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Autore: vero_91    30/10/2012    11 recensioni
“Cosa c’è Hawthorne?” Con estrema facilità, troppa per un cacciatore come me, in un attimo mi ritrovo imprigionato tra la parete e il corpo di Johanna, che preme contro il mio. Vorrei allontanarla ma gli arti non rispondono ai miei comandi, così mi ritrovo immobile, come un burattino nelle mani di questa donna: “Non sono queste le mani da cui desideri essere toccato vero? Non sono queste le labbra che desideri baciare vero? Non è questo il corpo caldo che desideri possedere vero?”
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gale Hawthorne, Johanna Mason
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Fuoco e Cenere '
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“Gale, hanno bisogno d’aiuto al cantiere vicino alla stazione, chi posso mandare?”
“Vado io.” Rispondo alzandomi dalla sedia.
“Sei sicuro? Non devi finire il progetto per la sicurezza nei distretti?”
“Lo finirò stasera.”
“Stacanovista.” Sussurra il mio collega mentre esco dall’ufficio.
E’ questa l’immagine che mi sono creato qui al Distretto 2.“Un ottimo lavoratore. Così giovane e volenteroso. Presto si farà strada.”  La verità è che non me ne importa nulla: ristrutturare case, costruire strade, noiose riunioni tra i distretti, mi va bene qualsiasi cosa pur di tenere occupata la mia mente. Pur di non pensare ad altro che a questo. Voglio arrivare a sera così stanco da non riuscire a reggermi in piedi. A malapena riesco a raggiungere il mio letto; e nelle poche ore di sonno che mi concedo il nulla regna sovrano. La maggior parte delle volte, per fortuna, il mio corpo e la mia mente sono troppo stanchi perché facciano apparire qualche immagine in sogno. E a me va bene così. Il nulla è così allettante che alcune volte desidero di non riuscire a svegliarmi. Ma purtroppo ogni mattina c’è qualcuno che mi ricorda che questo non è possibile.
Sento infrangersi qualcosa in salotto, e non ho dubbi su cosa -o meglio chi- possa essere la causa. Mi alzo dal letto, preparando la mia mente stanca all’ennesima discussione.
“Buongiorno, ho preparato il caffe. Ne vuoi?”
“No. Pensavo di essere stato abbastanza chiaro su questo.” Dico indicandola mentre si versa il caffe.
“Lo sei stato, infatti. E’ da circa un paio di mesi che ripeti sempre le stesse cose.” Mi risponde sbuffando.
“E’ per questo che ho cambiato la serratura. Come hai fatto a entrare?” chiedo sedendomi su una sedia in cucina.
“Dalla finestra.” Dice, indicando il salotto.
Mi volto, e quello che rimane della mia finestra sono dei miseri vetri sparsi sul pavimento.
“Lo sai che questa si chiama violazione di domicilio vero?” dovrei sembrare arrabbiato, ma in realtà non me ne importa niente. Tutto quello che mi circonda ormai, mi sfiora a malapena.
“Perché cosa vuoi fare Hawthorne? Denunciarmi? Tanto qui mi pensano tutti pazza, quindi sono giustificata.” L’unica persona che riesce a smuovermi dal mio stato di apatia è lei, Johanna Mason. Che da quando il suo strizzacervelli le ha detto che era libera di andare dove voleva, non solo ha deciso di stabilirsi al Distretto 2, ma per qualche oscuro motivo, è convinta che io e lei siamo amici.
“Su questo almeno siamo d’accordo.” Dico prendendo un pezzo di formaggio. Perché non posso essere lasciato in pace? Perché devo avere questa squilibrata che compare in casa mia tutte le mattine?
“Allora com’era la cena che ti ho lasciato ieri sera?” chiede sedendosi di fronte a me.
La cena. Non ricordo nemmeno di averla mangiata. “Pessima, come tutte le altre. Piuttosto per quanto tempo andrà avanti questa storia della donna di casa? Mi spiace deluderti ma non ho bisogno né di un’altra madre né di una domestica.”
“Purtroppo non credo di essere portata per la cucina. Non sono una persona paziente.” Risponde ignorando la mia domanda. “Ah ho trovato un lavoro.”
“Buon per te. Così almeno avrai qualcosa da fare oltre che disturbare me.”
“Cercavano volontari per andare qualche giorno nel bosco a tagliare la legna, così mi sono offerta. Anzi, pensavo che il tuo nome fosse il primo sulla lista, conoscendoti.”
Scuoto la testa. “Non ho tempo, ho altro lavoro da fare.” La verità è che l’ho evitato di proposito. Non ho più messo piede nel bosco da quando sono tornato al Distretto 2. L’immagine di Katniss con una piuma tra i capelli mi appare nella mente così veloce e inaspettata che non faccio in tempo a fermarla. Stringo con una mano la maglietta, mentre sento quel dolore sordo farsi largo dentro di me. Mi alzo di scatto, come se questo potesse aiutarmi a riprendere il controllo. Ho abbassato la guardia e sono stato punito.
E’ questo che voglio evitare. I ricordi. Se resto nel mio costruito torpore, niente può più toccarmi ormai. “Quando tornerò sappi che non voglio più trovarti qui. Fai quello che ti pare, ma non entrare più in questa casa.” Dico prima di voltarle le spalle e andarmene.
 
Per il resto della giornata cerco inutilmente di ritornare alla mia tipica indifferenza, dove i ricordi e i sentimenti non sono ammessi. Quando rientro a casa ignoro il piatto lasciato da Johanna e vado direttamente a letto, sperando che il sonno mi dia l’oblio che tanto desidero. Questa volta però non sono così fortunato.
Non faccio in tempo a chiudere gli occhi che sento bussare alla porta.
“Ehi Gale.” Catnip è in piedi di fronte a me, bella, forte e in salute.
“Ehi Catnip. Va tutto bene? E’ quasi notte ormai.” chiedo lievemente preoccupato.
“Lo so scusami. E’ che… ho bisogno di chiederti una cosa.”
“D’accordo.” Dico, chiudendomi la porta di casa alle spalle.
Catnip esita per un attimo, poi alzando lo sguardo dice: “Se domani dovessi essere estratta alla Mietitura, per favore puoi prenderti cura della mia famiglia?” Vedendo che rimango in silenzio continua, chiaramente in difficoltà “Lo so che ti sto chiedendo molto, ma senza di me loro…” La interrompo, prima che possa terminare la frase: “Catnip è ovvio che lo farò. Io… non pensavo ci fosse bisogno di parlarne.”
Catnip spalanca gli occhi, sorpresa. “Dici sul serio Gale? Me lo prometti?”
Annuisco. “Te lo prometto. Io proteggerò sempre la tua famiglia.”
Un sorriso sollevato si fa strada sul suo volto. “Grazie. Anch’io ovviamente lo farò.”
“Lo so. Io mi fido di te.” Dico e sorprendo me stesso nel sentirmi pronunciare queste parole.
Anch’io mi fido di te.” Mi risponde Catnip senza pensarci, mentre i suoi occhi grigi non si staccano dai miei.
 
Bussano alla porta. Ma quando vado ad aprirla non trovo i suoi occhi grigi così simili ai miei ad aspettarmi, ma due grandi occhi marroni ed estranei.
“Dato che hai cambiato serratura ho pensato di bussare come tutte le persone civili.” Si giustifica Johanna alzando le spalle.
Il dolore e la delusione esplodono nella mia testa, mentre una consapevolezza si fa strada dentro di me. “Sei tu.” Era un ricordo. Un ricordo che m’illudevo di essere riuscito a cancellare. Sento le gambe cedermi mentre un senso di nausea mi attorciglia lo stomaco.
“Chi pensavi che fosse scusa? Ehi ma stai bene? Non hai una bella cera…” Johanna allunga una mano verso il mio viso, ma io la allontano bruscamente, colpendola. “Non toccarmi.” ringhio.
Lei però, non solo non sembra spaventata, ma dopo un attimo di sorpresa la sua bocca si curva in un ghigno malefico: “Cosa c’è Hawthorne?” Con estrema facilità, troppa per un cacciatore come me, in un attimo mi ritrovo imprigionato tra la parete e il corpo di Johanna, che preme contro il mio. Vorrei allontanarla ma gli arti non rispondono ai miei comandi, così mi ritrovo immobile, come un burattino nelle mani di questa donna: “Non sono queste le mani da cui desideri essere toccato vero? Non sono queste le labbra che desideri baciare vero? Non è questo il corpo caldo che desideri possedere vero?”
Persino annuire mi richiede un grande sforzo. E’ come se la mia testa fosse di piombo.
Johanna imprigiona il mio viso tra le sue mani, a pochi centimetri dal suo: “Allora respingimi se ne hai il coraggio.”
Senza alcun diritto di replica Johanna preme le sue labbra sulle mie, e dopo poco le nostre lingue s’incontrano. Non che abbia posto molta resistenza comunque. Mi chiedo se anche Catnip si è sentita così quando l’ho baciata durante la ribellione, proprio nel bosco di questo distretto. Se anche lei si è sentita vuota e disperata. Non sento niente, né piacere né dolore, sono solo in balia degli eventi. A questo punto non posso far altro che assecondare il mio corpo e i suoi più bassi istinti. Stringo Johanna per i fianchi, avvicinandola, mentre le sue mani esperte scendono verso il mio basso ventre. La sua bocca si avvicina al mio orecchio e mordendolo sussurra: “Non siamo poi così diversi, noi due…”
Come una doccia fredda, questa frase mi riporta alla realtà. Se prima il mio corpo non rispondeva ai comandi, ora in un attimo mi libero dalla sua stretta, allontanandola bruscamente. “Che significa? Io non sono come te. Non sono…” mi mordo il labbro, per reprimere quel senso di nausea che è ritornato violentemente, mentre l’ultima parola mi muore in gola.
“Cosa non sei? Un assassino? Ti conviene cominciare a dirla quella parola. Prima riuscirai a farlo, prima potrai perdonare te stesso e andare avanti.”
“Non voglio perdonare me stesso.” C’è solo una persona che puoi darmi il perdono di cui ho bisogno.
Johanna scuote la testa, come se avesse a che fare con un bambino testardo. “So cosa stai passando. Posso aiutarti, se me lo permetti.”
Una risata sprezzante esce dalla mia bocca. “Davvero? E come pensi di aiutarmi? Facendomi diventare il tuo amichetto di letto? Mi spiace deluderti ma non ho bisogno di una sua sostituta per dimenticarla.”
Non riesco a capire se le mie parole l’hanno ferita, perché Johanna accusa il colpo, immobile, continuando a fissarmi. E’ come se i suoi occhi potessero leggermi dentro, lei sa chi sono, sa cos’ho fatto, non posso nascondermi.  A disagio abbasso gli occhi, e dandole le spalle dico: “Vattene adesso. La tua sola presenza mi da la nausea. Stare con te mi fa odiare ancora di più me stesso.”
Dopo un attimo interminabile la sento avviarsi verso la porta, ma prima di andarsene dice: “Non hai capito niente, Gale.”
 
Sono passati tre giorni da quella volta. E Johanna non si è più fatta vedere. Non che la cosa mi dispiaccia comunque. Era quello che volevo. Da quando se n’è andata poi, non ho nemmeno bisogno di qualcuno che mi risvegli dall’oblio notturno. Ogni volta che chiudo gli occhi, mi risveglio dopo qualche ora sudato e preda di brividi incontrollabili. Vado in bagno, sperando di trovare qualche farmaco che possa placare i tamburi che battono nella mia testa. Guardo la mia immagine riflessa nello specchio e mi chiedo che fine abbia fatto il ragazzo che cacciava nei boschi. Mi chiedo se questo sia il volto di un assassino. Le parole di Johanna mi rimbombano in testa. Non sono un assassino. Non lo sapevo. Non sapevo che le mie bombe avrebbero ucciso dei bambini innocenti. Io non volevo. “Volevi uccidere. Sapevi che le bombe sarebbero servite a quello. Questo fa di te un assassino.”  Non è vero. Non è vero. Vorrei riuscire a far tacere questa vocina nel mio cervello, ma lei continua, inesorabile, ripetendo queste parole all’infinito. “Assassino. L’hai uccisa tu sua sorella. E’ tutta colpa tua.”  
“Basta!” urlo, tirando un pugno all’immagine di fronte a me, che raffigura la persona che odio più al mondo, me stesso.  Un dolore lancinante mi colpisce il braccio, mentre schegge e sangue volano per il bagno. Sento le gambe cedere, e poco prima di cadere nell’oblio, spero che stavolta sia per sempre.
 
Sento una voce chiamarmi, l’unica che in questi mesi è stata il mio unico appiglio per uscire dall’oscurità, e anche ora riesce a riportarmi indietro.
“E’ un dottore no? E allora si renda utile se non vuole raggiungerlo nel mondo dei morti!” la sento minacciare.
“Guarda che non sono ancora morto.” Biascico, la bocca impastata da qualche medicinale.
Johanna si volta di scatto, gli occhi spalancati. La sua espressione per un attimo si distende in qualcosa che sembra sollievo, ma ben presto è sostituita da un misto di rabbia e pazzia che mi provoca un brivido di paura lungo la schiena.
Uno schiaffo mi colpisce in pieno viso, mentre Johanna urla: "Ci è mancato poco! Ancora qualche ora e saresti morto dissanguato! Che diavolo credevi di fare eh? Pensavi che morendo avresti risolto tutti i tuoi problemi? Brutto codardo!” Il dottore cerca di afferrarla per le spalle, e mentre temo che stia per darmi il colpo di grazia, sento le sue braccia calde circondarmi il collo, delicatamente. “Sei uno stupido Hawthorne.”
Il suo abbraccio è così delicato e rassicurante che mi chiedo se sia davvero Johanna Mason la ragazza che mi sta abbracciando. Sento qualcosa muoversi dentro il mio stomaco, qualcosa che pensavo di aver ucciso molto tempo fa. Qualcosa di estremamente piacevole.
Quando Johanna si allontana da me le dico: “Mi sa che hai frainteso. Io non avevo nessuna intenzione di suicidarmi, se è questo che pensi.”
“Certo. Immagino che tu abbia preso a pugni lo specchio del bagno come passatempo.” Ribatte, acida.
“E’ stato un incidente.” Replico. E in effetti è vero. Non ricordo bene cos’è successo, ma so che il suicidio non è mai stato un’alternativa. Non sono così debole.
“Su su, credo abbia ragione, signorina Mason, Hawthorne ha la febbre alta, quindi è probabile che abbia sbattuto contro lo specchio prima di perdere i sensi.” Interviene il dottore, interrompendoci. Poi rivolgendosi a me dice: “In ogni caso, deve stare più attento la prossima volta, e non trascurare la sua salute. Lei lavora troppo e mangia e dorme troppo poco, è normale poi che a questo ritmo il suo corpo si ammali. Cerchi di non strafare, e faccia una vita più equilibrata. Ha capito?”
Annuisco, imbarazzato da questa paternale.
“Bene. Prenda queste pillole per la febbre due volte al giorno e resti a riposo. Io passerò una volta al giorno per controllare i punti e cambiare le bende.” Dice, indicando la mia mano destra fasciata. Provo a muoverla, ma una fitta di dolore mi fa rinunciare subito. “Per il resto, la lascio nelle mani della signorina Mason.” Aggiunge prima di uscire dalla porta. 
Vorrei spiegargli che lei non vive qui, ma tanto so che, con questa scusa, sarà impossibile impedirle di venire. A un tratto però, ricordi recenti si fanno largo nella mia mente annebbiata dalla febbre. “Perché sei tornata? Pensavo non venissi più.”
Johanna mi guarda, un’ espressione interrogativa sul volto. “Perché scusa? Pensavi mi arrendessi solo per quella piccola litigata della volta scorsa?”
Ora sono io quello confuso. “Be non sei più passata dopo quella volta…”.
“Vedi che non mi ascolti? Sono andata con un gruppo di volontari a tagliare la legna nel bosco. Te l’ho detto che saremmo stati via qualche giorno. Siamo tornati stamattina all’alba e quando sono entrata in casa tua ti ho trovato disteso mezzo morto in un lago di sangue. Grazie per il bel benvenuto!”
Ora che tutti i tasselli sono al posto giusto, cerco di ignorare la sensazione di sollievo che si diffonde dentro di me.
“Cos’è pensavi di essere riuscito a liberarti di me Hawthorne?” Johanna con un dito traccia un percorso invisibile sul mio petto, con una punta di malizia negli occhi che mi paralizza. “Mi spiace deluderti, ma non rinuncio così facilmente alle cose che voglio.” Per la seconda volta, Johanna mi coglie impreparato quando le sua labbra si posano leggere sulle mie, in un bacio troppo casto ma che paradossalmente mi suscita uno strano calore che non riesco e non voglio spiegare.
Dopo pochi secondi Johanna si stacca e un’espressione divertita si dipinge sul suo volto: “Su non fare quella faccia, non ho intenzione di saltarti addosso tranquillo. Non per il momento almeno.  Sei troppo debole, non ci sarebbe divertimento.” Dice sogghignando. “Bene, ora sarà meglio che vada, tu dormi, io tornerò verso sera per prepararti la cena.” Aggiunge alzandosi dal letto.
La guardo dirigersi verso la porta della mia camera, poi quando ormai sta per uscire dico: “Nel secondo cassetto del mobile in salotto ci sono le chiavi di scorta di casa. Prendile. Ci tengo alle mie finestre.” Aggiungo, per giustificare questa concessione che stupisce persino me stesso. Chiudo gli occhi, convincendomi che sia colpa della febbre e dei medicinali, convincendomi che domani Johanna Mason ritornerà a essere un’intrusa indesiderata in casa mia.




 
 
----angolo autrice----
Chiunque sia riuscito ad arrivare alla fine di questa storia be… grazie! XD in realtà non so bene neanch’io che cosa sia questa one -shot… l’idea iniziale era di scrivere una storia un po’ più hot diciamo su questa coppia, ma quando mi ci sono trovata in mezzo ho capito che era ancora troppo presto, Gale non è ancora pronto psicologicamente per fare questo passo! :D
A proposito di Gale, forse a molti di voi non piacerà come l’ho reso, così apatico e indifferente a tutto quello che lo circonda (completamente l’opposto di come ce l’ha descritto la Collins insomma), ma secondo me Gale è uno di quei personaggi che da Mockingjay ne esce veramente male, non solo uccide la sorella della donna che ama, ma anche un centinaio di innocenti, trasformandosi così in un assassino. L’idea che volevo dare comunque, non è quella di un Gale depresso che rimpiange il suo passato, ma quella di un ragazzo che non crede più in nulla e che fa di tutto per non pensare a quello che è successo... (non so però se ci sono riuscita XD).
Per quanto riguarda la coppia Johanna-Gale, so che è abbastanza improbabile, ma a me piacciono e ho sempre voluto scrivere qualcosa su di loro, spero di non essere l’unica ad apprezzare questa coppia! :D
Bene ho finito di annoiarvi, ora potete iniziare a insultarmi se volete! XD
 
 
 
 
 
 
 
  
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