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Autore: _KHProminence_    24/11/2012    3 recensioni
Roxas era il suo angelo custode, ne era gelosissimo, ed era anche per questo che la presenza di quel futile e inutile peluche gli dava tanto fastidio.
Era proprio come quando gli heartless si mettevano tra lui e l’amore della sua famiglia…
Perciò decise che se ne sarebbe liberato.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Axel, Roxas
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
- Questa storia fa parte della serie 'Shocking Wor(l)ds'
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~There was a Town~

C’era una città. Una città come tante, con i suoi abitanti, le sue case, le sue strade.
C’era un parco. Un piccolo sputo di verde che spezzava la monotona tristezza del grigio dell’asfalto.
C’era una panchina. Una di quelle dove gli innamorati si fermano per scambiarsi baci, carezze, discussioni, un oggetto intriso di momenti di ogni tipo.
C’era un orsacchiotto. Un pupazzo custode dei sogni, dei desideri, delle paure di un bimbo, un unico compagno di giochi e solo amico fidato.

Roxas era un bambino di sei anni, curioso, perspicace e ingenuo come tutti i bambini della sua età.
Ogni pomeriggio era solito gironzolare nel parco della città da solo, con l’unica compagnia del suo orsacchiotto di peluche.
Amava quel pupazzo. Gli era stato regalato da sua madre per il suo terzo compleanno e da quel giorno non se ne separò mai più, ovunque andasse teneva sempre stretto tra le braccia il suo adorato Tom.
Roxas riteneva Tom il suo migliore amico, gli confidava ogni suo segreto e giocavano sempre insieme. Sapeva che qualunque cosa sarebbe successa, ovunque sarebbe andato, lui e il suo orsacchiotto sarebbero stati per sempre insieme.

Purtroppo non tutte le promesse si posso mantenere.

Il bambino aveva anche un altro amico, Axel.
Avevano molti anni di differenza, infatti Axel aveva quasi vent’anni e per lui il piccoletto era come il fratellino minore che aveva sempre desiderato e non aveva mai avuto.
Era un ragazzo con una visione scura del mondo. Riteneva che anche se Roxas era un bambino non doveva lasciarsi abbindolare dalle favole che gli raccontavano a scuola, doveva crescere e prima lo avrebbe fatto, meglio avrebbe potuto affrontare il mondo che lo circondava, una prigione di uomini che dietro ai loro sorrisi e alle parole cortesi nascondono odio, rancore, ipocrisia, egoismo e soprattutto insoddisfazione per una vita che li costringe ad essere ciò che non vogliono essere, ma ciò che la società li obbliga a diventare.
Lui sapeva bene fino a che punto poteva arrivare la crudeltà umana, aveva sperimentato sulla sua pelle cosa vuol dire la stupidità e la disperata concretezza del genere umano.

Aveva appena cinque anni quando lo aveva imparato.

Era questo il motivo per cui Axel odiava Tom, quell’inutile e futile oggetto allontanava il piccoletto da lui e da tutto il resto. Riceveva più affetto, più attenzioni, più apprensioni di qualunque altra cosa attorno a lui.
Quello stupido pupazzo teneva Roxas chiuso in un mondo che non esisteva; un mondo di pareti di cristallo che teneva fuori tutto e tutti; un mondo che lo rendeva felice sì, ma che era così effimero che era destinato a crollare e l’impatto con la crudele realtà quotidiana lo avrebbe distrutto.

 Anche Axel aveva un mondo tutto suo una volta.

Era un bimbo spensierato a cui piaceva giocare e guardare i cartoni in TV.
All’età di cinque anni però, aveva cominciato a diventare vittima di strani fenomeni.
Ogni tanto diceva di ricevere visite da parte di strani esserini chiamati heartless.
La madre riteneva che quelle strane visioni del figlio fossero delle piccole ricerche di attenzioni da parte di un bambino trascurato che voleva più giochi e più carezze dai genitori, oppure una conseguenza dovuta alle troppe ore trascorse a rimbecillirsi davanti a fate, cavalieri e altri strani personaggi dei suoi programmi preferiti .
Tutto andò avanti normalmente finché Axel non cominciò a parlare di strane conversazioni che teneva con questi esserini, che gli parlavano di oscurità, luce, cuori e roba simile.
Ripeteva sempre di essere costantemente seguito da queste creature. A scuola veniva sempre isolato dai compagni e spesso era vittima di derisioni perché era considerato da tutti un matto, uno squilibrato, un pazzo… ma nessuno sapeva che in realtà la sua non era pazzia ma un dono tramutato in punizione.
Questi heartless intaccavo l’equilibrio psicologico del bambino.
Infatti Axel non solo sembrava che parlasse da solo, ma in più aveva nei confronti degli estranei, soprattutto verso coloro che lo deridevano e lo umiliavano, particolari atteggiamenti aggressivi.
Quando aveva appena dieci anni, la madre e il padre non riuscivano più a sostenere gli strani discorsi e i comportamenti del figlio, perciò ricorsero ad una tragica soluzione.
Il 10 settembre nell’anno del suo decimo compleanno, Axel fu rinchiuso in un ospedale psichiatrico nel quale fu sottoposto ad una seria di elettroshock che miravano a ridurre le sue strane anomalie e i suoi comportamenti.
Ma in realtà, anche se le strane visite diminuirono fino a scomparire del tutto in età adulta, fu proprio ciò che doveva risolvere il problema a decretare la sua vera pazzia.

Il bimbo e il ragazzo si erano conosciuti al parco un freddo pomeriggio di ottobre.
Roxas stava come sempre raccogliendo foglie colorate e rincorrendo i gatti che si nascondevano nei cespugli. Axel invece era seduto su una panchina ad osservare il cielo.
Non c’era il sole quel giorno. Le nuvole grigie rendevano il cielo così pesante, così malinconico. Odiava quel colore, gli ricordava le pareti di quel posto  in cui i suoi genitori lo avevano rinchiuso per una colpa che non aveva. Gli rivennero in mente ricordi che aveva tentato di soffocare in ogni modo, ma che appena chiudeva gli occhi gli passavano davanti come un film dell’orrore che aveva come protagonista lui stesso. Ed era proprio guardando quel cielo che gli venivano in mente le sue urla strazianti di dolore dovute a quelle scosse che tormentavano e distruggevano il suo corpo. Non avrebbe mai ceduto. Anche se avesse dovuto continuare a soffrire per sempre non si sarebbe mai lasciato sopraffare. Tutto ciò che realmente voleva era che qualcuno gli si avvicinasse, lo abbracciasse e gli sussurrasse “io ti credo”; voleva che qualcuno capisse che il suo strano comportamento non era dovuto ad un qualche tipo di squilibrio mentale, lui non aveva bisogno di elettroshock o roba del genere, lui aveva bisogno di qualcuno che lo capisse e lo facesse uscire da quel suo sentirsi uno sbaglio, o meglio, un pazzo. Ed è proprio ciò che fece il piccolo Roxas quel giorno. Non riusciva a spiegarsi il perché, ma appena vide la figura di quel ragazzo con gli occhi persi nelle nuvole la cosa più spontanea che gli venne in mente di fare fu quella di avvicinarsi e vedere chi fosse quel buffo signore con i capelli strani, come aveva pensato lui.
Era un tipo bizzarro, con gli occhi fissi in alto, i pugni stretti, con gli occhi che stillavano lacrime amare e le sue labbra socchiuse in un sussurrò… “perché nessuno mi crede”.
Ciò che fece il bambino quel pomeriggio fu proprio realizzare il sogno di quel ragazzo. Si aggrappò ad una sua gamba, gliela strinse forte e gli disse “Io ti credo”. Da quel giorno si videro tutti i giorni, sempre alla loro panchina davanti la quale si erano conosciuti.
Grazie a quel bambino riuscì a capire che la vita non è grigia ma ha mille sfumature di infinti colori;
la vita è gioia, luce, la cosa più bella che uno possa ricevere, ed è la felicità ciò che può ricambiare equamente questo dono ricevuto. La tristezza prima o poi è destinata a finire, l’esistenza umana è fatta per essere colorata dall’esperienze che anche se non sono tutte positive rendono le persone ciò che realmente sono e possono diventare.

E lui ci credeva. O almeno ci provava.

Gli occhi di quel bambino, così pieni di tutto, un tutto che lui desiderava da tanto ma non era mai riuscito a concretizzare, un tutto che avrebbe potuto ottenere, lo aiutavano a crederci.
Roxas era il suo angelo custode, ne era gelosissimo, ed era anche per questo che la presenza di quel futile e inutile peluche gli dava tanto fastidio.

 Era proprio come quando gli heartless si mettevano tra lui e l’amore della sua famiglia…

Perciò decise che se ne sarebbe liberato.
Un giorno Axel portò il bambino a fare un giro in macchina in campagna, dato che Roxas adorava la natura, quale posto poteva essere più opportuno?
Il ragazzo guidava, con gli occhi puntati sull’asfalto, ma con i pensieri rivolti ad unica cosa.
Il bimbo era seduto sul seggiolino posteriore centrale. Aveva la cintura di sicurezza e come al solito stava coccolando il suo Tom.

Odiava così tanto quell’ inutile pupazzo...
E fu quello l’oggetto della sua pazzia.

Mentre guidava, Axel si girò verso Roxas e tentò in tutti i modi di strappargli via dalle mani Tom abbandonando il controllo dell’auto, perdendolo definitivamente.
Ed ora era lì, tra i riflessi abbaglianti di schegge di un vetro rotto, tra pezzi in fiamme di un auto distrutta, tra il sangue purpureo che macchiava la stoffa di un pupazzo.

La follia di un uomo aveva infranto una promessa che doveva durare per sempre.

Aveva perso tutto, questa volta per sempre e dell’unica cosa che lo faceva sentire vivo, era rimasta la parte che odiava di più.

C’era una città. Una città sporcata dalle urla disperate di chi aveva perso tutto.
C’era un parco. Uno di quelli in cui non si sa mai chi si può incontrare, uno di quelli che può cambiarti la vita.
C’era una panchina. Intrisa di momenti, belli brutti, di baci, carezze, litigi, parole perse e mai dette.
C’era un orsacchiotto. Un inutile peluche macchiato di sangue, macchiato di promesse non mantenute, di un cuore spezzato e unico testimone di segreti nefasti.


Durante il tentativo di strappare via l’orsetto  dalle mani di Roxas, Axel perse il controllo dell’auto che uscì dalla carreggiata ed andò a sbattere ad alta velocità contro un enorme quercia.

Il piccolo Roxas morì sul colpo, mentre Axel rimase gravemente ferito ma rimase miracolosamente in vita. Quando al ragazzo venne riferito che tutto ciò che rimaneva del bambino era Tom, dopo aver perso anche l’unico barlume di serenità che rischiarava l’oscuro tunnel della sua mente, Axel pianse amaramente e riconoscendosi sconfitto, tornò l’ultima volta alla loro panchina, vi ci appoggiò Tom e infine si tolse la vita, con la speranza che nell’aldilà la sua vita fosse migliore e con la speranza di poter di nuovo abbracciare il suo angelo custode che gli aveva dato tanto e a cui lui aveva tolto tutto.

 

 

 

 

 

 

 

~NdCari~

Salve a tutti! :D
Questa è la prima vera storia di Natecari, diciamo che vale un po’ come biglietto da visita:D.
Sono contenta di aver pubblicato questa storia anche se all’inizio ero un po’ titubante, ma sono soddisfatta del risultato:).
Volevo fare un appunto che riguarda il titolo.. quei diecimila colori che fanno quasi male agli occhi hanno un motivo… sono partita da colori freddi perché all’inizio Axel vede tutto grigio e triste mentre poi capisce che in realtà il mondo è a colori, infatti poi nelle ultime lettere si arriva al giallo, all’arancione, al rosso che invece sono più forti e caldi… è una cavolata lo so, ma mi piacerebbe che trasparisse questo messagio:).
Devo rivolgere un ringraziamento speciale a  mia cugina per aver pazientemente corretto la punteggiatura e alcune frasi che non filavano proprio per niente.
Inoltre ringrazio di cuore tutti coloro che leggeranno e recensiranno:D
Spero che alla fine non mi sia uscito solo un polpettone di pensieri assurdi:).
Tanti Ciao♥

~Natecari♥

  
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