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Autore: Vandel    04/11/2012    1 recensioni
la storia di un militare che si ritrova a fronteggiare un'avventura ai limiti della fantascienza
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il sole era alto nel cielo e la campagna risplendeva sotto i suoi raggi, che inondavano i campi agresti e ben lavorati. I contadini erano intenti nel loro lavoro, nonostante il caldo battente facesse di tutto per farli desistere. Altra razza, i contadini. Tosti, robusti, ben allenati e abituati. Tutto scorreva com’era solito scorrere, per la vita di quelle parti. In una di quelle case immerse nei verdi campi, stava per compiersi, però, un’autentica strage. Un uomo, con il volto coperto da un elmo che nascondeva gran parte dei lineamenti, era giunto in quella casa.
“Serve qualcosa?” lo aveva accolto con queste parole la padrona di casa, una donna sulla trentina, dai lunghi capelli castani, seduta ad un tavolo, posto sotto l’ombra di uno degli alberi che popolavano il giardino. Accanto a lei, che giocava con le sue bambole, vi era, probabilmente, sua figlia. Una bambina di circa sette anni non più alta del tavolino, con dei boccoli castani che sembravano fare da cornice al suo visetto tondo. L’uomo, per tutta risposta, le andò vicino e quando le fu accanto, estrasse da una fondina allacciata in vita un coltello. Sotto lo sguardo spaventato della donna, le affondò l’arma nel petto. Poi lo ritrasse, e poi di nuovo un affondo. E fu così per diverse volte. La donna non ebbe neanche il fiato di urlare, cadde faccia avanti sul tavolino, mentre rivoli di sangue si allargavano attorno a lei. Lo sguardo lucido della bambina che ora provava a chiamare “Mamma…?!” debolmente, non scaldò il freddo cuore dell’omicida. Si piegò sulle ginocchia, per arrivare all’altezza della ragazzina, che lo guardava con un espressione vuota, mentre lacrime fin troppo calde, scendevano sul suo viso. Non riusciva ad urlare, non riusciva a scappare. Il terrore l’aveva annichilita. Quel brutto elmo grigio, sembrò sorridere mentre portava il coltello vicino al collo della creatura. Poi un taglio netto.

“…Non isperate mai veder lo cielo, I’ vegno per menarvi all’altra riva, nel caldo el freddo, nell’etterno dolore.”. Chiusi il libro che stavo leggendo. Non era di certo una lettura leggera, ma era ciò che mi piaceva. Riposi accuratamente il libro sul comodino, poi mi alzai dal letto. Mi stiracchiai. Quanto amavo distendermi e leggere. Guardai fuori dalla finestra. Il sole era alto, forse era il caso di scendere ai campi. Prima però, avevo un urgenza che mi portava al bagno. Così aprì la porta, su una parete della stanza, e vi entrai.

La mano dell’omicida era rossa, sporca di sangue. Rosso come il colore dell’avarizia. Strinse il pugno, rabbioso. Poi sollevò lo guardo sul secondo piano della casa. Non era tempo di lasciarsi andare, in casa c’era ancora qualcuno. Sgrullò il coltello e alcune stille di sangue caddero sul corpo senza vita della povera bambina, che aveva i suoi begli occhi verdi aperti sul nulla, braccia larghe ad abbracciare la madre terra. L’assassino calciò il misero cancelletto d’ingresso che portava al secondo piano e si apprestò a salire le scale. La porta era aperta, nella più totale sufficienza. Quando entrò, puntò il coltello. La sala principale era vuota, così come la cucina. Andò dunque alla sua destra, dove c’era la porta per un corridoio e vi entrò.

Tirai lo sciacquone. Poi mi diressi al lavandino. Aprì l’acqua fredda e me ne gettai un po’ sul volto, per rinfrescarmi un po’. Poi mi guardai allo specchio. I miei occhi marroni avevano uno sguardo penetrante e i miei neri capelli erano tutti scomposti. Tanto, per lavorare nei campi andavano bene così. Me li sistemai alla ben e meglio, non potendo far altrimenti. Ora ero pronto davvero. Afferrai la maniglia della porta e lentamente la ruotai. Uscì dal bagno, ritrovandomi in corridoio. Chiusi la porta dietro di me e mi apprestai a camminare quando sobbalzai alla vista di un uomo di fronte a me. Aveva un elmo assurdo, non era nessuno che conoscevo. I miei occhi indagatori si scontrarono con quelli scuri dell’uomo, che ora era fermo davanti a me. Vidi che stringeva un coltello insanguinato tra le mani. “Sei rimasto solo tu!” esordì l’uomo, con una voce oltretombale. Poi si tolse l’elmo, mostrando un volto spento con pochi capelli neri e schiacciati dal pesante casco. Era un ragazzo sulla trentina. Io lo guardai serio, senza dire niente.
 “Ho ucciso tua moglie e tua figlia…” ricominciò lui, sorridente “…proprio come mi avevi ordinato di fare!”. Sorrisi. Ottimo!
“Questo che ti porto è la prova della mia lealtà, ora mostrami la tua!” aggiunse l’assassino, porgendomi il coltello sporco. Rigirai l’arma nel mio palmo. Ciò che diceva era la verità. Riconobbi il dolce sangue di Eveline, la mia bambina.
“Ecco la tua ricompensa” dissi estraendo dalla tasca un sacchetto chiuso in alto da un fiocco. Lo lanciai all’uomo che lo afferrò con entrambe le mani. Poi, sorridendo, dissi: “500 monete d’oro…”.
Lui fece per aprire il sacco. “Hei, ma qui non c’è niente!” ebbe il tempo di esclamare risentito, mentre il coltello gli trapassò il ventre. Quello urlò, lasciando cadere il sacchetto vuoto. Girai più volte il coltello nella ferita e ad ogni giro, un urlo disumano. Continuai fino a che l’uomo non cadde a terra di faccia, soffocando un ultimo lamento, portandosi con se il coltello, ancora conficcato nella carne. Mi asciugai la stilla di sangue che era schizzata sulla mia guancia, per poi esclamare: “Ora potrò proteggere questo luogo e ciò che nasconde, da solo…solo io: Alberigo Modenesi!”. 
  
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