Sospesa in un
limbo atroce,
in questo cuore sanguinante
scendono lacrime amare
che sanano e feriscono.
Nessuna pietà.
Ho passato
tempi immemori a domandarmi di preciso cosa fossi, nato come Demone a
metà, ho
sentito nella morsa del tempo sparire il rimpianto per ogni azione. Ho
premuto
su quel tempo ed ho ottenuto un distacco invidiabile o rimpiangibile
con
l’umanità. Di sicuro sapevo, dopotutto, cosa non ero e non ero umano,
ero
diverso da loro e me lo sono detto così tante volte da riuscire ad
osservarli e
poter pensare di loro, umani, che sarebbero potuti stare bene vicino al
caminetto, nello studio altrimenti sin troppo lugubre e spento che
utilizzavo
allora. Cos’è un umano? È quell’oggetto dalla dubbia capacità cognitiva
che può
essere addobbato a festa e posto su un’asse di legno, accanto alla
lampada in
stile vittoriano donata a suo tempo da un vecchio amico inglese e quel
quadro
tremendamente kitsch acquistato per il pallido gusto di sottrarlo a chi
ne
aveva possesso. Cos’è un vampiro? È colui che tutto ricorda e nulla
perdona,
colui che non prova pietà e non riesce ad avere pena alcuna per quel
povero
pazzo che in strada urla e versa lacrime sul suo figliolo malato. È
colui che
sorride falso e dona il pane, in cambio dei denti, che ti rende i
denti, ma
vuole indietro il pane, perché è giusto così. Do ut des. Io do affinché
tu dia.
È colui che affonda i canini nella carne molle come fosse burro al
Sole, la
dilania e come Belva ne fa una banale preda, divenuta interessante
unicamente
quando la gola secca ha iniziato a bruciare, terribilmente, al punto da
spingere il secolare a rivolgere la parola al suo stesso cibo. Non sono
un
sadico pianificatore, forse pianificatore, ma non mi reputo sadico. Io,
essere
immondo, pratico la volgare politica dell’ignoranza, bada, non
fraintendere,
ignorare non mi rende stupido, ignorare mi rende distante, ma questo
non
significa che io non porti occhi sia avanti che dietro.
Perché,allora, mi rivolgi la parola?
Tutto
questo ha un sapore amaro, sa di rivisto, sa di conosciuto e banale, tu
domandi
ed io rispondo, l’ho già sentito da qualche parte, sicuramente saprai
delucidarmi.
C’è un film che
somiglia
terribilmente alla scena.
Ah, ecco,
avrei giurato sulle mie otto vite passate di aver già sentito una cosa
simile.
Dunque, vediamo. Sono nato a Praga, nel 1615, a quei tempi era ancora
divisa in
due: la città vecchia, la più lussuosa, la vera Praga, quella che fece
sognare,
per lunghi secoli, gli abitanti di Mala Strana, dove vennero relegati,
come me,
i cittadini di origine tedesca. Mia madre si chiamava Geshe Vogel,
nobile donna
sconosciuta al mondo. Ironica sorte la sua, non so se fosse sciocca o
solo
magnanima, non ho mai cercato di capirla e non ho mai cercato il suo
affetto o
la sua accettazione. Io vivo per quello che sono e sono dell’opinione
che ogni
vampiro abbia il dovere di considerarsi un essere a sé stante,
svincolato da
ogni singola sorte dell’essere e dall’affetto concepito come sanguigno.
Non
devo nulla a nessuno, tantomeno all’utero che m’ha ospitato. Con
l’assassinio
di Venceslao III, nel 1306, la dinastia dei Premyslidi, coloro che
fondarono
originariamente Praga, si estinse, senza lasciare eredi maschi, dopo
che fu
riconosciuto il rango regale e l’ereditarietà della corona, e questo,
ovviamente, lasciò come patrimonio un’aspra lotta, un gioco a chi sputa
più
lontano per vedere chi avrebbe potuto occupare quel trono. Circa tre
secoli
dopo, quando conobbi Praga io, la distinzione era meno netta, ma pur
sempre
presente ed il posto in cui mi ritrovai a vivere era la perfetta
antitesi di
quello che si può arrivare a desiderare. Una casa piccola, una
relegazione per
razza che non sarebbe piaciuta a nessuno e l’animo sin troppo spento
per poter
evitare di sperare in un capovolgimento, un render pan per focaccia a
chi fece
un tempo di Mala Strana un quartiere indesiderabile. Ci misi più di un
secolo
per avere quella rivincita, quella piccola soddisfazione. La cosa
positiva
dell’avere sangue immortale è non solo il fatto che si può avere tutto
il tempo
che si desidera a disposizione, ma che lo stesso sangue è capace di
annullare
quello umano, per potenza. L’unico modo che uno come me possiede per
ottenere
ciò che vuole in maniera indubbiamente semplice è quello di rendere
schiavo, o
asservito –che dir si voglia-, colui che sarà vittima. Giacomo II,
figlio di
Maria Teresa, nel 1784 attuò l’unificazione amministrativa di Malà
Strana, Nové
Mestro, Staré Mestro e Hradcany. Da quel momento, i cittadini di
origine
tedesca, come me, poterono avere la loro piccola rivincita, la cultura
tedesca,
per qualche anno, sovvertì completamente, o quasi, quella ceca, una
parte della
regione chiese l’annessione alla Germania ed io mi spostai in quelle
terre,
trovandole più appropriate, quantomeno, alla mia figura. Passai lì, nel
più
totale anonimato, il resto dei miei tempi sino ad ora, ignorando le
guerre e
limitandomi ad uno svago mortale: la legge.
La legge?
Perché la legge?
Ma perché
la legge è quanto di più pratico possa muovere una mente, accrescerla e
renderla capace di districarsi anche nei problemi più complicati,
trovare
quella soluzione e quella via di fuga da un quesito improvviso ed
impossibile
da risolvere altrimenti. Esistono così tanti cavilli, così tante
sfumature in
una data legge od in un suo emendamento, che può fornire un ottimo
svago, in
alcuni casi. Dimostro ben pochi anni, questo è vero, ma è vero anche
che pure
in questo caso, quello che giunge in mio soccorso, è il sangue e con
questo io
faccio il lavoro ed i miei asserviti lo portano in tribunale e lo
presentano,
allenandosi su una qualsivoglia dissertazione che non appartiene loro,
per
questo mi servo di artisti, la maggior parte attori, capaci di
interpretare
delle parti e prestare la loro immagine. Ma ora…ora voglio rispondere
ad
un’altra tua domanda.
Domanda? Quale?
Io rivolgo
la parola unicamente a chi ha colto abbastanza la mia attenzione da
poter avere
il privilegio di sapere almeno per mano di chi muore. Tu, come tutti
gli altri,
sei semplicemente cibo ed io sono un pazzo, che rivolgo la parola al
pollo, ma
non ho potuto farne a meno. La tenacia con la quale i mortali come te
si
ostinano a cercare delle risposte per un trafiletto di un giornale di
quart’ordine mi fa quasi tenerezza…quasi, per l’appunto. Ma vi sono
risposte
che non possono essere scritte ed io, come sessant’anni e più fa, amo
ancora il
mio anonimato e gradirei poterlo protrarre nel tempo. Oh, non
preoccuparti, non
sarà nulla di doloroso, sentirai solo freddo…