l’hanno o magari si, da qualche parte spalmata sotto i piedi zezzi del mito qui di fianco, fatto rimane che non la usano, non sono capaci di sentirsi parte di qualcosa di troppo grande. Sono due non sono una.

Io sono una ma sono tutti e tutti sono me e non ci capisco più niente. Troppe voci, troppe grida, grido anch’io, tanto e a lungo. E poi.

Vengo. No davvero, piscio, adrenalina, stomaco liquido, sudore e liquidi vari, scivolano via da me e mi ritrovo zuppa da capo a piedi. E ‘ orgasmo vero e proprio, uno di quelli che prima di finirti nelle mutande passa per vie molto più intime, terribilmente più sconvolgente. Improvvisamente è tutto silenzio, silenzio nella mia mente, silenzio intorno, sopra, sotto, al mio fianco, silenzio ovunque, silenzio buio, silenzio eccitato.

Lui, è un lui-loro, è un lui con gli occhiali da sole ma è anche un lui con gli occhi ghiaccio, azzurro, mare, cielo, gatorade al mirtillo, azoto liquido; è un lui-loro-me.

Io avevo un cervello, una volta, e funzionava. Funzionava bene, non ho mai fumato, non mi sono mai fatta, non di droghe materiali per lo meno, riesco anche a correre quindi funzionano bene anche i polmoni, o almeno hanno sempre funzionato. Ma ora no, non riesco a pensare roba normale, non riesco a respirare. Canto. Canto solamente mentre lui tiene il microfono tra il palco e il nulla che siamo noi; canto tendendo il collo perché voglio sentire la mia voce amplificata; canto e mi muovo come se fossi scossa dagli spasmi; canto perché voglio che mi senta; canto perché voglio che mi veda. Canto parole salate e piango note, innumerevoli note.

E lui sorride, diavolo smettila di sorridere, quella roba che prima era in fondo da qualche parte adesso la sento nella gola, sembra bile, vorrei vomitare, non la trattengo. Vomito sensazioni camuffate da un grido che è gemito, diamine il mio alito potrebbe sfiorargli la guancia, quella guancia segnata da una profonda fossetta, c’infilerei il dito solo per capire quanto è profonda. E potrei anche farlo, tendendo la mano.

Io quella canzone non ce l’avevo in testa, io quell’intro non lo aspettavo febbrilmente, io quelle parole non le volevo in faccia, io volevo che mi sputasse in faccia mentre cantava altro, mentre parlava di qualcosa che sapevo a memoria. Quella canzone diventa questa canzone. Quella canzone diventa bile di sensazioni, parole di pianto, spremuta di mirtilli e secchiate di pece bollente nascoste dietro un paio di lenti scure.

E io non me lo aspettavo, niente di tutto questo, non mi aspettavo le nostre voci fremere, non mi aspettavo le sue labbra pronunciare quel “wow” sussurrato ed emozionato, al limite del commosso; non mi aspettavo le mie lacrime, non si piange con il rock’n’roll, non si piange di quella roba, non si piange di quella..

Oh Starlight, don’t you cry we gonna make it right before tomorrow

..musica.

Quella roba, la musica, mi ha fottuto il cervello; quella roba, ecco cos’è: la musica. Droga pesante, da coma permanente, uno di quelli in cui cadi e non vuoi risvegliarti, non è che non puoi, non vuoi proprio. In quella specie di limbo o nirvana o nulla eterno in cui c’è solo piacere, solo quell’orgasmo che ti brucia il cervello e ti polverizza i polmoni e liquefa lo stomaco, non so nemmeno se si dice così ma so che è così, so quello che sento e lo voglio. Non so dove o da chi ma una volta ho sentito dire che si può morire di sesso, immaginate che morte pazzesca. Io potrei morire, adesso, potrei morire con quelle parole nella testa, con una droga invisibile nelle vene e con il cuore che smette di battere perché è incapace di reggere quella musica che sa di storia, una di quelle lunghe pagine e pagine, nata e cresciuta in un’epoca che aveva da raccontare e lo faceva con delle note di qualche tono più alto del limite consentito. E mi sento un po’ Lucy, in mezzo a quei diamanti a forma di pasticche colorate, sbriciolate, a metà azzurre e nere; pece e ghiaccio, catrame e acqua.

Coma, nirvana, paradiso, purgatorio, chiamatelo come volete, io ci sguazzo dentro e brucio come una cometa in quel fottio di stelle, sono una delle tante anime che vaga disperata alla ricerca di un bel niente, vago solo per il gusto di perdermi, solo per sentirmi inerme. Voglio-sentirmi-morire-per-poi-rinascere.

Come una stella, come la sua luce.

Oh Starlight, don’t you cry we’re gonna find a place where we belong (where we belong)

E mi ha davvero sputato in viso, dritto negli occhi, saliva e cioccolato. E per la prima fottuta volta lo sento mio quel nirvana, mi sento LA dannata cometa stronza, quella che è esplosa, quella che adesso è luce, quella che stai guardando con quei tuoi occhi azzurri, quella che sfugge alla pece e si rifugia nel ghiaccio. Perché in fondo, sotto quello stato incandescente di materia stellare c’è del ghiaccio, c’è sempre stato ma non l’ho mai visto. Insieme alla musica, riposava dietro al piscio, al sudore, alla fame, alla paura, all’attesa, dietro quei preliminari estenuanti.

Ma io ho sempre e solo voluto il sesso, il tuo, quello in cui sorridi e canti quella frase guardandomi negli occhi, e vorrei salire sul palco solo per piantarti le mie tette sotto gli occhi, solo perché c’è scritto a caratteri cubitali “paradiso”, il mio, il tuo, non mi frega, voglio solo che leggi e continui a guardarmi perché per colpa tua adesso io piango con il rock’n’roll. Piango perché ne voglio ancora, piango perché ho la tua saliva negli occhi, che mi cola sulle guance e si mischia alle lacrime salate e dolci di cioccolato.

Piango perché c’è quella roba, giù in profondità, di fianco a me, intorno, dietro, sopra e sotto. C’è la musica. Nirvana, paradiso, purgatorio, inferno, limbo, nulla, scienza e religione e spaghetti, non importa in cosa cazzo credi, lei ti fotterà sempre. Ti renderà il più gay tra gli etero, il più demente tra gli intelligenti, vegetale tra polmoni sani.

Quella roba, ti renderà VIVO tra quelli che solamente respirano.

***

Eccola, di nuovo qui, incapace di fare altro se non scrivere qualche cosa totalmente demenziale e sconnessa. Lei non è me, lei non l'ho mai vista in vita mia ma le parlo ogni santo giorno, non l'ho mai abbracciata ma ho condiviso con lei più cose di quanto voi possiate immaginare, non l'ho mai presa a schiaffi ma le ho fatto la paternale molte più volte di quanto realmente volessi. Non sono mai stata nemmeno a quel concerto, mai, però le ho voluto regalare quello che più la spaventava, ogni singola emozione che pensava si sarebbe lasciata dietro, dimenticata.

Non so se sono riuscita a rendere l'idea o la sensazione, so solo che è per lei e per voi che magari ci siete stati per davvero o siete fuse come lei per un tipo del genere, per il gatorade al mirtillo.

Bene..ora esco che Roma mi chiama.

Tante coccole.

Lis



 

   
 
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