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Autore: LawrenceTwosomeTime    13/11/2012    2 recensioni
La storia di un uomo che si trova di fronte alla più grossa sorpresa della sua vita. Il titolo viene da una composizione di Yoko Shimomura, e la Notte va intesa come un'allegoria, non una notte canonica. In sostanza, si tratta del mio personale punto di vista a proposito di un certo evento... e su quello che segue.
Genere: Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Giovanni cammina nell’alba sorgiva.

Un’altra nottata è trascorsa, lentissima e uguale a sé stessa. Una nottata passata a rompersi la schiena, o – come dicono i francesi – a rompersi il culo.
A volte pensa che se non avesse una famiglia da mantenere, se ne fregherebbe, del lavoro. Vivrebbe alla giornata, così, senza scadenze e stupidi orari. A volte pensa che a chiedere la carità a un angolo di strada, guadagnerebbe di più che con quel lavoro di merda.
Ma poi ci ripensa e si dice che è uno stupido. Che la famiglia gli impedisce di andare alla deriva.
Senza di loro sarebbe morto.

Oppure è morto proprio grazie a loro. Il suo cervello di metalmeccanico non si spinge oltre questa metafilosofia. È stanco e ha bevuto in un orario improprio. Gli viene da vomitare, ma non vuole perché ha paura di dire addio alla sbornia faticosamente conquistata.

Un vecchietto gli si fa incontro.
“Buongiorno”
Lo conosce? No.
“Buongiorno a lei”
“Sono uno scrittore friulano…”
Oh, cazzo, no. Non di mattina presto.
“Davvero? E cosa scrive?”
“Racconti di guerra”
“Che bello”
“Se volesse dar loro uno sguardo, ho qui una copia del mio ultimo libro…”
“E lo promuove alle cinque e mezzo del mattino, da solo?”
“Io…”
“Quanti anni ha quell’edizione? Scommetto che risale a prima del settantacinque”
“Ma veramente…”
“Senta un po’ cosa le dico. Mio figlio ha diciassette anni e scrive molto. È bravo, almeno secondo la sua insegnante. Vorrebbe fare lo scrittore. Ma per fare lo scrittore, occorre che le sue opere vengano riconosciute”
“Se potesse…”
“Lei che ci sta a fare qui? Che cosa vuole costruire, ancora? È vecchio, sta per morire, e ciononostante si permette di fare concorrenza a mio figlio? Faccia un piacere al mondo e vada a vivere i suoi ultimi giorni in una casa di riposo!”

Giovanni si allontana senza rimorso. Il vecchio è ammutolito, potrebbe essere stato ingoiato dalla terra.
Forse Giovanni se ne pentirà più avanti, se avrà il tempo di ritornare con la mente all’episodio.

Adesso fiancheggia il canale lambito dalle prime luci, il canale così placido e sonnacchioso. Lo costeggia nell’eventualità di vomitare, si, perché è una specie di rito. Vomitare in acqua. Come quando è a casa e vomita nel cesso. Vomitare nell’acqua lo rasserena.
Vomitare sulla nuda terra, o sull’erba o sull’asfalto gli comunica una sensazione d’incompiutezza, quasi che la merda stesse vomitando lui e non il contrario. Si sente molto legato al principio d’inversione. Lui lo descrive sputando per terra e tirando un rutto ultrasonico.

Più avanza e più ha sonno, e dire che non sta guidando, no, è smontato dal treno e cammina verso casa.
Le luci diventano acqua e l’acqua diventa luce. Tutto si inverte, perché ciò che è in alto è come ciò che è in basso. È una legge fondamentale dell’alchimia, Fabrizio deve avergliene parlato.
Chiude gli occhi.

E quando li riapre, è a casa sua.

L’ingresso e buio e silenzioso, come sempre. I suoi cari dormono.
È brutto fare ritorno a casa e non trovare nessuno ad accoglierti. Ma in un certo senso è anche rassicurante: per un singolo, impercettibile momento, non sei quel che sei agli occhi del mondo, e non devi interpretare un ruolo per vivere nel tuo microcosmo. Sei solo un uomo che si toglie le scarpe.

Volta l’angolo e le luci si accendono. Sobbalza.

“Sorpresa!”

Wanda, Fabrizio e la piccola Annina. Sono tutti lì.
La tavola è imbandita e stelle filanti sono disseminate un po’ dappertutto.

Sua moglie corre da lui e gli stampa un bacio sulle labbra.

“Sono così contenta di vederti, caro!”
“A-anch’io”

Non sa cosa dire. È esterrefatto. Entusiasta, perfino. Esterrefatto dal suo stesso entusiasmo.

“Papà, che bello averti qui!”
“Anna, amore, anch’io sono felice di esserci”
“Bentornato, papà”
“Fabrizio, che bel regalo, io… non so davvero cosa dire”
“Tu non devi preoccuparti di niente, amore. Adesso siediti qui e prendi un sorso di vino, mentre io vado a vedere a che punto è la minestra”

Sta per dire che non ha voglia di mangiare niente, che la nausea… La nausea. Sparita.

Non riesce a rallegrarsene perché la cosa suona quantomeno sospetta. Sospetta in modo sottile, ma bizzarro.

Quando Wanda fa ritorno, nota una luce, nei suoi occhi. Una luce familiare, che però ha qualcosa di più, e forse anche qualcosa di meno. Fabrizio e Anna gli danno la stessa impressione.
Prende il cucchiaio con circospezione, rispondendo a monosillabi alle domande della sua famiglia, e poi soffia sulla minestra e la sorbe cercando di assumere un’espressione soddisfatta.
Gli trema la mano.

“C’è qualcosa che non va, papà?”
“Io… No”
Appoggia il tovagliolo sul tavolo.
“Si, insomma. Si. Tutto non va. Voi non andate. Chi siete, voi? Non siete la mia famiglia”

Wanda sorride.
“Certo che si. Ma in effetti, no. Che cosa importa? Che importanza hanno i punti di vista, quando siamo tutti insieme seduti a tavola, e stiamo condividendo una bella parentesi di intimità?”

Giovanni si alza e indietreggia. Inciampa nella sedia.

“Ditemi chi siete! Questa non è casa mia! Dove diavolo sono finito?!”

“La prego, si calmi”

Un vecchietto dall’aria distinta entra dalla porta del soggiorno. È lo stesso vecchio che aveva incontrato sulla strada di casa.

“Perché lei è qui? Chi l’ha fatta entrare?”, si infuria Giovanni.

“È sicuro di sapere con chi sta parlando?”

Giovanni lo sa, in fondo al suo cuore, ma ha troppa paura per ammetterlo. Non vuole ammetterlo. Fa troppo male.

“Dunque lei… non era solo uno scrittore fallito?”
Il vecchio fa una risatina.
“No, temo che lei non comprenda. Il signore che ha incontrato tornando a casa era solo una persona, proprio come lei. Il mio aspetto gli rassomiglia perché, in effetti, quel signore è stato l’ultimo essere umano che ha incontrato prima del trapasso”
La parola gli perfora lo stomaco come una lama.

“Trapasso?”
“Si. Lei si è addormentato camminando lungo il fiume, ci è caduto dentro e ha battuto la testa. Per questo, ora è qui”
Dov’è qui?”
“Non è un luogo. Più che altro, è uno stato

Giovanni si volta e vede che la famiglia lo guarda, in attesa, le mani giunte. Sorridono come una partita di manichini.

“Lei ha costruito questo?”
“Io le ho solo fornito i mattoni. Lei ha costruito questo. Il nostro dominio è come una sandbox, ha presente?”
“Io… non conosco questi termini moderni”
“Beh, è come in quel film uscito nell’anno 2010. Un individuo mette a disposizione un terreno neutro; e un altro individuo lo popola con quel che gli pare e piace”
Loro sono finti?”
“Loro esistono da prima di lei. Sono i miei messaggeri. Il mio tramite. E sono a sua completa disposizione, vivono affinché lei li plasmi”

Giovanni si sente strano. La cosa che lo turba è che non gli sembra affatto di essere morto. È tutto così normale.

“Devo ammettere però che nonostante millenni di tentativi, non sono ancora riuscito a renderla un’esperienza soddisfacente. Le anime si accorgono subito del cambiamento”
Il vecchio ha l’aria mortificata.
“E questo rende la prosecuzione del loro passaggio un’esperienza molto… degradante

Giovanni sente il cuore che accelera.

“Che vuol dire? Cosa c’è dopo questo?”

L’interlocutore ammicca.
“Non c’è niente. Un bel niente. La situazione che lei ha creato si ripete, e poi si ripete, ancora e ancora, nello stesso salotto per tutta l’eternità. Se lei avesse accettato la cosa senza fare storie, non ne avrebbe portato il peso”
“Il peso? Vuole dirmi che non posso uscire da qui?”
“No, mi dispiace. Si è intrappolato da solo, e comunque… anche il dopo vita ha i suoi limiti. Di solito la gente impazzisce dopo i primi sei mesi, ma guardi il lato bello. Almeno è a casa sua”

Giovanni si mette a sedere. Troverà il modo di uscire. Deve trovarlo. Ha tutta l’eternità per provare. Non ha certo intenzione di arrendersi.

“Non le credo. Questo è l’Inferno. Non può essere il Paradiso”
“Inferno, Paradiso. Sono semplici parole. Alla fine è la stessa cosa.
“Lo sa, il signor Lynch è arrivato molto vicino alla definizione di questo posto. Se ne ha l’occasione, ascolti la sua composizione dal titolo In Heaven. Oh, mi scusi. Dimenticavo che in questo salotto non ci sono computer, o lettori CD. Pazienza”
L’anziano gli fa un cenno.

“Ora devo lasciarla”

E se ne va. Così.

Il volto di Giovanni è congelato.

“Tutto bene, papà?”
“Papi, rispondimi!”
“Vuoi che ti porti un po’ di minestra, caro?”
  
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