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Autore: Pqzqzy    22/11/2012    5 recensioni
Questa storia parla di come ho sempre immaginato la fine di Capitan Uncino, un personaggio che ho da sempre ammirato e stimato. Come scritto nel titolo racconta la morte di uno di quelli che a mio parere è tra i migliori cattivi della filmografia disney.
Genere: Fantasy, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Campanellino, Capitan Uncino, Peter Pan, Rufio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Mi svegliai di soprassalto. Guardai l'orologio solo per scoprire che la mezzanotte era passata da un pezzo. "Oggi è il giorno del mio compleanno." Pensai. "O almeno quello che c'è scritto sui documenti dell'adozione". Odiavo il mio compleanno, odiavo crescere. Ma la cosa che odiavo di più era non riuscire mai ad arrivare all'alba di quel giorno dormendo tutta la notte. Ogni volta era la stessa storia, sempre lo stesso sogno. Mi trovavo su una nave mercantile e assistevo all'assalto da parte di una feroce banda di pirati. Un uomo mi nascondeva con un altro bambino mentre lui e una donna correvano fuori nella mischia a combattere. Il moccioso di fianco a me avrà avuto forse tre anni e non faceva altro che piangere. Io lo guardavo senza provare a consolarlo. Nel sogno ero forse uno o due anni più grande di lui. Poi, prima che riuscissi ad impedirlo, sgattaiolò fuori, in mezzo agli spari e alle urla. La donna si lanciò in una corsa sfrenata per raggiungerlo prima che lo facesse chiunque altro ma era troppo lontana e troppo distratta per prestar attenzione al combattimento. Fu così che una spada le trafisse il petto. Era quello il punto in cui mi svegliavo. Ogni notte, all'anniversario della mia adozione sognavo queste scene raccapriccianti. Provai a farmi vedere da qualche dottore, il mio padre adottivo ci teneva a queste cose. Dovevo sembrare un bambino per bene agli occhi dei vicini. Quando ero arrivato ero poco più di un selvaggio, non obbedivo mai, urlavo sempre, mi cacciavo in continue risse e litigavo sempre con i miei compagni.

Le cose con il tempo cambiarono, mi abituai a quella vita. L'unica della quale avessi memoria. Non ricordavo nulla degli anni che precedettero l'adozione, ma molti dottori dicevano che questo era completamente normale. Non ricordavo nemmeno di essere mai stato in orfanotrofio, eppure era lì che i miei genitori mi avevano scelto come loro figlio. Quella notte però, la notte del mio ventesimo compleanno, non riuscii a riprendere sonno come facevo tutti gli anni.

Scesi dal letto e mi diressi verso la finestra e d'istinto la spalancai. Mi affaccia a guardare il cielo stellato. Non molti potevano vedere le stelle dai loro appartamenti in città e di solito non ci riuscivo nemmeno io, ma in alcune sere particolari nel nero della notte si intravedevano uno o due puntini luminosi che forse potevano anche ricordare degli astri celesti. Quella sera era particolarmente limpida. Non dovevo essermi svegliato del tutto perchè avevo l'impressione che una di quelle luci si stesse muovendo. Mi strofinai gli occhi e guardai di nuovo in alto ma non vidi nulla. Richiusi la finestra e mi voltai. Quasi svenni quando mi resi conto che una minuscola creaturina luminosa svolazzava per la mia stanza, irradiandola di una luce innaturale. Sbattendo le minuscole ali produceva un suono molto simile a quello dei campanelli che si mettono sui cavalli che trainano le carrozze dei turisti. Attraverso la luce si poteva distinguere la figura di una bambina vestita di petali di fiori. Vedevo la sua bocca che si muoveva in maniera frenetica ma non ne usciva nessun suono che riuscissi a comprendere. Ero troppo sbalordito per riuscire a parlare. Sembrava seccata dal mio comportamento. Ad un certo punto prese velocità e calò in picchiata su di me, virando a pochi centimetri dalla mia faccia. Una nuvola di una strana polverina luccicante mi investì in pieno e caddi a terra. Allora ricordai. Ottenni finalmente le risposte a tutte le domande che la mia mente aveva voluto tenermi celate per così tanto tempo. Il mio vero nome era Rufio, figlio di Kilian Jones, anche conosciuto con il nome di Uncino. Ora potevo ricordarmi di Trilli, di aver fatto parte dei Bimbi Sperduti, che essi in principio erano stati diffidenti per via delle mie origini, ma poi mi avevano accolto come uno della famiglia. Così mi ricordai anche di aver deciso di lasciare l'Isola che Non C'è per poter far parte di un mondo di cui avevo solo sentito raccontare nelle favole. Certo, ciò che trovai non era quanto mi ero immaginato, ma non potevo più tornare indietro perchè questa è la magia dell'Isola: una volta che la si lascia si perdono i ricordi che si possedevano di essa e viceversa. Ma poichè Trilli era lì potevo ricordare. Questo significava solo una cosa: era giunto il momento per me di onorare la promessa fatta a mio padre quasi quattrocento anni prima. Ma se ero stato chiamato a compiere il mio dovere non poteva voler dire altro che la morte di Uncino. Trilli mi spiegò rapidamente l'accaduto, con la classica fretta che contraddistingue tutte le fate: durante un combattimento contro Peter Pan il fiero Kilian Jones, disarmato dal suo avversario, era stato attaccato dal coccodrillo che tanto bramava divorarlo. Ogni tentativo della sua ciurma di salvarlo fu vano e Capitan Uncino morì dissanguato sugli scogli, poichè il coccodrillo non era riuscito ad afferrarlo e trascinarlo con sè, ma era riuscito comunque a ferirlo mortalmente. La fata era venuta ad avvisarmi che il funerale si sarebbe tenuto non appena fossi ritornato sull'Isola. Sapeva esattaemente cosa dovevo fare e aspettava questo momento da ormai quattrocento anni.

Mi guardai allo specchio. Se mi fossi presentato al suo funerale in pigiama mio padre sarebbe tornato dal mondo dei morti solo per appedermi all'albero maestro con il suo uncino piantato nelle carni. Così indossai il miglior completo che possedevo e che tenevo per le occasioni speciali e mi precipitai dietro la fata che si stava spazientendo.

Volammo nel celo nero della notte fino a superare lo strato di nubi che impedivano di vedere le stelle e ci dirigemmo verso la seconda a destra, come avevamo fatto insieme centinaia di volte io e lei durante i nostri numerosi viaggi quando ancora facevo parte dei Bimbi Sperduti. Solo che questa volta non erano i pensieri felici a tenermi in volo. Non sapevo esattamente cosa fosse a spingermi verso l'alto ma probabilmente si trattava di senso del dovere. Lo dovevo fare per mio padre ma soprattutto per Peter. Era giunto il momento.

Quando finalmente atterrammo sul ponte della nave mi ritrovai circondato da molte più persone di quante mi fossi aspettato. Tutti i membri della ciurma di mio padre erano presenti, a rendere onore al miglior capitano che li avesse mai comandati. Ovviamente c'era anche Peter, così legato al suo acerrimo nemico da stimarlo sia come rivale in vita, sia come guerriero in morte. Ciò che mi sorprese di più fu la presenza di tutti i Bimbi Sperduti e di un piccolo ma consistente manipolo di Pellerossa. Poco lontano dalla nave persino le sirene erano venute a concedere l'ultimo saluto ad un uomo che non era mai venuto meno alla parola data. A turno abbracciai ogni viso noto, ogni vecchio compagno d'armi e di avventura. Certo, ora ero cresciuto e molto più alto rispetto a molti di loro, ma i sentimenti che ci legavano non erano cambiati, come se ci fossimo salutati appena il giorno precedente. In quei gesti d'affetto sentivo che nessuno di loro provava gioia per la morte di un nemico, ma tutti erano dispiaciuti per la perdita di un eccellente rivale. Persino Peter era stranamente taciturno. Leggevo il dispiacere e il rimorso nei suoi occhi. Migliaia di volte lui e Uncino si erano affrontati ma mai erano giunti a tanto. Nessuno dei due aveva mai voluto la fine di ciò che dava ad entrambi una ragione di vivere e di combattere. Non so dove trovai le forze di dire ciò che dovevo dire, ma l'avevo promesso a mio padre e un pirata non può venir meno alla parola data al proprio capitano. Così mi misi in piedi su una cassa e mentre la scialuppa con su i resti di Uncino ancora si allontava in fiamme dalla nave, inziai a parlare ai presenti:

"Oggi siamo qui riuniti per celebrare la morte di un grande uomo, un uomo d'onore, un buon padre e un eccellente capitano. So che molti di voi faticheranno a credere alle mie parole, dato che sono certo che ognuno di voi è stato minacciato di morte almeno un milione di volte dall'uomo che noi tutti chiamiamo Capitan Uncino. Ma concedetemi di onorare una promessa che gli feci molto tempo fa e di raccontarvi la storia di un uomo che ha reso possibile a tutti noi l'essere qui oggi, dopo così tanti secoli. Ebbene correva l'anno 1684 e su una nave mercantile erano stipate diverse merci dirette nel nuovo mondo. A bordo vi era anche un certo Kilian Jones, capitano della nave e onorevole mercante e uomo d'affari. Non una sola parola era mai stata proferita contro questo individuo e nessuno avrebbe potuto negare la sua rettitudine e le sue virtù. Ma un malaugurato giorno la sua nave venne attaccata da una banda di pirati e la sua adorata moglie venne uccisa mentre cercava coraggiosamente di proteggere suo figlio. Ciò che rimase di quella piccola famiglia fu devastato dal dolore e non passava giorno senza che quell'uomo venisse supplicato dal figlio di riportare indietro la sua adorata madre. Il bambino era troppo piccolo per capire, ma voleva smettere di soffrire. Voleva vendicarsi contro i pirati che avevano strappato alla sua famiglia quella donna innocente e che l'avevano privata della felicità. Così quell'uomo cercò in lungo e in largo un modo per concedere a suo figlio un po' di pace. Durante uno dei suoi viaggi finalmente incontrò la fata nata dal primo sorriso del suo bambino. Essa soffriva nel vedere colui che le aveva dato la vita in quello stato e decise di aiutare l'uomo nel suo compito. Fornì a Kilian Jones le conoscenze e abbastanza polvere di fata per lanciare un potente incantesimo sulla ciurma che aveva tolto la vita dell'unica donna che avesse mai amato e che gli consentì di piegarne per sempre la volontà. Essi lo seguirono sull'Isola Che Non C'è dove la magia di quelle terre fece loro dimenticare con il passare del tempo il motivo che li aveva condotti lì. Ma Uncino non dimenticò. E nemmeno io dimenticai perchè altrimenti sarei venuto meno alla promessa che avevo fatto a mio padre. Il giorno che lasciammo i mari gli promisi che avrei per sempre badato a mio fratello, il quale aveva dimenticato ciò che nostro padre aveva sacrificato per concedergli di far sparire il dolore. Così iniziai a radunare i Bimbi Sperduti, per rimpiazzare la famiglia che mio fratello aveva dimenticato e per fare in modo che essi combattessero al suo fianco in una battaglia che non sarebbero mai stati in grado di perdere poichè guidata contro un uomo che, segretamente, continuava a far sì che il suo figlio minore, Peter Pan, potesse sfogare la sua sete di vendetta contro gli uomini responsabili della morte di sua madre."

  
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