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Autore: Nocturnia    10/11/2012    0 recensioni
Un piccolo frammento dei pensieri di Zanor Ves'eny, cacciatore di demoni, leggenda di Matarisvan, ora solo l'ennesima anima confinata nei cupi contorni di una maledizione.
Genere: Drammatico, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Nel segno del sangue'
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Disclaimer: Questa storia è stata scritta per puro diletto personale, pertanto non ha alcun fine lucrativo. L’intreccio qui descritto e i personaggi rappresentati sono copyright dell’autrice (Nocturnia) e non ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.

"Il male brucia solo un momento,

ma si lascia dietro un guscio carbonizzato.”
- Elise Cabot -

L'odore della sofferenza



La vuoi.
La desideri.
Vorresti sentire la sua carne soffice sotto le dita, il rumore del suo sangue che monta nelle vene, il suo sapore.
È solo una piccola palla di odio lanciata nel mondo, ma per te assume i contorni di una donna da amare.
Ti ha snudato le zanne più volte di quante ti abbia sorriso, ma sai che i predatori possiedono la mimica della caccia, non della falsa diplomazia.
Ti aveva inseguito, braccandoti ed eccitandoti con la purezza di un collo indifeso e la mendace apparenza della preda.
Ma quando ti eri avvicinato, estraendo i denti, la farfalla era diventata scorpione, inoculandoti il suo veleno.
Le avevi dovuto sfregiare la nuca.
Avevi dovuto dominarla, per non essere l'ennesima vittima di una guerra che non faceva prigionieri.
Le avevi parlato nella feroce lingua della bestia, ma ti aveva risposto con la protervia di una fiera, tra le sue gambe il punto fio sul quale eri morto infinite volte.
L'avevi morsa, sancendo un possesso che non era illusione e sabbia, ma una cicatrice indelebile e il rosso di un plasma che non trovava pietà.
Era una brama disperata quella con cui affondavi in lei, l'anelito spietato della belva.
Piangeva, Addakra, quando sei morto.
Urlava a quel cielo plumbeo tutta la sua angoscia, lo strazio che ne deformava il volto, nella pupilla verticale il baluginio cupo di un mondo che collassava su se stesso.
Batteva i pugni al suolo, frantumandosi come lo specchio illusorio in cui ti eri riflesso per tutti quegli anni.
Eri un conquistatore e sei stato conquistato.
Eri la tenebra, il buio, l'incubo che ossessiona e ferisce, ma lei non ti temeva.
Era annegata con te in quel lago d'odio e tu avevi trovato sulle sue labbra, vermiglie, il calore che mancava al tuo cuore stanco.
Poco importava che fosse un rogo annichilente: bastava che ti scaldasse le membra e l'animo.

Quando sei morto, il gelo di una vita priva di colori si era riappropriato di te, riportandoti sulla via di un'ardente vendetta, di un empio pasto non ancora consumato.
Sei morto e sei tornato solo per lei.
Sei morto e il tuo rancore verso quella vita che te l'aveva strappata non percepiva compassione.
L'avevi cercata con l'insolenza e la determinazione dei lupi e, quando l'avevi trovata, eri stato selvaggiamente felice del suo desiderio malcelato.
L'avevi baciata, nel paradosso vivente che era la tua figura: troppo egoista per lasciarla morire, troppo meschino per lasciarla vivere.
Si era lasciata carezzare dal mostro che eri diventato, scrutando la tua coda rostrata e i tuoi occhi immoti, trovandovi l'impronta di una fame quasi dolorosa.
Ti aveva combattuto, com'era giusto e sacrosanto che fosse, poiché non si può mutare la natura di un predatore.
Ti aveva combattuto, pur avendo perso in partenza.

Osservi la volta celeste, il sangue di lei che ancora ti macchia le mani, il petto.
Te lo lasci seccare addosso, umettandoti le labbra e volendone ancora.
Quella ragazzina bionda te l'aveva portata via.
Quella ragazzina era la sua allieva, un lascito alla fumigante realtà di Matarisvan.
Una smorfia asimmetrica ti adorna il viso, un battito solitario che freme tra le costole, quasi lo spasimo agonico della tua umanità.
L'hai amata.
Di un amore così profondo e violento da sembrare quasi una maledizione, una tortura.
L'hai voluta con così tanta forza da non ricordarti neppure la genesi di una tale follia.
Essere accolto tra le sue braccia era stata solo una sentenza rimandata, di cui il boia era il tuo stesso sentimento.
Dyen aveva provato a comprendervi, cercando una qualche allegoria con la sua storia, ma era riuscita solo a dispiegare un mosaico implacabile in cui vi combattevate e vi amavate con la stessa dissennata urgenza.
Quando il sole sorse alle tue spalle, lo vedesti screziarsi nelle gemme sanguinolente che erano i suoi occhi.
Nei suoi gesti, nel suo odore, un passato a cui non potevi tornare.

"Addakra..."
E pensi a quando ti aveva abbeverato con le sue lacrime: lei, che neppure davanti a un massacro muoveva stilla né sale.
A quando ti aveva rapito, porgendoti un cuore che non era dolce o premuroso, ma fiero ed assoluto.
A quando si era lasciata sbranare da te e dai tuoi istinti, salvo poi renderti mille volte il favore.
"Zanor..." la senti mormorare nell'aere, una mano alla cinta, l'altra al viso, per coprire l'infame marchio della tristezza.
E ora sai che hai sempre avuto ragione.

A volte l'amore è solo la forma più pericolosa che può prendere una sconfitta.
E la tua si era appena compiuta.



Note dell'autrice: la storia qui presente si colloca tra il capitolo sette (Crimen maximo) e il capitolo otto (Abruptus) di 'Nel segno del sangue'

   
 
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