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Autore: Nocturnia    03/11/2012    1 recensioni
Ci sono storie che affondano le loro radici nelle viscere dell'umanità.
Ci sono alcune storie - quelle brutte, quelle dal sapore tragico della profezia - che dipingono il proprio svolgimento con i colori della guerra e del sangue.[...]L'ho vissuta e infine compresa, abbracciandola. E nel suo abbraccio ho trovato una risposta.
Una fine e un inizio.
Genere: Fantasy, Guerra, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Nel segno del sangue'
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Disclaimer: Questa storia è stata scritta per puro diletto personale, pertanto non ha alcun fine lucrativo. L’intreccio qui descritto e i personaggi rappresentati sono copyright dell’autrice (Nocturnia) e non ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.


Crimen Maximo


Avevamo raggiunto il piccolo avamposto in quasi trenta giorni di cammino, il vento freddo di Indantium che cominciava a spirare, violentemente, oltre la catena montuosa delle Krasis.
Addakra aveva spiegato una piccola pergamena ingiallita, puntando il dito sulla cattedrale e sulla piazza.
"Slaught era una brutta città di allevatori prima di essere adibita a uso demoniaco, adesso è ancora peggio. Conta poche abitazioni, un mucchio di muschio e puzza di merda e vacca.
Ha solo una chiesa, ora centro dei cultisti di Moloch. Dovremo arrivargli alle spalle e andare prima in ricognizione...giusto per sapere quante unità contano."
Annuii intensamente, una parte del mio cervello spegnersi per far posto all'istinto della predatrice.
"Andiamo entrambe?"
"Sì." replicò asciutta Addakra "È meglio."
"Perfetto. Quando?"
Addakra scrutò il cielo, prossimo al crepuscolo, dove cirri porpora e viola si rincorrevano a vicenda.
"Stasera. La notte è il momento in cui si sentono più sicuri, in cui abbassano la guardia. Ed è quello in cui noi possiamo nasconderci meglio."
Avevo asserito con il capo senza alcun entusiasmo, troppo sciocca e troppo egocentrica per percepire la latente disperazione nella sua voce. Partimmo avvolte da un silenzio teso, dove, per me, tutto diventava un oltraggio personale.
Nondimeno, quando raggiungemmo Slaught, appostate su di un albero, contammo almeno una decina di cultisti, seguiti a ruota da parecchi saprofagi e qualcosa che non riuscii bene a identificare.
All'apparenza sembrava una figura umana, ma domava l'aria con una lunga coda a scaglie, dotata di rostri aguzzi.
Il viso, nascosto da una livrea di liquido inchiostro, era inclinato nell'atteggiamento pigro e indolente di chi si ritiene superiore e perciò non ha certo bisogno di curarsi degli altri.
Strinsi gli occhi, cercando di capire e ripassando mentalmente il bestiario che mi aveva insegnato Addakra, ma quella non rientrava nell'elenco.
Mi sporsi in avanti, bilanciando il peso e capendo che era una maschio: e anche abbastanza alto.
"Addakra..." mormorai "lo vedi?"
La ferae mosse il capo in lieve assenso, fissandolo a sua volta.
Con uno scatto repentino, quella figura si girò verso di noi, occhi che non erano occhi, ma che sembravano vederci.
O meglio: sembravano vedere Addakra.
Rigida, la ferae si scostò e scomparve dietro le fronde, rannicchiandosi e trattenendo il fiato.
"Cosa...?" esalai incerta "Cosa..."
"Shhhh." mi impose Addakra portandosi l'indice davanti alla bocca "Taci Dyen. A quello ci penso io. Non tu."

E vendeva sicurezza come un'illusione, Addakra.
Ti faceva sentire immortale anche se sanguinavi, sputavi bile e interiora.
Era una donna piena d'incubi e di ossessioni, ma dalla mente lucida e il freddo nel cuore.
Era una femmina, nella vera accezione della parola: resisteva al dolore con una protervia uterina, difendeva la propria prole con violenza e seduceva con un viso raffinato.
Da folle.

Addakra sentì l'aria defluirle dai polmoni, la mente irrigidirsi e tutto il resto sparire, per far posto ad una bolla di catrame nero e bituminoso, una voragine.
"Un Ritornato..." articolò apatica " È un umano Ritornato, Dyen."
Vide a malapena la bronnen dilatare gli occhi, le lunghe ciglia fremere.
Tutto si era oscurato, per concentrarsi in lui.
Pareva quasi più un drago che un demonio, ma lei sapeva bene essere il suo cuore malato a darle questa impressione.
Emise un sospiro frantumato, le punta delle dita farsi umide e sudate.
L'aveva trovato. Finalmente, l'aveva trovato.

"Perché?" aveva sibilato conficcandogli il pugnale nella gamba, ruotandolo e spappolandogli la rotula.
Il cultista aveva gracchiato, inarcandosi, ma lei l'aveva tenuto a terra con il ginocchio e gli aveva menato l'ennesimo fendente.
"Perché?"
Era la rabbiosa determinazione dei folli, la feroce sicurezza dei martiri.
I cultisti sono già degli ammassi amorfi e grezzi di carne, quindi era giusto e sacrosanto prenderli a calci.
Staccargli cranio e occhi, orecchie e falangi: una per una.
Quello che Addakra premeva sotto la suola dei suoi stivali non era neppure riconoscibile come un uomo, neanche lontanamente.
Ma rideva.
Era un suono orribile, simile al sibilo agonico di un morto, alle unghie che si spezzano contro la roccia.
Addakra lo alzò da terra, scrollandolo con poco grazia e tirandogli fuori la lingua.
"Parla." gli intimò "Oppure te la stacco. Pezzo per pezzo."
Il cultista aveva deformato la bocca senza labbra in un sorriso repellente, un filo di liquame nero che gli colava lungo il mento.
"Perché era Zanor. Perché era lo sfregio con il quale volevamo omaggiare il nostro Signore. Perché è forte, sangue vigoroso. Perché ci serviva il tuo cuore, stupida puttana. E l'abbiamo avuto."
Addakra emise un urlo inarticolato, lasciandolo crollare al suolo e infierendo su di lui, continuando a tempestarlo di pugni fino a quando le nocche non toccarono l'aspro terriccio.
Del cultista, una pozza di sangue e ossa.

Scesi in battaglia contando.
Uno, per il colpo che mandai a segno sul primo saprofago.
Due, per le frecce che abbatterono quattro cultisti.
Tre, per il salto con cui evitai gli altri saprofagi.
Quattro, per le loro gole sgozzate, come cinghiali in una battuta di caccia.
Roteai su me stessa e usai il legno marcio di un vecchio banco da mercato per saltare su di un tetto oberato dal muschio, riuscendo a ricaricare e a colpire le bestie rimaste.
Nel mio orizzonte visivo rimanevano solo sei cultisti e una manciata di carnivori, bestioni dal pelo raso e la bocca che puzzava di morto.
E il Ritornato.

Addakra era giunta da un angolo cieco della cattedrale, lanciandogli contro due granate esplosive.
Doveva essere stato l'istinto della belva, poiché la lunga coda squamosa si era alzata nell'aere e con un unico colpo, simile ad una frustata, le aveva disintegrate, spandendo il loro contenuto intorno a lei.
Da vicino, era ancora più imponente, più terrificante.
Alto circa sei piedi, sovrastava Addakra e stringeva tra le mani un angone rudimentale, con cui parò il colpo successivo.
Pareva impresso nella neve e nel lucido dell'ossidiana, due piccole protuberanze scure che gli sputavano tra i capelli, ricurve all'indietro.
Il nulla si rifletteva in quegli occhi artici, malati come il colore di quel cielo.
Addakra aveva sollevato il viso, piantando i suoi occhi, uno strano miscuglio di furia e tristezza, in quelli del Ritornato.
Lui aveva sorriso, ruotando l'angone e avvicinandosi.
"Addakra..." aveva sussurrato sorridendo, prima di menarle una testata così ben assestata che alla ferae era sembrato si sentire esplodere il cranio.
Senza la minima possibilità di scarto, Addakra era rimbalzata all'indietro, tutta la sua disciplina ferrea liquefarsi e perdersi.
Abbaiava come un cane rabbioso e scalciava quasi un buhriman affamato.
L'aveva fissato attonita, incapace di ammettere che sì, quello era Zanor e che ricordava benissimo il suo nome.
E che voleva ucciderla.
Si era dissolta, una nube di polvere a farle da scudo, ma, purtroppo, doveva avere buon fiuto quel demonio, perché l'aveva raggiunta con una scudisciata alla nuca, prima di alzare, implacabile, il braccio e trapassarla con l'angone.
Senza degnarla di uno sguardo.

"Tu da dove vieni?"
"Uhm?" aveva replicato distratto Zanor
"Da dove vieni? Chi sei?"
"Zanor Ves'eny, il cacciatore." le aveva risposto sedendosi al suo fianco e porgendole un piatto su cui troneggiava carne di lepre.
Addakra aveva riso, un suono argentino rotolare, liquido, nella piana.
"No Zanor. Intendo, chi sei stato?" ribatté addentando il primo pezzo e passando a lui il successivo.
Si era schiarito la voce, dando qualche breve colpetto di tosse e fissando il fuoco.
"Ti interessa veramente saperlo?"
"Sì."
Un sorriso ambiguo si era steso sulle labbra di Zanor.
"Non ti basta quello che già sai?"
"La tua pelle mi parla di battaglie mai perse, di spade troppo pesanti e di un passato che vuoi nascondere. Vi è uno strano miscuglio di orgoglio e vergogna quando la mostri, quasi in essa si potesse leggere la tua anima.
So chi sei e che strada stiamo percorrendo. Ma non so come ci sei arrivato."
Aveva alzato lo sguardo su di lei, duro, implacabile.
Ferito.
E aveva cominciato a raccontare.

Zanor era nato nei pressi di Albir, anni ed anni dopo la sua triste caduta per mano del suo stesso Re, Liam.
Della capitale di Matarisvan, intarsiata nell'argento e nell'opale, ormai rimaneva un pugno di cenere e una manciata di affamati saprofagi.
Sua madre, una prostituta, si definiva membro di quella città, in quanto i suoi parenti più prossimi provenivano da lì: probabilmente, quando Zanor nacque, erano già carne da tomba.
In realtà Leris, così si chiamava la sua genitrice, l'aveva allevato e cresciuto tra le fredde e ispide terre di Indantium, contribuendo a privarlo di ogni calore.
Zanor non aveva mai saputo chi fosse suo padre, ma si vociferava di un guerriero barbaro che, una notte, avesse cercato il calore di una donna tra le braccia di Leris.
Era solo un cucciolo quando Angrovis, l'angelo sceso dal cielo, aveva distrutto quello che lui chiamava 'casa', ovvero il bastione di Sarymnaia, l'ultima roccaforte dei Phazani nel nord di Matarisvan.  
Nei suoi occhi, simile a una mefitica ustione, erano rimasti impressi i nomi e i visi degli avventurieri che annunciarono il piano del 'bastardo piumato', come soleva chiamarlo Zanor, e sua madre, rapida d'azione, era scappata.
Ancora.
Da quel momento in poi, avevano vissuto ai margini di una società che li considerava marci, sangue sporco da cui era meglio spurgarsi.
Dieci anni e l'unico sapore mai assaggiato quello della sabbia.
Dieci anni e il desiderio di un riscatto rovente.
I maschi gli lanciavano i sassi, la terra, ogni cosa:
"Figlio bastardo" urlavano "Non vogliamo il tuo putridume in questa città. Vattene, prima di diffondere il tuo immondo seme."
Dieci anni e non capire il significato di quello che ti viene gridato, perché l'adolescenza, con i suoi istinti e le sue pulsioni, è ancora un puntolino nelle pieghe dell'infanzia.
Zanor era germogliato così, tra insulti e denigrazioni, mentre di Addakra non vi era ancora neppure l'idea.
Poi, un giorno, era cresciuto.
Le donne avevano cominciato a desiderare, furtive, la sua muscolatura possente.
Gli uomini, a considerarlo un valido nemico, qualcuno che era meglio non disturbare.
Era stato un barbaro, quasi una nemesi spietata, ad istruirlo alle armi e a limare, smussando e acuendo, la sua brutalità guerriera, il fuoco di quel popolo che gli bruciava nelle vene.
L'aveva notato mentre, rapido, rubava da un carretto senza farsi notare e poi, con una destrezza tutta particolare, si gettava in un vicolo.
Per convincere quel barbaro a insegnargli l'arte bellica, tuttavia, c'era anche voluta la presa d'acciaio con cui gli aveva fermato la mano, negli occhi azzurri di Zanor la paura di essere stato scoperto.

"Quanti anni hai, ragazzino?"
"Sedici." aveva berciato
"Solo?" era stata la domanda stupita, sul braccio del bellator che andavano a disegnarsi cinque falangi ben visibili.
"Sì." aveva risposto masticando un pezzo di mela, sospettoso.
Un sorriso sbilenco si era aperto sul volto del guerriero.
"Cerchi un istruttore?"
Cerco un padre, avrebbe voluto rispondere Zanor, ma l'orgoglio e la diffidenza parevano avergli annodato la lingua.
Quel che non sapeva è che di Sewar, così si chiamava il soldato del Nord, sarebbe rimasto ben più della debole eredità di un padre assenteista e sconosciuto.
Sarebbe rimasto un figlio di ghiaccio e ferro.

Leris era morta qualche anno dopo, in un giorno di nebbia e aghi di pioggia, la polmonite portarsela via.
Zanor compiva neppure ventuno anni e aveva inaugurato la sua furiosa guerra contro il mondo.

Serrai la gola in un grido quando vidi l'angone calare sul costato di Addakra.
Rapida, la ferae si era rivoltata, evitando che le trapassasse un polmone, ma la punta dell'arma riuscì comunque a colpirle il fianco.
Le si era buttato sopra, ma Addakra l'aveva disarcionato, rotolandosi con lui nel fango.
Solida e vibrante come l'incubo che si era mangiato le nostre vite, una sfera di energia demoniaca mi aveva sfiorato lo zigomo.
Scostai lo sguardo dalla lorica adamantina di Addakra per notare che eravamo immerse nella merda fino al collo.
I cultisti avevano evocato gli eresh, piccoli divoratori deformi.
Dotati di una doppia fila di denti e privi dei bulbi oculari, mangiavano le loro prede fino a scoppiare, vive o morte che fossero.
Potevano crepare nel tentativo, ma questo non li avrebbe fermati.
E noi eravamo in netta minoranza.

Mi buttai giù dal tetto, il dolore per la caduta che mi rendeva più lenta, ma non meno efficiente.
Giocando il tutto per tutto, attraversai correndo quell'inferno e cercai di ritrovare la cacciatrice, scansando gli attacchi ed evitando di farmi ammazzare.
Era una fuga: una patetica resa, ma almeno c'avrebbe assicurato un altro giorno.
Per vivere.
Per vivere e combattere.

La corazza di Addakra aveva cominciato ad ardere, staccandosi in pezzi maleodoranti e legnosi, quasi un arbusto consumato da fiamme esigenti e spietate.
Le aveva stretto il mento tra le dita, costringendo a guardarlo: ed era stato come riflettersi in uno specchio vuoto.
"I tuoi occhi..."mormorò serio "dicono una sola cosa..."si chinò verso di lei, raddrizzando la coda e contraendola come un pugnale, indirizzato al centro del suo petto "dicono... uccidimi. Uccidimi. Strappami il cuore. Vuoi che lo faccia, Addakra?"
E su quelle labbra, vermiglie, era risuonato un singhiozzo disperato.
Di chi viene schiacciato dalla verità.

Il dubbio mi si era insinuato quando l'avevo vista deporre le armi, rimanere inerte davanti a quel rostro che, come una lama, stava per trafiggerle il petto.
Ma avevo voluto ignorarlo.
Non potevo, anzi, non volevo accettare che chi, così tenacemente, mi aveva insegnato a vivere di nuovo, mi avesse solo mentito.
Eppure, l'aveva fatto.
Scaraventai l'ultima granata esplosiva contro il Ritornato e lo colsi di sorpresa, troppo impegnato a cercare di uccidere Addakra.
Si scostò quel tanto da permettermi di afferrare la ferae e di ripiegare verso il bosco.
Addakra era molle, quasi passiva, ma la vidi sforzarsi di correre insieme a me, sebbene dalla gamba e dal fianco perdesse quantità sempre più sostanziose di sangue.
Lo stridio insistente degli eresh si fece più vicino e fu allora che mi voltai per vedere Addakra sganciare l'ultima arma dalla cinta, mistificando la nostra ritirata.
Fu allora che vidi il Ritornato fissarci, immobile.
Nei suoi gesti, nel suo sguardo, nel suo sorriso a mezza bocca, c'era tutta la sicurezza del vecchio lupo sfamato.
Che sapeva che le sue prede sarebbero tornate.
Ancora.


Note dell'autrice:
Angone: era un tipo di giavellotto usato nell'Alto Medioevo dai Franchi e da altre popolazioni germaniche, tra cui gli Anglosassoni.
Eresh: ispirati alle "divoratrici di Abissali" del manga Claymore, solo che più simili a piccoli imp
Saprofagi: creature simili al Cerbero infernale, solo che possiedono una sola testa.
Cultisti oscuri: uomini che hanno scelto di vivere con la magia negromantica. Sono ispirati a questa immagine
Ritornato: è un umano a cui viene inoculata la scintilla dei demoni.
E' un processo che si può attuare una sola volta e riporta indietro il morto, dandogli però caratteristiche demoniache.
Nello specifico sono: pupilla sempre ristretta a capocchia di spillo, pelle bianca/grigia, corna in accessorio e una coda, ispirata invece ai darkling, ovvero questi.
   
 
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