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Autore: Stateira    19/05/2007    6 recensioni
Nella Londra del 1800, Lord David, sfortunato idealista scozzese, e Lord William, cinico signore londinese dal sarcasmo tagliente, si trovano ad essere spettatori di un tremendo incendio. Che brucia fuori e dentro di loro.
Mini fanfiction in tre capitoli.
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PREMESSA

PREMESSA

Il racconto, pur basandosi su alcuni accadimenti storici, non pretende in alcun modo di essere fedele alla realtà storico/politica, che viene piegata alle esigenze di finzione.

I personaggi, ad eccezione di Joseph Turner, sono di mia invenzione, e non intendono riferirsi ad alcuna persona realmente esistita.

 

 

CAPITOLO 1

 

 

 

 

- E così, ci ritroviamo tutti naufraghi, a guardare la nostra nave arrendersi alle fiamme. -

 

Il volto pallido e raffinato di un giovane uomo di non più di venticinque anni si affacciò oltre il parapetto del battello, fermo sulle acque placide del Tamigi. Lord David Charles Mallow-Hamilton guardava il Parlamento londinese inginocchiarsi e contorcersi come un condannato a morte, sputando di tanto in tante fiamme rossastre e scintille indignate verso la bella luna piena, l’unico astro rimasto visibile nel cielo oscurato della città(*).

E se ne sentiva affascinato. Era a Londra da meno di due giorni, e nemmeno volendolo sarebbe riuscito ad arrivare più puntuale, per vedere la sua carriera politica morire senza nemmeno essere nata. Quelle fiamme significavano la paralisi di ogni attività, il cambio della sede, e mille altre incombenze che avrebbero scavalcato la questione della sua nomina, posticipandola di anni. Probabilmente non lo avrebbero mai più convocato.

Ma nonostante tutto, Londra che fiammeggiava nella notte era bellissima, più bella della città congestionata dalle carrozze e dalla confusione di troppe persone troppo vicine che aveva avuto occasione di visitare quello stesso pomeriggio. Assieme a quell’incendio andavano in fumo anche molte delle sue ambizioni, ma per Giove, quanto volavano alto, quelle guglie nerastre.

 

- Non ditelo, o andremo a fondo sul serio. -

 

La voce vagamente maliziosa che aveva appena parlato se ne stava seduta sulle labbra curiosamente rosse di un uomo dai capelli scuri, che non doveva essere più vecchio che di qualche anno. David inarcò involontariamente un sopracciglio, osservandolo alzarsi da uno sgabello e avvicinarsi a lui senza fretta, a suo agio come se si fosse trovato in un banchetto fra amici.

- Come avrete modo di notare, ci troviamo su una barca noi stessi, e benché la mia casa non disti poi molto da qui, gradirei non doverci tornare nuotando fra i liquami fognari della mia meravigliosa città. -

- Siete superstizioso? -

- Prudente, mio caro amico, prudente. – il giovane signore sorrise. – Siete scozzese? -

- Di Glasgow. -

- Oh, Glasgow! Magnifico sobborgo di allevatori di bovini, davvero. -

David aprì la bocca per replicare, ma ciò che ne uscì fu piuttosto una specie di smorfia sdegnata.

L’uomo sorrise apertamente. – Lo sapete? Trovo che il vostro modo di infiammarvi per la vostra città sia assolutamente migliore di quello del nostro Parlamento. -

- Sono Lord David Charles Mallow-Hamilton. – sbuffò David, allo strano uomo.

- Oh, Lord Hamilton. Si è parlato della vostra nomina, in una delle ultime riunioni. Un vero peccato che non vi siate potuto godere i magnifici marmi dei corridoi della Camera dei Lord. Il mio nome è Lord William Thomas Hudgens. Ma spero che William vi risulterà sufficientemente noioso da accontentarvi di chiamarmi così, soprattutto davanti al nostro povero palazzo in rovina. -

- Già. – David si appoggiò all’inferriata del parapetto, abbandonandosi sul busto. – Non trovate anche voi che ci sia qualcosa di immenso, in questo incendio? -

- Di immenso? – William inarcò un sopracciglio. – Temo piuttosto di vederci qualcosa di sciagurato. -

- Dovresti dare ragione al tuo giovane amico, William, una volta tanto, o finirai con lo strozzartici, con il tuo cinismo. – gracchiò improvvisamente una voce canuta, alle spalle dei due.

William si girò sui tacchi delle scarpe, e alzò gli occhi al cielo. – Non puoi dire sul serio, Joseph. – scandì, esasperato. – È un incendio, per Diana, non uno spettacolo teatrale. –

- Punti di vista, questione di punti di vista. -

- Lord David Mallow-Hamilton, mi permetterete di presentarvi il signor Joseph Turner? Si crede un pittore, stando a quel che si dice in giro. -

David trasalì senza far rumore, e si affrettò a tendere la mano. – Ho sentito molto parlare di voi, signor Turner. È un vero onore. – blaterò, imbarazzato.

- Onore sarebbe stringere la mano a Tiziano, ragazzo, non a me. –

- Ma se tu diventerai il nuovo Tiziano britannico, come si vocifera, questo giovane Lord sfortunato potrà dire di averti stretto la mano. –

- E a chi lo racconterò, Lord William, di grazia? Alle capre dei miei concittadini? –

William non rispose subito. Il fuoco che mangiava il Parlamento riluceva sul suo sorriso assente, rendendolo inquietante come un ritratto mal sfumato.

- Mucche, Lord David, mucche. –

David piegò la testa di lato. – Mucche. Dovete perdonarmi. –

- Sa il fatto suo, lo scozzese. – borbottò il signor Turner, gli occhietti affossati ben lontani dallo sforzarsi di dissimulare un certo divertimento.

 

Doveva essere ormai l’una del mattino, quando il battello fu attraccato al molo, e i passeggeri fatti scendere. Ognuno con la propria faccia, diversa dalle altre non tanto per i connotati, quanto per le sensazioni, la forma e la profondità delle rughe sulle loro fronti, o attorno agli occhi. C’era chi aveva aguzzato la vista per tutto il tempo, e adesso si massaggiava le tempie; chi non aveva fatto che discutere, chi aveva scosso la testa fino a farsi venire mal d’acqua. Qualcuno, forse, aveva persino pregato, fra quelli che ora si incamminavano con le mani strette dietro la schiena, il bastone sospeso a mezz’aria, perché a quell’ora darsi un tono non serviva a nulla.

David rimase dietro al signor Turner. Si era offerto di tenere i suoi blocchi da disegno per permettergli di scendere più agilmente, ma la poca luce del pontile non gli aveva permesso di distinguere altro che i segni lunghi e fluidi che abbozzavano il Tamigi, alcune macchie sullo sfondo, e una grande luna, che voleva essere bene illuminata, a giudicare dalla chiazza pulita che la circondava, prima che il gessetto si prendesse tutto lo spazio del buio di quella notte.

Nemmeno riusciva a vederlo, il Parlamento. Doveva essere uno dei tanti scarabocchi illeggibili, così complicati da sembrare studi su voli di farfalle. Si chiese se il signor Turner sarebbe stato capace di decifrare i suoi stessi schizzi, alla luce del giorno, nel suo studio, come fa chi ha una calligrafia talmente nervosa da non riuscire più a leggerla a distanza di giorni, e finì persino con il domandarsi quanto di ciò che stava tracciato sulla carta ruvida di quei blocchi fosse Londra, e quanto fosse Joseph Turner.

- Non vorrete passare la notte su quella canoa, mi auguro. –

La voce di William lo distrasse all’improvviso. Il giovane londinese lo stava guardando, sorridendo in quella maniera mordace che ricordava il modo di fare le fusa di un gatto dispettoso. Aveva un modo di guardare la gente davvero particolare, lui. La fissava con l’intensità di una sfida, e con la malizia di chi gioca una partita già vinta; e allo stesso tempo con l’ansia di riuscire a dire qualcosa, di aggrapparsi a quel contatto per chissà quale motivo.

- No, naturalmente. – rispose, fin troppo seriosamente. Restituì i quaderni al signor Turner, e balzò giù dal battello, raggiungendo gli altri due uomini, gli ultimi rimasti.

- E’ stato un vero piacere conoscervi, signor Turner. –

Educato, ma anche entusiasta, infantilmente entusiasta. I suoi occhi chiari brillavano come quelli di un cuccioletto, mentre stringeva di nuovo la mano dell’uomo.

Turner non doveva essere uno di molte parole, a giudicare dalle poche, burbere, che rivolse a William. Dovevano essere piuttosto in confidenza, vista la reazione di lui, sarcastica e ilare.

David suppose di dover salutare anche lui, a breve.

- Avete dove dormire, David? – esordì William, muovendo i primi passi.

- Ho preso alloggio non lontano da St. Paul. –

- Oh, mio povero amico, dovrete sentirvi uno scoiattolo che riposa vicino ad un enorme elefante. –

David accennò ad un sorrisino paziente. - Un problema che non tocca affatto voi, mi sbaglio, William? La vostra squisita boriosità vi proteggerebbe persino dall’ombra della luna. –

- Abito nella zona di Westminster, non ho bisogno di proteggermi da altre ombre. –

William si strinse nelle spalle in modo curioso, scrollandole leggermente, come se fosse stato sotto una pioggia fastidiosa. – Lasciate perdere St. Paul, i fantasmi del vecchio Wren e di tutti i gentiluomini sepolti lì dentro vi rovineranno il sonno. Sarei felice di offrirvi un buon Brandy. –

David reclinò la testa. – Mi state offrendo…? –

- Di certo non vi metterò nelle stalle, amico mio. Quella è una divertente usanza delle vostre parti. –

- Volete smetterla di sputare sentenze su Glasgow? –

William rise di cuore, gettando all’indietro i capelli neri, raccolti con un’incuria apertamente provocatoria.

- Amico mio, il vostro accento diventa ancora più deliziosamente provinciale, quando vi irritate, sapete? –

David gemette, e si premette una mano sulla tempia. - Cielo, e dire che non dovevo nemmeno venirci, qui a Londra. –

- E perdervi il miglior spettacolo pirotecnico dal lontano 1666? – William ridacchiò allegramente. – Certo che voi scozzesi siete proprio gente strana. –

- Ancora con questa faccenda? -

- Su, su, lamentatevi di meno e allungate il passo, casa mia non vi verrà di certo incontro! -

 

*

 

David si accomodò nel salottino privato che William doveva usare spesso come studio, a giudicare dalla scrivania di ebano, completamente ingombra di carte, volumi, fermagli e matite. La casa di William gli era sembrata subito molto grande, ma quella stanza era curiosamente piccola, piccola in un modo raccolto, con il suo soffitto alto a cassettoni, disadorno. C’era un caminetto, proprio in fronte alla scrivania, che doveva essere acceso da parecchio, ma la cenere e le braci non minacciavano ancora in alcun modo la vitalità del fuocherello che ardeva allegramente. Due poltroncine, una delle quali gli fu indicata, ed un divano rivestito di velluto verde scuro, e poco altro. Lord Hudgens non sembrava preoccuparsi particolarmente di come si presentasse la stanza. Doveva essere un luogo straordinariamente intimo, per lui, e David si sentì vagamene in imbarazzo, come se avesse sorpreso il suo ospite in un momento privato.

William aprì l’anta di legno di un mobiletto intarsiato, e ne estrasse una bottiglia e due bicchieri.

- Vi piacerà. – disse con una certa impudenza, versando una generosa quantità di Brandy in ciascun bicchiere.

David sentì subito l’inconfondibile odore rotondo di un eccellente Brandy d’annata diffondersi nel salottino, incalorendo l’atmosfera. Accettò il bicchiere, e rise, quando William propose il suo brindisi.

- Al nostro incontro, e alla gloria della città di Glasgow, che ha dato i natali ad un tale concentrato di affascinante, trasognato provincialismo. –

- Siete tremendamente offensivo verso la mia città, Lord William. -

- Sono anche tremendamente divertente. -

David gli concesse un sorriso, sul bordo del bicchiere. – Devo ammettere che nessuno mi aveva mai insultato in modo così interessante. –

William si rigirò il suo bicchiere fra le dita, con movimenti ipnotici e fluidi. – Ditemi di voi. – disse con voce improvvisamente assorta. – Avete dei terreni, a Glasgow? -

- Verso nord, sì. Ma la vita dell’amministratore dei miei stessi possedimenti non faceva per me, è per questo che ho tentato la strada della politica. -

- Siete certo che vi si addica, un simile percorso? -

- So combattere per i miei ideali. -

- Ah sì? E quali sono i vostri ideali, David? -

David trasalì. Non tanto per la domanda, ma per il modo quasi feroce in cui William l’aveva posta.

- Io… -

William scosse vivacemente la mano destra. - Voi siete il genere di persona che sogna una grande, immensa Gran Bretagna, a cui garantire abbastanza pace da potersi permettere di passare il proprio tempo a tormentarsi con tutte le nuove idee anticlassiciste con cui la Germania e la Francia ci stanno invadendo con tanta veemenza. Mi sbaglio? –

David non osò replicare. Improvvisamente, il londinese ironico e snob che gli si era rivolto sul battello sembrava aver lasciato il posto ad un uomo mordace e incredibilmente acuto, in modo persino inquietante. Si sentì davvero un provinciale, davanti ai suoi occhi scuri che brillavano, puntati nei suoi.

- Non stupitevi così, David. -

William rise all’improvviso, sgretolando in un momento la maschera che gli aveva adombrato il volto. - Il signor Turner la pensa esattamente come voi, e ormai ho imparato a leggerli, gli occhi di questi novelli amanti della tragedia. –

- Siete così avverso a queste idee? -

- Tutt’altro. – William picchiettò due delle sue dita sottili sul bracciolo della sua poltrona. – Stimo di gran lunga di più un uomo che disegna lune piene con il cuore, di uno che scolpisce titani ed eroi con il cervello. -

- E allora perché insistete nel voler essere così cinico? –

- Perché non voglio fare la fine che fanno quelli come voi, mio caro David. Bollati come distratti sognatori di cui tener poco conto. -

- Siete ipocrita. -

- E voi siete bello. Nessuno è esente da colpe, come potete vedere. -

David sbarrò gli occhi, e William gli sorrise mitemente.

– Non ditemi che nessuno, oltre vostra madre, vi aveva mai fatto notare questa tremenda pecca che vi affligge. – disse con leggerezza.

No, al dire il vero non gliel’aveva mai fatta notare nessuno. Di sicuro non un uomo, non un signorotto londinese. Ma Lord William ne parlava con la stessa ironia con cui commentava le nuvole nel cielo, senza nessun imbarazzo. Da parte sua, pensare che William fosse un uomo bello, e una persona affascinante, lo avrebbe fatto sentire terribilmente infantile.

– I vostri occhi sono preziosi. – aggiunse William, sollevando verso di lui il bicchiere di Brandy. – Vorrei essere capace di dipingere, sapete? L’Inghilterra avrebbe proprio bisogno di qualcosa di bello da guardare. –

David sbatté le palpebre meccanicamente, come se William, con le sue parole, vi avesse passato sopra le dita.

- Qualcosa di scozzese. – disse, inarcando un sopracciglio.

- Qualcosa di scozzese. – asserì William. – Sono i difetti che rendono le perle così affascinanti. –

- I difetti? – protestò David.

La mano di William percorse pigramente la poca distanza che separava dalla sua bocca il bicchiere di Brandy. Ne sorbì un sorso, gli occhi bassi sul vetro del bicchiere, le ciglia scure che vibravano appena per i vapori alcolici che ne salivano.

- La Scozia è lontana. – espirò infine, come se le sue parole fossero state una boccata di fumo.

David si irrigidì sulla sedia imbottita. William bevve ancora un po’, senza alcuna fretta di tornare a guardarlo. E forse David nemmeno voleva, che lui lo guardasse ancora.

- Sarà meglio che vada, ora. – disse, evasivo, facendo leva sulle mani per alzarsi. Si aggiustò rapidamente la giacca sul petto, con pochi movimenti nervosi delle dita, controllò il nodo del fazzoletto, e fu pronto.

- David. –

David trasalì. William si era alzato con la stessa, controllata calma con cui faceva sempre qualsiasi cosa. Ed ora eccolo, a guardarlo di nuovo. Troppo da vicino.

- Riesco a sentire l’odore del vostro Brandy. – fu tutto ciò che David riuscì a dire di quello che provava.

- E io il vostro. –

 

Ne assaggiarono un po’, di quel Brandy eccellente. William non aveva fretta nemmeno in quello, a quanto sembrava. Era ben rasato, morbido sulla pelle quanto spigoloso sulle ossa. Il sapore del Brandy in verità non era che una sfumatura che aggiungeva calore ad una bocca già calda, come un tocco di raffinata colonia su una pelle già profumata. David non lo sapeva, perché baciare quel giovane Lord londinese lo facesse sentire così molle, e così tramortito. Era qualcosa di intimamente giusto, di stupefacente e di rilassante allo stesso tempo. Era simile, davvero simile a quello che aveva provato guardando un incendio mostruoso dalla sicurezza di una barca. Il bacio di William era fuoco, e le sue braccia il rifugio che lo proteggevano da esso. Chissà se avrebbe finito con l’incendiarsi, se lui avesse lasciato andare le sue spalle prima della sua bocca.

La porta del salotto era chiusa a chiave, David ricordava di aver visto William trafficare con la serratura, al loro arrivo, e si chiese persino se quel demonio di un Lord non avesse previsto fin dall’inizio, di arrivare a quello. Cedette alla tentazione di affondare le dita nei capelli scuri di William, raccolti con poca attenzione sulla nuca. Erano naturali, e piacevoli da toccare.

William socchiuse la bocca, ma prima di interrompere il bacio si prese qualche momento per sfiorare le labbra di David.

- Non ve ne andate. – disse a mezza voce.

- Che cosa stiamo facendo? – boccheggiò David.

- Ha importanza? -

- Ne ha. -

- Quanta? -

David esitò. William era immobile, calmo come lui non riusciva ad essere. –Non lo so. – ammise. – Non molta, forse. -

William sorrise mitemente, e allungando una mano gli prese un polso, scivolando appena al di sopra dei bottoni che chiudevano il risvolto della giacca.

- Allora restate qui, con quest’uomo di non molta importanza. -

David accennò ad un sorriso teso. – Voi ignorate le conseguenze. – mormorò.

- Lo so. Le sto deliberatamente ignorando. Ma ditemi, David, non è questo che andiamo tutti cercando, al giorno d’oggi? Non è la libertà di sfuggire alle conseguenze? -

- Voler sfuggire alle conseguenze non è libertà, William, ma egoismo. –

- Oh, con me non serve che giochiate a fare il sofista. -

David abbassò lo sguardo, e dentro di sé sorrise. Di certo, si sarebbe deriso da sé, ascoltandosi predicare la moralità all’uomo che aveva appena baciato. Avrebbe più volentieri inveito contro sé stesso, ma la verità era che dell’etica non importava a nessuno dei due. Per William provava qualcosa che andava oltre l’ammirazione, e se questo forse non era naturale, era senza dubbio forte, troppo forte per poter essere messo a tacere. Troppo bello, per Diana, troppo sublime, per impedirsi di viverlo.

- Resterò. – disse a mezza voce.

Gli occhi di William si accesero di una luce pacata. Si sedette sul divano, lasciando abbastanza spazio da far capire a David che il suo era un invito a sederglisi accanto.

- Volete sapere perché ho scelto questa specie di stanzino, fra tutte le camere della mia casa, per il mio studio? – domandò, divertito.

- Ditemelo, vi prego. -

William indicò con malizia la finestra dietro la sua scrivania. David notò che le tende erano ancora raccolte, nonostante fosse notte fonda, e che tutt’intorno correvano due scaffali gemelli, ricolmi di libri, disposti senza troppa cura, l’uno sull’altro. Sulla sinistra, lo scaffale arrivava quasi fino al camino, mentre sulla destra si fermava prima di un grande quadro di un bel paesaggio curiosamente rurale.

Oltre la finestra, le fioche luci della città erano offuscate e continuamente spazzate dal movimento placido delle fronde di un albero dalle foglie sottili, ormai quasi completamente spoglio.

David pensò che dovesse essere bellissimo, l’effetto delle ombre delle foglie che si muovevano sulla schiena di William, mentre lui era intento a scrivere, o a leggere.

- Il perfetto complemento a quelle orribili tende, non trovate? – commentò William, sornione.

- E’ davvero splendido. – ammise David, sottovoce. – Lavorate sempre qui? -

- Vorrei viverci, qui. -

Sì, anche lui. Anche David avrebbe voluto viverci, lì.

Raccolse un po’ di coraggio, e baciò di nuovo William, provando a restare concentrato sulla sensazione di vertigine che gli si accumulava all’altezza dello stomaco, e che gli intorpidiva le mani. William rimase sorpreso dal suo gesto, ma ne sorrise, e ne prese le redini, per guidarlo ancora un po’ più in là. Fece scivolare all’indietro il busto di David, verso il bracciolo del divano, adattandosi ad una posizione scomoda, per non comprimerlo troppo sotto di sé. David mosse le mani a piccoli scatti, su di lui, stropicciandogli i vestiti senza darsene pena. Bruciava, tutto il suo corpo, di un incendio palpabile e irruente, un incendio che William sentì contagiare presto anche la sua pelle, ed assediargli la mente e il cuore, finchè ogni cosa prese fuoco.

 

*

 

- David. – William sorrise, assorto e affettuoso. - Permettetemi di pensare al vostro nome come ad un nome francese, se vorrete. -

David sollevò la testa dalla sua colazione, e inarcò le sopracciglia. – Perché mai dovreste pronunciarlo alla francese? – si sorprese.

William scrollò le spalle. – Amo molto i nomi privi della fastidiosa presenza delle erre. Il vostro per fortuna ne ha solo una. -

- Non ho mai amato il mio secondo nome. – ammise David, piegando all’insù l’angolo destro della bocca.

- Certo che no, Charles è un nome terribile. – fece William, con la sua naturalezza tutta irritante. – Ma David è un nome che varrebbe una poesia. –

David si schiarì la voce, quando la cameriera di William venne a portare un vassoio di pasticcini, e non riaprì bocca finchè non se ne fu andata, con un veloce inchino. L’intimità improvvisa con William era ancora qualcosa di selvaggio, qualcosa che gli impediva di giocare sulle sfumature dell’intesa, sugli sguardi sfuggenti, qualcosa che richiedeva delle briglie solide, per poter essere controllata. William non tradiva alcuna forma di disagio, davanti alla servitù, e nemmeno davanti a lui. Aveva un sorriso limpido e incurante, persino sconsiderato.

- Non arriveremo tardi, all’incontro con gli altri membri della Camera? –

- Oh, Lord Burghwell è abituato al mio ritardo. –

- Lord Burghwell? –

 

*

 

- Lord William Hudgens, che voi siate dannato! –

Un uomo sui trent’anni raggiunse William e David a piccole falcate, quasi saltellando. Aveva un volto morbido e ben nutrito, animato da un sorriso enorme e sincero. – Amico mio, a quale Provvidenza dovrò affidarmi, per sperare di vedervi arrivare ad un orario appropriato? -

- Non siate ingenuo, amico mio, sapete che lo faccio per voi. – rise William. – Se arrivassi in anticipo, vi causerei un imperdonabile collasso. -

David trattenne a stento un sorriso. William era davvero sfacciato, beffardo, e affascinante. Il genere di persona che riesce a conservare per tutta la vita il grande privilegio che hanno di bambini, di vedersi sempre accordato il perdono.

- Lord David, lasciate che vi presenti l’uomo a cui Londra deve il fastidio della mia presenza qui, Lord Richard Burghwell. Lord Burghwell, Lord David Charles Mallow-Hamilton. -

- Oh, Lord Hamilton. – Lord Burghwell strinse con entusiasmo la mano di David. – Sono desolato, davvero desolato, che il vostro arrivo sia coinciso con una simile disgrazia. -

- Uno spettacolo affascinante, Lord Burghwell. – sorrise David.

- Oh, non dategli ascolto. – lo liquidò William. – Lord David è membro onorario di quella deprecabile loggia presieduta dal caro Joseph Turner. -

- Siete voi che non capite gli orizzonti dell’arte del signor Turner, William. – lo rimproverò bonariamente Lord Burghwell. – Se questo signore ama le nuove scuole, allora ha gusto. –

- Povero me, sono l’unico a non vedere nulla di artistico, in un incendio? – si lamentò William, con un certo, drammatico autocompiacimento che fece sorridere gli altri due.

 

Il Parlamento era stato trasferito in un grande palazzo di cui David ignorava il nome, a non molta distanza dalla sede andata distrutta. E ci sarebbe rimasto finchè non si fossero ricostruite almeno le Aule, a meno che Sua Maestà non avesse deciso per un ulteriore cambio di sede. E, a quanto sembrava, la priorità di tutti i presenti era proprio quella di riorganizzarsi. Per il momento, non c’era tempo da perdere con altre questioni.

David non fu che uno spettatore della seduta, convocata quasi esclusivamente per discutere della situazione. Lord Burghwell parlò più di una volta, e David lo stette ad ascoltare con un mezzo sorriso, seduto accanto a William. Di fronte a tutti quei signori, provava un disagio fastidioso, e il fatto che William fosse la sola presenza in grado di rassicurarlo non lo aiutava per nulla. William era il suo appoggio ideale con il suo sciocco modo di fare, ma era capace di fargli scordare della notte appena trascorsa con una sola battuta, e di rammentargliela con uno sguardo rapido e suggestivo.

- Lord Hamilton. – una voce cupa lo fece sobbalzare.

Vicino a lui c’era un uomo, in piedi. Indossava dei vestiti piuttosto fuori moda, e troppo caldi, e aveva uno sguardo duro e brillante.

- Mi fareste il favore di seguirmi? -

David annuì con un po’ di esitazione, e vide William corrugare appena un po’ la fronte.

 

- Temo siate stato davvero molto sfortunato, Lord Hamilton. – disse Lord Burghwell, sinceramente costernato.

David sorrise, senza sapere cos’altro fare. Quando lui, assieme a tutti i nuovi membri della Camera dei Lord, erano stati chiamati dal vecchio uomo dai vestiti troppo pesanti per la stagione, che aveva comunicato loro la necessità di rimandare le loro investiture, vista la situazione, si era improvvisamente ritrovato a riflettere su cosa fosse meglio per la sua, di situazione. Ma adesso che Burghwell, che doveva contare davvero molto, ripeteva quasi letteralmente ciò che quell’uomo gli aveva prospettato, David si sentiva costretto in un sentiero che minacciava di biforcarsi bruscamente entro pochi passi. Due anni almeno, il tempo che serviva per rimettere le cose in ordine, e poi finalmente si sarebbe potuto procedere, e nel frattempo, non c’era altro da fare che tornare a casa, e aspettare.

Senza rendersene conto, cercò lo sguardo di William.

- Via, non mi direte davvero che non c’è posto per lui. Vorrà dire che farò portare qui una seggiola da casa mia, perché Lord David non sia costretto a stare in piedi. –

- Non è una questione di seggiole, amico mio, lo sapete. – rispose pacatamente Burghwell. – Vi renderete conto anche voi che la situazione è davvero straordinaria. Sua Maestà in persona ha chiesto di rimandare ogni nomina a quando ci saranno le condizioni per farlo. –

- E’ un’assurdità. –

- Non lo è. – ammise David. –E’ una scelta comprensibile. –

William gli rivolse uno un’occhiata strana. Per la prima volta, da quando lo conosceva, sembrava davvero in difficoltà.

– Non lo pensate davvero. – disse con decisione.

 

Ma David lo pensava davvero.

 

*

 

- Restate. – mormorò soltanto William, senza nemmeno cercare di nascondere il leggero tremore della sua voce.

David si fermò, a pochi passi dal suo alloggio. L’ombra di St. Paul incombeva davvero, vicina, sulla locanda elegante e discreta che presto avrebbe dovuto lasciare.

E insieme ad essa, lasciare William.

- E per cosa? – disse amaramente. – Non posso passare due anni qui senza far nulla. È meglio che io torni a Glasgow, ad occuparmi dei miei terreni, e che aspetti lì. -

- Siete qui soltanto da pochi giorni. – disse William. Parlava in un modo concitato che gli si addiceva per nulla; la sua voce elegante si mangiava lettere su lettere, rendendosi quasi irriconoscibile.

- Lo so. – David si morsicò forte un labbro. – Ma cercate di pensarci. Resterei solo per voi, e sarebbe un rischio troppo grande, soprattutto per voi. –

- Mi ci lucido le scarpe, con i rischi, maledizione. – inveì William. – Restate, ve ne prego. –

- Potrei. Ma sarebbe soltanto per pochi giorni. Per pochi altri giorni, William, nulla di più. –

William rivolse a David uno sguardo ferito e fiero, che non distolse nemmeno quando David fece per aprire la porta del suo albergo. 

David trasalì.

- Salite con me. – mormorò, senza voltarsi.

 

William rientrò a casa con la luce morente del crepuscolo che giocava con la sua ombra lunghissima. Si levò la giacca, che scagliò al maggiordomo senza dire niente, e andò a chiudersi nel suo studio. Si versò una buona quantità di liquore profumato, si lasciò cadere sul suo divano verde scuro, suo e di David, e cercò di calmarsi un po’.

Se nemmeno Burghwell poteva far nulla, per trattenere David, allora non c’era davvero speranza. Quel maledetto testardo di uno scozzese non ne aveva voluto sapere, di restare a Londra. William gli aveva offerto di pagargli l’affitto della pensione, di occuparsi di presentargli tutte le persone che valeva la pena di conoscere a Londra, ma la paura di David per ciò che era successo fra loro era troppo forte, e il fatto che fosse poi successo di nuovo, in quella stessa stanza di albergo, non aveva fatto altro che convincerlo definitivamente a partire.

Sciocco ragazzino, così innamorato delle sue idee tragiche e sublimi, ma così spaventato, poi, dalle loro conseguenze.

“ Tornerò a trovarvi”, gli aveva promesso, come avrebbe fatto con un vecchio parente malato, senza capire che lo avrebbe condannato a passare i suoi giorni senza di lui nell’attesa di vederlo, e quelli con lui nell’amarezza di sapere che presto sarebbe partito di nuovo. E se anche lui lo amava, doveva per forza provare uno strazio simile, e allora come poteva essere così deciso ad andarsene?

Amare, poi, aveva il sapore di una minaccia, ma William era troppo avido di emozioni, per cercare di sottrarsene.

David era bellezza da contemplazione, ma anche una suggestione, era una voce entusiasta e viva, era un mosaico di idee, era la passione che lui non riusciva più a sentire per la vita.

 

William imprecò sottovoce contro se stesso, e contro Dio, e scagliò nel fuoco del camino il suo bicchiere di Brandy ancora mezzo pieno. Il fuoco lo incendiò, scoppiettandone l’odore per qualche passo, prima di divorarselo di nuovo ed eclissarlo.

 

 

 

 

 

(*)16/10/1834: il Parlamento di Londra è distrutto da un grave incendio.

 

  
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