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Autore: Emily Kingston    12/11/2012    18 recensioni
Mi chiamo Percy Jackson e sono un mezzosangue.
(...)
La sera del mio compleanno io e Annabeth ci siamo baciati, finalmente, e alla fine dell’estate sono tornato a New York da mia madre e Paul. E tutti vissero felici e contenti, insomma.
Invece no.
Credevo che le mie avventure da semidio fossero finite – o che comunque, mi stessero concedendo una pausa – e pensavo di essere solo un adolescente di Manhattan, figlio di un dio, con una ragazza semidivina, dislessico, con una sindrome di iperattività e disturbo dell’attenzione. Ma ho dimenticato di mettere in conto che sono un mago nell’attirare la sfortuna.

-
Sono passati alcuni mesi dalla sconfitta di Crono e, proprio quando tutti al campo pensavano di poter avere un po' di tregua, Grover si troverà in difficoltà ed un nuovo nemico inizierà a tramare nell'ombra, deciso a distruggere il Campo Mezzosangue. Tra imprese, nuove profezie, bizzarre divinità e strani sogni, riusciranno i nostri eroi a vincere la battaglia?
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Grover Underwood, Percy Jackson, Quasi tutti, Rachel Elizabeth Dare
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Bene, iniziamo dai saluti lacrimosi. Sì, saranno dei saluti lacrimosi perché io sono sentimentale. 
Allora, volevo ringraziare tutti quelli che hanno seguito questa storia dall'inizio alla fine, quelli che l'hanno seguita solo a metà e quelli che ancora devono leggerla. Grazie mille. 
Ringrazio tutti coloro che hanno recensito in queste settimane, apprezzando il mio lavoro, incoraggiandomi e correggendomi quando necessario. 
Ringrazio tutti quelli che hanno messo la storia tra seguiti/preferiti, mi metterei qui a citarvi tutti, ma non voglio annoiare nessuno. Voi sapete chi siete e sapete che queste poche righe sono per voi. 
Sul serio, il vostro supporto è stato fondamentale per questa storia, perché mi ha permesso di migliorarmi e di spremermi le meningi alla ricerca delle idee migliori, per soddisfarvi e non deludervi. Mi avete permesso di mettermi alla prova e non c'è 'grazie' che possa bastare per farvi sapere quanto io l'abbia apprezzato. 
Spero solo che questo ultimo capitolo non vi deluda, perché mi ci è voluto tanto per farlo venire fuori, ma ne sono abbastanza soddisfatta, nonostante tutto. 
Niente, tutto qui. Non sono stata poi tanto lacrimosa, dopotutto. 
Le strofe che troverete all'inizio e alla fine del capitolo sono tratte dalla canzone Hello degli Evanescence. 
Buona lettura a tutti e grazie mille, 
Emily. 

PS. Qualsiasi riferimento a Harry Potter e il Calice di Fuoco (il film) è puramente intenzionale. 



 








#14. Il sacrificio di un amico

 

Suddenly I know I’m not sleeping
Hello, I’m still here
All that’s left of yesterday

 
Sentii un clangore metallico accompagnato da un grido di battaglia.
L’Inferno era così rumoroso anche la prima volta che ci ero stato? Boh, magari qualche anima stava cercando di scappare e le Furie si erano infuriate – per l’appunto.
Aprii gli occhi,ma quel che vedi non erano né le teste di Cerbero né l’entrata degli Inferi. Vidi la terra scura della foresta e due cumuli di polvere dorata vicino ai miei piedi: gli zombie.
Udii di nuovo il rumore del metallo che cozzava e, finalmente, mi decisi ad alzare gli occhi. Quel che vidi mi mozzò il fiato in gola.
Nico Di Angelo stava combattendo contro Minosse. Nico Di Angelo stava combattendo contro Minosse con una forza che non gli avevo mai visto sfoggiare. Menava colpi e fendenti a più non posso, guardando l’ex fantasma con una smorfia di rabbia pura, una rabbia che di solito non dovrebbe vedersi sul volto di un essere umano.
“Sembra che anche tu non abbia tenuto fede alla nostra promessa, semidio,” disse Minosse, guardandomi.
“I-io…” l’arrivo di Nico mi aveva talmente scioccato che non avevo idea di cosa dire.
“Lui non c’entra,” intervenne Nico, cercando di nuovo di colpire Minosse. “È una cosa tra me e te, Minosse. Doveva esserlo fin dall’inizio.”
Il re sogghignò, ferendo la spalla di Nico con la lama della propria spada. Non era una ferita profonda, ma Nico strizzò gli occhi dal dolore.
Non ero mai stato ferito da una lama fatta di metallo dello Stige, ma quel fiume infernale aveva il potere di fare un sacco di cose, perciò non mi stupii nel constatare che anche il metallo che proveniva dal suo letto avesse qualche proprietà fuori dal comune.
“Mi hai preso in giro!” Disse Nico, tentando un affondo. “Mi hai usato!” Continuò, colpendolo di nuovo. Ad ogni colpo di Nico, ne seguiva uno di Minosse. “Hai usato mia sorella!” Questa volta gridò, tentando di affondare la lama nell’addome di Minosse, senza risultato. In compenso il re gli provocò un profondo taglio sull’altro braccio, facendolo urlare di dolore.
Nico indietreggiò, premendosi la ferita con la mano.
“Sei sempre stato molto ingenuo, fratellino,” lo canzonò Minosse.
A quel punto Nico dovette vederci rosso, perché avanzò verso l’altro figlio di Ade a passo di carica, ignorando il dolore che le ferite dovevano procurargli. Puntò la spada verso il collo del nemico e lo raggiunse con un urlo bellicoso.
“IO NON SONO TUO FRATELLO!”
La lama della spada di Minosse bloccò il colpo di Nico, ma gli occhi del re furono illuminati da un lampo di paura. Eccolo, il suo Tallone d’Achille.
Avrei voluto tirare fuori Vortice dalla tasca dei jeans e aiutare Nico, ma mi sentivo stranamente affaticato e stanco. Avevo le membra pesanti e gli occhi mi si chiudevano dalla stanchezza. Il semplice tocco della spada di Minosse doveva aver ferito la mia parte mortale molto più di quanto immaginassi.
Nico, intanto, aveva messo qualche metro di distanza tra lui e il nemico, ma anche lui doveva aver capito che Minosse aveva scelto di radunare la sua mortalità  sul collo.
“Non puoi battermi, nessuno di voi può battermi!” Esclamò il re, puntando la spada davanti a sé.
Osservai Nico e Minosse guardarsi con aria di sfida, entrambi pronti a colpire l’altro con la propria spada fatta di metallo dello Stige.
E una battaglia tra due fratelli si consumerà.
Tirai fuori Vortice dai jeans e tentai di alzarmi in piedi, ma ricaddi inevitabilmente a terra.
Minosse e Nico ripresero a combattere, attaccando e difendendo a ritmi sempre più incalzanti. Nico ormai perdeva sangue da più di una ferita e sembrava sul punto di crollare.
“L’anima di tua sorella Bianca non era degna di essere riportata alla vita,” disse Minosse, guardando Nico con aria soddisfatta. “Sta meglio dove si trova, nell’Elisio, insieme a voialtri eroi. Lo stesso posto dove finirai anche tu tra meno di un attimo.”
Nico urlò e si gettò su Minosse. Era un trucco, la spada del re era puntata verso il ragazzino, pronta a trapassarlo da parte a parte non appena fosse arrivato abbastanza vicino.
“Nico, no!” Urlai, ma Nico non mi sentì. Non volle sentirmi.
La spada di Minosse gli si conficcò nella pancia, facendolo rantolare.
“Saluta papà da parte mia,” sussurrò Minosse con un sorriso.
Non riuscivo a vedere bene il viso di Nico dalla mia posizione, ma mi sembrò che stesse sorridendo anche lui.
“Oh, non ce ne sarà bisogno,” nel tempo di un battito di ciglia, con le ultime forze che gli erano rimaste, Nico sollevò la sua spada e la conficcò nella pelle del collo di Minosse, facendolo urlare.
Il re lasciò la presa sull’elsa della spada e cadde a terra, le mani premute sulla ferita infertagli dal fratello. Il modo in cui il suo corpo si contraeva a causa del dolore mi ricordò la morte di Luke e il cuore mi si strinse in una morsa.
Per un attimo chiusi le palpebre, poi vidi il corpo di Minosse smettere di muoversi e un attimo dopo la testa gli ricadde all’indietro e le pupille rimasero immobili a fissare un cielo che non potevano più vedere.
Un gemito e il rumore di una spada che cadeva a terra mi fecero ricordare che Nico era ferito.
Spostai lo sguardo su di lui e vidi che si era tolto la lama dal ventre. Raccogliendo le poche forze che avevo mi alzai e lo raggiunsi, afferrandolo prima che cadesse a terra.
M’inginocchiai e gli feci appoggiare il capo sulle mie gambe, cercando di bloccare il flusso di sangue che usciva dalla ferita con la mia felpa.
“A-allora?” Balbettò, le labbra più pallide del solito. “C-come sono andato?”
Premetti leggermente la felpa sul suo ventre e Nico gemette, strizzando le palpebre con fatica. Sentivo la sua pelle diventare sempre più fredda e vedevo i suoi occhi farsi più opachi, lontani, come se lui non fosse più del tutto lì.
“Dove hai imparato a combattere così?” Gli chiesi, sistemandolo meglio sulle mie gambe.
Nico abbozzò un sorriso.
“S-si imparano ta-tante cose negli Inferi,” mi rispose con fatica.
Rimanemmo in silenzio per un po’e io pensai di lanciare un grido per attirare l’attenzione degli altri e farci soccorrere, ma quando aprii bocca Nico scosse il capo.
“No-non c’è più…tempo,” tossì ed una goccia di sangue gli sporcò le labbra.
“C’è sempre tempo,” risposi, deciso. “Tu non morirai, Nico. Non stanotte.”
Il figlio di Ade mi sorrise, non l’avevo mai visto sorridere per due volte di seguito da quando era morta sua sorella – cioè, praticamente da quando lo conoscevo.
“Va-va bene così,” disse, chiudendo le palpebre.
Io gli afferrai il viso, scuotendolo.
“No, non chiudere gli occhi!” Lo incitai, stringendogli le guance. “Aprili!”
Lui obbedì, ma il suo sguardo non era rivolto a me, bensì a una figura che stava avanzando verso di noi dal folto della foresta.
Era il fantasma di una ragazza. Non era molto più grande di Nico, aveva i capelli che le ricadevano sulle spalle e sorrideva. Lì per lì non la riconobbi, forse perché era evanescente e né i suoi capelli né i suoi occhi avevano più colore, ma Nico capì subito di chi si trattava.
“Bi-Bianca,” rantolò, dando un altro colpo di tosse.
La ragazza annuì, raggiungendoci. Si inginocchiò accanto a Nico e gli accarezzò il volto con una delle sue mani trasparenti.
“Mi dispiace,” sussurrai, guardando il fantasma di Bianca.
Lei alzò lo sguardo su di me e mi sorrise.
“Non devi,” rispose. “Mio fratello ha fatto quello che doveva fare, le cose dovevano finire così.”
Nico la guardò con gli occhi accesi di felicità.
“Sei un eroe, fratellino,” gli disse Bianca, prendendogli il volto tra le mani. Gli lasciò un leggero bacio sulla fronte e poi si alzò in piedi, protendendo una mano verso di lui.
“Posso venire con te?” Domandò il ragazzino. Aveva gli occhi pieni di lacrime e la voce incrinata, un po’ per le ferite un po’ per l’emozione.
Bianca lo guardò con dolcezza, nonostante fosse difficile da dire anche i suoi occhi sembravano essere umidi di lacrime.
“Sì,” rispose. “Adesso sì.”
Un attimo dopo Nico Di Angelo chiuse gli occhi per l’ultima volta. Sentivo il suo corpo senza vita pesarmi sulle gambe, mentre il suo fantasma e quello della sorella si avviavano verso il folto della foresta, mano nella mano.
Io sospirai, ricacciando indietro le lacrime.
Nico Di Angelo era stato un ragazzino davvero difficile in vita e in più di un’occasione mi aveva mandato fuori dai gangheri, ma era stato mio amico.
Mi alzai con fatica e presi il corpo di Nico tra le braccia.
Camminare verso il campo fu più difficile di quanto lo fosse stato camminare verso la foresta. Quando tra i tronchi degli ultimi alberi scorsi i miei amici, presi un respiro profondo.
Appena mi videro, iniziarono ad esultare e vidi gli occhi di Annabeth riempirsi di lacrime, ma la loro gioia durò troppo poco.
Chirone si avvicinò a me al trotto, lo sguardo turbato posato sul corpo che tenevo tra le braccia.
“Dobbiamo fargli una cerimonia,” dissi e Chirone annuì.
Alcuni ragazzi di Apollo arrivarono con una barella e portarono il corpo di Nico in infermeria, gli altri rimasero a guardarmi attoniti.
Annabeth fu la prima ad avvicinarsi a me e a stringermi in un abbraccio. Mi sussurrò qualcosa all’orecchio, ma non capii per via dei singhiozzi che le uscivano dalle labbra.
Dopo di lei, tutti gli altri si riunirono attorno a me e ci stringemmo forte l’un l’altro, chi versando qualche lacrima, chi semplicemente stando in silenzio.
Nella mente avevo ancora stampata a fuoco l’immagine di Nico e Bianca che si allontanavano nell’oscurità.
“Grazie, Percy,” mi aveva detto Nico prima di sparire.
E non l’avrei mai dimenticato. Per tutta la vita.
 

All’improvviso mi rendo conto che non sto dormendo
Ciao, sono sempre qui
Tutto quel che è rimasto di ieri

 

- Epilogo

 
Un drappo funebre nero con un teschio bianco al centro bruciava tra le fiamme, levando un’alta scia di fumo grigio.
Chrione si schiarì la voce, spostando lo sguardo dal falò alla folla riunita nel padiglione.
Avrei voluto che la cerimonia in onore di Nico si svolgesse subito dopo la fine della battaglia, ma eravamo tutti troppo stanchi e provati per sostenere altre emozioni. Ma Chirone aveva promesso che l’indomani mattina, subito dopo la colazione, un drappo funebre sarebbe stato bruciato in onore del sacrificio di Nico Di Angelo.
Ed eccoci lì, tutti riuniti attorno ad un falò, a guardare le fiamme come potessero in qualche modo sostituire l’amico che ci aveva lasciati.
La maggior parte dei ragazzi che erano lì non conoscevano Nico di persona, alcuni neanche sapevano chi fosse, ma Annabeth mi stringeva forte la mano e io guardavo il drappo come se fosse Nico stesso a stare bruciando.
“Qualcuno vuole dire qualche parola?” Domandò il centauro, scandagliando la folla con lo sguardo.
Feci scivolare lentamente la mano via da quella di Annabeth e mi avvicinai a Chirone, lo sguardo puntato verso i miei piedi.
Sentii gli sguardi di tutti addosso, ma li ignorai.
Chirone si fece da parte e io mi posizionai di fronte a tutti. Alzai lo sguardo dopo parecchi minuti di silenzio, ma non lo puntai su nessuno in particolare, lo facevo vagare da un volto all’altro, come se non m’importasse che mi ascoltassero davvero.
“Molti di voi non conoscono la storia di Nico,” iniziai. “Anzi, molti di voi non sanno neanche chi sia e non vi biasimo per questo. Nico è rimasto al Campo Mezzosangue per poco tempo prima di fuggire. Alcuni di voi l’avranno incontrato durante la battaglia di Manhattan, ad agosto, e a quei pochi che davvero lo conoscevano e gli volevano bene chiedo di guardare quel fuoco e pensare a lui per un minuto.”
Ci fu un momento di silenzio, in cui molte facce – sicuramente più di quante mi fossi immaginato – si girarono verso le fiamme.
“È stato probabilmente uno dei ragazzini più coraggiosi che abbia mai conosciuto e sono felice che adesso sia di nuovo con sua sorella. Credo che finalmente abbia trovato la felicità che gli mancava.”
Ed era vero, ci credevo veramente. Da quando Bianca era morta Nico aveva fatto di tutto per entrare in contatto con lei, aveva perfino cercato di riportarla in vita! La morte della sorella l’aveva segnato nel profondo e il pensiero di riunirsi a lei lo seguiva come un’ombra, tormentandolo. Adesso quell’ombra era finalmente andata via, il suo tormento finito. Nico era felice, ne ero sicuro.
Mi allontanai e Chirone riprese a parlare.
Il drappo ormai era bruciato e il centauro abbandonò l’aria solenne per comunicarci l’ordine del giorno. Prima che finisse di parlare, però, io lasciai il padiglione e mi avviai verso la spiaggia.
Per un momento pensai anche di tornare alla tomba di Luke per parlare di nuovo con lui, ma poi scacciai quel pensiero e tirai dritto.
La spiaggia di Long Island era sempre la stessa, solo che quel giorno il vento tirava un po’ più forte, mandandomi i capelli da tutte le parti.
Mi misi a sedere sulla sabbia e puntai lo sguardo verso l’orizzonte.
Dopo qualche minuto avvertii una presenza al mio fianco e alzai lo sguardo. Annabeth mi guardava con un sorriso, tenendosi i capelli con le mani affinché il vento non glieli mandasse sul volto.
“Come stai?”
Alzai le spalle e Annabeth si mise a sedere accanto a me. Mi prese per mano e poi appoggiò la testa sulla mia spalla, sospirando.
“È venuta Bianca a prenderlo, sai?” Le dissi, riportando lo sguardo sull’oceano. “Credo che adesso sia davvero felice.”
Annabeth annuì, stringendo leggermente la presa sulla mia mano.
Rimanemmo in silenzio per un po’e fu solo in quel momento, con la testa di Annabeth sulla mia spalla e le onde del mare che quasi mi bagnavano i piedi, che mi resi conto di essere vivo. Ero vivo e avevo un futuro, e delle cose da sistemare.
Abbassai lo sguardo sulla mia ragazza, ricordandomi ciò che le avevo detto prima di entrare nella foresta.
“Ehm,” mi schiarii la voce, attirando la sua attenzione. Annabeth alzò il volto verso di me. “Riguardo quel che ho detto ieri sera-”
Ma non mi lasciò finire. Mi baciò prima che potessi dire qualunque cosa e io la baciai di rimando, passandole le dita tra i capelli e ringraziando gli dei per essere ancora vivo e poterla baciare così.
“Volevi rimangiarti qualcosa, Testa d’Alghe?” Mi disse, guardandomi con aria di sfida.
Oh no, non mi sarei rimangiato proprio un bel niente.
Scossi il capo con un sorriso. E anche Annabeth sorrise, appoggiando la fronte contro la mia.
“Bene, perché anche io ti amo.”
Avete presente le farfalle nello stomaco? Be’, dimenticatele, io non sapevo più neanche dove fosse il mio stomaco. Sapevo solo che anche Annabeth mi amava e per la prima volta non avevo paura che non fosse vero, o che fosse vero solo a metà.
Amava me, aveva scelto me.
“Pensi che avremo mai un po’ di tranquillità?” Mi chiese. Lei per prima sapeva che non sarebbe stato così. E anche io lo sapevo, ma le sorrisi comunque.
“Che cos’è la vita senza un po’ di mostri?”
Annabeth rise e io feci lo stesso. Eravamo lì, io e lei; eravamo sopravvissuti anche a quella guerra e non importava se ci sarebbero state altre battaglie, in futuro, né se avremmo rischiato la nostra vita almeno un altro centinaio di volte. Eravamo lì ed eravamo vivi, e rimane sempre una vita per chi resta. 
   
 
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