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Autore: Halley Silver Comet    25/11/2012    34 recensioni
Sullo sfondo degli eclettici Anni ’80 si intrecciano fiaba e realtà, traffici illeciti e misteri, pregiudizi e desideri di libertà, mettendo alla prova i quattro protagonisti.
Ci sarà ancora tempo per il tanto sospirato lieto fine?
Il ragazzo buttò fuori l’aria tutta insieme, mandando al diavolo i suoi buoni propositi di seguire i consigli della meditazione orientale o qualsiasi cosa fosse.
«Buongiorno a te, Vittoria».
Stropicciandosi gli occhi, la nuova arrivata si avvicinò al tavolo e si sedette di fronte a lui.
«Ti ho disturbato?» domandò, reprimendo faticosamente uno sbadiglio.
«No, figurati. Dubito che possa sentirmi più infastidito di così» sbottò il giovane, sarcastico: non ce l’aveva con l’amica, ma davvero cominciava a trovare insopportabile tutta quella scabrosa situazione.
A tale risposta, la sua interlocutrice lo fissò sorpresa, ma non aggiunse nulla, probabilmente intuendo l’inquietudine che lo logorava da dentro; ciononostante, Marcello un secondo più tardi si pentì di essersi rivolto a lei in quel modo poco gentile. In fondo, non era certo colpa di Vittoria se quello schifoso di Navarra aveva deciso di sequestrare Beatrice
.”
Genere: Commedia, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Vento dell'Ovest - Capitolo 1



 - Capitolo Primo -
Arrivo del Vento






T
ra tutti i venti, quello dell’Ovest, detto anche Vento di Ponente, è senza dubbio il più chiacchierino e il più bravo a raccontare storie. Infatti, i suoi fratelli venti e le sue sorelle brezze non aspettano altro che il suo ritorno da qualche lungo viaggio, sperando sempre che abbia in serbo per loro una qualche bella storia che possa intrattenerli.
In particolare, quella che vi sta per narrare è una delle sue preferite, forse quella che ama di più in assoluto, poiché sembra che, nella vicenda, abbia avuto un ruolo quasi da protagonista
. Perciò, mettetevi comodi, perché ai venti piace essere molto dettagliati quando raccontano e odiano che si metta loro fretta...

Era un tiepido giorno sul finire di settembre del 1986 e il Vento di Ponente soffiava pigramente tra le mura degli edifici della Capitale, quando decise di lasciare il centro per muoversi tra i giardini del quartiere pinciano. Si ritrovò, quindi, a soffiare nell’
immenso parco di una villa depoca ben tenuta, con pini altissimi, fiori e arbusti che si stavano ormai preparando al sonno invernale.
Mentre era impegnato a solleticare le bacche non ancora mature di una rosa canina, la sua attenzione fu catturata da una ragazza dal volto delicato e con lunghi ricci scuri che le arrivavano poco oltre le spalle, appoggiata alla balaustra della veranda canticchiando un motivetto allegro: «What a feeling, bein’s believin’, I can have it all, now I’m dancing for my life...1»
«Vittoria, se non te ne fossi accorta, stiamo cercando di finire di lavorare» intervenne, a quel punto, un giovane dalla chioma ribelle biondo dorata seduto ad un tavolo lì accanto, senza alzare gli occhi dagli incartamenti che stava leggendo.
«Sono quasi le sette, non dovreste smettere?» gli fece, però, notare quella, accigliata, smettendo di dondolare la testa a ritmo. «La festa è alle sette e mezza!»
«Se tu la piantassi di distrarci, forse riusciremmo a finire!» la rimbeccò l’altro, seccato. «E, comunque, ti ricordo che sei l’unica di noi tre che smania per andare alla festa di compleanno di Maria Luisa».
Indispettita, la ragazza si alzò in piedi e riservò al suo interlocutore un’occhiata di rimprovero.
«So perfettamente che non ci vuoi andare, Marcellino» affermò, mentre si avvicinava al tavolo cosparso di fogli dove, oltre all’amico, era seduto anche un altro giovane. «Sappi, però, che non presentandoti deluderesti tutte le tue ammiratrici, a cominciare proprio dalla festeggiata».
«Sai, Vittoria, non credo sia questo il modo giusto per convincerlo» si intromise, allora, il ragazzo dai capelli castani, ridacchiando sommessamente.
«Be’, Gerardo, Marcello deve sapere della scia di cuori infranti che lascerà se non andiamo da Maria Luisa!» commentò la ragazza, mettendo su un cipiglio ostinato.
In risposta, il diretto interessato alzò gli occhi al cielo, poiché, in realtà, era fin troppo a conoscenza di ciò che pensavano e dicevano di lui Maria Luisa Foscari e la sua banda di amiche starnazzanti: infatti, lo adocchiavano ormai da troppo tempo, reputandolo un ottimo partito, senza curarsi del fatto che a lui non interessava nessuna di loro.
Reprimendo un brivido, Marcello si riscosse da quei pensieri raccapriccianti e decise, invece, di rivolgersi a Gerardo.
«Potresti ricordarmi qual è stata l’ultima mossa di Lord Carter?» gli chiese, cercando di ignorare le proteste di Vittoria. «Così, forse, riusciremo a mettere il punto a questa faccenda».
«Niente di importante» rispose l’altro, sfogliando distrattamente il plico che aveva in mano. «Qualche piccola contrattazione nello Yemen del Nord, per ottenere più petrolio».
«Chissà perché ha preso in considerazione noi, come possibili partner finanziatori dei suoi grandiosi progetti...» si domandò a voce alta Marcello, prendendo in mano un bicchiere colmo di succo e appoggiandosi con la schiena alla poltroncina di vimini.
«Non ne ho la più pallida idea. Magari, lo scopriremo tra qualche settimana, quando lo incontreremo» osservò cautamente Gerardo, sfregandosi nervosamente il collo.
Trascorse qualche istante di assoluto silenzio, poi, però, Vittoria cominciò di nuovo a sbuffare e ripartì alla carica: «Adesso avete finito? Non voglio arrivare in ritardo!»
Subito, i due si voltarono verso di lei e la osservarono attentamente, sbattendo le palpebre.
«Lo sai che sei davvero irritante?» le fece notare, allora, Marcello, che davvero non aveva voglia di andare da nessuna parte. Purtroppo, però, dopo che la sua amica lo aveva sfiancato con continue e pressanti richieste, aveva ceduto ed ora si trovava obbligato ad accompagnarla. Non gli erano mai piaciute le feste di compleanno, specie quelle dove c’era un’alta probabilità di ritrovare vecchie conoscenze, ma, ad essere sinceri, non amava in generale le occasioni dove c’era troppa gente chiusa nello stesso posto.
Sapeva di non essere una persona molto socievole che preferiva tenersi lontano da ogni forma di agglomerato sociale.
«Dai, Marcellino, lo sai che le feste sono sempre un’ottima occasione per conoscere gente nuova!» insistette Vittoria, lasciando che sulle sue labbra affiorasse un sorriso malandrino. «Magari, questa potrebbe essere la volta buona che conosci una ragazza adatta ai tuoi gusti difficili... e farai felice la tua mammina».
«Io non cerco nessuna ragazza e, soprattutto, non voglio fare felice nessuno!» borbottò in risposta quello, ritrovandosi a chiedere per l’ennesima volta in vent’anni come avesse fatto a diventare amico stretto di quel terremoto vivente che era Vittoria Farnese.
«Dai, lascialo stare» la rimproverò con dolcezza Gerardo, lanciando all’altro un’occhiata solidale. «Abbiamo promesso che ti accompagneremo e così faremo».
«Ecco, tu sì che sei gentile, Gerardo. Mica come lui...» replicò la ragazza, indirizzando un sorriso riconoscente al giovane e mostrando, invece, la lingua a Marcello.
Esasperato, quello decise di porre fine alla questione e si alzò in piedi.
«Ho capito, ho capito, andiamo» sospirò, arreso. Poi, si rivolse a Gerardo: «Noi continueremo domani».
«Certamente» acconsentì quello, annuendo e alzandosi a sua volta.
Allora, con un’espressione trionfante dipinta sul volto, Vittoria fece schioccare la lingua contro il palato; stava per aggiungere qualcosa, quando una presenza
disturbante si materializzò accanto ai tre e la giovane fu costretta a tacere. Infatti, ostentando la sua espressione più impassibile, era appena sopraggiunta la madre di Marcello, bionda come il figlio, ma con occhi scuri e penetranti dai quali traspariva tutto il disprezzo che provava per gli amici del ragazzo.
«Buonasera, signora Claudia» la salutò gentilmente Gerardo, un po’ teso.
«Salve, signora. Noi stavamo per andare via» si affrettò ad aggiungere Vittoria, indietreggiando di qualche passo per allontanarsi da lei, mentre quella li fissava entrambi arricciando appena le labbra. Di fronte ad un simile atteggiamento, Marcello digrignò i denti poiché, anche se aveva ormai smesso da diversi anni di sperare che sua madre potesse prendere in simpatia Vittoria e Gerardo, quella avrebbe almeno potuto mostrare un minimo di educazione nei loro confronti. Soprattutto perché che si vantava di essere una donna raffinata.
«Sì, infatti mi pare una buona idea» rispose la Matrona, come veniva chiamata dalle cameriere della villa, perseverando nella sua ostilità. «Passate decisamente troppo tempo qui. Potrebbe quasi sembrare che non abbiate nulla di meglio da fare... soprattutto tu, Gerardo. Poi, non lamentarti se in giro si dice che è Marcello a sbrigare tutti gli oneri».
«Mamma!» la richiamò il figlio, indignato. «Gerardo ed io siamo soci allo stesso livello e ci dividiamo equamente il lavoro!»
Tuttavia, la donna non rispose a quell’obiezione, limitandosi ad assumere un’espressione così dura che il suo volto perse istantaneamente tutta la sua bellezza, mentre Marcello offriva unocchiata mortificata di scuse allaltro. In risposta, quello scosse la testa, accennando un sorriso.
«Ti aspettiamo fuori dal cancello» disse in fretta Vittoria, intromettendosi e tirando Gerardo per un lembo della giacca, prima che la signora Claudia potesse dare un giudizio negativo anche su di lei.
«Arrivederci, signora!» la salutò in fretta il ragazzo, sparendo con l’amica oltre la porta-finestra.

Rimasti soli, il ragazzo si voltò verso la madre, squadrandola con fare ostile e, non riuscendo più a trattenere il suo risentimento, le sbottò contro: «Devi smetterla di trattare male Gerardo e Vittoria!»
«Sono solo due approfittatori che sfruttano la tua popolarità. Se tu non le avessi presentato lo scultore Bartolomeo Davoli, la Farnese sarebbe ancora una zitella con la lingua troppo lunga e quel Marini non sarebbe nessuno se tu non gli avessi chiesto di diventare tuo socio» gli rispose lei, con una smorfia di disgusto. «Avresti dovuto prendere in considerazione Ascanio Colonna, invece, perché, da quello che sento dire in giro, sembra molto in gamba».
«Mi sarei tagliato la lingua, piuttosto che chiedergli una cosa simile» ribatté, però, Marcello, con un sibilo irritato. Sua madre non aveva il diritto né di mettere bocca nelle sue scelte professionali, né tantomeno di insultare i suoi amici solo perché non li considerava al loro livello, visto che, per lui, i due ragazzi erano come fratelli. Nemmeno per Tiberio, suo fratello di sangue, ma così simile alla genitrice da risultargli insopportabile, provava un attaccamento simile. «Comunque, a parte gettare fango su chi non è nelle tue grazie, devi dirmi qualcosa di importante?» aggiunse poco dopo, vedendo che la donna non sembrava avere intenzione di voler andar via. 
Per qualche secondo, la signora Claudia si soffermò a studiarlo, giocherellando con la collana di perle che portava al collo, per poi cominciare a parlare, molto lentamente: «So che stai andando alla festa di compleanno di Maria Luisa».
Inarcando appena un sopracciglio, curioso di sapere dove intendesse andare a parare la genitrice, il giovane ricambiò l’occhiata e rimase in attesa che l’altra continuasse.
«L’altro giorno, Serena mi ha detto che tu piaci molto alla figlia, pertanto volevo invitarti a prenderla in considerazione come tua possibile fidanzata» spiegò subito dopo, infatti, la donna, aggrottando la fronte e spostando lo sguardo verso l’alto, come se stesse valutando sul serio l’eventualità che quella ragazza potesse entrare a fare parte della sua famiglia.
«Che cosa?!» scattò subito Marcello, impallidendo al solo pensiero. «Mi auguro seriamente che tu stia scherzando, mamma».
«Affatto» ribatté, però, la donna, con estrema convinzione. «La conosco e so che è una ragazza remissiva e ben educata, davvero adatta a te».
Sconcertato, il figlio la guardò come se fosse uscita di senno, cosa che accadeva abbastanza spesso quando si ritrovava a parlare con sua madre. Evidentemente, si era messa in testa che anche con lui avrebbe potuto portare avanti le sue macchinazioni, come aveva fatto con Tiberio quando lo aveva spinto tra le braccia dell’insulsa ed instabile
Ortensia Torlonia, meritevole solo di avere un padre ricco ed essere una discendente di ex marchesi. Qualità che solo una donna retrograda ed arrivista come la Matrona avrebbe potuto trovare allettanti. 
«Io non sono come Tiberio e non accetterò mai un tuo consiglio» replicò, allora, il giovane, non celando il disprezzo che riservava verso di lei e verso il fratello, talmente desideroso di compiacere la madre da aver accettato subito la sua insana proposta. Purtroppo, la signora Claudia considerava i suoi due figli come se fossero sue appendici, a tal punto da sentirsi in dovere di instradarli ad essere a sua immagine e somiglianza, cercando matrimoni vantaggiosi per non perdere il prestigio sociale che lei, da ragazza provinciale della campagna viterbese, aveva guadagnato sposando il padre di Marcello.
«Vuoi forse rimanere scapolo a vita?» gli chiese a quel punto la madre, assottigliando pericolosamente lo sguardo. «Hai già rifiutato tutte le figlie delle mie amiche, facendo addirittura piangere la povera Costanza!»
«Mamma, quella non è una ragazza, è una piovra gigante!» rispose l’altro, rabbrividendo al solo ricordo di quel pomeriggio passato a scappare per tutta la casa, sperando di scrollarsi di dosso quella tipa appiccicosa, nonostante la milza dolente e l’ordine del medico di restare a letto. «E poi, le avevo solo detto di non avvicinarsi perché non ero ancora del tutto guarito dalla mononucleosi... In fondo, mi stavo preoccupando per lei» aggiunse, non riuscendo a soffocare una nota ironica.

«Come ti è saltato in mente di andare a fare il buon samaritano al Bambino Gesù2 con quella sciocca della Farnese!» gli inveì contro l’altra, sbraitando come una di quelle popolane che tanto disprezzava. «Sai benissimo che i bambini sono un ricettacolo delle peggiori malattie!»
A quel punto, il ragazzo si portò una mano alle tempie e contò fino a dieci per non essere costretto a risponderle per le rime.
«Invece, è stata una bellissima iniziativa andare a visitare i bambini ricoverati in ospedale»
le fece notare, dopo qualche secondo che servì a tenere a bada la rabbia che sentiva crescere dentro di lui. «E, comunque, guarda il lato positivo, mamma: non ne verrò più contagiato. Questo significa che, per evitare Costanza, la prossima volta dovrò andare a cercare qualcuno con la varicella»
Poi, Marcello si avvicinò al tavolo per mettere a posto tutti i fogli, impilandoli l’uno sull’altro e strappando quelli inutili. Improvvisamente, però, la signora Claudia, arrabbiata per i suoi commenti, gli si avvicinò come una furia e, preso tutto quello che era sul ripiano, lo scaraventò a terra. 
«Sei impazzita?! Sono documenti di lavoro!» esclamò il giovane, guardandola sbigottito. Tuttavia, quella non sembrò per niente dispiaciuta, anzi, cominciò anche a gridargli contro, gesticolando furiosamente: «Sei solo uno stupido! T
utti i figli maschi delle mie amiche sono sposati e tuo fratello ha perfino una bambina! Sei ormai prossimo ai venticinque anni... davvero credi che riuscirai mai una donna di buona famiglia con sarcasmo e maleducazione?»
Di fronte a quella sfuriata, il ragazzo esaurì anche l’ultimo residuo di pazienza: aveva mantenuto la calma più a lungo che aveva potuto, ma a tutto c’era un limite.
«Te lo dirò ora e poi non lo ripeterò più: a me non interessa sposarmi, soprattutto con una ragazza scelta da te, quindi mettiti l’anima in pace!» esplose.

Ciò, però, non scalfì minimamente la madre che, dopo aver lanciato un’ultima occhiata angustiata al figlio, gli sibilò, minacciosa: «Pensala come vuoi, ma stai pur certo che troverò il modo di farti cambiare idea!»
Quindi, si voltò con uno scatto e si avviò, impettita, verso la porta-finestra.

Per qualche istante, Marcello rimase a fissare con astio il punto in cui era sparita la genitrice, per poi riportare l’attenzione sul disastro che aveva combinato e, richiamando a sé la poca calma rimasta, iniziare a radunare tutti i fogli sparsi. Con suo grande sollievo, notò che, fortunatamente, nessun documento importante si era rovinato.
«Bella serata, non è vero?» gli chiese, all’improvviso, una voce dolce. «Per essere fine settembre, fa ancora parecchio caldo».
«Davvero magnifica, papà» rispose sarcasticamente il giovane, senza alzare la testa, ammucchiando da una parte i resti dei fogli strappati e dall’altro quelli ancora sani.
Incurvando le labbra, quello si chinò a sua volta per dargli una mano: era un uomo dalla figura elegante, i capelli scuri e gli occhi verde chiaro uguali a quelli di Marcello.
Se non avesse avuto almeno un genitore dalla sua parte, avrebbe probabilmente avuto una vita molto più difficile in quella casa, ma, per sua fortuna, lui e suo padre avevano un ottimo rapporto basato sul rispetto e sulla comprensione reciproca.
«Tua madre a volte esagera» commentò pacatamente il padre, mentre gli passava una cartellina rosso spento.
«No, non a volte, lo fa sempre» precisò il giovane, secco. «Con lei non ho mai terminato nessuna conversazione in modo civile. Nemmeno quando ero bambino».
«In effetti, secondo lei sei sempre stato il figlio ribelle» ridacchiò il signor Giancarlo, mentre si tirava su e gli passava la risma di fogli che aveva raccolto. «È davvero così terribile questa Maria Luisa?» domandò, poco dopo, dimostrando di essere già al corrente di ogni dettaglio.
«Non ha nulla di attraente per me» spiegò in poche parole il figlio, rimettendosi in piedi a sua volta. «Ed io le interesso solo per il mio successo professionale, nulla di più».
«E, scommetto, anche perché sei un bel ragazzo» tirò ad indovinare l’uomo, tradendo un sorriso divertito, recuperando tutta la carta straccia per buttarla in uno dei secchi che avevano sulla veranda.
A quell’osservazione, il giovane si accigliò e rispose: «Veramente, non penso sia un vanto. La bellezza, prima o poi, sfiorisce... e poi cosa rimane?»
«Be’, tu hai anche tante altre qualità, Marcello» gli fece pazientemente notare il padre.
«Qualità che non interessano ad una come Maria Luisa, che aspira solo a fare la mantenuta» ribatté, però, lui, tra lo sprezzante e il demoralizzato. «E preferisco restare solo che accollarmi una così!»
A quel punto, il signor Giancarlo gli rivolse un sorriso malinconico e occupò una delle sedie intorno al tavolo.
«
Marcello, nessuno vuole davvero restare solo. Sei troppo giovane per essere così disilluso allidea dellamore» considerò, con una punta di severità. «Vedrai che, prima o poi, troverai una ragazza che ti piacerà» aggiunse qualche istante più tardi, questa volta incoraggiante.
In risposta, Marcello increspò le labbra, ma non disse nulla, limitandosi solo a rivolgergli un’occhiata scettica, poiché, pensando all’impossibile donna che quello aveva sposato, le sue parole gli suonarono decisamente troppo ottimistiche.
«Comunque, spero tu voglia andare lo stesso a questa festa» concluse l’uomo, dopo qualche minuto di assoluto silenzio, mentre si alzava per andare a studiare da vicino il melograno carico di frutti, la cui cima sfiorava appena la balaustra della veranda.
«Ad essere onesto, se questa sera non ci fossero stati con me Gerardo e Vittoria, avrei preferito restare a casa a leggere» gli rispose Marcello, cupo, seguendolo con lo sguardo. «Sai, ho appena iniziato un libro molto interessante che mi ha prestato Gerardo. Parla di Bilbo Baggins, un Hobbit, cioè un mezzuomo, che parte in compagnia di un stregone e tredici nani alla ricerca di un tesoro perduto e...»
«Forse, per questa sera puoi mettere da parte la tua amata lettura e divertirti un po’» lo interruppe, però, l’uomo, lanciandogli un’occhiata eloquente. «D’altra parte, non è detto che una festa che si preannuncia noiosa, non possa riservarti qualche piacevole sorpresa...»
Non del tutto convinto, Marcello inarcò un sopracciglio.
«Oh, sì, certo. Come no!» commentò, ironico, voltandosi verso il tavolo per raccogliere tutti i fogli, così da portarli dentro. «L’unica cosa che potrebbe sorprendermi è se gli invitati dovessero cominciare ad ubriacarsi dopo le dieci, ma conoscendoli, direi che...»
Tuttavia,
non riuscì a completare la frase, poiché, quando si girò nuovamente verso il genitore, quello era scomparso in un battito di ciglia, esattamente come era arrivato.
Allora, corrugando appena la fronte, il giovane emise un sospiro e, infine, si avventurò in casa per cambiarsi in fretta, non volendo far aspettare Gerardo e Vittoria più del dovuto.
***

«Bartolomeo non vuole mai accompagnarmi a queste feste, ma io le trovo perfette per svagarsi!» osservò una saltellante Vittoria, di ritorno da uno scatenato Gioca jouer3. «Per fortuna, posso contare su di voi!»
«Io ancora mi domando come tu riesca sempre ad estorcerci un sì» borbottò, in risposta, Marcello, scrutando dubbioso la calca di gente che si dimenava nel salotto dei Foscari, tramutato per l’occasione in un’improvvisata discoteca, con tanto di sfera specchiata che scendeva dal soffitto.
«
Sai, Marcellino, non credo che quellespressione da misantropo sia sufficiente a tenere alla larga le tue ammiratrici. In realtà, il bel tenebroso è un tipo che piace molto» gli rivelò allora l’altra, con una punta di malizia. Quando, però, notò che l’amico aveva alzato gli occhi al cielo, scoppiò a ridere così fragorosamente da superare perfino la musica che risuonava a tutto volume per tutta la stanza.
«Vittoria, non esagerare» la rimproverò blandamente Gerardo, scuotendo la testa e facendola calmare un po’.
«No, no che parli pure! Anzi, perché non fai ridere anche noi e ci racconti che cosa ci trovi di tanto divertente?» l’apostrofò invece Marcello, stizzito, spostandosi con un gesto nervoso la frangia ribelle dalla fronte, mentre osservava un manipolo di chioccianti ragazze ammassarsi davanti alla console del disc jockey. Il fatto che Maria Luisa potesse permettersi di assumere un dj famoso per animare la sua festa di compleanno aveva fatto sì che fossero presenti non solo quasi tutti gli invitati, ma anche una buona quantità di imbucati. Altrimenti, Marcello non avrebbe potuto spiegarsi il numero spropositato di ragazzi che in quel momento affollava la sala.
«È divertente la tua insofferenza per il fatto di essere il ragazzo più ammirato della festa!» gli spiegò l’amica, alzando la voce per farsi sentire e riscuotendolo da suoi pensieri. Fu proprio allora che, con suo grande disappunto, lui notò che parecchie giovani, molte delle quali note solo di vista o addirittura perfette sconosciute, lo stavano guardando avidamente.
«Secondo me, aspettano solo che ne inviti una a ballare» commentò Vittoria con un sorriso birichino, mentre prendeva da un vassoio appoggiato sul tavolo dietro di lei un cocktail fruttato, decorato con una fetta di arancia.
«Per me possono aspettare e sperare» decretò Marcello, caustico, scrutando con un sopracciglio alzato il folto gruppo che, sotto le luci psichedeliche dei faretti, si era radunato al centro del salotto per storpiare la coreografia di Thriller4. «Io odio tutto questo».
«Non sei l’unico» gli fece eco Gerardo, solidale, 
prendendo una tartina con salsa rosa, insalata e gamberetti da un piatto poggiato sul mobile vicino, ispezionandola accuratamente prima di mangiarla.
Di fronte a quelle due facce sconsolate, Vittoria scosse la testa con un sorriso e si avvicinò a Marcello, proponendogli scherzosamente: «Se non ti piace questa musica, potresti invitare una delle tue ammiratrici a ballare come ha fatto Alexandre Sterling con Sophie Marceau». 
«Siamo un po’ grandicelli per imitare Il tempo delle mele5, non trovi?» grugnì lui in risposta, senza quasi farla finire prima di parlare. Infatti, non si era dimenticato di quando l’amica aveva letteralmente trascinato lui e Gerardo al cinema per vedere quella pellicola che, per giunta, non gli era piaciuta per niente, costringendolo a quasi due ore di lotta incessante contro la noia ed il sonno. Già tollerava a stento i film francesi, figuriamoci quelli sui primi amori e le volubilità dell’adolescenza, argomenti troppo distanti da lui per poterlo interessare.
A quel punto, non avendo ancora ricevuto soddisfazione, Vittoria si voltò verso l’altro ragazzo e, dopo averlo squadrato con attenzione, lo incalzò: «Su, Gerardo, perché non inviti anche tu una ragazza a ballare?»
Immediatamente, quello trasalì e la fissò a bocca aperta.
«
Vitto, lo sai che sono del tutto incapace nel ballo» farfugliò, intimidito. «E poi, non ho lo stesso fascino di Marcello, perciò dubito che qualcuna accetterebbe».
«Secondo me, invece, qualcuna lo farebbe. E al volo!» replicò invece lei, con sorprendente rapidità, indirizzandogli attraverso il bicchiere ormai quasi vuoto un’occhiata così ambigua che stupì non poco Marcello.

Purtroppo, in quel frangente, sopraggiunse tra di loro la festeggiata.
«Ciao, Vittoria! Ciao, Marcello!» li salutò Maria Luisa, gaia, agitando freneticamente la mano come se i due fossero lontani almeno una ventina di metri e non soltanto due passi da lei. Nel complesso, era una ragazza dai lineamenti graziosi, con i capelli castani cotonati e un abitino a palloncino giallo limone con degli inserti neri che, però, secondo Marcello, la faceva assomigliare ad un’ape in formato gigante. Inoltre, aveva le guance parecchio rosse e gli occhi lucidi, anche se il giovane non sapeva se era per il ballo oppure per qualche bicchiere di sangria di troppo, poiché, in quel caso, non sarebbe certo stata la prima volta che eccedeva con gli alcolici.
«Ciao, Maria Luisa. Come stai?» si intromise Gerardo, con un tono tra il risentito e l’amareggiato per essere stato completamente ignorato. Subito, l’altra si voltò verso di lui e sbatté un paio di volte gli occhi, guardandolo trasecolata.
«Oh, ciao, Gerardo. Ci sei anche tu?» domandò, atteggiando le labbra ad una smorfia stupita.
«Be’, sì, mi hai invitato...» tentò di spiegarle debolmente il giovane, ma poi si zittì, deglutendo un paio di volte a vuoto.
Indignato per il suo comportamento, Marcello stava quasi per dire alla ragazza che era solo merito dell’altro se, alla fine, aveva deciso di accompagnare Vittoria e partecipare a quella stupida festa, quando intercettò uno sguardo ironico dell’amica a Gerardo, poco prima che prendesse lei le redini del discorso.
«Carissima, hai trascorso bene le vacanze a Montecarlo?» chiese, infatti, subito dopo, stiracchiando le labbra in un sorriso che aveva qualcosa di artefatto.
«Mais oui!» rispose prontamente Maria Luisa, contenta che qualcuno le chiedesse del suo recente viaggio. «Sono stata ospite di Adèle, una mia lontana cugina. Sapete, quella che ha sposato l’imprenditore veneziano Antonio Della Valle...»
Interdetto dallo strano comportamento di Vittoria e dispiaciuto per l’espressione afflitta di Gerardo, Marcello smise di ascoltare il martellante e vanesio cicaleccio della festeggiata e squadrò entrambi i suoi migliori amici con la fronte appena aggrottata, desideroso di trovarsi quanto prima a tu per tu con loro per capire cosa stesse succedendo.
«...hanno appena avuto il loro secondo bambino e
dovreste proprio vedere che amore è il piccolo Andrea... Per non parlare poi del primogenito! Adriano è davvero un enfant prodige, a soli tre anni riesce già a fare trucchi con le carte come un vero prestigiatore!» stava continuando a dire quella, senza accorgersi che i tre erano immersi nei propri pensieri. Quando se ne rese conto, assunse immediatamente un’espressione indispettita e si rivolse direttamente a Marcello: «Perché non mi stai ascoltando? Sei molto carino, ma in questo momento ti stai comportando un po’ da maleducato».
Riscosso da quelle parole brusche, il ragazzo spostò subito la sua attenzione sulla giovane e, dopo aver notato il suo broncio da bambina capricciosa e le guance ancora più rosse, non ebbe più alcun dubbio che fosse un po’ brilla.
«Mi dispiace, temo di essere un po’ stanco» si scusò sbrigativamente, sperando che fosse sufficiente a liberarsi di lei. Tuttavia, fu tutto vano, perché Maria Luisa si avvicinò rapidamente a lui e lo prese per il braccio.
«Visto che è il mio compleanno, per farti perdonare, dovrai passare un po’ di tempo con me!» decise, animata da un febbrile entusiasmo.
Poi, senza che l’altro avesse avuto il tempo di replicare o di capire cosa stesse succedendo, sotto lo sguardo stupefatto dei suoi amici, venne trascinato via dalla giovane con una forza sorprendente.

E, mentre
la canzone in sala passava da The Final Countdown a I want to brek free6, Marcello si voltò verso i due per chiedere loro silenziosamente di aspettarlo finché non si fosse liberato, ma ciò non fu possibile, poiché l’ultima cosa che vide prima di essere catapultato sulla terrazza lo lasciò sgomento: Gerardo e Vittoria avevano cominciato a discutere.
***

Nonostante la compagnia non fosse delle migliori, Marcello si ritrovò a ringraziare per il cambio di scenario: anche se la terrazza era discretamente affollata, dopo tutto quel tempo passato nell’atmosfera soffocante della sala, con la musica ad altissimo volume, trovò estremamente piacevole respirare l
aria della sera autunnale, così fresca e aromatica. 
«Credo che ci vorrà un po’ per cercare un posticino tranquillo per noi» ridacchiò Maria Luisa, senza lasciare la presa sul suo braccio, facendo cenno alle numerose persone intorno a loro. A quell’affermazione, il giovane aggrottò appena la fronte, preoccupato per le intenzioni della ragazza, visto che lui non aveva alcuna voglia di restare solo con lei, anzi, desiderava solo tornare dai suoi amici il prima possibile. Infatti, voleva assolutamente capire cosa fosse successo tra
Gerardo e Vittoria, poiché, se da una parte era vero che, in passato, era già capitato che litigassero, avendo caratteri diametralmente opposti, dall’altra, quella volta gli erano piuttosto oscure le dinamiche con le quali era iniziato il tutto.
Poco dopo i due ragazzi raggiunsero l’angolo più buio della terrazza, illuminato solo dalla tenue luce dei lampioni del giardino sottostante. Distrattamente, Marcello buttò uno sguardo oltre il parapetto, ma quando scorse tra i cespugli il suo storico rivale Ascanio Colonna, molto indaffarato a palpeggiare una procace biondina, si pentì amaramente di averlo fatto e, disturbato da quella visione, si ritrasse immediatamente.
«Che cosa te ne pare? Non è meraviglioso qui...?» languì Maria Luisa, richiamando la sua attenzione.
Subito, il giovane si voltò verso di lei e notò che gli stava rivolgendo un’occhiata incantata.
«Mmh, sì» bofonchiò, laconico, pensando a quale potesse essere il modo più rapido per defilarsi da quella scomoda situazione.
La ragazza, però, non sembrò curarsi della sua scarsa partecipazione e continuò a parlargli come se niente fosse: «Ho saputo che partecipi ad incontri amatoriali di pugilato, vincendo spesso. Posso venire a vederti? Mi piacerebbe tanto fare il tifo per te!»
Sbattendo le palpebre, l’altro notò che, parola dopo parola, quella si era fatta davvero troppo vicina per i suoi gusti e che, per sua sfortuna, da ubriaca era ancora più loquace del solito.
«A dire il vero, ultimamente non sto partecipando più. E, comunque, sono sempre incontri a porte chiuse, mi spiace» le spiegò, indietreggiando appena, sperando che quella smettesse di protendersi verso di lui, invadendo il suo spazio personale. Non aveva davvero nulla contro di lei. Semplicemente, non era il suo tipo.

«Oh, che peccato...» mugugnò la ragazza, guardandolo imbronciata.
«Eh, già» borbottò lui in risposta, trattenendosi a stento dallo scuotere la testa davanti a quel comportamento così infantile, consapevole che non fosse del tutto dovuto all’alcool.
Per qualche istante, nessuno dei due disse nulla, lasciando che in sottofondo si sentissero solo le risatine della biondina, provenienti dal rododendro che si trovava esattamente sotto di loro.
«Che cosa ne dici, rientriamo?» propose allora Marcello, irrequieto, discostandosi di qualche passo dal parapetto.
«Rientrare? Ma siamo appena arrivati!»
protestò lei, lamentosa, quasi arrivando a battere i piedi per terra. «Se proprio vuoi rientrare, devi prima invitarmi a ballare! E poi, secondo me, Marcello, tu non sai goderti le gioie della vita e lavori troppo, sai? Ascanio fa il tuo stesso lavoro, ma è sempre in giro».
A quell’ultimo commento, il giovane la guardò con ironia, astenendosi dal dire ciò che pensava sul rivale solo perché sapeva che sarebbe stato del tutto inutile, visto che il giorno dopo la ragazza non avrebbe ricordato un bel niente della loro conversazione. Anche se, conoscendo il soggetto, non sarebbe comunque cambiato nulla se l’avesse fatto.
«Grazie per il regalo di compleanno. Ancora non l’ho scartato, ma sono certa sarà bellissimo» mormorò poi la ragazza, tutto a un tratto di nuovo sorridente, cambiando repentinamente argomento e ricominciando ad avvicinarsi.
«Ah, per quello devi ringraziare Vittoria, l’ha scelto lei».
«Davvero?» domandò, così sorpresa che il giovane si chiese se l’altra ricordasse di chi stesse parlando. «Be’, se le cose stanno così... penso proprio che tu dovresti farmi un altro regalo più... personale» aggiunse, fissando le labbra di lui con inopportuna insistenza. 

Avvertendo un brivido gelido corrergli lungo la schiena, Marcello arretrò di qualche passo per sottrarsi a quel bacio non richiesto e, soprattutto, non voluto, addossandosi alla balaustra e bloccandosi ogni via di fuga. Per sua fortuna, Maria Luisa smise improvvisamente di avvicinarsi, scrutandolo accigliata.

«Ti vedo teso, forse hai bisogno anche tu di un cocktail per scioglierti un po’!» gli propose, di punto in bianco, un sorriso ad illuminarle il volto. «Aspettami qui, non ti allontanare! Ti porterò la specialità della serata, un delizioso mix tropicale a base di Curaçao che ho preparato io stessa... cioè, in realtà l’ha creato il barman, ma sono stata io a suggerirgli gli ingredienti!» aggiunse, in un fiume straripante di parole, mentre si affrettava a tornare dentro senza perderlo di vista, per assicurarsi che non si muovesse.
Tuttavia, non appena fu sparita dalla sua visuale, il giovane si lanciò in direzione del salotto, ringraziando la sua buona stella, o chi per lei, per avergli servito su un piatto d’argento l’occasione di scappare a gambe levate da quell’incontro troppo ravvicinato.

Una volta tornato dentro, Marcello prese la direzione opposta a quella di Maria Luisa, dirigendosi a passo sostenuto verso il salotto in cui aveva lasciato
Gerardo e Vittoria, con la seria intenzione di esortarli ad andare via immediatamente. Di tanto in tanto, si guardava furtivamente alle spalle per essere sicuro che la festeggiata, dopo aver recuperato il tanto decantato cocktail, non lo avesse intercettato e fosse decisa a venire a riprenderselo, per obbligarlo a tracannare qualcosa con un tasso alcolico pericolosamente alto.
Immerso nei suoi pensieri, Marcello non si rese nemmeno conto di essere sulla strada di un altro fuggitivo, finendo per scontrarsi con il nuovo arrivato e, per l’urto, ritrovarsi a terra dolorante, con il suo compagno di sventure tra le braccia.
«Ma che cos...» bofonchiò, interrompendosi nello stesso momento in cui venne avvolto da un fresco profumo di lavanda ed incrociò due incantevoli iridi color zaffiro.
«Oh, mi scusi davvero, non lavevo proprio vista!» esalò, mortificata, la ragazza. Sembrava piuttosto accaldata, i capelli di un intenso rosso-rame raccolti nei resti di una coda alta ormai sfatta e la scollatura del suo abitino violaceo che aveva ceduto in più punti, come se fosse stata tirata con violenza. Anche una manichetta le ricadeva sbrindellata su una spalla, mostrando la pelle chiara e liscia. 
Marcello, prima di riacquistare l
uso della parola, deglutì a vuoto un paio di volte.
«Stai... stai bene?» le chiese alla fine, osservandola attentamente: dall’aspetto, non doveva arrivare nemmeno ai vent’anni. Chissà come era finita tra gli invitati, di qualche anno più vecchi.
«Io... io credo... di sì» gli rispose quella, scrutandolo a sua volta e arrossendo leggermente.
Trascorse qualche secondo in cui nessuno dei due parlò
, poi, all’improvviso, come se si fosse resa conto di essere ancora tra le braccia di lui, la fanciulla sobbalzò, esclamando: «Oh, mi scusi, mi sposto subito!»
A quel punto, fece per rimettersi in piedi, ma il ragazzo scosse la testa: «Aspetta, ti aiuto io».
Quindi, si alzò per primo per poi tenderle una mano per agevolarla nel fare altrettanto
.
«Mi deve credere, non l’ho fatto apposta...» riprese l’altra, scusandosi ancora, mentre lanciava un’occhiata nervosa dietro di sé, come se temesse anche lei di essere inseguita.
«Non importa» affermò Marcello, scrollando le spalle, incuriosito, però, da quell’atteggiamento che sentiva affine al suo. «Ciò che conta è che non ti sia fatta male».
«No, affatto. Lei, piuttosto?» domandò, allora, la sua interlocutrice, tornando a guardarlo.
In risposta, il giovane ricambiò l’occhiata ed inarcò un sopracciglio, chiedendosi come dovesse apparire agli occhi di quella ragazzina, vista l’insistenza con cui gli stava dando del lei. Vittoria, infatti, gli ripeteva in continuazione che il suo mantenersi continuamente sulle sue, soprattutto nei confronti degli sconosciuti, lo faceva sembrare troppo austero.
«
Non ti preoccupare, va tutto bene» le disse, lentamente, mettendo da parte per un attimo le considerazioni della sua amica. «E, comunque, anche se sono più grande di te, non sono così vecchio... dammi pure del tu».
Quella proposta dovette piacerle molto, poiché l’altra piegò le labbra in un piccolo sorriso e fece per aggiungere qualcosa, quando fu interrotta da una voce cavernosa e così possente che sembrò riscuotere perfino le pareti. 
«Beatrice, ecco dov’eri finita! Torna subito qui!»
«Oh, no!» gemette la giovane, portandosi una mano alla bocca, inorridita. Poi, si voltò e, non appena vide chi si stava avvicinando, sbiancò allistante.
Sorpreso dalla sua reazione, Marcello spostò a sua volta lo sguardo in quella direzione e rimase ancor più stupito quando si accorse luomo che la stava chiamando a gran voce era una sua vecchia conoscenza, un delinquente che aveva sperato di raggirare lui e Gerardo per ottenere un finanziamento per quella che si era rivelata una spedizione illegale di armi in Unione Sovietica. Se, in un’occasione simile, la presenza di quella ragazza era alquanto bizzarra, la comparsa di quel trafficante d’armi era semplicemente assurda.
Conrado de Navarra era un omone alto e massiccio sulla quarantina, provvisto di una folta barba scura, occhietti porcini profondamente incavati e, a giudicare dal volto fortemente segnato da rughe di espressione, in quel momento doveva essere molto adirato.

Con andatura barcollante,
infatti, lo vide avanzare in direzione della giovane e piantarsi davanti a lei, per poi afferrarle con violenza un polso.
«Ti avevo detto di non allontanarti troppo!» sbraitò, strattonandola, senza rendersi minimamente conto della presenza Marcello, il quale, avvertendo il forte e fetido tanfo dalcool che emanava, ricacciò indietro un conato di vomito. Possibile che a quella festa fossero tutti ubriachi?
Nel frattempo, la ragazza stava cercando con tutte le sue forze di opporre resistenza ai tentativi dell’uomo di portarla via.
«Tu non po comandarmi. Non hai alcun diritto su di me!» esclamò, cercando di divincolarsi.
«Ufficialmente ancora no, ma di fatto sei già mia. Perciò adesso smettila di fare i capricci e vieni con me, dulzura!»
«Ho detto che non voglio!»
Non sopportando i soprusi e disgustato dagli atteggiamenti indecenti e cavernicoli di quell’essere, Marcello, a quel punto, si sentì in dovere di intervenire.
«Sei tornato in città per portare guai, Navarra?» gli chiese, beffardo, augurandosi che, dopo aver saputo che lo spagnolo era di nuovo in circolazione, la Polizia trovasse finalmente qualche motivo per arrestarlo. Purtroppo, finora quel maledetto era sempre riuscito a cavarsela.
Frastornato, quello si voltò verso di lui, lanciandogli uno sguardo offuscato da tutti gli alcolici che gli stavano circolando in corpo. Quando poi, infine, lo riconobbe, sul suo volto comparve un’espressione beota, presto sostituita da un sogghigno ferino.
«Sono tornato per finire ciò che avevo lasciato in sospeso, Tornatore. E, questa volta, non mi metterai i bastoni tra le ruote».
«Stasera non hai nessuno dei tuoi loschi affari da portare a termine?» ribatté, però, il giovane, per nulla intimidito dalle sue minacce. «Oppure sei andato in bianco e cerchi di rifarti allungando le mani sulle ragazzine?»

Inaspettatamente, Navarra scoppiò a ridere in un modo così orribile da far venire la pelle d’oca.
«
Hai messo anche tu gli occhi su questa bellezza? Spiacente, arrivi tardi, è già impegnata con me».
Udendo quelle parole, la fanciulla sgranò gli occhi e sul suo viso comparve unautentica smorfia dorrore.
«Sul serio? E lei lo sa?» replicò Marcello, con un sorrisetto di scherno. In quel momento, gli parve di rivivere una delle scene di Ritorno al futuro7, un film decisamente più interessante di quelli che lo obbligava a vedere Vittoria. Solo che non si trovavano nel parcheggio della scuola per il ballo di fine anno e Navarra non stava tentando di abusare della ragazza. Anche se non ci mancava molto, in effetti.
«Fatti gli affari tuoi! Questa è roba mia!» gli latrò addosso lo spagnolo, digrignando i denti. Poi, tirando la sua vittima per un polso, le urlò: «Ora basta, Beatrice, tu verrai con me!»
«Lei, con te, non va proprio da nessuna parte!» si oppose ancora una volta il ragazzo, piantandosi con spavalderia davanti a lui.

Inferocito, l’uomo prese lo slancio per attaccarlo, ma, invece, cadde come un sacco di patate, giacché non si era accorto che nel frattempo Marcello gli aveva fatto lo sgambetto. Fortunatamente, prima aveva lasciato andare Beatrice, che subito si mise da parte, per non finire schiacciata dalla mole ingente di quel troglodita.

A quel punto, quello si rialzò a fatica, sbuffando come un toro e riservando a Marcello un’occhiata infuriata.
«Tornatore, hai appena firmato la tua condanna a morte!» ululò Conrado, facendo per tirargli un pugno, ma l’altro, che al contrario del suo avversario aveva alle spalle ore e ore di allenamenti in palestra, mandò il colpo a vuoto. Con i riflessi intontiti dallalcool, l’energumeno inciampò nei suoi stessi piedi, perse lequilibrio e cadde a terra con un tonfo; da lì in poi, non si mosse più.
Per qualche secondo, il giovane contemplò la carcassa dello spagnolo e scosse la testa.
«La forza bruta è inutile, se non c’è nessuna tecnica» commentò, citando il signor Nardone, l’ex pugile che si occupava della sua preparazione atletica. Poi, si rivolse alla fanciulla,
la quale era rimasta letteralmente a bocca aperta di fronte a ciò cui aveva appena assistito, chiedendole: «Ti chiami Beatrice, giusto?»
«S-Sì» balbettò lei, timidamente. «E tu sei...?»
«Marcello Tornatore» rispose il ragazzo, senza tante cerimonie.
«Grazie per l’avermi liberata dal mio... corteggiatore troppo insistente. Sembra che non voglia capire che non provo alcun interesse per lui» rispose lei, lasciandosi andare ad un sospiro liberatorio.
«Figurati. Anche perché, a dire il vero, non ho fatto molto» si schermì lui, consapevole di essere stato agevolato dal fatto che l’altro fosse decisamente alticcio. «Non penso si risveglierà tanto presto, ma comunque penso sia meglio se andiamo via, che cosa ne dici?» le propose, quindi, indicandole con un braccio il corridoio che portava al salone principale.
Sorridendo, Beatrice annuì, mentre lui le faceva strada.
«Come sei finita tra le grinfie di Navarra?» le chiese poco dopo Marcello, ancora schifato da ciò che era successo. Infatti, nonostante il giovane sapesse che quello era dedito ai peggiori vizi - vino, gioco d’azzardo e, soprattutto, donne - non avrebbe mai creduto che potesse spingersi ad importunare una ragazzina che doveva avere meno della metà dei suoi anni. Era qualcosa di rivoltante anche solo a pensarlo.
«Diciamo che... conosce i’ mi’ fratello» rispose lei, improvvisamente incupita.
«C’è anche lui stasera?»
«Sì, la stupida idea di imbucarsi qui 
l’è stata sua. E non le sopporto le feste con così tanta gente» borbottò Beatrice, sconsolata, scuotendo la testa e assumendo un’espressione così buffa che Marcello non riuscì a trattenersi dallo scoppiare a ridere.
«Cos’ho detto di tanto strano?» gli domandò subito la ragazza, osservandolo stupita.
«Niente. È solo che non sei l’unica a cui non piacciono» le spiegò, allora, lui, sentendosi non più tanto solo e accorgendosi, per la prima volta da quando aveva lasciato Villa Aurelia, di aver ritrovato un po’ di buonumore. «Dai, andiamo, ti aiuto a ritrovare tuo fratello» aggiunse poi, invitandola a continuare a seguirlo.

«Tuo fratello è... Guido Tolomei?» chiese Marcello, incredulo, non appena ebbero varcato la soglia del salotto più piccolo. «Quello che, dopo quarant’anni di Repubblica, si vanta ancora di essere un conte solo per rimorchiare?» insistette, faticando ad accettare che il giovane impegnato in una conversazione decisamente non verbale con una disinvolta moretta fosse il fratello di Beatrice. Anche fisicamente, sembravano diversi come il giorno e la notte.
«Purtroppo sì» commentò lei, con un misto di imbarazzo e rassegnazione, indirizzando un’occhiata risentita ai due, strettamente avvinghiati su uno dei divani. «Lo conosci, per caso?»
«Per sentito dire» replicò il ragazzo, tagliando corto, risoluto a non rivelarle i commenti decisamente poco lusinghieri che aveva fatto su di lui Vittoria, l’unica di loro tre ad essere aggiornata su tutto ciò che riguardava la vita mondana. 

«Son proprio stata una sciocca a credergli!» sbottò Beatrice, furente. «E dire che m’aveva promesso che lasciando Firenze avrebbe lasciato lì anche le cattive abitudini».
«Sei fiorentina?» le domandò, allora, il giovane, facendole segno di spostarsi in una delle nicchie presenti nella stanza per poter continuare a parlare senza essere di intralcio alle persone che entravano e uscivano.
«Sì. Non te n’eri già accorto?»
«Avevo capito solo che sei toscana. Purtroppo, non sono così esperto da saper distinguere i vari accenti» le confessò, inclinando appena la testa da una parte.
Allora, lei gli concesse un piccolo sorriso, prima di tornare a guardare in direzione del fratello, facendosi di nuovo triste. Nel vederla così abbattuta, con indosso quegli abiti stracciati che lei, nei limiti del possibile, si era risistemata addosso con grande dignità prima di rientrare, Marcello si intenerì non poco. In fondo, come lui, anche Beatrice si era ritrovata a prendere parte a quella festa suo malgrado, senza contare che lei era stata anche vittima di Navarra e del menefreghismo di quell’idiota di Guido.
«Vuoi tornare a casa?» le chiese, di punto in bianco, con una punta di dolcezza nella voce.
A quella richiesta, alzò immediatamente la testa verso di lui, un mesto scintillio ad illuminare i suoi occhi blu.
«Sinceramente? Sì».
«Abiti qui vicino?»
«Abbastanza. Purtroppo, ancora non conosco bene Roma, ma non ci si è messo molto a venire» gli spiegò Beatrice, tirandosi nervosamente una ciocca di capelli. «La mia zia abita in Via Merulana, son sua ospite».
Increspando appena le labbra, Marcello visualizzò il percorso che avrebbe dovuto fare per raggiungere quell’indirizzo, convenendo che, effettivamente, non ci avrebbero impiegato più di un quarto d’ora. Il vantaggio dell’usare i mezzi o andare a piedi risiedeva soprattutto nel conoscere viuzze e scorciatoie che, alla necessità, potevano rivelarsi molto comode; tuttavia, sapeva che, prima o poi, avrebbe dovuto comprare anche lui un’auto e smettere così di chiedere in prestito quella di suo padre o di approfittare dei passaggi di Gerardo. Persino Vittoria, anche lei fedelissima al servizio pubblico, era arrivata alla sua stessa conclusione e aveva cominciato a fare il giro delle concessionarie. 
«Se ti va, posso accompagnarti» le propose con naturalezza, ridestandosi dai suoi pensieri. «Prima che ci... incontrassimo, avevo già una mezza idea di andare via».
«Lo faresti davvero?» le domandò lei, meravigliata.
Annuendo, il giovane si sentì in dovere di precisare: «Solo... ti avviso che siamo a piedi, poiché sono venuto con due miei amici».
«Non fa niente, a me piacciono le passeggiate» ribatté la ragazza, scuotendo la testa e facendo ondeggiare le sue ciocche ramate. «Ma tu come farai a tornare a casa tua?»
«Non è troppo tardi, la Metro A è ancora aperta, posso prenderla a San Giovanni e scendere a Flaminio» le rispose Marcello, con semplicità. «Da lì troverò un bus notturno. L’ho fatto spesso, sono abituato».
Tradendo una certa sorpresa, Beatrice gli scoccò un’occhiata di curiosità ed interesse: «Se’ sempre così organizzato?» s’informò.
«Più o meno» considerò il giovane, con una rapida scrollata di spalle, mentre pensava che non sarebbe stato educato presentarsi da Gerardo e chiedergli di dare un passaggio ad una giovane appena conosciuta. «Prima di andare, però, devo informare i miei amici».
«Certamente» rispose lei, annuendo con un rapido cenno del capo. «A dire il vero, anch’io devo avvisare quello sconsiderato... sempre che riesca a capire quello che gli dirò...» aggiunse, affranta.
A metà tra l’intenerito e il dispiaciuto per la sua situazione, Marcello si soffermò a guardarla per un istante, prima di preoccuparsi di ricordarle: «Prendi anche la tua giacca, così poi potremmo andare via subito».
Non appena lui ebbe finito di pronunciare quelle parole, lei corrugò la fronte.
«Ah, be’, ecco, a dire il vero... non ce l’ho» balbettò, mentre le sue guance si colorivano di un lieve rossore. «Temo che sarò costretta ad andare in giro così» concluse, indicandosi. Quindi, abbassò lo sguardo sul suo vestito e, rabbrividendo per lo stato pietoso in cui si trovava, osservò: «Per fortuna, l’è buio».
Davanti alla sua stoica accettazione, Marcello si trovò 
inconsapevolmente a sorridere e la rassicurò: «Non ce ne è bisogno. Ti presterò la mia».

Procedendo con cautela, sempre attento a verificare prima di ogni passo che Maria Luisa non fosse nei paraggi per riacciuffarlo, il ragazzo riuscì finalmente a tornare nel salotto, ma ciò che trovò ad accoglierlo cancellò un po’ della serenità che aveva ritrovato grazie a Beatrice. Infatti, afflosciato su uno dei divani e concentrato nel fare a pezzi con inquietante minuzia un ombrellino per cocktail,
completamente isolato dalla confusione intorno a lui, c’era Gerardo, terribilmente scuro in volto. Di Vittoria, invece, non sembrava esserci traccia.
«Dove...?» cominciò Marcello, interdetto, senza però riuscire a finire la frase.
«È andata via con Marta e Paolo» gli annunciò l’altro, con una punta di irritazione, gettando in aria i resti della carta e dello stuzzicadenti.
«E perché...?» domandò, allora, il ragazzo, sempre più incredulo. Sapeva bene che Vittoria era una ragazza permalosa, ma non avrebbe mai creduto che sarebbe mai stata capace di lasciare una festa, dopo che aveva tanto insistito per andarci.
«Abbiamo... discusso in maniera abbastanza accesa, dopo che tu sei andato via con Maria Luisa» fece Gerardo, sbrigativo, alzandosi. C’era qualcosa nella sua espressione risentita che, per un secondo, fece credere a Marcello che quello potesse avercela con lui.
«Per quale ragione?» si arrischiò a chiedere, stentando a riconoscere il suo amico.
«Ad essere sincero, per una scemenza. Niente che valga la pena raccontare» minimizzò lui, sollevando un braccio con uno scatto nervoso che tradiva, invece, che le cose non stavano proprio così. «Allora, andiamo via?» chiese poi, con tono improvvisamente neutro.
Spiazzato da quell’atteggiamento, che l’altro assumeva solo sul lavoro quando qualcuno cercava di imbrogliarli, Marcello esitò prima di rivelargli: «Ecco, a dire il vero, ero proprio venuto per dirvi che mi sono offerto per riaccompagnare a casa una ragazza e...»
«Ah!» esclamò Gerardo, stupito, per poi aggiungere, acido: «Però, è proprio vero che alle sorprese non c’è mai fine!»
Domandandosi cosa si fossero detti di così terribile i due amici in sua assenza, da spingere Vittoria ad andarsene con altri e Gerardo a diventare così pungente, il ragazzo scrutò questi con una punta di scetticismo, non riconoscendo come sua quella vena caustica che gli aveva appena mostrato. Doveva anche riconoscere, però, che, negli ultimi tempi, quei due avevano cominciato a discutere troppo spesso e, forse, era stata una grave mancanza da parte sua non interessarsi al vero motivo di quegli screzi, etichettandoli come mero frutto della differenza caratteriale fra i due. Tuttavia, non riusciva proprio a capire cosa stesse cambiando tra di loro, dopo averne passate insieme di tutti i colori.
«Gerardo, ti dispiace se...» iniziò il giovane, incerto.
«No, no, tranquillo» lo fermò l’altro, scuotendo la testa. «In fondo, non posso certo dare la colpa a te per i miei problemi».
Quelle parole, che sembravano estrapolate da un discorso molto più ampio, colpirono molto Marcello, che si sentì ferito da quella mancanza di fiducia. Dopo più di vent’anni di solida amicizia, non credeva che si sarebbe mai trovato ad affrontare un discorso simile con lui.
«Gerardo, se c’è qualcosa di cui vuoi parlare...» riprovò. Inutilmente, visto che venne stroncato per una seconda volta.
«No, no, sto bene, davvero» tagliò corto l’amico. «Cioè, mi passerà. Come sempre».
Poi, senza nemmeno concedergli il tempo o il modo di riflettere sul vero significato di ciò che gli aveva appena detto, Gerardo lo salutò con un cenno del capo: «Allora, buonanotte, Marcello. Ci vediamo lunedì».
L’espressione di pura tristezza che, però, comparve sul suo volto mentre si avviava in direzione dell’ingresso, fu la cosa che più rimase impressa a Marcello, il quale rimase da solo in piedi in mezzo al salotto, la testa piena di dubbi.
***

Vista l’ora tarda, per strada Marcello e Beatrice non incontrarono anima viva, eccezion fatta per un paio di Alfa 75 che viaggiavano pigre per il centro cittadino.
Mentre camminavano fianco a fianco sul marciapiede, i due giovani scambiarono ancora più di qualche parola ed il ragazzo trovò molte conferme alla prima impressione che aveva avuto su di lei: nonostante fosse di qualche anno più piccola di lui, avendone compiuti diciotto appena quattro mesi prima, era indubbiamente molto matura. Gli aveva anche raccontato brevemente del suo recente trasferimento nella Capitale, lasciando trasparire una nostalgia di casa che contrastava con la sua apparente sicurezza. In realtà, che fosse orgogliosa l’aveva già intuito dal modo in cui aveva affrontato Navarra, ma quel particolare servì a rafforzare l’idea che se ne era fatto.
Era molto diversa dalle ragazze che aveva conosciuto fino ad allora, questo doveva riconoscerglielo. Inoltre, parlare con lei fu una piacevole distrazione dalle preoccupazioni per i suoi migliori amici: per venire a capo del loro strano comportamento avrebbe fatto meglio a parlare con loro separatamente, ma non sapeva se ciò sarebbe stato sufficiente a convincerli a dirgli la verità, poiché aveva il presentimento, o forse il timore, che gli nascondessero entrambi qualcosa che non avevano nessuna intenzione di rivelare.

Quando arrivarono all’incirca a metà di Via Merulana, ad un incrocio tra questa ed una stradina privata, Marcello scorse una villetta fatiscente che si sviluppava su tre piani, circondata da alti palazzi eleganti. La ragazza non disse nulla e lui evitò qualsiasi commento, anche se si augurò, per la sua stessa incolumità, che quella catapecchia non crollasse da un momento all’altro come spesso accadeva a vecchi edifici mai messi in sicurezza.
«Grazie d’avermi accompagnata» sussurrò Beatrice, una volta che furono davanti al cancello cadente e male illuminato da un lampione, facendo per togliersi la giacca e restituirgliela. Tuttavia, Marcello la fermò, scuotendo vigorosamente la testa.
«No, tienila. Fa freddo» le consigliò, fermo.
«E quando potrò ridartela?» gli domandò, allora, l’altra, guardandolo perplessa.
Messo davanti a quella giustissima obiezione, il ragazzo la osservò a sua volta, mentre prendeva coscienza del fatto che non gli sarebbe affatto dispiaciuto rivederla.
«Be’, suppongo che potremmo metterci d’accordo per uno dei prossimi giorni» affermò, pratico.
Allora, Beatrice strinse le labbra con atteggiamento pensieroso, come se stesse valutando attentamente che risposta dargli.
«Ecco, Marcello, i’ mi’ insegnante privato è ammalato, pare che abbia un brutto raffreddore che lo costringe a stare a letto» esordì poi, incerta. «Martedì prossimo saremmo dovuti andare a vedere la basilica di sant’Agostino, dov’è custodita la Madonna dei Pellegrini di Caravaggio e...»
«Ti piace il Merisi?»
«Conosci il vero nome di Caravaggio...?» fece lei, sinceramente meravigliata.
In risposta, Marcello annuì senza troppa enfasi, forse dando per scontato qualcosa che, stando agli occhi scintillanti di Beatrice, tanto ovvio non era.
Dopo quella breve interruzione, però, l’altra riprese, dimostrando un certo entusiasmo: «Sai, mi stavo chiedendo se ti piacerebbe accompagnarmi tu, dato che conosci molto bene Roma. Ovviamente, solo se vuoi e non hai altri impegni per la giornata. Così, potrò anche ridarti la giacca».
Gli aveva detto tutto senza quasi prendere fiato, continuando a guardarlo con attenzione, forse temendo di ricevere una risposta negativa. Invece, a lui quella proposta piacque subito, poiché, pensava che, accompagnandola a visitare qualcosa che le interessava, forse avrebbe sentito meno la mancanza di ciò che aveva lasciato a Firenze.
«Hai detto martedì?» le chiese, ripassando a mente tutti i suoi impegni e cercando di ricordare se quel giorno fosse libero oppure no.
«Sì, martedì pomeriggio».
«Mmh, si potrebbe fare. Devo solo accordarmi con il mio socio per organizzarci con il lavoro» commentò Marcello, meditabondo. «Va bene per te se ci incontriamo direttamente lì fuori?»
Aprendosi in un gran sorriso riconoscente, la ragazza annuì, arrossendo appena.
«Certamente, nessun problema. Cosa ne dici delle quattro e mezza?»
«D’accordo» le confermò lui, soddisfatto.
A quel punto, Beatrice tirò fuori le chiavi dalla micro-borsa che portava a tracolla e, dopo qualche tentativo, riuscì a far scattare la serratura del cancello, che si spalancò con un cigolio da perfetto film dell’orrore, mostrando un giardino incolto e disseminato di rottami di ogni tipo. A quella visione, il giovane alzò un sopracciglio e fu certo che se Dario Argento si fosse trovato a passare da quelle parti, avrebbe potuto trarne qualche spunto interessante per i suoi film.
La ragazza, però, ignorando tutto il degrado che la circondava, si voltò verso di lui un’ultima volta per chiudere il battente che pendeva pericolosamente tutto da una parte e, con un dolce sorriso, lo salutò: «Grazie ancora, Marcello. A presto, allora e buonanotte».
«Buonanotte, Beatrice» rispose lui, restando a guardarla finché non risalì i pochi gradini che conducevano al portone e venne inghiottita dal buio della casa.
Una volta rimasto solo, il giovane si avviò con tutta calma verso la fermata della metro, assaporando la tranquillità notturna e concedendosi del tempo di metabolizzare tutti gli avvenimenti di quella bizzarra serata, dallo stravagante atteggiamento di Vittoria e Gerardo, fino all’amarezza malcelata di lui, allo scontro con Navarra e l’incontro con Beatrice. Se sua madre avesse saputo come era fuggito da Maria Luisa per poi accompagnare a casa una ragazzina sconosciuta, non sarebbe stata affatto contenta di lui. D’altra parte, però, da quando lui aveva memoria, la signora Claudia aveva sempre avuto da ridire su qualsiasi sua decisione, pertanto, mentre scendeva i gradini della stazione di San Giovanni, Marcello concordò con se stesso che, in fondo, il problema non esisteva.




***
Per la revisione di questo capitolo ringrazio Lady Viviana per la sua gentile collaborazione e disponibilità.
Come sempre la grafica del titolo non sarà granché ma è opera mia.
Ringrazio anche Anto, che ha letto molto di questo in anteprima e mi ha dato un parere.
***
[N.d.A]
1. What a... life: sono versi tratti dalla canzone What a feeling, facente parte della colonna sonora del film “Flashdance” (1983);
2. Bambino Gesù: è l’ospedale pediatrico di Roma, disposto sotto la direzione e amministrazione della Santa Sede;
3. Gioca jouer: ballo di gruppo portato al successo dal dj Claudio Cecchetto (1981);
3. Thriller: singolo del 1983 di Micheal Jackson;
5. Alexandre Sterling... Il tempo delle mele: film francese del 1980 che narra una storia d’amore tra due adolescenti. Vittoria e Marcello si riferiscono in particolare alla scena della festa dove la protagonista, interpretata da Sophie Marceau, incontra il suo primo amore, interpretato da Alexandre Sterling, il quale le mette a sua insaputa delle cuffie con la nota canzone “Reality”, riuscendo così a ballare con lei un lento, mentre gli altri invitati si scatenano intorno a loro;
6. The Final Countdown... I want to break free: la prima è un singolo degli Europe (febbraio 1986), la seconda appartiene all’album “The Works” (1984) dei Queen;
7. come... Ritorno al futuro: in effetti, nel film del 1985 (uscito in Italia il 18 Ottobre di quell’anno), considerato un’icona degli Anni ‘80, è presente una scena con dinamiche simili tra il padre del protagonista da giovane, la futura moglie e il bullo di turno. Originariamente, la citazione non era voluta, tuttavia, quando mi sono resa conto della similitudine, l’ho inserita nella riscrittura, poiché, essendo il film degli anni in cui è ambientata la mia storia, mi è sembrata molto adatta.
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Ho sentito l’esigenza di riscrivere i primi due capitoli perché, essendo scritti molto prima rispetto al resto, avevano uno stile diverso e molte pecche a livello di trama, sembrando l’incipit di una storia esclusivamente romantica.
Ribadisco, però, alcune premesse della versione originale, per chiunque si approcci per la prima volta a questo racconto: le lettere in corsivo nelle battute di Beatrice stanno ad indicare laccento toscano (non parla propriamente il dialetto stretto, vedetela più come una sorta di inflessione con la presenza, talvolta, di qualche intercalare dialettale) e sono consapevole di aver messo più di un cliché, ma è tutto voluto, visto che la trama segue lo stampo fiabesco.
Inoltre, se davvero pensate che in tempi moderni (che siano gli Anni ‘80 o i giorni nostri) non ci siano più pressioni sociali/familiari riguardo il fidanzamento/matrimonio, lasciatevi dire che non è sempre così, purtroppo. 

Grazie a tutti quelli che passeranno di qui, vecchi e nuovi lettori.

Halley S.C.

  
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