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Autore: Chara    29/10/2012    6 recensioni
«Il pubblico di St. Louis non aveva accettato la nostra interruzione, la gente stava distruggendo l’edificio facendo cose che neanche noi credevamo possibili. Era davvero avvilente, e imparammo a non scherzare con la folla fino a quel punto. Axl, perlomeno, avrebbe dovuto esserne più cosciente. Mai portare il pubblico a un tale livello di tensione nervosa.
[…]
Ci fermammo a Chicago per un po’ a smaltire i fatti di St. Louis. Fu un disastro per la gente e per la città e, come conseguenza, i Guns N’ Roses furono banditi per sempre dai palchi di St. Louis.»

(dall'autobiografia di Slash)
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti, Slash
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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IV

 

 

 

La mente di Slash non era molto connessa, in quel momento. Anzi, non era connessa affatto. E, almeno per una volta, non era colpa della sua adorata bottiglia di Jack Daniel’s e nemmeno di droghe varie con cui continuava a giocare, no. Era tutto merito di una ragazzina di cui non sapeva assolutamente nulla se non il nome e l’età… e la sua bravura fottuta ad utilizzare quelle maledette labbra invitanti solo con l’intento perverso di portarlo alla pazzia. Non che gli dispiacesse, in ogni caso.

Poco prima di tuffarsi su di lei ricordava di aver pensato che non sarebbe stato affatto carino, dolce o gentile. Voleva solamente possederla e nulla l’avrebbe fermato da quello scopo, sarebbe andato avanti con una determinazione che non aveva più da tempo in molti aspetti della sua vita, a cominciare dalla band per poi finire nel suo futuro matrimonio. Ma non poteva sapere quanto lei stessa fosse molto diversa da come appariva, quasi l’opposto. Non poteva sapere che sotto quella scorza da brava ragazza, quasi timida, si nascondesse una pazza squilibrata con il peperoncino al posto del sangue. Sì, perché in quel momento, dopo averla già presa una volta e averle dato piacere per un’ora senza lasciarle quasi il tempo di respirare, lei si stava vendicando in tutti i modi possibili. Il metodo che stava adottando in quel momento era semplice, la sua lingua gli lambiva tutto l’addome, curiosa ed esploratrice. Le piaceva particolarmente intrufolarsi nel suo ombelico e vedere la sua pelle riempirsi di brividi.

«Hai un buon sapore» gli sussurrò all’orecchio, quando decise che per il momento era abbastanza.

«Sono sudato.»

«Sì – annuì divertita, carezzandogli una guancia con fare pensieroso – E sei salato. Mi piace.»

Slash vide il suo sguardo color nocciola incupirsi leggermente, come se un’ombra vi fosse passata senza preavviso. Joey rimase per un momento imbambolata sui suoi occhi, per poi scuotere appena percettibilmente il capo e tornare a baciarlo con irruenza.

Tutto sommato non aveva una bella considerazione di lui, se pensava che fosse così facile fargli dimenticare l’oggetto del discorso. Beh, ok, non aveva mai fatto niente per smentire quello che la gente pensava di lui, però non metteva in dubbio il fatto che anche lei lo stesse sottovalutando. E decisamente non aveva mai creduto di poterla equiparare, in generale, alla “gente”. Era più sveglia, più coraggiosa, più… vera.

«Ehi – le disse infatti il chitarrista, sfiorandole piano la schiena con i polpastrelli mentre si allontanava dalle sue labbra voraci – Cos’è successo?»

«Niente, io…» gli rispose, ma s’interruppe a metà, facendo per mordersi il labbro e ricordandosi subito dopo che forse era meglio non farlo.

Slash si tirò a sedere di scatto, prendendo il volto della ragazza tra le mani. Merda, lui non era bravo a fare la persona sensibile, si sentiva terribilmente impacciato, come un pesce fuor d’acqua. E, come se non fosse bastato quello, la situazione surreale in cui si trovavano non era affatto credibile: Joey era seduta a cavalcioni su di lui, che palesemente eccitato, o forse erano eccitati entrambi, ed entrambi erano senza un vestito addosso. La stabilità che la sua mente avrebbe dovuto avere non era poi così tanta. Anzi, non c’era nessuna stabilità su cui fare affidamento.

«Joey, cosa c’è che non va? – insistette – Non sono un mostro di sensibilità, e per essermene accorto anche io allora vuol dire che è palese. Cosa c’è?»

La giovane prese un sospiro profondo, alzando poi lo sguardo verso la finestra. Era rivolta ad est, e il cielo sembrava già essersi schiarito all’orizzonte, in quelle ore incerte che precedono l’alba.

«È quasi mattina» mormorò incerta, abbassando poi lo sguardo su Slash, osservando come la sua espressione prendesse la forma della comprensione in breve tempo.

Fu tentato ugualmente di risponderle con una battuta, perché non avevano dormito affatto durante la notte e, a ben pensarci, avevano fatto qualcosa di molto migliore rispetto ad un pisolino riposante. Però la consapevolezza di ciò che la sua frase significava lo colse impreparato, colpendolo con la stessa forza di un calcio nel ventre. Il mattino rappresentava il domani, e domani lei sarebbe dovuta tornare alla normalità. Anche lui sarebbe dovuto essere di nuovo se stesso. Sarebbe tornata ad essere Renee la donna che gemeva nelle sue orecchie e sarebbero state sempre le labbra di Renee a baciarlo. Beh, ovviamente con tutti gli extra della sua corista e di chi capitava. Ma non ci sarebbe più stata Joey lì con lui.

Sarebbe stato lo stesso?

No, non lo sarebbe stato. E non era nemmeno una prospettiva così allettante, soprattutto dopo aver conosciuto quel piccolo vulcano di St. Louis che in quel momento stringeva tra le braccia e gli faceva provare dei brividi che non ricordava di aver provato da un bel pezzo.

Eppure non era da lui pensare al futuro, fasciarsi la testa prima di essersela rotta. Lui no, lui viveva il presente perché il “per sempre” lo lasciava a quelle checche isteriche in calzamaglia azzurra che salvavano le principesse senza un minimo di sex appeal. Non avrebbe mai voluto essere uno squallido principe azzurro. Lui era un uomo reale, vero, pieno di casini e in grado di provare dedizione verso la musica e nient’altro. E in quel momento aveva tra le braccia una giovane donna piena di vita, che gli sembrava un tesoro prezioso, una fonte inesauribile di emozioni… che però lui non avrebbe più provato. E allora non era poi così inesauribile, perché presto sarebbe finito tutto e sarebbero tornati entrambi alle loro solite vite senza brividi. Quindi avrebbero dovuto solamente godere l’uno dell’altra lasciando da parte tutte le paranoie, perché il tempo scorreva e non faceva sconti a nessuno.

«A domani ci penseremo domani – le disse con sicurezza, chiudendo ancora una volta le mani a coppa sulle sue guance morbide – Adesso è da vivere, non ci saranno altre opportunità… e poi non lo sai che le occasioni non si sprecano mai?»

Joey dischiuse leggermente le labbra, stupita dalla profondità del discorso che quello che appariva come un musicista alcolizzato, ma che per quelli come lei era sempre stato molto, molto di più, aveva saputo tirare fuori. E si stupì a pensare quanto avesse ragione, quanto fosse stata stupida a farsi bloccare da una paranoia del genere. Dio, si sentì per l’ennesima volta una bambina.

E allora, per farsi perdonare quell’ondata di tristezza fuori luogo, annuì con calma un paio di volte e si tuffò di nuovo su di lui, pronta a dimostrargli quanto fosse determinata a spremere ogni momento per avere il massimo di quello che il destino le presentava davanti.

«Così ti voglio, piccola» Slash sorrise sulla sua bocca pronunciando quelle parole, ma quando la vide mordersi un labbro in un moto di imbarazzo, stando bene attenta al taglio che lo deturpava, non capì più nulla un’altra volta. Aveva deciso che l’avrebbe fatta stare sopra, per vederla muoversi e per lasciare che si prendesse da sola quello che si erano dati durante l’amplesso precedente, ma quella visione fu troppo anche per lui. Sentì di nuovo la bestia montare in carica dentro al suo petto e prendere pieno possesso del suo corpo. Prima che potesse anche soltanto accorgersene, si ritrovò a ribaltare le posizioni per schiacciare il corpo di Joey tra il suo e il materasso. Di nuovo, perché non ne aveva mai abbastanza.

Lei lo guardò boccheggiando, stupita da quell’improvviso scatto felino. Un lampo di biasimo attraversò i suoi occhi da cerbiatta, probabilmente per aver visto sfumare un’altra volta il suo proposito di ricambiare tutto il piacere che le aveva dato fino a quel momento. Ma la lussuria spropositata nello sguardo di Slash la fece desistere, realizzando che, dopotutto, il piacere era capace di prenderselo da solo e con molta probabilità ci sapeva fare anche meglio di lei. Anzi, era una certezza data da quel tempo che aveva passato stretta tra le sue braccia.

E infatti fu proprio quello che fece. Erano già nudi, non c’era bisogno di qualche insulso preliminare per togliersi i vestiti, e a essere onesti non c’erano stati fronzoli nemmeno prima. Ma, quando Slash entrò in lei con un’unica potente spinta, riuscì comunque a strapparle un urlo strozzato, mentre con le dita si aggrappava alle sue spalle.

«Ti ho fatto male?» le chiese allarmato, parlando con le labbra contro la pelle del suo collo, proprio sui segni violacei che avevano lasciato le dita di Axl poche ore prima.

«No – rispose, spostando una mano fino a stringere i capelli di Slash alla base del collo – Non ancora.»

«Non pensarci» mormorò di nuovo, abbassandosi poi a baciarle le labbra con una strana dolcezza.

Joey si sentì una stupida insulsa bambinetta, per l’ennesima volta in quella notte: gli aveva promesso che avrebbe smesso di piangersi addosso e invece lo stava facendo ancora. E dire che non era da lei continuare a rimuginare. Anzi, piuttosto il contrario. Adorava i colpi di testa, adorava prendere decisioni affrettate seguendo l’istinto, così come aveva fatto quando poi suo fratello le aveva rotto il labbro e anche come aveva fatto quando Izzy e Duff l’avevano incoraggiata a raggiungere Slash. E, di nuovo, quando l’aveva baciata e lei non si era tirata indietro. In una sola serata aveva compiuto più atti sconsiderati di quanti una persona riflessiva e ponderata avrebbe mai fatto in tutta la sua vita, eppure in quel momento stava rimuginando.

Fortuna volle che a contatto con la sua pelle ci fosse quella bollente della rockstar, o chissà dove i pensieri l’avrebbero portata. Fu il suo calore a mantenerla lì ancorata al presente, alle ondate di piacere che sentiva liberarsi dal suo ventre.

«Slash» ansimò senza voce, sentendo le sue spinte farsi sempre più rapide e profonde.

Non era poi così esperta, aveva avuto due o tre ragazzi, ma non aveva mai provato un piacere così. Sembrava che il suo modo di amare, di prendere e di dare, fosse potente come la sua musica, che si imponesse sul corpo e nell’anima con la stessa decisione, lasciando poi lo stesso tormento alla fine di tutto.

Lo pensò anche mentre raggiungeva l’orgasmo e, alcuni minuti più avanti, quando lo raggiunse anche lui. Non erano venuti insieme, solo le coppiette sdolcinate si vantavano di raggiungere il culmine del piacere nello stesso istante. Non accadeva mai, ed era giusto così. Era giusto che Slash la guardasse gemere travolta dalle sensazioni ed era giusto che, una volta ripresasi, potesse guardare lui stringere le labbra e inarcare le sopracciglia per poi svuotarsi in lei, fisicamente e, lo sperava, anche metaforicamente.

Certi spettacoli non andavano persi, soprattutto se non ci sarebbe più stata occasione per vederli ancora.

 

Un altro di quegli spettacoli irripetibili era vedere Slash dormire, rilassato e sprofondato nel cuscino, le labbra dischiuse e i capelli sparsi sulle lenzuola e sugli zigomi.

Era bellissimo.

Joey ci pensava da parecchio, ed era giunta alla conclusione che se fosse rimasta un solo minuto di più sarebbe finita a piangere per almeno un anno. Avrebbe passato dodici mesi della sua vita, cinquantadue settimane, trecentosessantacinque giorni, a piangere perché non aveva saputo dire basta, perché aveva voluto di più e quel di più aveva comportato dei rischi, che immancabilmente si erano verificati. Si sarebbe innamorata. Non si poteva non amarlo, e lo pensava con ogni fibra del suo essere mentre gli sfiorava una guancia, scostando un riccio ribelle che gli copriva gli occhi.

Non aveva mai apprezzato la nera profondità del suo sguardo, aveva sempre visto palpebre socchiuse per il troppo alcol o per il troppo chissà cosa. E invece no, anche i suoi occhi parlavano, così come le sue mani.

Al diavolo, doveva andarsene di lì.

Si alzò con un sospiro frustrato, raccattando la maglietta su cui aveva fatto scrivere quella frase sfacciata. Wanna be your paradise city. Chissà se l’aveva notata… beh, in ogni caso non avrebbe potuto chiederglielo, perché se ne sarebbe andata prima che si fosse svegliato.

E poi, era così illusa da voler essere la sua Paradise City? Era davvero una bambina, se pensava ancora a quelle cazzate.

«Joey.»

Cazzo! Perché non poteva funzionare? Perché non poteva fuggire da quegli occhi neri come la pece e basta? No, lui doveva svegliarsi e violentare la sua forza di volontà. Dio, stava già male a pensare che non l’avrebbe mai più rivisto. Bambinetta, aveva ragione Axl.

«Ti ho già detto di non andartene» le disse ancora, la voce impastata dal sonno ma al contempo decisa. Quasi morbida, così discordante dal suo aspetto selvaggio.

Joey strinse le labbra. Avrebbe voluto mordersele ma aveva già sperimentato poche ore prima proprio grazie a Slash che non sarebbe stato affatto salutare. Il taglio si sarebbe messo di nuovo a sanguinare e lui l’avrebbe baciata ancora per fermare la piccola emorragia. E poi addio alla sua fuga ingloriosa.

«Abbiamo una settimana di pausa fino alla prossima data, rimarremo qui a Chicago – continuò lui, apparentemente incurante della sua schiena rigida e del suo silenzio – E la mia camera è abbastanza grande per due persone.»

Strinse la maniglia fino a farsi sbiancare le nocche, ma poi mandò tutto al diavolo. Si sarebbe innamorata, lo sapeva. Sentiva già nel sangue quei suoi grandi occhi neri che sapevano prendere e sapevano dare.

E avrebbe sofferto. Ma le importava? Doveva vivere il presente, al domani ci avrebbe pensato… beh, domani.

   
 
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