Capitolo
3.
Sicuramente
il tenente doveva soffrire di qualche disturbo della
personalità perché prima mi picchia fino a farmi
svenire, poi si scusa, poi
scappa.
Quel
mattino stavo lavorando nella miniera quando ci hanno chiamato
fuori tutti.
Avevano
trovato nel nostro Block delle monete che erano state sottratte
ad un soldato il giorno prima, e volevano trovare il responsabile.
Un
Kapo, un detenuto che ricopriva una carica all’interno del
campo ed
esercitava il potere su altri deportati, passò davanti ad
ognuno di noi e tutti
al suo passaggio abbassavano lo sguardo, tutti tranne me ovviamente.
Non
mi sarei mai piegato, e comunque non avevo nulla da nascondere.
“E’
stato lui signore.” Disse quello, indicando me.
“Cosa?!
Non è vero! Non sono stato io signore! Anche
perché la mia…”
tentai di rispondere ma venni interrotto.
“Silenzio
Haftling(nda: “Prigioniero”) E174518!”
disse il tenente Hale.
Mi
fissò con quei suoi occhi verdi, velati da una maschera
d’odio
e…dispiacere?
Non
mi accorsi del suo braccio che si alzava del suo pugno che mi
arrivava dritto in faccia, facendomi cadere a terra.
Dopodichè
arrivarono altre botte, calci nello stomaco e sulla schiena.
Tentai
di difendermi ma alla fine vinsero il freddo insieme alla
stanchezza e svenni.
Mi
svegliai non so quanto tempo dopo.
Mi
trovavo nel KaBe ed avevo il corpo tutto indolenzito.
Quanto
tempo avevo dormito?
Avevano
trovato il vero colpevole?
Non riuscivo a smettere di pensare, il mio cervello continuava a
macinare
parole silenziose.
Un
movimento alla mia destra mi fece spaventare, e dalla penombra della
stanza emerse una figura, gli occhi che splendevano nel buio.
Quando
arrivò al fondo del mio letto la riconobbi: era il tenente
Hale.
“Tenente…”
sussurrai, la voce roca.
L’uomo
non rispose ma si avvicinò e si sedette sulla sedia accanto
al
letto.
Non
smetteva di fissarmi.
Faceva
scorrere lo sguardo su tutto il mio corpo, per poi passare alla
stanza e tornare su di me.
“Sei
stato fortunato.” Disse ad un tratto.
“Perché?”
chiesi curioso.
Il
tenente aspettò un po’ prima di rispondere.
“Se
ci fosse stato un altro al mio posto a quest’ora saresti
morto. A
cosa ti servivano quelle monete?”
“Non
le ho prese io.”
“Perché
allora quel Kapo ti ha indicato?”
“Forse
perché sono una sorta di Prominent (nda: detenuti che
avevano un
trattamento migliore rispetto agli altri),signore?”
“Ti
tratto esattamente come gli altri, non hai privilegi.”
“Tranne
il pane che mi viene dato a pranzo o il thè che ogni tanto
mi
da nel suo ufficio. Gli altri non sono ciechi signore, vedono bene
dalle finestre.”
“Ti
stai forse lamentando?”
“No
signore.”
“Benissimo.”
Concluse incrociando le braccia al petto e chiudendo gli
occhi
Un
silenzio rumoroso scese nella stanza.
“Come
ti senti?” mi chiese poi.
“Starò
meglio.” Risposi io, continuando a fissarlo.
Lui
annuì con la testa e tornò immobile.
“Come
si chiama?” gli chiesi senza riuscire a trattenermi.
Il
tenente non rispose.
Non
dovevo demordere, volevo sapere il suo nome.
“E’
così brutto? Se è così prometto di non
ridere e le dirò il mio,
quello vero.”
“Conosco
già il tuo nome, Stiles.”
“No
signore, quello è il mio soprannome.” Risposi
sorridendo.
Avevo
sicuramente scatenato
la
sua curiosità poiché aprì gli occhi e
mi si avvicinò.
“E
quale sarebbe allora, Stiles?” mi chiese, fissando i suoi
occhi nei
miei.
“Glielo
dirò quando mi avrà detto il suo tenente, non
prima.” Risposi,
senza smettere per un solo istante di affondare nei suoi occhi.
Il
tenente sbuffò ed in quel momento parve quasi una persona
normale, un
ragazzo normale.
“Derek.”
Rispose rassegnato.
“Genim.”
Dissi io e vidi lo stupore nei suoi occhi.
“Genim?”
“Sì,
era il nome del padre di mia madre.”
“Particolare,
non c’è che dire.” Disse allontanandosi
di poco.
“C’è
qualcuno a casa che ti aspetta Stiles? Genitori,fratelli,
moglie?”
“Sono
troppo giovane per una moglie signore, ho solo diciotto anni. E
comunque no, sono morti tutti, tranne mio padre di cui ormai ho perso
le tracce.”
“Allora
perché ti comporti da eroe? Rischi solo di farti
uccidere!” mi
chiese avvicinandosi di più.
“Perché
questo posto vuole renderci delle bestie, ma io non lo
diventerò.”
“Aumenti
solo il rischio di morire.”
“Se
così accadrà, lo farò restando me
stesso.” Risposi.
“Confermo
la mia impressione su di te: sei diverso.”
Disse lui, abbassandosi fino a portare il suo volto
davanti al mio, come
se ci stessimo guardando negli occhi in piedi.
“No
signore, sono normale.” Risposi, senza distogliere lo sguardo
dai
suoi occhi.
Alzò
una mano e la posò sulla mia guancia, seguendo con le dita
il
segno del pungo ricevuto.
Si
avvicinò ancora, e la sua attenzione passò dai
miei occhi alle mie
labbra.
Vi
posò un bacio veloce, leggero.
Si
staccò subito, come se si fosse scottato, e si
allontanò.
Uscì
dal KaBe lasciandomi nel più completo stato confusionale:
che diamine era appena successo in quella stanza?!
NdA:
Salve!
Scusate se ho pubblicato così in ritardo, ma mi sono
concentrata un po’ sull’altra
storia che sto scrivendo, Ancient Love.
Che
dire? Vi ringrazio davvero tanto per le recensioni! :D
Siete fantastici!
Come sempre se vi va fatemi sapere cosa ne pensate!
Un bacio e al prossimo capitolo!
Kiki.