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Autore: Dicembre    04/11/2012    4 recensioni
Inghilterra, 1347.
Di ritorno dalla battaglia di Crécy, un gruppo di sette mercenari è costretto a chiedere ospitalità ed aiuto a Lord Thurlow, noto per le sue abilità mediche. Qui si conoscono il Nero, capo dei mercenari, e Lord Aaron. Gravati da un passato che vorrebbero diverso, i due uomini s'avvicinano l'uno all'altro senza esserne consapevoli. Ne nasce un amore disperato che però non può sbocciare, nonostante Maria sia dalla loro parte. Un tradimento e una conseguente maledizione li poterà lontani, ma loro si ricorreranno nel tempo, fino ad approdare ai giorni nostri, dove però la maledizione non è ancora stata sconfitta. E' Lucifero infatti, a garantirne la validità, bramoso di avere nel suo regno l'anima di Aaron, un prescelto di Dio. Ma nulla avrebbe avuto inizio se non fosse esistita la gelosia di un mortale. E nulla avrebbe fine se la Madonna e Lucifero fossero davvero così diversi.
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Siamo arrivati alla fine di questo (lungo) racconto. Grazie a tutti per avermi seguito fin qui, per le vostre parole e i vostri commenti. Grazie di tutto, davvero. Scriverò personalmente a tutti (a Sandy, a _picci_, a Nelith...), ma ho preferito prima postare l'ultimo capitolo, poi rispondervi. 
Per non lasciarvi in dubbio, per vedere se anche la conclusione è degna delle vostre aspettative. 
Ultima piccola nota prima di concludere, Liberaci da Male ha un brevissimo (ed intenso) spin off su Ayel e Esse che posterò a breve. Come si dice "stay tuned".
BaciniBacini. A presto!



Amen
 
 
 
 
 
Si accascia per terra e grida. Lui, Caino.
 
Le grida di disperazione che giungono fin qui, tu non le sentirai. Né le sentirà Nathaniel, che ha smesso di ascoltare.
 
Si accascia e grida, lui  inutile e vile. Odioso, come non m’è permesso pensare  nella luce del Paradiso. Per cosa grida? Per aver ucciso il fratello?
Forse grida di pentimento. Ma io non credo. No. Le sue grida sono di disperazione, ma sono diverse.
 
Non è riuscito ad avere ciò che desiderava. Questa vita, la prossima… Ora non capisce perché è ancora mortale. Non può capire.
 
E grida perché è stato costretto da se stesso.
 
Assassino!
 
Pazzo e assassino.
 
Condanna anche te all’indifferenza e alla paura di rimanere solo. Perché ormai tu ne sei certo. Vorrei abbracciarti, quando la tua febbre è così alta che la vista è offuscata e la parola impedita. Vorrei prenderti per mano e sussurrarti di non preoccuparti, ma non posso farlo. E allora ti guardo, semplicemente e cerco di cantare, ma la voce muore prima che possa raggiungere le tue orecchie.
 
Stai morendo e io posso solo accarezzare, con mani invisibili, i tuoi capelli sparpagliati sul cuscino  e la tua guancia in fiamme.
 
La luce che filtra dalla finestra ti ferisce gli occhi, troppo intensa per la tua malattia, troppo  accecante per vedere la realtà: non sarebbe tornato e lo sapevi.
 
E le tue lacrime sono le sue.
 
 
 
 
 
 
 
Aveva la mente libera. Il dolore era scomparso quasi immediatamente e tutto intorno a lui aveva perso ogni sembianza.
 
C’era il cielo, un cielo così azzurro che mai prima di allora aveva scorto, e c’erano gli alberi che ondeggiavano leggermente, verde intenso, ad incorniciare il turchese.
 
Solo due colori, algidi. Ma Nathaniel pensò fosse un peccato che questi colori così intensi sarebbero prima o poi spariti, col suo chiudere gli occhi.
 
Aveva il respiro affannoso, questo lo sentiva e le labbra secche, ma cosa importava?
Lasciò l’ira a dopo. Capì che un dopo ci sarebbe stato anche quella volta, anche quando stava morendo. 
E macchiare con la rabbia quei due colori così belli sarebbe stato un peccato e sarebbe stato inutile.
 
Forse aveva sempre saputo che… Chi? Non ricordava bene neanche il nome del suo assassino. Non era importante.
 
Lo sarebbe stato dopo.
 
Ora voleva solo guardare il cielo  incorniciato dagli alberi. E voleva Aaron con sé, ma non l’avrebbe mai raggiunto. Sarebbe morto col rimorso di essersene andato e di averlo perduto per sempre.
 
La vista gli si offuscò, poi una lacrima cadde e di nuovo l’intensità del cielo lo colpì.
 
Udì un suono lontano, un richiamo. Poi vide fra le maglie dell’azzurro chi lo chiamava.
 
Vieni qui, Cleto, vieni da me, ché non ti posso raggiungere.
 
Il falco era testimone involontario di quei colori, lui solo sembrava poterli amalgamare, nella loro solitudine. Verde e azzurro. E poi nulla.
 
Cleto vide il suo padrone e volò da lui. Aveva poco tempo, il messaggio che doveva riportare andava riferito in fretta per poi volare da Aaron che…
 
“Non ho più il tempo di ascoltare” gli disse Nathaniel, bisbigliando. “Scusami Cleto, ma non ho più tempo. Ti chiedo però di portare un messaggio.” Nathaniel dovette interrompersi per riprendere il fiato che ormai andava esaurendosi “Digli che cos’è successo e digli perché non sono tornato. Digli che ho sbagliato e chiedigli  - imploralo - di perdonarmi, perché la mia anima chiederà perdono dal cielo. Digli che farei tutto diversamente, se mi fosse data la possibilità di ricominciare. E digli che lo amo” di nuovo si interruppe, ormai non aveva più voce “Digli che lo amo. Sciocco com’è probabilmente ne dubita, e non lo sa”
 
Sorrise, quando vide Cleto spiccare il volo, di nuovo nell’azzurro, scomparendo poi dietro agli alberi. Poi l’azzurro divenne blu, poi nero, cancellando tutto.
 
 
 
 
 
Cleto volò, in cielo, veloce. Se a proposito d’un falco si fosse potuto parlare di sentimenti, il suo volo sarebbe apparso disperato. Ubbidiente portava il messaggio del suo padrone, ubbidiente non aveva riportato il messaggio di Aaron: il suo padrone non avrebbe potuto ascoltarlo, né avrebbe potuto esaudire quel desiderio.
 
“Perché rovinare tutto quanto con un messaggio inutile?”
 
Esse deviò la strada di Cleto.
 
“Non sarebbe più così divertente, altrimenti, se il dubbio ed il rancore di Aaron fossero dissipati dalle parole di un morente…”
 
Lasciò che Cleto planasse fra le sue braccia, il falco non poté nulla contro il demone.
 
“Ed è meglio che tu dimentichi, mio caro rapace, tutto quello che hai visto e tutto quello che hai sentito. Non andare a Castel Thurlow, non andare da nessuna parte” gli accarezzò le piume “Vola libero in cielo e dimentica. Non c’è più nulla da riferire”
 
E così il falco volò via, verso nord, senza più parole da dire.
 
 
 
 
 
Tutto tornò buio. Non c’erano più fiammelle bianche, non c’erano più luce, né ombra. C’era solo il respiro di qualcuno, di uno dei tre uomini o forse di tutti quanti,  a frastagliare il buio così innaturale per quella sera londinese.
 
La luce dei lampioni per strada ci mise un po’ a rientrare in casa di Alec.
 
Matthias si accorse che le sue mani tremavano, e non vide nient’altro. Il dolore al petto era ancora troppo intenso e il sapore metallico del sangue in bocca sembrava nascondergli qualunque altra cosa. Che ci fosse ancora Ayel nella stanza non era importante: l’ira, il dolore, la rabbia e la delusione erano fin troppo tangibili perché la presenza di un angelo potesse significare qualcosa.
 
Fu istintivo e naturale colpire Jude con quanta più forza avesse, e non sentir dolore nell’impatto, anzi desiderarlo ancora, di nuovo, fino a che quella sensazione di totale impotenza se ne fosse andata.
 
Più che tutto il resto, voleva spogliarsi dell’evidenza di non poter far nulla.
 
Nell’impatto, Jude, urtò la parete e perse l’equilibrio, cadendo a terra. Ma non tentò di reagire, non fece niente se non portare la mano al labbro per tamponarsi il sangue.
 
Perché dire qualcosa, quando qualunque parola era sempre stata inutile?
 
Le dita tremarono.
 
Matthias sollevò Jude da terra, ormai i suoi occhi si erano abituati all’oscurità e potevano chiaramente distinguere i lineamenti del fratello, o di Jude. Le due persone, ora, gli parevano uguali.
 
Neanche questa volta il biondo fece nulla, né per ripararsi, né per proteggersi, solamente guardò Matthias aspettando il secondo colpo, che però non arrivò. La mano del moro premette sul petto del fratello, costringendolo fermo alla parete.
 
Jude sussultò, quasi fosse stato colpito più violentemente che la prima volta.
 
“Non…”
 
Ma Matthias scosse la testa, impedendogli di continuare la frase.
 
“Parlami…” lo implorò Jude “Di’ qualcosa…”
 
Matthias lo guardò negli occhi, rimanendo muto.
 
“Dimmi qualcosa, qualunque cosa!!” la voce di Jude si spezzò “Di’ qualunque cosa, per favore…”. Piangeva, aggrappato alla maglia di Matthias che stringeva fra i pugni “Non rimanere lì muto, insultami, odiami, ma di’ qualcosa…”
 
Avvicinò Matthias a sé, tanto da appoggiare la fronte sul suo petto.
 
L’altro lo lasciò fare, ascoltando i singhiozzi che interrompevano quel silenzio.
 
“Perché non parli?” gli chiese “Perché non mi dici quanto malvagio, quando terribile sia stato…” La sua voce fu di nuovo interrotta dal pianto, che ormai non riusciva più a controllare. Si avvicinò ulteriormente a Matthias, nascondendo il viso ancora di più e abbracciandolo, stringendolo a sé.
 
“Che cosa devo fare?” disse in un filo di voce “Adesso, che cosa devo fare…”
 
Matthias circondò il fratello con le proprie braccia, carezzandogli la testa.
 
Jude tremava, incapace di controllarsi e incapace di fare qualcosa, aggrappato al fratello.
 
Rimasero così, finché i singhiozzi di Jude non si quietarono e lui non osò alzare la testa.
 
“Mi perdonerai?” C’era un filo di speranza, nella sua voce. Sapeva che cosa aveva fatto, ma ugualmente sapeva che il fratello l’aveva sempre perdonato.
 
Ma Matthias scosse la testa e quella piccola illusione si disciolse nel silenzio.
 
Jude s’irrigidì.
 
“Non puoi perdonarmi nonostante tu abbia ciò che hai sempre voluto?”
 
Matthias aprì la bocca, ma non disse nulla. Sospirò, ricominciando.
 
“Ti sei preso tutto quanto…”
 
Jude avrebbe preferito gridasse, il tono monocorde di Matthias non gli diede il permesso di replicare “Hai preso tutto ciò che era mio. Non posso perdonarti”
 
“Ma lui è qui…” osò rispondere Jude.
 
“Non capisci, e questo oramai, non mi stupisce più. Hai rubato la mia vita, i miei amici… Hai cancellato dalla mia esistenza persone con le quali vivevo, le cose che facevo, tutto, in un istante”
 
“Ed è importante? E’ tutto così importante?”
 
“E’ tutto così importante, sì. Ma non mi aspetto che tu lo capisca. La persona che vuoi io diventi non esiste, e non è mai esistita. E non posso perdonarti di aver voluto sacrificare Aaron …”
 
Jude si strinse leggermente nelle spalle: “E’ così strano? Fra se stessi e l’altro, quando si è obbligati a fare una scelta, è davvero così strano scegliere se stessi?”
 
Matthias scosse la testa: “Immagino di no”.
 
Nessuno parlò per un po’.
 
Matthias si volse verso Ayel, che era ancora nella stanza, immobile, in un alone leggermente luminescente.
 
“Fa’ ciò che vuoi” gli disse quest’ultimo “Puoi fare qualunque cosa tu voglia”
 
Matthias allontanò Jude da sé, sistemandogli i vestiti, come un genitore fa con il figlio il primo giorno di scuola. Lo guardò in viso e gli asciugò le guance, e fece un passo indietro.
 
“Dimenticami”
 
“UCCIDIMI!” gridò l’altro, in preda al panico, ma Matthias scosse la testa.
 
“No, non posso farlo. Sei mio fratello. Nonostante tutto ciò che hai fatto, non riesco ad odiarti del tutto…”
 
“Chiedermi di dimenticare tutto è una punizione ben peggiore!”
 
“Dimenticami e vattene.”
 
Chiaro sgranò gli occhi e accennò un’ennesima protesta, ma fu preso per mano da Ayel e portato via, chissà dove. Scomparso, senza la possibilità di salutare, di replicare, né di salvarsi.
 
Senza la possibilità di fare nulla.
 
Nell’istante di una parola, Chiaro se ne andò, con gli occhi vitrei di chi implora ma non verrà ascoltato.
 
Matthias si sentì schiacciare all’analogia con la sua morte. Forse, davvero, ucciderlo sarebbe stato meno doloroso.
 
Non riuscì a rimanere in piedi sulle proprie gambe e dovette appoggiarsi con le spalle al muro.
 
Non c’era nulla intorno o dentro di lui.  Chiaro aveva portato via tutto, lasciandolo in quella stanza vivo, ma ucciso, di fronte ad Alec che lo guardava immobile. E lui aveva mandato via Chiaro, suo fratello, con cui aveva condiviso, da sempre, ogni cosa.
 
Tutto era stato allontanato.
 
Nessuno disse niente per un po’.
 
Poteva abbracciarlo? 
No. Il biondo probabilmente non l’avrebbe voluto. Venticinque anni di follia dispersi, non potevano essere cancellati in un istante.
 
Nonostante ora fosse guarito, chi gli avrebbe restituito il tempo trascorso? Nessuno, e questo Matthias lo sapeva bene.
 
Eppure voleva abbracciarlo, baciarlo, stringerlo a sé e dirgli che tutto era finito, che gli sarebbe rimasto accanto… Voleva chiedergli se lui, se persino lui se ne sarebbe andato, insieme agli altri.
 
Voleva sentire la sua voce, voleva piangere. E non voleva che anche lui scomparisse.
 
Non osò fare un passo, né Alec disse una parola. Lo guardava con quegli occhi enormi, resi blu dall’oscurità della stanza, che Matthias non riusciva a leggere.
 
Ora che l’aveva così vicino a sé, gli sembrava più lontano che mai.
 
Nessuno disse nulla.
 
Matthias ripensò a quella mattina in cui se n’era andato, ugualmente muti: non erano stati in grado di parlare per darsi speranza. Lui, soprattutto, era arretrato e scappato, non da Aaron, no, ma da ciò che non poteva avere.
 
Lui per primo, abituato ad impugnare la spada e a maneggiare l’arco, non aveva lottato.
 
E poi pensò alla strada per Londra, all’intorpidimento dei sensi e alle voci in sottofondo che non dicevano niente. Pensò al bambino sotto la pioggia, alla sua mano distesa che chiedeva qualche moneta e all’acqua che cadeva sopra di lui.
 
Pensò a Cleto che gli avrebbe chiesto di tornare e a lui che non era mai tornato. Pensò a quel cielo blu, ai quei rami verdi e al tentativo di dire un’ultima parola ad Aaron.
 
“Ti amo” senza messaggeri o reticenze.
 
Aveva aspettato troppo tempo, tempo in cui avrebbe sempre voluto avere il coraggio per quelle parole.
 
Cleto le aveva dimenticate, volando a nord, ma Aaron doveva sentirle, anche se era lontanissimo, lì di fronte a lui in una stanza.
 
Matthias sentì Alec sussultare e per un istante ancora, non si mosse.
 
“Posso chiamarti Nathaniel?”
 
“E’ il mio nome”
 
Alec sorrise, di uno di quei sorrisi senza ombre, limpidi che Nero ricordava nei propri sogni. Uno di quei sorrisi che l’avevano liberato prima e salvato poi.
 
E Aaron protese le braccia verso di lui, per riportarlo a casa, in un abbraccio.



...fine.
  
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