Storie originali > Drammatico
Segui la storia  |       
Autore: SakiJune    13/06/2007    2 recensioni
E' una storia (lunga) sull'amore, il coraggio e la vigliaccheria dei sentimenti... "Nel duemilauno avevo diciott'anni, i capelli lunghi, i vestiti stracciati e le tasche rifornite di erba. Mi ero iscritto da poco all'università ed ero già indietro con gli esami in maniera preoccupante. Mi facevo chiamare Shin: un nomignolo per lo meno coerente con i miei lineamenti"
Genere: Romantico, Triste, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

La lampada dalla luce forte sulla scrivania, la porta aperta della mia camera, il profumo dei biscotti della mamma. Il mio quaderno di giapponese... un me stesso di dieci anni all'ombra del Financial Times di mio padre, i cui occhi sottili si alzano talvolta dall'angolo di una pagina, per correggere un ideogramma storpiato:

- Così è solo una "o", Shin, cos'è questo sgorbio, hai dimenticato un pezzo per strada? Se vuoi scrivere "grande", che poi lo vedi tutti i giorni nei cartoni animati, guarda... - Le sue dita perfette tracciano la versione armoniosa di quei miei goffi tentativi. E insieme alla sua lingua mi insegnava la sua verità,

(tu non hai un fratello)

mi comunicava la sua gelosia degna di un siciliano - ma davvero, in Italia non conobbi mai un uomo tanto ossessionato...

(non hai un fratello perché tua madre non può aver avuto un altro uomo)

Però, nella mia mente di bambino, non credevo certo che Declan non esistesse; lo assimilavo piuttosto ai personaggi buffi della TV: buffi e noiosi. A Milano, anni e anni dopo, scoprii un presentatore di talk-show che me lo ricordava molto. E in quel momento capii una cosa: che nessuno è ora come lo ricordi. Le immagini degli altri che conserviamo in testa sono profondamente diverse dal viso che ci troveremo di fronte quando li rincontreremo.

Se li rincontreremo.


Stephen si avvicinava ai tre anni, con l'energia di uno Scorpioncino cresciuto tra gente adulta e buona musica. Aveva i capelli biondissimi come Laura, ma ricci, e gli occhi chiari di Deke. Iniziò l'asilo prestissimo, si dimostrò sveglio e socievole con gli altri bambini, ma il suo vero divertimento era stare con Swann. Il locale era diventato un'istituzione, a dispetto delle gufate del sindaco e dei filo-discotecari di C., e ospitava, due volte l'anno, il festival jazz della contea. Gli eventi principali si svolgevano all'aperto - lo Swinging dava su Devon Square - ma i solisti si esibivano nella sala arancione. Due sere alla settimana Lance, il ragazzo di Swann, dava lezioni di ballo.

Una domenica, dopo pranzo, Martha era scesa dalla vicina e Laura stava lavando i piatti con la radio accesa. In soggiorno, sul divano, Stevie sfogliava un libro illustrato e Deke leggeva il New Worker. Ad un tratto si alzò, visibilmente affaticato, stropicciando il giornale che cadde sul pavimento. Stevie staccò gli occhi dalle figure del libro, voltandosi a guardare suo padre: questi, con un certo sforzo, gli fece cenno di tacere ed uscì dalla stanza. Per la prima volta nella sua ancor breve esistenza Stevie conobbe la paura. Era una vera e propria scelta, quella che si trovava davanti: restare zitto e buono come gli era stato ordinato, andare dalla mamma a dirle... a dirle cosa? Che papà è andato in bagno? Sbirciò la porta della cucina, poi saltò giù e seguì Deke in corridoio. La porta del bagno gli sbatté in faccia.


- Declan? Va tutto bene?

Dì la verità, signor Kaufmann, non te l'aspettavi? Credevi che il destino avesse cambiato idea, lo credevi davvero? Pensavi di averla passata liscia, eh no, bello, comincia pure a dire addio - paga i debiti e chiudi le persiane.

Si guardò allo specchio. Il viso era chiazzato di rosso. Era stata una crisi passeggera? Un'irritazione di qualche fottuta mucosa bronchiale? Ricordò che a due anni io avevo cominciato a soffrire di una forma asmatica: nient'altro che allergia a due o tre tipi di frutta.

Balle.

Il tempo era scaduto. Cominciava il conto alla rovescia.

Ora apro la porta, lascio entrare Laura, la guardo negli occhi e le dico... che cosa? Quello che le fa più paura in assoluto. Io non posso! Non voglio vederla piangere, è orribile!

Perché?

In quei brevi minuti il desiderio di Dio gli riattraversò la mente. Era stata colpa delle sue idee se...

Era stato anche grazie ad esse che aveva conosciuto lei. No, non c'era stato niente di sbagliato, solo che adesso veniva la parte più difficile.

Non si trattava di rimandare la sofferenza, questo era impossibile: l'unica via era sostituirla con un altro dolore. Certo, poteva risultare addirittura peggiore, ma non credeva di avere alternative.


Dal Diario di Laura Bradley Kaufmann, estate 2008:


"Ma mi ami? Ma sei caduta così in basso?" mi dice sempre più spesso. E non è più l'insicurezza, la disistima di sé che sento in queste parole... mi pare ODIO... mi sembra che tutto intorno a me si oscuri e la nostra strada si divida... ma dove andremo, allora? E' possibile che mi abbia mentito per tutto questo tempo? Ha finto anche con Stevie? La sua indifferenza mi travolge, mi spaventa.

[...]

Non prova un minimo di vergogna a parlare di me ad alta voce con i clienti dello Swinging. Ieri sera scherzava con Swann a proposito di uno stock di bottiglie di rum "che poteva pagare semmai in natura, aveva giusto qualcosa da rottamare". Qualcuno direbbe, l'hai detto tu, scherzava soltanto: ma in quel momento nessuno, nemmeno Swann, ha percepito la cattiveria con cui l'ha detto, a parte me.

[...]

Mi si potrebbe tacciare di paranoia... se non fosse che Drew si è accorto benissimo di quello che sta accadendo! Dunque saremmo in due ad essere impazziti? No, è che Deke è cambiato, mi odia, lo so! Cerca di litigare ad ogni occasione, ma non è nemmeno questa la cosa più terribile, è che si sta allontanando anche da Stevie: anche con lui è diventato freddo, e per quanto nostro figlio cerchi il suo affetto, lui la butta a ridere o lo prende in giro.

[...]

Declan, perché non mi parli? Chi può spiegarmi che cosa succede al mio uomo? Come può essere cambiato tutto da un giorno all'altro? Ci si può alzare un mattino e decidere "non ti amo più"? Può essere, a questo punto può anche darsi. Ma che non voglia più bene a Stevie?

[...]

Mi chiedo se quest'uomo sia lo stesso di cui mi sono innamorata quella sera in sezione, l'uomo che ho scelto fra mille e che ancora sceglierei ogni giorno, senza esitare. Cosa lo turba? Qualche mese fa non avrei avuto alcuna soggezione a domandarglielo - ma ora - ora! E' davvero un estraneo... ultimamente, poi, ha preso l'abitudine di dormire al locale. Mi ha ripudiata, temo. Il suo cuore ha abbandonato questa famiglia che sembrava renderlo felice, ma che a questo punto non gli basta più. Gli hai chiesto tu di sposarti, mi ripeto spesso.


Declan continuava la sua farsa. Quando era costretto a restare a casa, la notte, credeva di impazzire. Sentiva il desiderio di accarezzarle le labbra, di posarvi un bacio leggero e poi svegliarla... e dirle tutto. Ma quando a volte lei apriva gli occhi, e sarebbe stato così semplice rompere il muro, si faceva forza e si voltava dall'altra parte, mostrandosi irritato all'ennesimo grado, brontolando che non riusciva a dormire in quel letto - nascondendo le lacrime che altrimenti le avrebbero parlato d'amore.

Ormai la gestione del club era tutta sulle spalle di Swann. Il giovane era disorientato dal comportamento di Declan, che era sempre stato un datore di lavoro quanto mai gentile e scherzoso, e che ora si dimostrava un socio scorbutico e per nulla collaborativo. Rinunciò al teatro, alle conferenze, alle vacanze... per fortuna di musica poteva averne quanta ne voleva.

Gli dispiaceva per Laura, che lo pregava (oh quante volte!) di dirle quello che sapeva: se c'era un'altra donna, o qualcuno che "preoccupasse" Deke - si riferiva evidentemente a qualche forma di racket o ad un usuraio o cose così - ma Swann non solo non riusciva a immaginare che cosa fosse successo a Declan, ma non ci dormiva la notte, proprio come lei! Con la notevole differenza che... Swann non era innamorato di lui.


"Gli dà fastidio se lo chiamo per nome. Credevo, e credo ancora, di non poter vivere senza di lui; ma adesso mi è proprio impossibile restare... soprattutto perché capisco che non mi sopporta più. E anche per Stevie. Sta respirando troppo veleno.

[...]

Mi sono vista di nuovo con Drew, gli ho chiesto di passare al locale per cercare di capire cosa frulla in testa a Deke. Ma che mi aspettavo? Gli ho solo procurato un dispiacere. Lui l'ha accusato di aver fatto un pessimo lavoro (ma se tre anni fa l'aveva ringraziato con le lacrime agli occhi!), ha tirato in ballo vecchie divergenze, il tutto con un sorriso crudele - penso che fosse lo stesso che ho imparato a conoscere così bene in queste settimane - e stordendolo a colpi di Martini. Drew ha concluso il suo reportage con una parola che prima o poi avrei sentito: lascialo. E so che Richie mi direbbe e farebbe di peggio, perciò non voglio che venga a sapere nulla. Sarebbe capace di... oh, ma che cosa significa? Declan vuole farsi odiare da tutti? Eppure con i fornitori e con quelli dell'orchestra non si comporta così. Ce l'ha solo con chi gli vuole bene."


John non credette mai alla messinscena di Deke. Chiese, indagò, stuzzicò, senza risultato: e la conclusione che poté trarne fu che non era una questione di sentimenti. Se Declan aveva smesso di amare qualcuno, questi era se stesso, ed era un problema che nessuno poteva risolvere al posto suo. Perché altrimenti, lui gliel'avrebbe detto, ne sono sicuro. Sarebbe passato da casa sua, lo sguardo circospetto quasi si aspettasse che la moglie sbucasse fuori da qualche porta - e si sarebbe versato da bere:

- Ma non hai dodici ripiani colmi di questa robaccia, al locale?

- Sì, ma sul lavoro non alzo mai il gomito.

E gli avrebbe raccontato di come si fosse pentito d'aver sposato una bambina viziata, spendacciona e sporca.

Ma non era successo nulla di simile - non sarebbe mai potuto accadere. Fatto sta che lei se n'era andata, era stata costretta a sloggiare con Stevie, non prima di essersi sfogata come è prassi in ogni separazione

TU MI PAGHI GLI ALIMENTI FINO A CHE NOSTRO FIGLIO NON FINISCE L'UNIVERSITÀ!

- Figurati, se è secchione come sua madre gli daranno tre borse di studio già alle elementari!

(amore piccolo amore mio se sapessi che non ci sarò nemmeno al suo prossimo compleanno)

John non gli credette mai, dicevo, ma lo stesso aveva finto così bene. Gli ebrei, e anche gli irlandesi, come i napoletani e i greci, hanno il tocco dell'artista, hanno spiccate doti istrioniche, un talento speciale per il trasformismo, ed eventualmente eccellono nella carriera diplomatica. E se un irlandese può essere spesso timido, ed esprimerà il suo genio interiore diversamente, con la musica ad esempio, chi ha anche una sola goccia di sangue d'Israele non può fare a meno di essere brillante in ogni situazione.

Così Declan aveva allestito l'ultimo atto della sua tragedia familiare, come palcoscenico le mura di casa, come protagonisti inconsapevoli le persone da lui più amate, regista di un Truman Show crudele - e non pensate che questa grande Menzogna, questo nascondere le sofferenze, pronunciando parole dure contro la sua stessa carne, che fremeva dal desiderio d'accarezzare e proteggere,

non pensate che tutto questo abbia accelerato la sua fine?


What was that you were looking for

that took your life that night?

They said they found my high school ring

clutched in your fingers tight.

(M. Dinning)


Il sipario si era già abbassato. Gli attori erano già ognuno nel suo camerino a togliersi il trucco - o ad applicarsi quello di tutti i giorni.

Che faceva Laura?

Stava a casa della madre mentre lei era fuori a cena con il suo Gabe e aveva messo a letto Stevie. Non si faceva più domande. L'indomani aveva appuntamento con un avvocato.

E Deke?

Beh, a Deke non piaceva affatto quello che vedeva allo specchio.

Altro che compiacersi per l'ottima esibizione! Provava solo un gran ribrezzo. Lasciò il teatro dall'uscita di servizio, e uscì allo scoperto. Al freddo. Alla pioggia. Alla verità che è amore.

Suonò al campanello di sotto. Laura pensò che la madre fosse rientrata in anticipo perché aveva litigato con Gabe, ed era preparata al massimo ad una camomilla in famiglia. Non aveva motivi per sperare in lui.

Ma sentì che i passi sulle scale non erano femminili, e tanto meno quel respiro affannato. Non sperava, e tuttavia era vero. Era venuto a cercarla. Era vicino a lei. Li separava solo una porta sottile.

(e quando ti disse che era tutta un'abitudine)

Ma è qui per me.

(che il matrimonio è un'istituzione assurda che è una dannata sovrastruttura)

Devo ascoltarlo.

(che sei stata tu a chiederlo che ti doveva un favore piccola illusa)

- Laura. Amore. - Le bastarono queste due parole a dimenticare tutte le altre.

- Sono venuto a riprendermi l'anello della scuola.

- Spostiamoci dalle rotaie allora.

E sì, lei tolse il chiavistello, girò la maniglia e un treno li travolse. Perché era di nuovo tutto come quella mattina alla stazione. Era ancora meglio, ché non c'era neanche John a rompere le scatole.

- Laura. Cara, cara perdonami...

Lo guardò alla luce del pianerottolo ed ebbe un brivido. - Ma ti sei inzuppato! Vieni dentro, per carità! Pazzo, sei pazzo ad uscire così. - Prese un asciugamano, gli strofinò i capelli, poi gli sbottonò la camicia.

- Senza di te era uno schifo. - Lei gli toccò la fronte. - Se ti viene la febbre cosa faccio? Eh? - Gli sfregava il petto, la schiena, le braccia che ora non riuscivano a stare ferme e la stringevano. - Oh Deke! Tu devi dirmelo perché volevi farmi impazzire!

In camera da letto trovò un maglione di Gabe. Verde, ma era meglio di niente. Declan non smetteva un attimo di baciarle le labbra, il collo, i seni. Si tuffava tra i fiori di un prato in primavera. Non faceva più freddo, perché lei era calda, era bella, e i tuoni erano fuochi artificiali, se non guardavi e non avevi paura.

- Mettitelo.

- Ma non sento freddo. Sento te...

- Voglio tornare a casa, amore, andiamo?

(mi vuoi ancora davvero?)

- A casa? Adesso? - il suo sorriso esplose. - Oh Laura! Tu sei la mia gioia. Puoi davvero scusarmi di tutto? Io non posso spiegarti, forse non potrò mai.

- Andiamo.

- Andiamo.

Mentre uscivano, la luce dell'ascensore si accese e Laura capì che la madre stava salendo. - Prendiamo le scale - disse - l'ultima cosa che desidero è che ti veda qui stasera.

Aveva smesso di piovere. Tranne che sotto i cornicioni.

- Hai ragione a vergognarti di me. Di sicuro lei non mi perdonerà mai.

Laura cascò dalle nuvole. - Declan... non capisci? Non mi importa niente cosa pensa di te... ma non sopporto come ti guarda. Non lo sopporto, okay? - Lui annuì. Era felice. Non si era aspettato che lei lo amasse ancora, ma che dopo tutta la Grande Menzogna fosse rimasta intatta anche tutta la stima che aveva di lui, era incredibile.

Era così forte la gioia di averla vicino. Tutti i suoi propositi si erano dissolti con l'ultimo sprazzo di sole di quella lunga giornata. Era stato tutta la mattina al telefono con il manager del musicista che avrebbe suonato l'indomani allo Swinging, si era dimenticato di pranzare salvo poi mandare giù un panino a metà pomeriggio. Come al solito non si sentiva affatto bene.

E non era affatto più tranquillo. Non ci sarebbe stata mai la certezza che, solo perché lui si era così bruscamente allontanato, lei non avrebbe sofferto dopo. Stava solo costruendo intorno ad entrambi una prigione che non faceva trapelare le verità difficili ma nemmeno quelle che dobbiamo conoscere per andare avanti.

La verità è che lui stava morendo.

La verità è che lui amava Laura e Stevie.

E nella notte, per fortuna, fece crollare le mura di quella prigione, fece cadere le assi del palcoscenico su cui aveva recitato per mesi, e consumò le ultime energie - questa volta non è una metafora né un'iperbole - provando a vivere, in poche ore, tutto ciò che si era perso per colpa di un orgoglio assurdo.

E stringendo la sua donna tra le braccia, baciandola in ogni centimetro del corpo, gli scoppiava nella mente il pezzo di Cole che aveva cantato

(sussurrato)

al microfono durante il pranzo di nozze:


Yes sir that's my baby

no sir don't mean maybe

yes sir that's my baby now.


That's my baby again.



Aiutami, Laura, non voglio andarmene adesso. Voglio accompagnare Stevie il suo primo giorno di scuola, voglio festeggiare i nostri dieci anni di matrimonio, voglio fare l'amore con te come stanotte, tutte le notti. Voglio vederti addosso quel vestito che hai comprato ai saldi dell'anno scorso, e voglio conoscere tuo padre anche se dici che è uno stronzo. Lo so che è chiedere troppo, il sogno non poteva durare così tanto... ma non voglio morire ugualmente. Tutto questo dicevano i suoi occhi, e non capiva perché questi desideri non potessero essere esauditi. Abbiamo chiesto troppo, sì, forse è così, ma ora non posso accettare di perdere tutto.

Non posso accettare di perdere Deke.

Doveva chiedere aiuto, lo sapeva, ma non riusciva a staccare gli occhi dai suoi. Era sicura che, se si fosse allontanata, se avesse lasciato quella stanza, lui sarebbe morto. Ma non sarebbe sopravvissuto solo perché lei era lì a dirgli che l'amava, non è l'amore a fare miracoli, sono i respiratori e gli stimolatori cardiaci e le flebo. Qualche volta.

Fu uno sforzo tremendo, ma riuscì ad alzarsi e uscire dalla stanza.

'istinto bussò alla porta di mia madre, poi l'aprì senza aspettare risposta. Lei lesse la disperazione e l'angoscia sul suo viso, ma non sembrò allarmarsi: parve a Laura più forte in lei la sorpresa di vederla di nuovo a casa. Senza alcuna fretta, indossò la vestaglia. Sembrava tanto più vecchia... e sembrava anche qualcos'altro, ma Laura non capiva, voleva solo che si sbrigasse, che andasse da Deke mentre lei chiamava un'ambulanza, e se avesse compreso, se... se si fosse fermata a guardarla meglio sotto la luce, non l'avrebbe mai lasciata sola con suo figlio.

Mentre si precipitava sul telefono, inciampò in un pezzo delle costruzioni di Stevie. Era a piedi nudi, e il dolore fu lancinante. Perse l'equilibrio e tentò di aggrapparsi a qualcosa, a qualsiasi cosa... e in un terribile errore si trovò a terra, con in mano la cornetta. Doveva essere una scena buffa, ma fu orribile. La portò all'orecchio, mentre si rialzava e valutava il misfatto. Il resto del telefono, tenuto in sospeso dal filo a spirale alla cornetta, era finito nel ripiano di sotto, insieme alle pagine gialle e alle cartine delle autostrade. Non sentiva nulla. Il cavo si era staccato dalla spina; penzolava dietro il mobiletto come una coda o una stella filante.

Corse in soggiorno, mentre il piede continuava a pulsarle di dolore, e si guardò attorno cercando la borsetta: era sul divano, mezzo nascosta dall'impermeabile ancora umido.

Cominciò a frugarvi dentro, mentre l'ansia prendeva il sopravvento, mentre le lacrime le offuscavano la vista e sentiva le mani gelide perdere sensibilità. Con uno scatto di nervi rovesciò la borsa tenendola per il fondo, e tutto il contenuto si sparpagliò tra i cuscini: chiavi, fazzoletti (Dio sapeva se ne aveva consumati, in quei giorni), caramelle, il portafogli e, finalmente, il cellulare. Tenerlo in mano le sembrò come afferrare la maniglia di un portone per uscire da una casa in fiamme (sic). Sarebbe andato tutto bene.

Ma mentre aspettava di mettersi in comunicazione con i soccorsi, sentì - no, più che altro non sentì - di nuovo, come nella cornetta del telefono, un silenzio impressionante. Di nuovo cominciò ad agitarsi. - Martha! - chiamò, ma lei non rispose. Andò in camera, e vide.


Swann andò ad aprire il locale, mise su la musica, sistemò i salatini, e aspettò.

Aspettò.

Solo quando si accorse che, sebbene ci fossero 5 CD differenti nello stereo, aveva già sentito elencare dalla Vaughan le sue cose preferite una mezza dozzina di volte, diede un'occhiata all'orologio e gli venne un discreto dubbio. Anzi, due.

Il primo era che Laura fosse tornata a casa ed era meglio non chiamare per non disturbare i piccioncini, chiudere tutto e...

Il secondo era che lui, Swann, non si fosse ricordato che era giorno di chiusura.

Ma no, era sabato, quella sera si sarebbe esibito un pianista francese. Il quale sarebbe arrivato in treno da Londra, poi bisognava accompagnarlo all'albergo, aspettare che si sistemasse, poi fargli prendere confidenza con quel pianoforte, e un milione di altre cose. Perciò si accinse a telefonare ai signori K.

- Che cazzo significa disattivato? - si chiese quando la voce registrata gli comunicò che niente, se voleva parlare con i padroni doveva andare a trovarli a casa. Provò con il cellulare di Laura, anche se non era affatto sicuro che fosse in città o che le importasse più niente della serata musicale, se è per questo. Squillava, ma non rispondeva nessuno. E anche se la preoccupazione non era un sentimento che avrebbe mai potuto sfiorare la testolina rasta di Ewan Bates, non trattenne però la sua curiosità.

Della pioggia della sera prima restava solo qualche macchia scura sull'asfalto, quando parcheggiò la sua Renault impolverata davanti al 14 di Whitham Road. Mentre scendeva dall'auto notò una figura accoccolata sulla soglia dell'androne, che riconobbe quando fu più vicino. Non trattenne un brivido. Aveva la testa appoggiata al portoncino socchiuso, le gambe premute contro il corpo e sembrava guardarsi le mani, gli occhi fissi e trasparenti.

- Signora Mohin?

Allungò una mano.

- E' stato meglio anche per lei.

- C-cosa? - balbettò Swann.

- Ancora? Per quanto doveva stare così male? Ancora, e ancora? Io volevo chiudere gli occhi e sapere che i miei figli non avevano bisogno di niente. Io volevo morire prima di loro... perché è così che va in tutto il mondo, vero? Non c'è scritto da nessuna parte che obbliga una madre a vedere quello che stavo vedendo. Suo padre è stato due mesi in ospedale prima di andarsene. Ma è stato un incidente... mi manca, mi manca ancora Ernst, ma non è stata colpa di nessuno... e invece ora sono anni. Anni, e andava sempre peggio...

Swann ascoltava, rapito dalla follia di quelle parole, ma forse più dalla loro ragionevolezza. Qualsiasi cosa abbia fatto, mi sembra lucida, pensò, e un istante dopo: è solo perché lei è oltre la pazzia. Sentì il rumore di uno sportello, dei passi e un frusciare di plastica, e si voltò: una donna, che probabilmente abitava nella palazzina, stava rientrando con la spesa e un borsone blu.

- Martha! Mio Dio, che cosa succede? - fece quella, accorrendo.

Swann ne approfittò per scivolare nell'androne. Fu allora che sentì quelle grida terribili. Era una voce che da tempo non ha più nulla a cui attingere per continuare a riempire l'aria di dolore, che normalmente non esce dalla gola di un essere umano, a meno che questi non abbia visto l'inferno. Da quanto sta piangendo così? si chiese, senza alcun dubbio su chi stesse piangendo.



Si è consumata ieri mattina verso le nove in un tranquillo appartamento di Witham Road la tragedia familiare che ha come protagonisti Martha Mohin, pensionata ultrasettantenne, e il figlio Declan Kaufmann, 51 anni, gestore del club 'Swinging Years'. Secondo una prima ricostruzione, basata sulle testimonianze raccolte finora, l'uomo era in preda ad una crisi respiratoria acuta, di cui soffriva in seguito alle ferite riportate nell'attentato alla sede locale del NCP in cui era stato coinvolto nell'ottobre del 2003. La madre avrebbe deciso di porre fine alle sue sofferenze soffocandolo con un cuscino. E' ancora in corso la perizia psichiatrica che dovrà stabilire se la donna sia imputabile di omicidio. La moglie della vittima, Laura Bradley, è tuttora ricoverata in stato di choc all'ospedale di C. "Non nego che la signora Mohin fosse da tempo in ansia per la salute di suo figlio" racconta Ewan Bates, dipendente dello 'Swinging Years' "ma immaginare un gesto simile non era possibile. Eutanasia? Se è così, non è stata richiesta. Se c'era una persona che amasse la vita, quello era il signor K." Declan Kaufmann lascia anche il figlio Stephen di tre anni e il fratello Seamus, oltre ad amici e conoscenti di cui si fa portavoce il signor John Farrell e che lo ricordano "con l'affetto riservato agli uomini onesti, generosi, che non rinnegano i propri ideali nemmeno davanti alla violenza e all'intolleranza".



Erano al POC. Gli squarci nelle vetrine semioscurate lasciavano passare una luce che non era di questo mondo. I sigilli della polizia scoloriti giacevano sulla soglia.

Declan indossava una maglietta e un paio di jeans chiari, il che gli dava un'aria giovanile che non gli aveva mai visto. E' così che si vestono gli angeli? pensava. Allora, quanti ne avrò incontrati finora per strada? Il suo volto aveva perso l'ombra sofferente e minacciosa degli ultimi mesi. Però non era nemmeno la vecchia espressione da eterno single socialmente impegnato. C'era amore, di una tinta meno abbagliante, finalmente e troppo tardi.

Tra i calcinacci anneriti trovarono ciò che cercavano. Lei distolse lo sguardo. Era quella macchina da scrivere, ormai una massa informe di metallo, ma ancora con tutta la capacità di uccidere nascosta in ogni fessura. Di uccidere lentamente, lasciandoti il tempo di sposarti, avere un figlio, aprire un jazz club, sognare, illuderti di avere ancora tempo per guardare il mondo, amarlo e lasciarsi amare. Guardando verso la porta, la luce era insopportabile, e aveva paura che lui scomparisse, perciò tornò a voltarsi. Declan le prese la mano: abbiamo dimenticato, le disse con una voce serena. Abbiamo portato rancore ad uno spostamento d'aria... ma non sono le macchine da scrivere a fare del male, né le bombe, né le pistole: sono gli uomini. Sono stati tre ragazzini con le scarpe firmate e in testa idee macabre riciclate dai libri di storia e adattate ai loro cervelli viziati e rimpiccioliti da pasticche velenose. Perché se incolpiamo un pezzo di metallo, ok, ero stato io ad appoggiarla là sopra a prendere polvere, quando Auburn aveva portato il computer. Ero stato io anche a rimandare quando Pete Jessup si era offerto di puntellare gli scaffali. Quanto ai vetri anti-sfondamento, è un discorso che si può estendere a tutti noi. Bastavano poche sterline, il fratello di Richie non si sarebbe certo fatto pagare la manodopera. Ma come non è stata colpa nostra, non lo è stata né delle cose, né del destino. Per nostra fortuna e sfortuna la nostra indole ci porta ad avere fiducia nella natura umana... Certo, è sbagliato cercare un capro espiatorio per ogni nostro errore, ma dare a noi stessi la colpa per le azioni deliberate degli altri è puro masochismo.

Dovremmo ricostruire qui? chiese. Non lo domandare a me, rispose Declan, e le sue mani le accarezzavano il viso come fresche farfalle. Potete andare avanti così o addirittura mollare tutto. Per me non cambia niente, la politica di questo mondo non mi riguarda più. Non... provò a replicare, ma lui la portò nella luce accecante, fissandola con un'espressione arrabbiata che non conosceva. Non? Dirmi così? Non farmi ricordare? Non smuovere il dolore, taci la verità, non parlare, non fare, nascondimi dalle responsabilità, sono fragile, sono piccola, non voglio sentire! Basta, Laura! Basta scappare! Cosa ti aspetti dalle persone, che siano perfetti, che siano immortali? Avrei dovuto ucciderti perché tu non corressi il rischio di perdermi? Sei così infantile da farmi pentire di avere sprecato i miei ultimi anni con te!

Gli occhi le facevano male, le sue parole le facevano male, e pensava: se questo è l'addio che ho rimpianto -

Ti sbagli, amore, l'addio che volevi è questo, sussurrò abbracciandola, la voce di nuovo tranquilla.

Declan... mio amato Declan... che cos'è la morte di fronte al disprezzo, al disamore? Luce, verità, non vi temo, non più!

Ma almeno, che io ti segua!

Un suo cenno, e stupidamente si volta. Fuori è tutto così vuoto, così bianco -


John Farrell. Il Proletario Consapevole.

Laura Bradley Kaufmann. No, Laura Kaufmann e basta, la Piccola Compagna, Colei Che Ama.

Questi due personaggi camminano l'uno a fianco dell'altra, sul lungo palcoscenico di Shoreview Lane, da Yardbird Square alle case popolari vicino alla statale. Poche foglie a terra. Il vento leggero. John porta i soliti mocassini, i calzini bicolori, i pantaloni rimboccati, lo spolverino bordeaux tenuto aperto. Laura veste ancora il suo dolore immenso.

Entrambi conoscono l'impotenza di vedersi strappato ciò che nella vita avevano di più speciale - di più necessario.

Dietro ad una curva della strada ci incontriamo.


And driving down the road I get the feeling

that I should have been home yesterday.

(J. Denver)


I miei zii, a Dublino, si sono indignati, e così la comunità ebraica di Blackpool, ma la cerimonia è stata assolutamente laica. Niente croci e niente stelle di Davide, nessun prete e nessun rabbino. Bandiere, quelle sì: ma di questi tempi sono il simbolo di una religione come tante. D'altronde il circolo di C. è chiuso da molto tempo, e anche se il caro estinto si è fatto a suo tempo un culo così per il Partito, per loro nessuno è insostituibile.

No.

Eh, no.

I compagni di Londra saranno anche disorganizzati, cinici, e ad ogni congresso dicono la stessa minestra, e il New Worker conclude ogni notizia con le stesse formulette, lo so. Ma tutto questo era la nostra forza, quando ci preoccupava vedere il mondo stringersi in una morsa attorno a noi: ora ci annoia perché con gli occhi pieni di lacrime quello stesso mondo ci appare troppo grande... ed ha mille strade che non ci interessa più prendere, e mille boschi fatati che non vogliamo più attraversare.

Ma la verità è che il tizio della commissione ambiente, quello che Auburn non voleva mai sentir parlare, aveva una profonda stima di Deke. E Ned Rowley. E Travis, Johnson, Crewe, erano decine, o meglio una persona sola, a cantare l'Internazionale mentre gli occhi si arrossano, le labbra tremano, mentre Laura tenta di sfuggire alla mia stretta e imitare Ashley Wilkes in Rossella15, e Stevie scoppia a piangere in braccio alla moglie di Richie. "Non so perché piango, zio, è una bella canzone...".

Un'altra verità è che molti di loro non hanno ben compreso la relazione tra l'attentato al circolo e il gesto di mia madre. Vorrei vergognarmi dicendo che non è stata lei a uccidere Deke, che sono stati quelli dell'NF cinque anni fa, che questi cinque anni sono stati un regalo del destino... e anche un po' mio. Però non mi vergogno per niente, perché lei è mia madre! Forse è pazza, forse è confusa, ma non sarò io a giudicarla, né oggi né mai. Dov'ero io, mentre giorno dopo giorno vedeva la sofferenza rinnovarsi?

La mamma è stata condannata a quindici anni di manicomio criminale. Non tanto per il gesto in sé, no, per quello c'erano fior di avvocati e di medici legali pronti a spergiurare che si era trattato di un raptus, che l'imputata non era in grado di intendere eccetera... che non era perseguibile. Sennonché l'imputata, la signora Martha Mohin Kaufmann (non aveva mai sposato mio padre), ad ogni interrogatorio rispondeva con tale fermezza, con tale lucidità, che l'accusa riuscì a convincere il giudice che la debolezza mentale aveva solo facilitato una decisione che la forza del suo cuore aveva già preso.

A trentaquattro anni, posso dire con onestà di averla perdonata. E' per ciò che di conseguenza ha vissuto Laura, che non posso dimenticare: è perché a volte la sento così distante da temere che voglia raggiungerlo ora, domani - lo stesso troppo presto...

Mi ricordano che dovrei sentirmi il numero due. Non è del tutto così. In fondo, ora, su questa Terra c'è solo un uomo che lei possa amare, e quell'uomo sono io, ne sono sicuro. Laura me lo dice tante e tante volte. Se non fossi certo che sia la verità, non riuscirei a sopportarlo.

Laura ama.

Laura sa cucinare, sa costruire un sito web, parla perfettamente l'italiano, conosce la differenza tra uno shojo manga (quelli che legge lei) e uno shonen ai (quelli che legge Swann), ma più di tutto - si direbbe la sua vera professione - Laura sa amare.

Alla vecchia sezione il sindacato ha aperto uno sportello per le dichiarazioni dei redditi e le consulenze fiscali. Quando Ned Rowley è andato in pensione, si è reso disponibile per il progetto e la cosa è andata in porto. Il partito è in ottimi rapporti con il sindacato, perciò non ha posto obiezioni, anzi pare che abbia contribuito alla ristrutturazione, dal momento che se mai accetteranno di entrare in Parlamento, avranno bisogno di una base operativa fuori Londra. Tutto sommato, Pete si sbagliava riguardo ai danni dell'edificio. O forse era proprio solo una scusa di John per buttare alle ortiche utopie e tutto.

Lo Swinging Years invece è rimasto chiuso solo per sei mesi, dopodichè Swann e Lance hanno rilevato il locale. Non è cambiato niente, a parte una stampa di Paul Klee che ha sostituito la silhouette della Wiegel che spaventava davvero un po' troppo i clienti. Stevie passerebbe tutto il santo giorno là dentro, e non escludo che abbia fatto fuga da scuola varie volte per ingozzarsi di salatini e tracannare succo di fragola mentre il complesso fa le prove per la serata. E non è che Swann me lo verrebbe mai a dire. Non conto molto in famiglia.

Perché sapete, ci siamo sposati, Laura e io. Abbiamo avuto una bambina, che ho chiamato Aimée: non è solo un nome, è una promessa e una certezza. Nessuno dovrà dire che è stata amata di meno solo perché ha avuto la fortuna di avere un padre. Sì, pare che sia questa la moda, pare che sia questa la prassi: chi ha una famiglia normale diventerà sicuramente una persona brillante ed equilibrata, non ha bisogno di cure particolari, basta innaffiarlo e lasciare che il sole faccia il resto,

(insegnargli qualche ideogramma per decodificare il mondo dove vivrà)

basta fargli credere di avere le chiavi del mondo e le spalle forti

(continuerai a essere il mio piccolo grande uomo ti sacrificherai ancora?)

ecco, io non farò mai questo sbaglio. Non darò mai a mia figlia una responsabilità maggiore di quella che in quel momento può affrontare. Non prenderò nulla per scontato.

Ha gli occhi dal taglio orientale, ma i capelli castano chiaro; so di non essere imparziale, ma per me è bellissima. Abbiamo fatto credere che fosse nata prematura, e so che è una bastardata; penso che John non ci sia cascato affatto. Sembra sempre che lui sappia tutto, a volte prima che una cosa accada. Anche se non ha nulla a che fare con la famiglia di Laura, lo considero il mio vero suocero. Mi fa soggezione, non c'è scampo. E va bene, compagno Farrell, Aimée è stata concepita la notte prima del processo. E allora, John? Ancora sento che mi disapprovi. Eppure, stanne sicuro, che quella notte non l'ho violentata. Non puoi da una parte sventolare la nostra bandiera e combattere a parole le superstizioni e la morale religiosa - e poi venire da me ad accusarmi di essere incestuoso, di aver approfittato di una persona vulnerabile. Avresti voluto farmi arrestare, non è vero? E' un po' troppo tardi. Io non faccio credere che vada tutto bene. O che sia tutto facile. Solo non voglio sentir dire a nessuno, né a John, né alla signora Bradley, che mia moglie non ha una sua volontà.

Piuttosto, ditelo di me.

Ho trovato lavoro come educatore presso una struttura privata. Buffo, no? Giorno dopo giorno, il mio compito principale è educare me stesso.

Io non sono niente.

Sto disinfettando i tessuti attorno ad un organo asportato.

E, troppo spesso, sbaglio.

Laura mi ha impedito di adottare legalmente Stephen. Ci tenevo, è naturale, ma quando gliel'ho proposto ho rischiato di mettere seriamente in discussione il nostro rapporto. Credevo che, pensavo che, ma con lei non devo credere, non devo pensare, me ne ero dimenticato. Persino lui, Stevie, che aveva otto anni, per un po' ha evitato di parlarmi... poi un giorno è sceso in garage mentre gli gonfiavo le ruote della bici e mi ha detto in lacrime: - Ti voglio bene, Shin, ma lo capisci che io un padre ce l'ho?

Scusami, piccolo, perdonami, Laura,

non devo pensare,

non devo credere,

e in ogni mio pensiero, in ogni mia azione,

non posso prescindere da Declan.

Lui è vivo più che mai.





E anche questa è finita! Grazie a chi ha letto questo mini-romanzo, e a chi lo farà. Ma soprattutto grazie alle persone che, senza saperlo, mi hanno ispirato la storia: Mario (Deke), Tiziana (Auburn), Sandro (Drew), Carlotta (Dot), Graziella (Chloe). Shin non esiste ed è un peccato... perciò è inutile chiedervi di presentarvelo!
always yours, SakiJune
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: SakiJune