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Autore: LADY ROSIEL    01/12/2012    4 recensioni
「Un giorno ti svegli e non sei più la stessa, ma la proiezione di ciò che avresti voluto essere」
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Ho voluto delineare i contorni di una storia semplice e fresca, ma che allo stesso tempo
sfiora due dematiche delicate (seppur trattate con leggerezza), ovvero:
L'adozione di bambini anche a single e a coppie di fatto - e relazione saffica.
In quest’epoca malinconica dov’è la speranza?
Desiderare qualcuno che ci protegga e proteggerlo a nostra volta è del tutto normale, alla fine.
Non ho mai desiderato nulla d’impossibile, bramavo solo l’essenza della serenità.
Una vita tranquilla che mi regalasse la voglia d’assaporare un’altra giornata con il sorriso sul volto, questo era ciò che volevo.
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Il tema centrale di questa narrazione è la seguente frase:
"UN GIORNO TI SVEGLI E NON SEI PIÙ LA STESSA,
MA LA PROIEZIONE DI CIÒ CHE AVRESTI VOLUTO ESSERE"
Ho voluto delineare i contorni di una storia semplice ma che allo stesso tempo
sfiora due tematiche delicate, ovvero:
L'adozione di bambini anche a single e a coppie di fatto - e relazione saffica.

DESIDERIO Sepolto

 

 

Felicità travolgente e dolore soffocante, questa era la vita.
Siamo divenuti schiavi di una società egoista e nemmeno ci preoccupiamo più  delle persone che ci stanno intorno. Soffocati dallo scalpitante ticchettio delle ore, viviamo rinnegando noi stessi, incapaci di ascoltarci l’uno con l’altro.

In quest’epoca malinconica dov’è la speranza?

Tante volte avrei desiderato essere diversa, ma le ferite del passato sanguinavano ancora e il mio coraggio vacillava. Non ero più una bambina e ormai non potevo più cullarmi in sentimentalismi da adolescente, seppur all’epoca mi riscaldassero il cuore. I cambiamenti radicali dopotutto, mi intimorivano.
Anche quella sera, come tutte le altre, mi coricai a letto a notte inoltrata, dopo essermi sincerata che la ciotola per l’acqua del gatto fosse piena. Non c’era nulla di diverso, anche quella notte le stelle brillavano luminose rincorrendo la Luna sfuggente. Eppure, avevo la fervida convinzione che l’indomani sarebbe stato completamente diverso. Più che un presentimento sembrava quasi una recondita speranza, a ben vedere.

Il trillo implacabile della sveglia mi fece sussultare per lo spavento e con un diavolo per capello allungai la mano disattivandolo, imprecando poi contro chissà quale divinità celeste. Era una mattina come le altre.
«Ciao Lilli» asserii poi, quando la mia gatta mi solleticò il volto con in suo mantello.
Con la solita costanza, ripetei le stesse azioni di ogni mattina, sorseggiando infine una tazza di caffelatte appena intiepidito accompagnato da cereali integrali. 
Nulla di diverso, rimarcai. Quando però, dopo svariati minuti, incrociai il mio volto riflesso sullo specchio del corridoio, notai un cambiamento che definire singolare era poco. 
Ero assolutamente divina!
Certo, l’ironia e l’egocentrismo smisurato erano il mio pane quotidiano, ma quella mattina ero davvero un bel bocconcino! Dal trucco, ai capelli e persino i vestiti avevo uno stile stravagante, colorato, eccentrico oserei dire. 
Mi piacevo.
Non mi ero mai piaciuta tanto in vita mia!
E bastò quella ritrovata fiducia in me stessa per farmi rinvenire l’allegria e il sorriso perduto.

Varcai la soglia di casa e mi recai alla boutique. Sospinta da chissà quale forza iniziai ad intrattenere i clienti affiancandomi ai loro discorsi e per la prima volta notai un forte interesse nell’ascoltare le mie parole. E ora che mi soffermai a riflettere, persino la mia voce, il modo in cui allineavo le parole e la profondità dei miei discorsi erano diversi dal solito. Era come se d’improvviso fossi diventata più matura e aggraziata. Ogni mio movimento era parte integrante di quel mio nuovo modo di interagire con gli altri.

Ero sempre stata in grado di farlo?

Forse c’era qualcosa di bizzarro, me ne resi conto quando mia madre si presentò a pomeriggio inoltrato portando con se un bambino che ad occhio avrà avuto sette o otto anni al massimo.
«Siamo arrivati in perfetto orario!» enfatizzò esibendo uno dei suoi più lucenti sorrisi. «Sai, tuo figlio si è divertito più di quanto mi aspettassi!» A quelle parole rimasi basita.
«Mamma, si può sapere di cosa stai parlando? Non ho figli, dovresti saperlo.» Lei mi guardò inarcando le sopracciglia in un’espressione contrariata che esprimeva rammarico. Sospirò e si avvicinò sussurrandomi.
«Ti proibisco di dire ancora frasi del genere in presenza di quel povero bambino!» Mi sgridò «Lo sai quante ne ha passate, non dovresti riaprire vecchie ferite.»
«Non era certo mia intenzione, ma non capisco ancora chi sia quel bambino» ammisi senza fronzoli, non facendomi sentire dal piccolo.
«Hai battuto la testa da qualche parte più forte del solito? Ti ricordo che Erik è tuo figlio.»
«Non vorrei smentirti, ma a quale età pensi l’abbia partorito?»
«L’hai adottato dopo due anni di dure sofferenze.» proferì accendendosi una sigaretta. «Non ricordi neppure questo? Se la cosa è così grave devo portarti all’ospedale.» rincarò la dose.
Tentai invano di raccapezzarmi in quell’assurda storia che alle mie orecchie risuonava del tutto nuova, oltretutto da quando in Italia i single potevano adottare bambini? 

«Preparo io la cena, tu intanto gioca un po’ con lui.» asserì mia madre incamminandosi verso casa, lasciandomi sola con quello che doveva essere a tutti gli effetti mio figlio. Lo osservai cercando di poter intavolare un discorso, ma le parole inspiegabilmente non mi uscivano. Ero nervosa dovevo ammetterlo, ma d’un tratto avvertii la sua piccola mano stringere saldamente la mia. Persi un battito. Avvertii un calore così intenso che pensai di scottarmi. Era gentile.
«Mamma, andiamo a sdraiarci sull’erba, vicino alla grande Quercia!» E in quel suo sorriso percepii quell’impazienza mista ad eccitazione tipica dei bambini e non riuscii a non accontentarlo. Essere stata chiamata ‘mamma’ da quel grazioso bambino dai capelli mori e dagli occhi nocciola mi fece sciogliere il cuore. Era una sensazione così singolare e così calda che mi sentii tremare per l’incredulità.
Rimasi insieme a lui sotto quell’albero giocando a pallone a lungo, certa di non essermi mai divertita così da tanto tempo.
Era come rituffarsi nel passato ed andare ad agguantare quella gioventù  che si credeva perduta. E in quegli attimi, mentre l’imbrunire avanzava e il vento ci scompigliava i capelli, compresi che nel momento in cui la mia forza era mutata in dolcezza e la dolcezza in forza, non vi era più nulla di cui essere spaventata.
Quella vita irta d’ostacoli e di fallimenti non era più così terrificante come avevo creduto.
«Erik…» richiamai la sua attenzione  «quando sarai grande ci saranno momenti in cui potresti sentirti solo ed incompreso. E probabilmente non riuscirai a fidarti ciecamente delle persone. » avvertii il suo sguardo lievemente perplesso «Ma per quanto faccia paura, il solo fatto di provare a credere in qualcuno è una gran cosa. Se ti capitasse di sentirti solo, prova a parlarne con gli altri. Non tenerti tutto dentro come ho fatto io.» Forse quel discorso era troppo complesso per la sua età, ma sembrava aver afferrato le mie parole.
«Uhm! Allora se un giorno mi sentissi triste non devo fare altro che parlarne con i miei amici!» Esclamò sorridendo mentre i suoi occhi cambiavano leggermente colorazione, esposti alla luce del giorno.
Qualche minuto più tardi ci incamminammo verso casa per poter saziare il nostro appetito.
«Figliola, è appena rincasata Ilenia. E’ nell’atrio in ingresso.»
«Ilenia?»  ripetei sorpresa. A sentire quel nome tremai e mi alzai di scatto dalla sedia. L’unica Ilenia che conoscevo non la vedevo dai tempi delle scuole superiori, non poteva essere lei, figuriamoci!
L’entusiasmo però era così grande che corsi verso l’ingresso nella speranza di poter rivederla.
«Buonasera tesoro, sono a casa» asserì con naturalezza, ignara di aver alterato i battiti del mio cuore. Erano passati così tanti anni, ma di certo non avrei scordato quei lineamenti armoniosi così facilmente. Sorrisi, tremai ed infine piansi.
«Ilenia… Sei davvero tu?»
«E’ naturale! Aspettavi forse qualcun’altro?» Domandò con quella sua leggera risata. «E poi cosa sarebbero queste lacrime?» Quasi sicuramente la mia mente aveva occultato parte degli avvenimenti precedenti, poiché sembrava che non fosse la prima volta che ci incontrassimo.
Poggiò la borsa sul tavolo e mi venne incontro. Era così vicina che riuscii a sentire il suo profumo invadermi le narici. L’abbracciai. La strinsi forte. Lei ricambiò scostandosi poi, per guardarmi negli occhi.
«Non mi saluti nemmeno come si deve?» Domandò beffarda, prima di poggiare le sue labbra sulle mie in un contatto leggero ma ugualmente d’impatto. Non capendo e credendo mi prendesse in giro, l’allontanai senza però sciogliere quell’abbraccio.
«Che stai facendo? Non puoi baciarmi! Noi due siamo… »L’imbarazzo toccò i massimi storici e le mie gote si tinsero di rosso. «Siamo entrambe donne!» strepitai alla fine.
«Questo lo so bene! Ma non vi è ragione alcuna perché io non possa baciare la mia donna. Siamo fidanzate, no?» Molto probabilmente c’era una piccola risata anche in quelle sue parole pronunciate così intensamente e con una voce inaspettatamente afona che riuscì a sconvolgermi molto più di quella confessione.
Lentamente, con una voglia crescente, sfiorai la mia guancia con la sua – Avevo la certezza che quella non fosse la prima volta in cui i nostri volti, le nostre mani e le nostre labbra s’intrecciassero, e rapita da quelle sensazioni d’intenso piacere, la baciai.
«Dovresti baciarmi con questa passione più spesso.» constatò una volta che i nostri volti si separarono. «Dai, ora andiamo che il nostro Erik ci aspetta.» aggiunse pizzicandomi leggermente la guancia.

Non riuscivo neppure a concepire l’idea di avere un figlio tutto mio da accudire, e piuttosto grandicello per lo più, che ora scoprivo pure d’intrattenere una relazione amorosa  con quella che era stata la mia più grande amica e compagna di giochi sin dall’asilo!.
Mi sentivo terribilmente confusa, ma al contempo ero davvero felice.
Per anni avevo creduto solo a salvare le apparenze fingendomi forte e incrollabile, ma avevo compreso di essere forte solo quando avevo lasciato che le lacrime rigassero il mio volto.
Se non siamo noi stessi, la nostra esistenza non ha alcun senso.
Desiderare qualcuno che ci protegga e proteggerlo a nostra volta è del tutto normale, alla fine.
Non ho mai desiderato nulla d’impossibile, bramavo solo l’essenza della serenità.
Ora ho imparato a definire la felicità con il mio metro di giudizio. Poter percepire il calore scaturito dall’amore e dall’affetto delle persone a me care, era quello che desideravo più ardentemente. Una vita tranquilla che mi regalasse la voglia d’assaporare un’altra giornata con il sorriso sul volto, questo era ciò che volevo.
La vita che ho sempre sognato non era così difficile da realizzare, eppure perché ho abbandonato per anni quel sogno in un angolo remoto del cuore, fingendo che non m’importasse?

   
 
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